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Stop ai pannelli fotovoltaici nelle aree verdi e aperte in provincia autonoma di Bolzano. E in Lombardia?

 

 

di Michele Corti (foto www.acquecomasche.com)

 

Le vicende parallele di Bolzano che vuole prevenire le speculazioni fotovoltaiche in grado di scempiare il paesaggio e di compromettere il turismo e del comune di Livo in provincia di Como si prestano a più di una amara riflessione

 

La provincia autonoma di Bolzano ha approvato in questi giorni un regolamento che vieta l’installazione d’impianti fotovoltaici sulle aree libere e verdi: è quanto prevede un regolamento approvato dalla Giunta della Provincia autonoma di Bolzano. “Vogliamo contrastare sul nascere questo possibile sviluppo, per non ritrovarci poi con un paesaggio danneggiato, come già successo in altri territori”, spiega l'assessore all'Urbanistica, ambiente ed energia, Michl Laimer. “I pannelli vanno installati sui tetti, il paesaggio è troppo prezioso per un suo utilizzo su larga scala”, aggiunge l'assessore.

Anche per quanto riguarda l’installazione di pannelli fotovoltaici sui tetti degli edifici sono state poste severe limitazioni prevedendo un’autorizzazione della Ripartizione provinciale tutela beni culturali e limiti ben precisi anche per le altre zone residenziali. Una decisione quanto mai opportuna considerando quanto sta avvenendo in regioni come la Puglia ma anche nell’Italia settentrionale.

 

Un grave segnale d'allarme da Livo (CO)

 

Nell’arco alpino il primo segnale d’allarme, che denuncia i rischi del fotovoltaico selvaggio (vedi precedente articolo) viene da Livo, un paese a 650 m nell’alto lario occidentale in provincia di Como. Qui l’amministrazione comunale sostiene un progetto che, se fosse, attuato sarebbe il più rappresenterebbe il più grande ‘campo solare’ della Lombardia rivaleggiando con quelli pugliesi. Si tratterebbe di una superficie di oltre 46.000 mq collocata a monte dell’abitato (vedi le foto). Si tratta di un terreno già occupato da prati-pascoli in prossimità di baite. Questi maggenghi (chiamati localmente muunt), utilizzati dalla primavera all’autunno, erano un tempo intensamente abitati.

Ora la popolazione si è molto contratta (gli abitanti sono solo 200 contro gli 820 del 1881) ed è composta in gran parte da anziani. Le attività agrosilvopastorali però rivestono ancora molta importanza in relazione alla grande estensione comunale (oltre trentadue km2) e alla presenza della capra di Livo (o Lariana) che, solo qualche anno orsono raggiungeva qui la consistenza di un migliaio di capi.

Qualche giorno fa nella conferenza di servizi la Provincia e la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici hanno espresso un parere negativo. Ma l'amministrazione comunale insiste nel difendere la validità del progetto. Una situazione che richiama molto da vicino la vicenda del Parco eolico del Passo di San Marco (vedi articolo) dove il comune di Albaredo è schierato contro le provincie (di Sondrio e di Bergamo, le Soprintendenze, il Parco delle Orobie bergamasche, i comuni bergamaschi confinanti) per difendere il’suo’ progetto eolico. E’, evidentemente, una situazione che non può essere lasciata alla negoziazione caso per caso.

 

 

Un ricatto che grave sulle aree territoriali deboli

 

I comuni di montagna più poveri non riescono a resistere alle ‘sirene’ della speculazione sulle rinnovabili che può contare si incentivi talmente elevati da creare delle situazioni discorsive. Quello che spinge le società che spingono i progetti, è la prospettiva dei grandi guadagni ottenibili una volta ottenute le autorizzazioni su un mercato dove le società che gestiscono la distribuzione dell'energia devono poter dimostrare di coprire con le rinnovabili una quota crescente del mercato. Che su queste basi si inneschino fenomeni di corruzione è quasi scontato (Tremonti lo ha detto senza peli sulla lingua a proposito dell'eolico).

Quello che risulta sgradevole è che vengano messi gli occhi sulla montagna ‘debole’, su comuni in crisi demografica. L’analogia che si potrebbe istituire è con i miserabili che nei paesi poveri sono costretti a vendere il sangue o persino gli organi. Qui si vende il paesaggio. Che non rappresenta solo un elemento banalmente ‘estetico’, come ritengono - o fanno finta di ritenere alcuni - ma un aspetto dell’identità locale, una risorsa simbolica ma anche economica che solo la scarsa capacità progettuale di situazioni in forte crisi non ha saputo valorizzare.

