(20.10.10) Mentre a Bolzano viene emesso un rigido
regolamento sull'istallazione dei pannelli fotovoltaici
nella montagna lombarda ci sono comuni poveri che vorrebbero
svendere il territorio per creare grandi 'campi slari'
dove c'erano i pascoli
Stop
ai pannelli fotovoltaici nelle aree verdi e aperte in
provincia autonoma di Bolzano. E in Lombardia?
di Michele Corti (foto
www.acquecomasche.com)
Le vicende parallele
di Bolzano che vuole prevenire le speculazioni fotovoltaiche
in grado di scempiare il paesaggio e di compromettere
il turismo e del comune di Livo in provincia di Como
si prestano a più di una amara riflessione
La provincia autonoma di Bolzano ha approvato in
questi giorni un regolamento che
vieta l’installazione d’impianti fotovoltaici sulle aree libere e verdi: è
quanto prevede un regolamento approvato dalla Giunta della Provincia autonoma
di Bolzano. “Vogliamo contrastare sul nascere questo possibile sviluppo, per
non ritrovarci poi con un paesaggio danneggiato, come già successo in altri
territori”, spiega l'assessore all'Urbanistica,
ambiente ed energia, Michl Laimer. “I pannelli vanno installati sui tetti, il paesaggio è troppo
prezioso per un suo utilizzo su larga scala”, aggiunge l'assessore.
Anche per
quanto riguarda l’installazione di pannelli fotovoltaici sui tetti degli
edifici sono state poste severe limitazioni prevedendo un’autorizzazione della
Ripartizione provinciale tutela beni culturali e limiti ben precisi anche per
le altre zone residenziali. Una decisione quanto mai opportuna considerando
quanto sta avvenendo in regioni come la Puglia ma anche nell’Italia
settentrionale.
Un
grave segnale d'allarme da Livo (CO)
Nell’arco alpino il primo segnale d’allarme, che denuncia i
rischi del fotovoltaico selvaggio (vedi
precedente articolo)
viene da Livo, un paese a 650 m nell’alto
lario occidentale in provincia di Como. Qui l’amministrazione comunale sostiene
un progetto che, se fosse, attuato sarebbe il più rappresenterebbe il più
grande ‘campo solare’ della Lombardia rivaleggiando con quelli pugliesi. Si
tratterebbe di una superficie di oltre 46.000 mq collocata a monte
dell’abitato (vedi le foto). Si tratta di un terreno già occupato da
prati-pascoli in prossimità di baite. Questi maggenghi (chiamati localmente
muunt), utilizzati dalla
primavera all’autunno, erano un tempo intensamente abitati.
Ora la popolazione
si è molto contratta (gli abitanti sono solo 200 contro gli 820 del 1881) ed è
composta in gran parte da anziani. Le attività agrosilvopastorali però
rivestono
ancora molta importanza in relazione alla grande estensione comunale (oltre trentadue
km2) e alla presenza della capra di Livo (o Lariana) che, solo qualche anno
orsono raggiungeva qui la consistenza di un migliaio di capi.
Qualche giorno fa nella conferenza di servizi la Provincia e la
Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici hanno espresso un
parere negativo. Ma l'amministrazione comunale insiste nel difendere la
validità del progetto. Una situazione che richiama molto da vicino la vicenda
del Parco eolico del Passo di San Marco (vedi
articolo) dove il comune di Albaredo è schierato
contro le provincie (di Sondrio e di Bergamo, le Soprintendenze, il Parco delle
Orobie bergamasche, i comuni bergamaschi confinanti) per difendere il’suo’
progetto eolico. E’, evidentemente, una situazione che non può essere lasciata alla
negoziazione caso per caso.
Un
ricatto che grave sulle aree territoriali deboli
I comuni di montagna più poveri non riescono a
resistere alle ‘sirene’ della speculazione sulle rinnovabili che può contare si
incentivi talmente elevati da creare delle situazioni discorsive. Quello che
spinge le società che spingono i progetti, è la prospettiva dei grandi guadagni
ottenibili una volta ottenute le autorizzazioni su un mercato dove le società
che gestiscono la distribuzione dell'energia devono poter dimostrare di coprire con le rinnovabili una quota
crescente del mercato. Che su queste basi si inneschino fenomeni di corruzione è
quasi scontato (Tremonti lo ha detto senza peli sulla lingua a proposito dell'eolico).
Quello che risulta sgradevole è che vengano messi gli occhi sulla
montagna ‘debole’, su comuni in crisi demografica. L’analogia che si potrebbe
istituire è con i miserabili che nei paesi poveri sono costretti a vendere il
sangue o persino gli organi. Qui si vende il paesaggio. Che non rappresenta
solo un elemento banalmente ‘estetico’, come ritengono - o fanno finta di ritenere
alcuni - ma un aspetto dell’identità
locale, una risorsa simbolica ma anche economica che solo la scarsa capacità progettuale di situazioni in
forte crisi non ha saputo valorizzare.
