(19.11.11) Grande interesse ieri sera a Brinzio per il furmagg de ségia. Una preparazione antica, salvata dall'estinzione che aiuta a capire le potenzialità dei prodotti "originari" a valenza storico-identitaria
di Michele Corti
Un segnale forte e positivo quello che è venuto dall'incontro che si è tenuto al Museo della cultura rurale prealpina di Brinzio (Parco Campo dei Fiori). Dalla presenza attenta dei rappresentanti di enti e di un nutrito pubblico, dal tono degli interventi credo si possa dedurre che si sta diffondendo la consapevolezza che recuperare e valorizzare saperi e pratiche alimentari tradizionali non è un vezzo, uno snobismo ma apre opportunità di circuiti economici locali, di recupero produttivo di risorse inutilizzate, di iniziative di socializzazione. È quanto emerso anche dal contenuto degli interventi di rappresentanti di enti e associazioni: Bruno Specchiarelli, assessore provinciale al'agricoltura, Paolo Albrigo e Giangiacomo Cavenaghi (Ecomuseo dei laghi prealpini), Giuseppe Barra (il padrone di casa in quanto presidente del Parco), Ivan Rovetta (Slow Food).
A Brinzio si dimostra che investire in agriCultura paga
A Brinzio si dimostra anche che investire in agriCultura paga. Il "museo della castagna", un museo informale e a cielo aperto, nato con finalità inizialmente didattiche, ricreative, paesistiche, scientifiche ha stimolato altre iniziative a cascata. Iniziative sia di tipo culturale che economico (di un tipo di economia fortemente legata alla dimensione cultura-identitaria-locale). Così è nato il Consorzio Castanicoltori di Brinzio, Orino e Castello Cabiaglio. La coop, sorta ufficialmente nel 2009, conta un numero cerscente di soci (proprio ieri sera Massimo Raimondi, l'agronomo che segue il Consorzio ha annunciato che i soci sono ormai una ventina). Le attività sulla castagna hanno coagulato altri interessi e iniziative e, con l'apporto dell'Università dell'Insubria, è sorto presso la sede del Parco del Campo dei Fiori il "Museo della cultura rurale prealpina". Un museo nato con la finalità di occuparsi di cultura materiale a vasto raggio e nello spirito di un museo diffuso (ecomuseo). Parallelamente, per impulso dell'ordine degli architetti è sorto sin dal 2002 un Ecomuseo dei laghi prealpini della provincia di Varese. Le iniziative hanno trovato poi occasioni di convergenza tanto è vero che la serata di ieri era organizzata dall'Ecomuseo presso la sede del Museo/Parco. Nella Sala delle conferenze che era (come si vede dalle foto) un vecchio fienile.
La comunità del cibo
L'interesse primario dell'Ecomuseo (come della maggior parte degli ecomusei per la verità) per gli aspetti legati alla produzione, trasformazione, conservazione e consumo degli alimenti lo ha portato a collaborare con Slow Food che, in provincia di Varese, ha promosso la costituzione della "Comunità del cibo delle valli Veddasca e Dumentina". La Comunità del cibo è l'ambito dove i saperi e le pratiche connesse al cibo, ricche di valenze storiche ed identitarie si concretizzano per opera di piccoli produttori artigianali in piccoli volumi di prodotto, stagionali, limitati, non suscettibili di entrare nel Mercato ma in circuiti reali, con valore economico (oltre che sociale e culturale) e comunque tali da scongiurare che di certi prodotti si perdano per sempre perché legati a conoscenze impicite, non scritte, corporee, che anche la memoria orale, staccata dalla dimensione del fare, non può salvaguardare.