 

Il Museo paesaggistico della Valle di Livo

 

Il caso di Livo è emblematico. Qualche anno fa era stata proposta la realizzazione del Museo paesaggistico della Valle di Livo (arch. Pandakovic). Una proposta che trova motivo nelle notevoli risorse paesaggistiche del comune e che fa evidentemente a pugni con la proposta del ‘parco solare’.  La valle di Livo è la più profonda di tutta la provincia e porta al Lago di Darengo l’unico lago alpino del comasco e di qui nell’altrettanto bella val Bodengo che sbocca a Gordona in Valchiavenna. Dall’alta valle di Livo è possibile anche passare nella val di Cama (Canton Grigioni). Sono valli con scarsa presenza di attività antropiche ma in passato caratterizzate da un intenso utilizzo degli alpeggi. Numerosi sono poi i maggenghi (muunt) spesso con la struttura di veri e propri villaggi abitati per buona parte dell’anno. A breve distanza dal paese si trova la chiesa cimiteriale di S. Giacomo vecchia del XV secolo poi sostituita dalla nuova parrocchiale attualmente nel centro del paese eretta nel XVII secolo. La chiesa vecchia, non più utilizzata ha mantenuta intatti gli affreschi coevi all’edificazione della chiesa che rappresentano un’interessante esempio di ‘pinacoteca alpina’ ricca di rappresentazioni mariane di buona fattura (ex voto). Al XVII secolo risale il piccolo santuario di Sant’Anna costruito a 742 sul tratto di mulattiera in forte salita che risale dal Ponte di Dangri. Oltre a queste testimonianza sparse sul territorio il nucleo stesso di Livo ha caratteristiche pregevoli con i bei portali in pietra con sovrapposti gli stemmi delle antiche famiglie e affreschi del XVI secolo. Un’epoca di prosperità che pare molto lontana. Ma che traeva la sua origine da un’economia che univa allo sfruttamento delle risorse agrosilvopastorali il commercio e l’emigrazione. Un’emigrazione che si spingeva sino a Palermo tanto è vero che è ancora rimasto vivo il culto di S. Rosalia (patrona di Palermo) e del costume femminile locale festivo (piuttosto ricco ed elaborato) fanno parte degli orecchini di corallo. Evidentemente lo stereotipo della montagna chiusa, rozza è una rappresentazione di comodo. Comoda per perpetuare forme di sfruttamento e di subordinazione.

 

 

Una montagna già colonizzata pesantemente

 

A Livo lo sfruttamento idroelettrico è già molto intenso (vedi articolo), ma l’Edipower vorrebbe ancora aumentare triplicando la portata delle derivazioni. Notare che i torrenti sono già oggi spesso in secca a valle delle captazioni.

La montagna da questo punto di vista da già molto. Sarebbe assurdo che oltre allo sfruttamento idroelettrico si desse via libera ai campi solari. In pianura i salti d’acqua sono molto scarsi ed è ovvio che l’idroelettrico si sia sviluppato in montagna ma in pianura esiste una distesa sconfinata di tetti di capannoni nel contesto di paesaggi già pesantemente degradati. Coprendoli di pannelli fotovoltaici la piaga della capannonite almeno in parte contribuirebbe a mitigare i danni ambientali e risparmierebbe alla montagna nuovi sfregi. La montagna può contribuire a ridurre le emissioni non solo con lo sfruttamento idroelettrico ma anche con l’attività agrosilvopastorale.

 

I pascoli sono efficaci sistemi di produzione di energia pulita

 

Ogni ettaro di pascolo recuperato consente una produzione di alimenti pregiati (carne e latte di qualità) ottenuta utilizzando l’energia solare, la sintesi clorofilliana. Una fissazione di energia molto efficiente se si considera che sui pascoli scoscesi di montagna non sia possibile coltivare nulla. Ben diversa dall’efficienza dei sistemi di agricoltura e allevamento industriali che apparentemente sono molto produttivi ed efficienti ma che in termini energetici e di emissioni sono disastrosi. Basti pensare all’energia impiegata per sintetizzare i concimi chimici, al gasolio utilizzato per lavorare i campi, il tutto per produrre alimenti per il bestiame su superfici agricole che potrebbero essere utilizzate per produrre prodotti agricoli destinati direttamente all’alimentazione umana. E’ solo un meccanismo distorto e affaristico che punta a coprire le montagne di pannelli fotovoltaici quando il ritorno al pascolo (o a un bosco coltivato) potrebbe far risparmiare grandi quantitativi di petrolio e di emissioni. Migliorando il paesaggio e creando posti di lavoro.