Il Museo paesaggistico della Valle
di Livo
Il caso di Livo è emblematico. Qualche
anno fa era stata proposta la realizzazione del Museo paesaggistico della Valle
di Livo (arch. Pandakovic). Una proposta che trova motivo nelle notevoli
risorse paesaggistiche del comune e che fa evidentemente a pugni con la
proposta del ‘parco solare’. La valle di
Livo è la più profonda di tutta la provincia e porta al Lago di Darengo l’unico
lago alpino del comasco e di qui nell’altrettanto bella val Bodengo che sbocca
a Gordona in Valchiavenna. Dall’alta valle di Livo è possibile anche passare
nella val di Cama (Canton Grigioni). Sono valli con scarsa presenza di attività
antropiche ma in passato caratterizzate da un intenso utilizzo degli alpeggi. Numerosi
sono poi i maggenghi (muunt) spesso con la struttura di veri e propri villaggi
abitati per buona parte dell’anno. A breve distanza dal paese si trova la
chiesa cimiteriale di S. Giacomo vecchia del XV secolo poi sostituita dalla
nuova parrocchiale attualmente nel centro del paese eretta nel XVII secolo. La
chiesa vecchia, non più utilizzata ha mantenuta intatti gli affreschi coevi all’edificazione
della chiesa che rappresentano un’interessante esempio di ‘pinacoteca alpina’
ricca di rappresentazioni mariane di buona fattura (ex voto). Al XVII secolo
risale il piccolo santuario di Sant’Anna costruito a 742 sul tratto di
mulattiera in forte salita che risale dal Ponte di Dangri. Oltre a queste
testimonianza sparse sul territorio il nucleo stesso di Livo ha caratteristiche
pregevoli con i bei portali in pietra con sovrapposti gli stemmi delle antiche
famiglie e affreschi del XVI secolo. Un’epoca di prosperità che pare molto
lontana. Ma che traeva la sua origine da un’economia che univa allo
sfruttamento delle risorse agrosilvopastorali il commercio e l’emigrazione. Un’emigrazione
che si spingeva sino a Palermo tanto è vero che è ancora rimasto vivo il culto
di S. Rosalia (patrona di Palermo) e del costume femminile locale festivo
(piuttosto ricco ed elaborato) fanno parte degli orecchini di corallo. Evidentemente
lo stereotipo della montagna chiusa, rozza è una rappresentazione di comodo. Comoda
per perpetuare forme di sfruttamento e di subordinazione.
Una
montagna già colonizzata pesantemente
A Livo lo sfruttamento idroelettrico è già molto intenso
(vedi
articolo), ma l’Edipower vorrebbe ancora aumentare triplicando la portata
delle derivazioni. Notare che i torrenti sono già oggi spesso in secca a valle
delle captazioni.
La montagna da questo punto di
vista da già molto. Sarebbe assurdo che oltre allo sfruttamento idroelettrico
si desse via libera ai campi solari. In pianura i salti d’acqua sono molto
scarsi ed è ovvio che l’idroelettrico si sia sviluppato in montagna ma in
pianura esiste una distesa sconfinata di tetti di capannoni nel contesto di paesaggi
già pesantemente degradati. Coprendoli di pannelli fotovoltaici la piaga della
capannonite almeno in parte contribuirebbe a mitigare i danni ambientali e
risparmierebbe alla montagna nuovi sfregi. La montagna può contribuire a ridurre
le emissioni non solo con lo sfruttamento idroelettrico ma anche con l’attività
agrosilvopastorale.
I
pascoli sono efficaci sistemi di produzione di energia
pulita
Ogni ettaro di pascolo recuperato consente una produzione
di alimenti pregiati (carne e latte di qualità) ottenuta utilizzando l’energia
solare, la sintesi clorofilliana. Una fissazione di energia molto efficiente se
si considera che sui pascoli scoscesi di montagna non sia possibile coltivare
nulla. Ben diversa dall’efficienza dei sistemi di agricoltura e allevamento industriali
che apparentemente sono molto produttivi ed efficienti ma che in termini
energetici e di emissioni sono disastrosi. Basti pensare all’energia impiegata
per sintetizzare i concimi chimici, al gasolio utilizzato per lavorare i campi,
il tutto per produrre alimenti per il bestiame su superfici agricole che
potrebbero essere utilizzate per produrre prodotti agricoli destinati direttamente
all’alimentazione umana. E’ solo un meccanismo distorto e affaristico che punta
a coprire le montagne di pannelli fotovoltaici quando il ritorno al pascolo (o
a un bosco coltivato) potrebbe far risparmiare grandi quantitativi di petrolio
e di emissioni. Migliorando il paesaggio e creando posti di lavoro.
