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Speciale Castrato tradizionale bergamasco

 

 

RISTORANTE COLLINA
via Ca' Paler 5
24030 Almenno San Bartolomeo (Bergamo)
(strada per Roncola San Bernardo)
tel./fax 035 642570 - cell. 328 3255830

 

TRATTORIA VISCONTI

Via Alcide De Gasperi, 12
24030 Ambivere Bergamo
035 908153

 

SLOW COOKING

Il logo dei Pastori Lombardi è anche un marchio depositato presso l'ufficio marchi delle Camere di Commercio per la commercializzazione dei prodotti della pastorizia, dalla carne alla lana, dai salumi ai tessuti

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(01.11.10)  L'incontro di Rovato (BS): grande attenzione della Regione per la pastorizia transumante

L'incontro di Rovato di ieri ha segnato una svolta in positivo. La Regione Lombardia, rappresentata dal Dr. Lugoboni dirigente della Struttura Sviluppo dell'agricoltura di montagna, ha espresso un inedito interesse per la pastorizia transumante e per il suo ruolo di recupero e manutenzione di vasti ambiti di territorio specie in relazione alla difesa dal bosco che avanza. Inoltre ha assunto concretezza il rapporto 'federale' tra pastori del Triveneto, Lombardia e Piemonte in parallelo con iniziative di confronto con le Regioni su vari fronti (affitti degli alpeggi, modalità di erogazione dei contributi, formazione professionale, ingiustificati divieti di pascolo). Si è parlato anche di lupi con importanti testimonianze dal Piemonte e dall'Emilia. leggi tutto

 


Per saperne di più

M. Corti, LA PECORA BERGAMASCA  Storia e presente di una razza ovina. Provincia di Bergamo, 1999 (PDF)


 

Il castrato nella cucina storica

 

Chi pensasse che il castrato fosse carne 'volgare' deve ricredersi. La vitellomania (e bovinomania in generale) è malattia recente. In passato alle corti più sontuose il castrato era di casa. Basta constatare che spazio ha nell'opra di Bartolomeo Scappi, il cuoco rinascimentale alla corte di Pio V (ne era il 'cuoco segreto') che scrisse la più significativa opera di cucina dell'epoca. Ine ssa tutte le parti del castrato sono prese in considerazione ed oggetto di ricette. Non mi credere? Consultate l'opera originale del XVI secolo in full text in google libri (sotto il link)

Opera di Bartolomeo Scappi M. dell'arte del cucinare,

 

 

 

(20.03.11) La proposta di valorizzare nella ristorazione di qualità le carni del castrato bergamasco, allevato al pascolo come secoli fa, è stata accolta con entusiasmo da alcuni ristoratori. Con due articoli vi spieghiamo il senso dell'iniziativa

 

Storia e territorialità nel rilancio del castrato tradizionale bergamasco di Michele Corti

 

La  "castradina" e la festa della Madonna della Salute, a Venezia, il 21 Novembre di ogni anno di Enzo Lo Scalzo


 

 

 

Storia e territorialità nel rilancio

del castrato tradizionale bergamasco

 

di Michele Corti

 

Hanno preso avvio con slancio ad Almenno S.B. (Bg) le iniziative di valorizzazione della carne del castrato. Una produzione che in passato era strattamente legata alla pastorizia bergamasca e che oggi ha tutti i numeri per essere protagonista di un rilancio non effimero e 'modaiolo'

 