 

 

Risorse non valorizzate

 

In una valle come Livo, ricca di risorse rurali (castagne, formaggio di capra, carni di capretto, semüda di mucca, miele, trote di fiume e di lago alpino, carne di ungulati selvatici), ricca di bellissimi percorsi escursionistici anche di più giorni, ideale per il trekking a piedi o con l’ausilio degli asini someggiati, ricca di testimonianze dell’architettura ‘spontanea’ e ‘colta’ i posti di lavoro nell’agricoltura e nell’allevamento possono creare un moltiplicatore turistico. Basti pensare al reddito che potrebbe essere derivare dalle formule bait&breaktast e albergo diffuso applicate al sistema di muunt con bellissime baite in sasso isolate o raggruppate ma anche alle possibilità offerte dall’organizzazione di quelle filiere, che ancora mancano, per la valorizzazione delle produzioni locali (in primis caprine).

 

Per un piatto di lenticchie

 

E’ allora deprimente apprendere che l'assessore di Livo, Fausto Bertola, a parte le considerazioni sul petrolio risparmiato (che andrebbero dirottate sui sopracitati tetti di capannoni), difende il progetto della società Energia futura di Sondrio (uno scherzetto da quindici milioni) sulla base del piatto di lenticchie che sarebbe offerto: due posti di lavoro che la società energetica ‘assicurerebbe’ (condizionale d’obbligo) e, udite, udite: “Tonnellate di legna da distribuire alla popolazione”.  E’ grande magnanimità regalare alla comunità il materiale esboscato per fare posto ai pannelli solari? Peccato che poi i pannelli restino e la legna una volta bruciata …

Queste tonnellate di legname poi sono in contraddizione con l’affermazione che ci sono solo “rovi e betulle” (il sindaco Giuliano Bossio) o “rovi e sterpaglie” (l’assessore Bertola). Quest’ultimo lamenta anche i costi per lo spegnimento degli incendi che si sviluppano. Ma non risulta che rovi, sterpaglie e betulla forniscano pregiata legna da ardere. Con la nuova legge forestale regionale in incubazione tutti i terreni in queste condizioni (ex pascoli, ex prati invasi dalle neoformazioni boschive) potranno essere legalmente utilizzati per il pascolo (compreso quello delle capre che a Livo non difettano). Programmare una più razionale gestione delle consistenti ma sottoutilizzate risorse animali e vegetali del territorio, fornendo uno sbocco di filiera agroalimentar-turistica, potrebbe risolvere il problema della manutenzione del territorio (e degli incendi boschivi) l’utilizzo delle baite che vanno in rovina, dei posti di lavoro.

 

 

Un grande bacino turistico potenziale

 

Forse il Museo del paesaggio poteva apparire come un mettere il carro davanti ai buoi ma se si parte dall’offerta turistica e gastronomica, le cose cambiano. La valle è già molto amata e apprezzata dai turisti germanici (qualcuno si è anche fermato a vivere qui). Per attirare il turista italiano, comasco, lombardo o quello ‘lacuale’ già presente a valle (il mercato è vicino e abbondante) serve solo una strategia d’immagine, l’offerta di proposte preconfezionate, un po’ di organizzazione (visto che il turista italiano è meno avventuroso e meno disposto alle condizioni spartane). Poi ci si può mettere anche la ciliegina sulla torta del Museo del paesaggio o, meglio, del Parco rurale. Pochi posti in Italia del Nord, forse nessuno in Lombardia si prestano come la Valle di Livo (e la vicina del Liro) a fare da apripista. Ma non si rovini tutto con l’immagine disastrosa del ‘campo solare’ che non rovina solo l’estetica, trasmette – ed è ancora più negativo – l’immagine di un territorio che si svende per 30 denari.

 

Ai 'solidaristi' (alle spalle degli altri) va bene la montagna di serie B

 

Un'ultima considerazione: è avvilente vedere come comuni lombardi della montagna vivano in una condizione di acuta mancanza di risorse e di ripiegamento umano che li espone a pericolose tentazioni di svendita del territorio. E' a dir poco irritante che una ricca provincia come Como, una ricca regione come la Lombardia non possano fare per la propria montagna, per le aree depresse della propria montagna, quello che fanno le regioni autonome con le risorse (Ricolfi parla di venticinque miliardi di euro all'anno) che lo stato centralista drena dalla Lombardia e ridistribuisce per tenere in piedi la baracca dell'Italia unita (che regge fintanto che la maggior parte delle regioni sono nella comoda posizione dei parassiti). Solo alla Sicilia (si parlava dei nostri emigrati a Palermo) arrivano tredici miliardi di euro. Non sia povera, perché evade il fisco (risulta che i consumi siano molto elevati basti pensare alle inutili pellicce di visone sfoggiate a Palermo). E la nostra montagna muore. Le risorse che vanno verso i vicini di Trento e Bolzano sono molto meno ingenti (e sono anche ben spese). Vero. Ma perché la Lombardia deve finanziare aree di montagna con un turismo florido, in grado di mantenere un paesaggio (a volte da cartolina) che attira i turisti lombardi e lasciare Livo (e i non pochi comuni ciome Livo) nelle condizioni i cui versano?

 

 

 

 

 

                   

 

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