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(08.06.11) Bitto: formaggio orobico

La sottolineatura dell'origine e identità orobica del Bitto non sono una provocazione. Il Bitto storico rilancia i legami con la Val Brembana e con la bergamasca  non solo e non tanto in polemica con una Valtellina che ha voluto inventare un 'nuovo Bitto', ma per fedeltà alla sua storia. In vista della prossima edizione di Cheese (Bra, 16-19 settembre), che celebrerà l'unione dei formaggi 'principi delle Orobie', pubblichiamo alcuni materiali che testimoniano la realtà secolare di un Bitto che ha per molto tempo gravitato sul versante bergamasco prima dell'affermazione del ruolo di Morbegno come 'capitale del Bitto'. Un ruolo che, tra una Dop che ha snaturato il Bitto, e un Mostra del Bitto fallimentare, non ha saputo conservare.  leggi tutto

 

(21.09.10) Gerola (SO). Il Bitto storico prepara la secessione dalla Valtellina

leggi l'intervista a Paolo Ciapparelli

 

(24.10.10) Bocciato  il Parco eolico al Passo di S. Marco

Il Consiglio dei Ministri (sarebbe stato meglio non mettere di mezzo Roma) ha detto una parola definitiva alla tormentata vicenda del Parco eolico: NO. Ora, però, non deve calare l'attenzione sul Passo, luogo simbolo dell'unione tra Valtellina e Bergamasca (e non solo). Si devono interrare gli elettrodotti e pensare alParco degli alpeggi del Bitto storico. Vai a vedere i perché del NO e i progetti per il futuro. leggi tutto

 

(17.06.11) Protagonista di importanti eventi Slow tra la Toscana e l'Emilia-Romagna  il Bitto storico nel giorno del 25° sarà presente nel cuore di Venezia a Campo San Bartolomeo. Una presenza che vuole rinnovare gli storici legami tra il Bitto e la Serenissima

 

Storico ritorno: Bitto a Venezia (per il 25° di Slow Food)

di Michele Corti

Un anno importante per il Bitto storico, protagonista di numerosi eventi Slow che culmineranno con una presenza di assoluto rilievo a Cheese il prossimo settembre a Bra. Ma non solo.

 

Nelle celebrazioni del 25° di Slow Food il Bitto storico è un ospite d'onore, un fatto che sottolinea il suo ruolo di emblema di una 'resistenza casearia' che incarna il senso delle battaglie intraprese da Slow Food . Battaglie che, oramai, non influenzano solo il costume gastronomico ma puntano a incidere 'nel vivo', ossia sui fatti agricoli. Volere un cibo buono, pulito e giusto sulla tavola significa essere disposti a partecipare a conflitti che  hanno per protagonisti i campi o, come nel nostro caso, i pascoli. Non viene spontaneo pensare ai pascoli da questo punto di vista.

 

Alpeggi come trincea avanzata del conflitto per il cibo buono, pulito e giusto

 

Eppure il conflitto che divide l'agricoltura non passa solo dalle lande rese squallide dalle monocolture e dall'uso dei pesticidi; passa anche per i pascoli d'alpeggio, là a 2.000 m. Spiace disilludere chi ritiene gli alpeggi rappresentino (solo) l'ultima ridotta di una alpicoltura eroica, ma il conflittotra le opposte visioni: quella agroindustriale e quella (neo)contadina, interessa anche queste realtà. Anche qui si vogliono applicare le stesse logiche: l'uso del mangime che 'disaccoppia' alimentazione animale e produzione foraggera, uso delle bustine di fermenti liofilizzati fornite dalle industrie che, aggiunte al latte, 'riducono la probabilità di difetti' ma con la certezza che il gusto venga 'addomesticato'. Un gusto 'selvatico' è troppo sovversivo. Consente di fare esperienza di qualcosa di non omologato, di avere dei riferimenti, dei termini di paragone. L'industrializzazione quindi ha messo le mani anche sugli alpeggi, sui caseifici delle 'malghe', dove capita di vedere aggiunto al latte anche il Lisozima (antibiotico 'naturale').

I ribelli del Bitto riuniti nel Presidio del Bitto storico si oppongono a tutto ciò. E quello che fanno ha un grande valore perché, contestando la logica industriale laddove appare più assurda la sua applicazione, diventa possibile innescare un'inversione di tendenza. Sono tra i pochi che, grazie a una serie di circostanze favorevoli, hanno avuto il coraggio di ribellarsi al 'sistema'. E la loro ribellione è di grande incoraggiamento e stimolo.

 

 

Il Bitto a Venezia: una presenza piena di significati

 

Nel giorno delle celebrazioni del 25° di Slow Food il Bitto storico è stato invitato a Venezia. Sarà presente in Campo San Bartolomeo con la Condotta Silver. Ai veneziani (e ai turisti) sarà data la possibilità di conoscere (anche attraverso le degustazioni) questo prodotto straordinario. Un fatto che va letto non solo alla luce dell'importanza di Venezia come vetrina, ma anche del suo rapporto storico con il Bitto. Un rapporto che è venuta ora di rinfrescare. Perché ora? Perché il Bitto storico, fortemente osteggiato dai livelli 'istituzionali' (in senso lato), appiattiti sulle prospettive agro-produttivistiche (e sugli interessi della casta imprenditorial-politica valtellinese), ha deciso una strategia di 'devaltellinizzazione' che comporta la valorizzazione dell'autentica identità del Bitto: quella orobica. Un'identità che si collega ad una cultura sviluppatasi in Valsassina e in Valbrebana (territori un tempo uniti sia sotto il profilo politico che ecclesiastico) e che ha influenzato (anche i ragione di un travaso demografico) le testate delle vallate orobiche della bassa Valtellina. Il Bitto storico ha tutto l'interesse a giocare la carta della storia. Il Bitto 'generalista', nato nel 1996 (e poi modificatosi in peggio nel 2006), è sorto con un peccato originale inguaribile, sulla base di un'operazione spregiudicata e arrogante che cancellava la storia e la geografia del Bitto. Veniva attestata una tradizione produttiva estesa anche a quelle parti della Valtellina (per non parlare della Valchiavenna) dove non si produceva neppure un generico formaggio grasso. Per il Bito storico oggi gocare la carta della storia significa guardare a Bergamo (e a  Venezia).