Se ne parlava da un po' negli incontri organizzati dai pastori transumanti: 'ma perché non proviamo a valorizzare il castrato che è la vera produzione tipica della nostra pastorizia'? Lo scorso 31 ottobre in occasione della Fiera della pastorizia a Rovato è stata organizzata una prima degustazione. Cucinate alla brace le carni del castrato sono rapidamente ... sparite. Tanto che, quando sono arrivato nel pomeriggio  per partecipare al Convegno, non ne era rimasta neppure l'ombra. Pazienza mi sono detto, è segno che il castrato piace. Ma piacerà anche a palati più raffinati? Incontrerà anche il favore degli chef abituati ad agnelli pré-salé? Senza indugio ho comunicato sin da prima di Natale a contattare alcuni chef-imprenditori tra Brescia e Milano. La proposta-sfida di cimentarsi nel preparare varie portate a base di castrato partendo da una mezzena (messa a disposizione dai pastori) è stata accettata da tutti quelli cui è stata rivolta. A bruciare i colleghi sui tempi è stato però Mario Cornali chef-ristoratore del Ristorante Collina di Almenno S.Bartolomeo (foto sotto).

 

 

Mario Cornali illustra le proprie preparazioni ai commensali

 

Mario è arrivato primo a tradurre la sfida in evento sia per una serie di circostanze che hanno imposto ad alcuni colleghi di rinviare la data dell' 'esperimento' sia per l'entusiasmo con cui ha preso a lavorare sulla mezzena (più quinto quarto) ricevuta dai pastori.

La data della prova di degustazione era stata fissata per il 17 ma doveva essere a porte chiuse. Invece, nel week-end precedente, c'è stato un intenso scambio di telefonate e di messaggi via facebook finalizzati ad organizzare un evento aperto agli amici della stampa. I risultati ottenuti in cucina avevano indotto lo chef a bruciare i tempi sicuro del risultato che si sarebbe ottenuto a tavola. E così è stato.

La cena è stata organizzata con la collaborazione di Daniele Visconti della Trattoria Visconti di Ambivere che ha curato la scelta e la mescita dei vini. LaTrattoria Visconti, come il Collina, fa parte dell'associazione Slow Cooking (per ora unici soci bergamaschi).

 

 

Elio Ghisalberti (a destra) discute con Enzo Lo Scalzo, impegnato nella mescita Daniele Visconti

 

Alla cena del castrato hanno partecipato i giornalisti Alberto Lupini (direttore de l'Italia a Tavola) e Elio Ghisalberti, curatore della rubrica enogastronomica de l'Eco di Bergamo e redattore de laGuida dei ristoranti dell'Espresso. I pastori erano rappresentati da Tino Ziliani (presidente dell'associazione, Daniele Savoldelli (che è anche un macello aziendale), Danilo Agostini (anch'egli con macello proprio) e Claudio Filisetti.  

 

 

Tino Ziliani (al centro), Alberto Lugoboni (a destra), Danilo Agostini (a sinistra)

 

Oltre ai produttori, agli utilizzatori e ai comunicatori erano presenti due  rappresentanti della realtà politico-amministrativa: Alberto Lugoboni dirigente della Struttura Sviluppo dell'agricoltura di montagna e dell'utilizzo sostenibile dei terreni agricoli della DG agricoltura della Regione Lombardia e il consigliere provinciale Pietro Isacchi.  Tra i commensali vi era anche Enzo Lo Scalzo cultore di storia gastronomica (suo l'articolo sulla Castradina che segue) e appassionato difensore, del Bitto storico.

 

 

Da destra a sinistra: Alberto Lupini, Pietro Isacchi, Daniele Savoldelli

 

Il menù

 

Le preparazioni presentate sono state realizzate utilizzando tutte le parti della mezzena più il quinto quarto. Tutte le portate hanno incontrato il favore dei commensali che hanno potuto apprezzare la qualità della carne constatando l'assoluta assenza di gusto 'selvatico', la tenerezza, la succulenza, la tessitura compatta e succosa. Particolarmente apprezzati i piatti realizzati con i tagli 'poveri' (utilizzati per gli antipasti e il ragù). (Le foiade sono un piatto di pasta fatta in casa tagliata a grossi rombi tipicamente bergamasco ).