Il furmagg de ségia
Eccoci allora al potagonista, al furmagg de ségia. Prodotto nelle valli montane varesine (Travaglia, Dumentina Veddasca) e in alcuni villaggi della val Cuvia (più a contatto con la val Travaglia) il furmagg de ségia (conosciuto anche come bicc o cacc) è un po' un fossile di un epoca in cui ci si doveva industriare a conservare una scorta di proteine per l'inverno, a recuperare prodotti caseari divenuti o troppo duri o troppo molli ("colanti"). Fa parte della grande famiglia delle preparazioni a base di vari tipi di formaggi e ricotte, variamente rifermentate, aromatizzate (specie con pepe) diffusa su tutte le Alpi. Ma ha una sua originalità. Il nome deriva dal secchiello di legno (con le doghe) dove, a strati, vengono sistemati i pezzi di formaggio. Si giocava sulla diversa dimensione dei pezzi e sulla diversa consistenza dei formaggi di partenza per favorire l'amalgama. In più si inumidiva con panna, latte, siero a seconda dei casi e si applicava un peso (pietre) ad un disco di legno collocato sopra la massa di formaggio. La preparazione del furmagg de ségia presupponeva diverse settimane. Veniva prodotto in autunno quando i mosconi cessavano si essere in agguato e quando la temperatura impediva rifermentazioni troppo violente. In autunno c'era disponibilità di formaggio (alla fine dell'alpeggio e del post-alpeggio) e la ségia (posseduta da quasi tutte le famiglie dei paesi della val veddasca) era un modo intelligente di conservazione. Il furmagg diveniva piccante, spesso era erborinato e risultava molto gradito quando consumato con la polenta. Anche quando cessò l'esigenza di produrlo per necessità la tradizione proseguì a lungo per "golosità". Veronelli nella sua guida alle golosità d'Italia del 1968 citava il furmagg de ségia di Arcumeggia (val Cuvia) dove si svolge tutt'oggi ogni anno la Sagra del bicc. Grazie alla bontà un po' rustica del nostro furmacc la produzione non è mai del tutto cessata anche se è stata confinata all'ambito casalingo e se gli ultimi "esperti" della ségia si sono in alcuni casi adattati ad utilizzare formaggi industriali.
Dall'indagine storico-culturale alla produzione
Come ha ricordato l'assessore provinciale Bruno Specchiarelli quest'anno - a conclusione di un iter iniziato tre anni fa - il furmagg de ségia, insieme al frumagìt di Curiglia e a Zincarlìin de Varés è stato inserito nell'elenco dei PAT (prodotti agroalimentari tradizionali) della Regione Lombardia. Un fatto non privo di importanza perché ciò consente di produrre in modo tradizionale questi formaggi in deroga alle norme igienico-sanitarie che proibiscono l'uso del legno, del rame ecc.. L'aspetto più positivo della ricerca a suo tempo eseguita dal sottoscritto per istruire la domanda di inserimento nell'elenco regionale è consistito però nella "riattivazione" della tradizione del furmagg de ségia. In quest'opera di recupero storico del furmagg de ségia, si è distinto Albino Gatta un produttore di Curiglia noto per la qualità insuperabile dei suoi frumagit (sono formaggini presamici dolci) ma anche delle sue Formaggelle del lunese. Il segreto di Albino consiste nella dimensione artigianale (che non è solo una questione di piccoli numeri ma di forma mentis).
Albino ha solo trenta capre (che hanno la fortuna di andare al pascolo) e tratta il latte con i guanti. Ha riutilizzato sia per abitazione, caseificio e stalle vechci fabbricati. Non ha fatto aumentare il PIL con strutture prefabbricate in cemento armato, ma mantiene i prati-pascoli vicino al paese che diventerebbero roveti senza le capre e procura ai suoi affezionati clienti la soddisfazione di poter gustare un prodotto freschissimo, salubre e gustoso (tutte cose che nel PIL non contano ma nella FIL - felicità interna lorda sì).
All'Albino i il furmagg de ségia, viene molto bene, senza i difetti che una preparazione "spinta" come questa potrebbe facilmente presentare. Lo fa su prenotazione solo in autunno. Eppure fa parlare di sé. Eppure se la produzione si ampliasse (un poco) potrebbe essere un asso nella manica della ristorazione tradizionale locale consentendo di rilanciare le tante ricette locali in cui era l'ingrediente principale (a partire dai piatti con la polenta nera di saraceno che qui potrebbe tornare ad essere coltivato come un tempo). Utilizzando i vecchi terrazzi che vanno in rovina, facendo riaprire le osterie che hanno melanconicamente chiuso privando anche di questo elemento di socialità i paesini di questo ritaglio di Terre alte varesine (giustamente Specchiarelli ha commentato a proposito del filmato: "Purtroppo la gente della pianura se facciamo vedere queste immagini direbbe: «Ma questa è una valle del Trentino»").
Un bel paniere!