 

 

Bitto: formaggio bergamasco

 

Sino ai primi anni del secolo scorso il Bitto veniva commercializzato prevalentemente a  Branzi in occasione della fiera settembrina di San Matteo (dove, al termine della stagione d'alpeggio, convergevano intere partite di Bitto). Dal nome del mercato di raccolta il Bitto prendeva anche il nome di 'Branzi'. Anche nei secoli precedenti, però, buona parte della produzione delle valli del Bitto (per non parlare di quella della val Tartano) era esitata in località brembane. Il prodotto destinato a Bergamo (dove esistevano delle stagionature) era colorato di zafferano,  un prodotto che arrivava da Venezia. Dagli stessi alpeggi di Gerola 'cuore del Bitto storico', il Bitto scendeva a Cusio e Mezzoldo per avviarsi a Bergamo. Questa corrente commerciale aveva una sua motivazione nella presenza della Via Priùla (vedi box sotto), costruita alla fine del Cinquecento con criteri molto avanzati (pendenze e ampiezza della carreggiata regolari), una vera 'autostrada'.  Venezia la realizzò per avere un collegamento diretto - senza passare per lo Stato di Milano - con il Passo dello Spluga (che conduce nella valle del Reno e quindi al cuore dell'Europa).

Nella strategia del Bitto storico c'è un recupero delle storiche relazioni tra il Bitto e i suoi tradizionali mercati, oltre Bergamo anche Como e Milano. Quanto alla Valtellina essa dovrà dimostrare nei fatti, di meritarsi l'identificazione con il Bitto dopo che ha cercato di accaparrarselo senza merito e che, non avendo la considerazione e il rispetto che si nutrono per le cose proprie, lo ha in parte snaturato.

  

La via Priùla

 

Prende il nome da Alvise Priuli, Podestà e Capitano di Bergamo. Egli fece realizzare la nuova via in tempi rapidissimi, tra il 1592 e il 1593. Fu un'opera  importante perché coincise con l'apertura di una via di traffico commerciale internazionale consentendo il trasporto con piccoli carri laddove prima potevano transitare con difficoltà solo i muli (lungo l'antica via mercatorum).  A parziale consolazione va osservato che, in analogia con le attuale italiche costumanze in materia di opere pubbliche già ai tempi di Priuli si verificava lo  'splafonamento' dei preventivi (da 2.000 a 8.200 ducati). Ma veniamo all'importanza storica rivestita a lungo dalla nuova Via. La sua realizzazione corrispondeva ad una esigenza strategica: evitare che le merci tra il centro-Europa e Venezia transitassero attraverso lo Stato milanese. In precedenza, data la difficile percorrenza dei vecchi tracciati brembani (che da Averara risalivano la Val Mora e conducevano verso il Passo di Verrobbio), le merci da Bergamo si dovevano dirigere verso il Lario utilizzando la comoda via d'acqua ma sottostando alla pesante tassazione milanese per poi proseguire per lo Spluga attraverso la Valchiavenna, anch'essa sotto il dominio Grigione.  La via Priùla, però,  non ebbe comunque mai il successo sperato dal suo ideatore e fu importante più per i traffici locali che per quelli a lungo raggio. Il suo declino avvenne con  il Congresso di Vienna che, unificando con quanto rimaneva dello Stato di Milano,  i territori lombardi precedentemente sotto dominio veneziano e grigione, decretò la fine dell'importanza commerciale della Via. La successiva costruzione, per opera dell'Imperial Regio Governo Lombardo-Veneto della  nuova via del Lago di Como e dello Spluga (anni '20)  consentì di percorrere per la prima volta la riva orientale del Lario e diede il colpo definitivo anche se - sempre in periodo Lombardo-Venteo vennero  eseguiti dei lavori per rendere il tracciato realmente carreggiabile (terminati, però, nell'ultimo tratto di discesa a Morbegno, solo a fine Ottocento). Da allora in poi la Via Priùla tornò ad essere un collegamento di interesse esclusivamente locale. Negli anni '60 del secolo scorso la realizzazione della strada carrozzabile del Passo di San Marco ha ridato una certa importanza (sul piano turistico) al collegamento tra la Val Brembana e la Valle del Bitto.Alvise Priuli curò direttamente anche la realizzazione del tratto di strada in territorio Grigione che dal Passo di San Marco conduceva a Morbegno. Tale opera venne completata in tempi successivi, ma comunque brevi, dopo il completamento del tratto brembano. Oltre che alle merci la Via Priùla rappresentò anche un'autostrada delle mandrie transumanti che si spostavano ogni anno tra la pianura lombarda e l'alta Val Brembana. I malghesi (ovvero i proprietari delle malghe, termine tutt'oggi utilizzato per indicare le mandrie e non gli alpeggi) non solo poterono raggiungere più comodamente i pascoli sul versante brembano ma approfittarono della Priùla per affittare alpeggi anche in Val Gerola. Un capitolo interessante della storia della transumanza e del formaggio Bitto che vedrà i malghesi brembani caricare gli alpeggi sul versante valtellinese ancora all'inizio del XX secolo.

 

 

           

 

pagine visitate dal 21.11.08

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