 

 

 

L'insalata di costine e biancostato con la giardiniera dell'orto dellaTrattoria Visconti 

 

 

La 'finanziera' con i carciofi e il tartufo su letto di polenta

 

Una cena operativa

 

I commensali oltre a impegnarsi nella valutazione della materia prima e delle modalità di utilizzo hanno affrontato molto concretamente il tema della potenzialità e continuità produttiva del sistema di allevamento e di macellazione. I pastori hanno evidenziato come il loro parco fattrici sia ragguardevole e che una spostamento anche modesto dalla linea di produzione dell'agnellone pesante  al castrato metterebbe a disposizione della ristorazione lombarda migliaia di castrati.  Alla fine della cena i pastori e i due ristoratori protagonisti dell'evento hanno concordato la fornitura di castrati per un ulteriore evento in piazza a Bergamo e per i loro locali (che li inseriranno nel menù).

 

La specificità del castrato bergamasco: una qualità che va apprezzata

 

Il castrato bergamasco è un prodotto unico ma va chiarito che anche l'agnellone  bergamasco è anch'esso un ovino 'maxi' raggiungendo e superando i 50 kg di peso vivo. Solo che non è un prodotto storico. Si tratta di un prodotto in larga misura 'nuovo' destinato al mercato dei consumatori di religione islamica che prediligono - specie per il consumo rituale - soggetti di buono sviluppo ma  integri (quindi non sottoposti ad amputazioni di nessun tipo). Il castrato raggiunge i 75 kg ma a un anno e oltre (un tempo veniva macellato a 18 mesi). Il vero castrato è un animale in cui è già avvenuta l’eruzione dei primi denti da adulto (la ‘rotta’) che nella razza Bergamasca avviene a 15 mesi di età.  L'accrescimento del castrato è più lento e quindi il costo del kg di carne più elevato. Nel sistema di produzione transumante i costi sono legati alla custodia e conduzione del gregge, ai trasporti, alle cure sanitarie. Mantenere per ulteriori sei mesi nel gregge un capo aumenta quindi notevolmente i costi anche perché il castrato necessita di più pascolo di un agnellone. Dal punto di vista qualitativo la carne di castrato, come tutte le carni a giusto grado di maturazione, è superiore dal punto di vista delle tessitura e del sapore. Richiede ovviamente una conveniente frollatura specie se deve essere cucinata in umido. La paventata durezza e 'selvaticità' appaiono come assurdi pregiudizi. Va detto che il castrato bergamasco ha sempre mantenuto una cerchia di estimatori e il suo apprezzamento è rimasto radicato nella gastronomia regionale della Romagna. Un tempo era molto apprezzato anche in Francia, terra di numerose razze ovine e di una valorizzazione delle loro carniche noi ci sogniamo.

 

Apprezzato nei migliori ristoranti di Parigi

 

In passato la razza Bergamasca era  nota proprio per la produzione di castrati che venivano venduti ad incettatori francesi.  Il Rota (Rota G. La pecora bergamasca e l’industria armentizia, Udine 1910) scriveva “I principali alberghi di Parigi segnano nei loro menus come  piatto raccomandabilissimo la vivanda o  meglio “Les cotolettes de mouton  bergamasque”. La stessa cosa ho potuto leggere in un testo di zootecnia francese della fine dell'800. Si riferiva che il castrato bergamasco era molto apprezzato e che che le  cotolettes de mouton bergamasque si trovavano nei migliori ristoranti. Questa tradizione venne meno con il declino delle  esportazioni verso la Francia a seguito dell’introduzione di dazi di confine che  costringevano al passaggio attraverso la Svizzera  tanto che L'Astori (G. Astori, La pecora bergamasca, 1942, Tesi di laurea. rist. 1963) sosteneva che "prima della guerra si esportavano anche in Francia". In realtà una corrente di esportazione non è cessata neppure in tempi più recenti se Anna Carissoni (Pastori. Studi, documenti, testimonianze sulla pastorizia bergamasca. Edizioni Villadiseriane, Villa di Serio, Bg, 1985, p. 115) riferisce di aver trovato ancora in un ristorante parigino quel piatto.  La qualità dei castrati bergamaschi è stata  messa in evidenza sin dagli anni '40 dal Salerno  (Salerno A.  La pecora bergamasca e la sua attitudine alla produzione di carne, Allevamenti, 1947, -1-, 15; -2- 37-38; -3- 66-67). Nei castrati di prima (con peso vivo alla macellazione di 63,0) l'autore citato riscontrava rese del 45,0 %. con una buon rapporto tra carne ed  osso (80% carne, 20% osso) e un altrettanto buon rapporto tra 1°, 2° e 3° taglio (rispettivamente 43, 29 e 28%). In realtà i pesi alla macellazione sono superiori (70-80 kg) e la resa anche oltre il 50% secondo i pastori, (50% secondo il già citato Astori che indica una resa allo spolpo dei quarti pari al 74-76%).