Risorse
non valorizzate
In una
valle come Livo, ricca di risorse rurali (castagne, formaggio di capra, carni
di capretto, semüda di mucca, miele, trote di fiume e di lago alpino, carne di
ungulati selvatici), ricca di bellissimi percorsi escursionistici anche di più
giorni, ideale per il trekking a piedi o con l’ausilio degli asini someggiati,
ricca di testimonianze dell’architettura ‘spontanea’ e ‘colta’ i posti di
lavoro nell’agricoltura e nell’allevamento possono creare un moltiplicatore
turistico. Basti pensare al reddito che potrebbe essere derivare dalle formule
bait&breaktast e albergo diffuso applicate al sistema di muunt con bellissime baite in sasso
isolate o raggruppate ma anche alle possibilità offerte dall’organizzazione di
quelle filiere, che ancora mancano, per la valorizzazione delle produzioni
locali (in primis caprine).
Per
un piatto di lenticchie
E’ allora deprimente apprendere che l'assessore di Livo, Fausto Bertola,
a parte le considerazioni sul petrolio risparmiato (che andrebbero dirottate
sui sopracitati tetti di capannoni), difende il progetto della società Energia
futura di Sondrio (uno scherzetto da quindici milioni) sulla base del piatto di
lenticchie che sarebbe offerto: due posti di lavoro che la società energetica ‘assicurerebbe’
(condizionale d’obbligo) e, udite, udite: “Tonnellate di legna da distribuire
alla popolazione”. E’ grande magnanimità
regalare alla comunità il materiale esboscato per fare posto ai pannelli solari?
Peccato che poi i pannelli restino e la legna una volta bruciata …
Queste tonnellate di legname poi sono
in contraddizione con l’affermazione che ci sono solo “rovi e betulle” (il
sindaco Giuliano Bossio) o “rovi e sterpaglie” (l’assessore Bertola). Quest’ultimo
lamenta anche i costi per lo spegnimento degli incendi che si sviluppano. Ma non
risulta che rovi, sterpaglie e betulla forniscano pregiata legna da ardere. Con
la nuova legge forestale regionale in incubazione tutti i terreni in queste condizioni
(ex pascoli, ex prati invasi dalle neoformazioni boschive) potranno essere legalmente
utilizzati per il pascolo (compreso quello delle capre che a Livo non
difettano). Programmare una più razionale gestione delle consistenti ma
sottoutilizzate risorse animali e vegetali del territorio, fornendo uno sbocco
di filiera agroalimentar-turistica, potrebbe risolvere il problema della
manutenzione del territorio (e degli incendi boschivi) l’utilizzo delle baite
che vanno in rovina, dei posti di lavoro.
Un
grande bacino turistico potenziale
Forse il Museo del paesaggio
poteva apparire come un mettere il carro davanti ai buoi ma se si parte dall’offerta
turistica e gastronomica, le cose cambiano. La valle è già molto amata e
apprezzata dai turisti germanici (qualcuno si è anche fermato a vivere qui). Per
attirare il turista italiano, comasco, lombardo o quello ‘lacuale’ già presente
a valle (il mercato è vicino e abbondante) serve solo una strategia d’immagine,
l’offerta di proposte preconfezionate, un po’ di organizzazione (visto che il
turista italiano è meno avventuroso e meno disposto alle condizioni spartane). Poi
ci si può mettere anche la ciliegina sulla torta del Museo del paesaggio o,
meglio, del Parco rurale. Pochi posti in Italia del Nord, forse nessuno in
Lombardia si prestano come la Valle di Livo (e la vicina del Liro) a fare da
apripista. Ma non si rovini tutto con l’immagine disastrosa del ‘campo solare’
che non rovina solo l’estetica, trasmette – ed è ancora più negativo – l’immagine
di un territorio che si svende per 30 denari.
Ai 'solidaristi'
(alle spalle degli altri) va bene la montagna di serie
B
Un'ultima considerazione:
è avvilente vedere come comuni lombardi della
montagna vivano in una condizione di acuta mancanza
di risorse e di ripiegamento umano che li espone
a pericolose tentazioni di svendita del territorio.
E' a dir poco irritante che una ricca provincia come
Como, una ricca regione come la Lombardia non possano
fare per la propria montagna, per le aree depresse della
propria montagna, quello che fanno le regioni autonome
con le risorse (Ricolfi parla di venticinque miliardi
di euro all'anno) che lo stato centralista drena dalla Lombardia
e ridistribuisce per tenere in piedi la baracca dell'Italia
unita (che regge fintanto che la maggior parte delle
regioni sono nella comoda posizione dei parassiti). Solo
alla Sicilia (si parlava dei nostri emigrati a Palermo)
arrivano tredici miliardi di euro. Non sia povera, perché evade il fisco
(risulta che i consumi siano molto elevati basti pensare
alle inutili pellicce di visone sfoggiate a Palermo).
E la nostra montagna muore. Le risorse che vanno
verso i vicini di Trento e Bolzano sono molto meno ingenti
(e sono anche ben spese). Vero. Ma perché la
Lombardia deve finanziare aree di montagna con un turismo
florido, in grado di mantenere un paesaggio (a volte
da cartolina) che attira i turisti lombardi e lasciare
Livo (e i non pochi comuni ciome Livo) nelle condizioni
i cui versano?
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