 

La tradizione del castrato è rimasta forte in Romagna

 

Tornando all'oggi inRomagna esiste un marchio di qualità regionale dell'Agnellone e Castrato Romagnolo e va detto che il castrato che ivi consuma è tradizionalmente di razza Bergamasca (il mercato 'storico' di sbocco del castrato bergamasco è Lugo di Romagna). Una tradizione che nasce dalla cessione di agnelli (come corrispettivo per la pastura) da parte dei pastori bergamaschi che frequentavano le pianure emiliane; agnelli che venivano castrati e ingrassati in loco. Non a caso l'Artusi, fiorentino di adozione ma originario di Forlimpopoli in Romagna inserì tre ricette di castrato nel suo famoso testo di cucina. In realtà anche in Lombardia la tradizione del castrato non sì è mai estinta.  Un consumo marginale di castrato si è mantenuto specie in alcune zone più interessate alla presenza della pastorizia transumante e alcuni tra i ristoratori più attenti alla 'filologia gastronomica' non l'hanno mai dimenticato (ci ritorneremo...)

 

Territorialità, storia, sostenibilità

 

In tempi di km 0 e di valorizzazione delle valenze ecologiche e storiche degli alimenti in castrato tradizionale bergamasco dovrebbe avere le carte in regola per un rilancio anche in Lombardia dove il consumo era un tempo diffuso largamente diffuso sia in montagna che nelle aree rurali di pianura. La produzione del castrato ha rappresentato sin dalle origini della razza sino in tempi recenti (qualche decennio fa) quella prevalente della pastorizia bergamasco-camuna, in coerenza con il suo carattere di razza 'gigante' (conosciuta infatti come Gigante Bergamasca e, a volte, semplicemente come Gigante/Giant) e con il sistema di allevamento transumante che, limitando i costi di alimentazione, rende la produzione di soggetti tardivi relativamente più conveniente. Produzione storica perché la razza Bergamasca e il sistema transumante hanno nove secoli di storia, una storia legata alla lana e all'industria laniera che per secoli ha rappresentato un settore trainante dell'economia bergamasca (con carni e, un tempo, i formaggi, a fare da complemento). Quanto ai valori ecologici non vi è un sistema di allevamento così legato al pascolo. Al pascolo delle prateria alpine come dei prati di collina e di pianura, delle stoppie dopo le raccolte, dei terreni lungo i fiumi. Per produrre il castrato non si utilizzano concimi chimici, diserbanti, acqua di irrigazione. Gli unici carburanti sono quelli dei fuoristrada dei pastori e degli autocarri che una o due volte l'anno spostano le greggi dalla pianura alla montagna e viceversa (ma a volte la discesa si fa ancora a piedi). Se tutti questi valori si traducono in un buon inserimento del castrato nella ristorazione 'consapevole' (dei valori territoriali); se il castrato sostituisce la non  a fare da complemento).Se tutti questi valori si traducono in un buon inserimento del castrato nella ristorazione 'consapevole' (dei valori territoriali). Se il castrato sostituisce la non trascurabile quantità di carni ovine di agnellone extracomunitario utilizzate dalla ristorazione lombarda si saranno ottenuti due risultati: i pastori potranno contare su una diversificazione produttiva che - in tempi di rapidi cambiamenti storici - è una necessaria 'assicurazione' contro le incognite di una 'monoproduzione'. La ristorazione potrà contare su una materia prima locale, tradizionale, di alta qualità che si distingue dalla produzione 'globale' di carne ovina . Una carta da giocare anche per rafforzare l'immagine della Lombardia che è sì terra di produzioni industriali di suini e vitelloni ma conserva anche comparti di produzioni estensive e 'antiche', legate alla grande realtà della montagna.

 

Prossime iniziative

 

Per ora non voglio anticipare troppo ma sono in cantiere diverse iniziative anche con serate aperte al pubblico e degustazioni in piazza. La partenza di questo progetto nato - ci tengo a ribadirlo - dal basso, grazie a pastori e ristoratori, è stata bruciante. Saranno seguite da presso da Ruralpini che. ed è un grande onore, almeno per ora funge anche da 'voce' dell'Associazione Pastori Lombardi.

 

 

Carni di castrato e di pecora nella storia

 

La  "castradina" e la festa della Madonna della Salute, a Venezia, il 21 Novembre di ogni anno

 

di Enzo Lo Scalzo

 

Strano che una festa popolare veneziana, come quella della Madonna della Salute, abbia, come piatto tradizionale, un piatto di terra, "la castradina", a base di carni ovine, certamente provenienti dai territori posseduti, in terraferma o oltre sponda, tipicamente dall'Istria e dalla Dalmazia. Infatti a Venezia, ancor negli anni ‘90, la provenienza delle carni cotte in buone quantità dal ripristino dell’usanza tradizionale, proviene prevalentemente dal Goriziano.

Intuiamo da Michele Savonarola, padovano, vicino di casa, ma nel '400, (Alberini, Il libreto de tutte le cose che se manzano, pag. 81-82) che le carni di capra e del becco al tempo fossero abbondanti e costassero relativamente poco.

Il "Libreto" del Savonarola resterà a lungo un testo di gastronomia di riferimento.

La cottura è genericamente descritta come"lessata", il che, annota Massimo Alberini, significa anche sguazzetti e spezzatini. E' particolarmente apprezzato il castrato "nutrito in boni pascoli de herbe odorifere, che del bon nutrimento se fa bona carne", come quelle del Valure, nel territorio Ferrarese.

 

Pare, con una interpretazione azzardata, che i ricchi popolani Veneziani (relativamente più facoltosi dei vicini) festeggiassero nel tardo novembre la Madonna della Salute con carne ovina, contrapponendosi in un certo modo alla tradizione dei loro territori di terraferma, quali la antichissima usanza di festeggiare S. Andrea, il 30 novembre, con carne di maiale, ad esempio in Carnia. La scelta di una carne più pregiata era dimostrazione di una certa ... superiorità di mezzi rispetto alle genti delle terre dominate.

 

Come il Savonarola, Latini (fine '600) descrive che il castrato di migliore qualità o giovamento fosse quello "giovane, d'un anno circa...”. “Riescono ottimi e sono di squisita qualità quelli che si pascono in parti montuose, erbose e odorose; questa è una carne che si digerisce con molta facilità; genera buon sangue, ed è di buon nodrimento, a tutte le età e complessioni; rallegra l'umore malinconico stante la sua soavità; mantiene la Complessione in buon temperamento, e il suo brodo parimente è di ottimo nodrimento. ...Li migliori di tutti sono quelli della provincia della Marca, per essere luogo di buoi pascoli... Sono, al riferire di Plinio, buoni e salutiferi li castrati di Puglia, pasciuti in buoni pascoli e in luoghi montuosi.."

 

Sostiene il mio amico Ermanno Scopinich (pittore, nativo di Lussinpiccolo), che la vera "castradina"  veniva cotta con carni di castrato o agnellone (spalla e coscia) dall'Istria e Dalmazia;  salate e massaggiate con la concia, le parti venivano quindi trattate come i prosciutti di maiale, asciugate e leggermente affumicate per non meno di quaranta giorni.

L' affermazione sarebbe a labile sostegno della tesi poco fa avanzata, per una scelta di carne più nobile di quella del maiale, in occasione di una festa di gioia, di liberazione, di ringraziamento; la citazione delle Marche negli appunti del Latini, coevo all'origine dell’evento veneziano,  renderebbe ancora più probabile che gli animali provenissero dai pascoli Istriani e Dalmati, che assomigliano molto a quelli marchigiani. Anche le tradizioni di conservazione delle carni, con un’affumicatura lievissima, appese alle travi all'esterno dei camini, in Istria, Dalmazia e nelle Marche, potrebbe fare pensare a una provenienza da quei territori di carni conservate per la festa stessa... O no? E' troppo divertente cercare una ragione logica e pratica alle tradizioni popolari!

 

Rimarca Scopinich che la “puzza” dai magazzini di Venezia proveniente dalle cosce ammassate in attesa della festa, facesse scappare tutti i nobili dalle loro case per sfuggire agli odori...

Provo a consultare sul castrato anche il Vincenzo Corrado e mi trovo di fronte ad un ampio ventaglio di modi di cottura, generalmente molto speziati, allo spiedo, bollito e al forno in crosta, in carbonata, fritto alla pastetta, al vino, in salsa di tartufi, farcito infarinato e fritto, arrosto a fuoco di riverbero e alla Santé Menò: questo modo mi incuriosisce. Santé mi richiama Santa e Salute e provo a leggere: "...dopo che una Culatta di castrato sarà cotta in buon brodo chiaro con fette di vitello, fette di lardo, presciutto, erbe ed aromi; si caverà, si panerà e si farà grigliare, servendola calda con salsa romolata, fatta d' acciughe, prezzemolo, pepe, butirro ed olio, con un senso d' alio."  Cosa vorrà dire Santé Menò ? Sto diventando troppo curioso!

 

Invece la cottura della "castradina", sostiene Scopinich, avviene sempre in brodo con le verze...

 

Ma cosa significa "castradina" alla fine? Di fatto, e questa è notizia da confermare storicamente con la citazione delle fonti di scrittura e di collegamento con la festa, ma molto credibile e proveniente da fonte locale, ...il termine "castradina" deriverebbe da"castra", caserme e depositi di fortezza delle isole, nei territori e possedimenti di Venezia, più che da "castrà", popolare denominazione del castrato. Erano i grandi magazzini in cui si conservavano carni affumicate eessicate; all'uso del tempo, per gli equipaggi della flotta e le truppe di terra (gli Schiavoni). Una volta all'anno le carni in deposito venivano sostituite con carne fresca, a partire dal primo autunno, rinnovando le giacenze. Lo stoccaggio vecchio veniva distribuito gratuitamente alla popolazione del luogo e... queste gratuite disponibilità davano luogo alle feste e mangiate popolari.

A Venezia venivano inviate le carni migliori, quelle di agnello e di castrato, che venivano distribuite alla popolazione proprio in occasione della festa della Salute, sempre il 21 novembre!

 

Tuttavia, mi confermano fonti accademiche, pare che la "castradina" fosse praticamente scomparsa dalla città lagunare nel nostro secolo: venne riscoperta a casa di un amico istriano in terraferma, da Scopinich, nel 1960 e fatta conoscere alla Delegazione di Venezia. Fatta e rifatta, la Delegazione ne ripropose per anni il riabbinamento storico con la Festa della Salute e ne promosse, insistendo a lungo con la ristorazione della Serenissima, la ricomparsa in città.

 

Penso che sia particolarmente difficile oggi il reperimento delle carni tradizionali, data la scomparsa delle antiche case di campagna, con camino vissuto quotidianamente per fare luce, dare calore e per cucinare: le carni venivano ben massaggiate con la "concia" esposte all' aria e a poco fumo. La concia tradizionale è fatta con: sale, pepe nero, chiodi di garofano, bacche di ginepro e fiori sfarinati di finocchietto selvatico! Eccezionale esempio di conservazione e chicca da inserire nei "giacimenti gastronomici"  paoliniani!

 

Alla Vecia Cavana, in Dorsoduro, locale dove Scopinich ha accesso in cucina da vari decenni, è stato preparato un assaggio di "castradina" tradizionale, piuttosto asciutta come una buonacassoeula, molto differente dalla quasi zuppetta scura proposta da bacari e ristoranti veneziani. La cottura ha avuto luogo con verze, a lungo, fino a consumare le acque di conservazione e naturali. Il sapore, ancora parzialmente salato, non nasconde una concia molto aromatica e forte. L'affumicatura è molto leggera, tipica della Slovenia, Istria e Dalmazia, molto differente dai sapori tipici di Sauris o del Trentino, comunemente attesi dal gruppo. Scopinich ne ha testimoniato la fedeltà: detto da chi l'ha riscoperta e ha partecipato a farne riprendere la tradizione, dobbiamo ricordarne il sapore come riferimento storico. Non è detto, sostiene il mio mito Pereira, che gastronomicamente sia il più appagante!

 

Piace? Statisticamente, ai 33 italiani misti provenienti dalla Lombardia, poco. Non c'è abitudine a quelle carni e agli odori, anche se leggeri, della conservazione. In Venezia abbiamo notato "castradine" dappertutto, dai ristoranti più raffinati a quelli più umili, dalle mescite ai bacari.

Descrivere come sono quelle "castradine", con che carni siano preparate, con che cotture, anche se sempre colle verze, è come cercare di raccontare le infinite varietà impropriamente chiamate "casseoula" e in circolazione durante l'inverno nei ristoranti più raffinati o nelle osterie più semplici del milanese: leggere, lavate, sgrassate, sugose come uno stufato o asciutte come quasi un arrosto, tutte rivolte a non disturbare le sensibilità moderne ai sapori.

 

Dei gusti non si può discutere, ma è importante avere qualche riferimento alla verità storica, anche gustativo. Dall'esame delle testimonianze sull'origine è molto probabile che quello assaggiato fosse quello vero, al che, non è da concludere, che i sapori debbano essere stati quelli più affini alla cultura gastronomica del 2000. Pochi piatti del '500 e '600 sono affini ai gusti d'oggi, tolti alcuni arrosti (spiedi), qualche minestra di cereali e legumi, qualche dolce. Su tutto il resto ci sarebbe tanto da mettere in dubbio!

 

A proposito dell'origine storica, la Delegata in carica a Venezia, Laura Ghittino Courir, di famiglia Dalmata, di Zara, non crede tanto alla derivazione della denominazione da "castra" e crede di più al "castrà", quella più popolare. Una recentissima pubblicazione di Sergio Brcic, che Laura mi ha fatto cortesemente pervenire, su "Scuola Dalmata dei SS Giorgio e Trifone" (Venezia 32-1997/1), propone la storia della tradizione popolare, di cui riporto una sintesi.

 

La peste avrebbe fatto ben 80.000 vittime in 16 mesi e, un anno dopo la decisione di erigere una chiesa intitolata a S. Maria della Salute, una grande festa accompagnò a fine novembre del 1631 l'inizio della costruzione. Da allora si ripeterebbe il rituale di devozione, il 21 Novembre, facilitata dalla costruzione di un ponte in legno sul Canal Grande, le processioni con le Confraternite e le Scuole. La sagra, oltre a "bussolai, zaletti, pevarini" riproponeva il piatto della "castradina" nelle famiglie. Si tratterebbe di un cibo antico di cui si ha notizia dal 1173 nel "Calmiere" del Doge Ziani ("Sicce vero carnis de Romania et de Scavinia"): carne di montone tagliata a metà nel senso della lunghezza, salata o seccata al sole e poi stagionata dopo essere stata affumicata con erbe e bacche aromatiche che abbondavano nell'Oriente e, in Dalmazia, con elicrisio, salvia, timo e ginepro... Questa carne si conservava bene a lungo ed era largamente usata a bordo dei bastimenti nei lunghi viaggi senza scalo; divenne essenziale nel frangente della peste a Venezia, dove era stata vietata la vendita della carne fresca che poteva propagare l' infezione...

 

Questa e altre descrizioni del piatto sono tratte dall'autore da pubblicazioni tutte recenti;

- Profumi di Dalmazia, di Gioia Calussi (Del Bianco, Udine, 1995)

- Cussì a Venezia, di G. Piamonte (1994)

 

Sul piano gastronomico se ne interessa Dino Boscarato, che, all'Amelia, ne suggerisce unospezzatino profumato con polenta, verze e crostini di pane o in risotti ( Viver Veneto - Il gusto della tavola - n 71 Nov 1995). Anche i detti tipici veneziani:

            "cavarsela de castradina", per dire divertirsi, sollazzarsi;

            "castradina, roba fina, ma magnarla in cantina" (dal dizionario del dialetto veneto-dalmato di L. Miotto, Trieste 1984), conferma che la ricetta, che ha più varianti, richiedeva troppo "impiego ed esalava odorosi sgradevoli vapori"!

            "No xe certo un magnar de stomeghi deboleti", si diceva ancora della "castradina s'ciavona"...

 

Personalmente ritengo che tutto quanto abbiamo riportato possa benissimo convivere, non essendo in conflitto né storico, né igienico, né di costume. Mentre l'approfondimento culturale sulla storia del maiale è già a buon punto, mi pare che quello sulla storia della pecora e suoi familiari sia ancora tutto da coordinare, raccogliendo frammenti dalla letteratura, dalla sacralità sacrificale della tradizione religiosa, da quella pure biblica di Caino e Abele.

Nelle valli cortenesi-camune delle Orobiche, un tempo facenti parte della Repubblica di Venezia, dai larici affusolati e ben diritti, il "cuz" è una versione montanara della grande importanza alimentare e di festosità della carne di pecora. Altrettanto antiche sono le usanze nell'Appennino del sud; da altre regioni non sono ancora emerse, ma mi aspetto che dall'Appennino emiliano e toscano se ne riportino altrettante andate perse o rimaste vive solo in piccole comunità, ai confini del mondo o del cielo. Nelle Orobiche del sud ci sono le bergamasche: altra nicchia da esplorare!

A Venezia era già piatto da grande potenza: oggi è tornato a essere piatto da divertimento popolare e di sapore insolito! Ma anche di grande cucina, come Sergio Mei ha insegnato anche ai ragazzi del Carlo Porta nel 1996!

 

Riletto e ritoccato solo in questo ultimo periodare dopo la cena “Il castrato bergamasco” preparata al Ristorante Collina di Almeno, in Valeriana.... con allevatori, macellai e cuochi che hanno riscoperto questo antico mito della tavola...

 

Busto Arsizio, 18.03.11

 

Menu alla “bergamasca”:

 

Insalata di costine e biancostato di “Bergamasca” su giardiniera di casa Visconti e salsa verde (9.0)

Finanziera di frattaglie, tartufo bianchetto e carciofi liguri con polenta bianca (8.0)

“Foiade” con ragù di spalla al Valcalepio bianco (9.0)

Costatina scottadito con broccoletti calabresi (7.0)

Cosciotto in lenta cottura con patate croccanti (9.0)

Cassata con ricotta di pecora e coulis ai lamponi (8.0)

 

I voti sono personali. Da tanto tempo non mi capitava alla prima prova un risultato cosi incoraggiante!Ottimi gli accostamenti con vini spagnoli e nostri.

Almeno, Bergamo, 17.03.11

 


 

                   

 

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