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prodotti della pastorizia, dalla carne alla lana, dai salumi ai tessuti
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(01.11.10) L'incontro di Rovato (BS): grande attenzione della Regione per la pastorizia transumante
L'incontro
di Rovato di ieri ha segnato una svolta in positivo. La Regione Lombardia, rappresentata dal Dr. Lugoboni dirigente dellaStruttura Sviluppo dell'agricoltura di montagna, ha espresso un inedito interesse per la pastorizia transumante e per il suo ruolo di recupero e manutenzione
di vasti ambiti di territorio specie in relazione alla difesa dal bosco che avanza. Inoltre ha assunto concretezza il rapporto 'federale' tra pastori del Triveneto, Lombardia e Piemonte in parallelo con iniziative di confronto con le Regioni su vari fronti (affitti degli alpeggi, modalità di erogazione dei contributi, formazione professionale, ingiustificati divieti di pascolo). Si è parlato anche di lupi con importanti testimonianze dal Piemonte e dall'Emilia.leggi tutto
Per saperne di più
M. Corti, LA PECORA BERGAMASCA Storia e presente di una razza ovina. Provincia di Bergamo, 1999 (PDF)
Il castrato nella cucina storica
Chi pensasse che il castrato fosse carne 'volgare' deve ricredersi. La vitellomania (e bovinomania in generale) è malattia recente. In passato alle corti più sontuose il castrato era di casa. Basta constatare che spazio ha nell'opra di Bartolomeo Scappi, il cuoco rinascimentale alla corte di Pio V (ne era il 'cuoco segreto') che scrisse la più
significativa opera di cucina dell'epoca. Ine ssa tutte le parti del castrato sono prese in considerazione ed oggetto di ricette. Non mi credere? Consultate l'opera originale del XVI secolo in full text in google libri (sotto il link)
(20.03.11) La proposta di valorizzare nella ristorazione di qualità le carni del castrato bergamasco, allevato al pascolo come secoli fa, è stata accolta con entusiasmo da alcuni ristoratori. Con due articoli vi spieghiamo il senso dell'iniziativa
Hanno preso avvio con slancio ad Almenno S.B. (Bg) le iniziative di valorizzazione della carne del castrato. Una produzione che in passato era strattamente legata alla pastorizia bergamasca e che oggi ha tutti i numeri per essere protagonista di un rilancio non effimero e 'modaiolo'
Se ne parlava da un po' negli incontri organizzati dai pastori
transumanti: 'ma perché non proviamo a valorizzare il castrato che è la vera
produzione tipica della nostra pastorizia'? Lo scorso 31 ottobre in occasione
della Fiera della pastorizia a Rovato è stata organizzata una prima
degustazione. Cucinate alla brace le carni del castrato sono rapidamente ...
sparite. Tanto che, quando sono arrivato nel pomeriggio per partecipare
al Convegno, non ne era rimasta neppure l'ombra. Pazienza mi sono detto, è
segno che il castrato piace. Ma piacerà anche a palati più raffinati?
Incontrerà anche il favore degli chef abituati ad agnelli pré-salé? Senza
indugio ho comunicato sin da prima di Natale a contattare alcuni
chef-imprenditori tra Brescia e Milano. La proposta-sfida di cimentarsi nel
preparare varie portate a base di castrato partendo da una mezzena (messa a
disposizione dai pastori) è stata accettata da tutti quelli cui è stata
rivolta. A bruciare i colleghi sui tempi è stato però Mario Cornali
chef-ristoratore del Ristorante Collina di Almenno S.Bartolomeo (foto sotto).
Mario Cornali illustra le proprie preparazioni ai commensali
Mario è arrivato primo a tradurre la sfida in evento sia
per una serie di circostanze che hanno imposto ad alcuni colleghi di rinviare
la data dell' 'esperimento' sia per l'entusiasmo con cui ha preso a lavorare
sulla mezzena (più quinto quarto) ricevuta dai pastori.
La data della prova di degustazione era stata fissata per il 17
ma doveva essere a porte chiuse. Invece, nel week-end precedente, c'è stato un
intenso scambio di telefonate e di messaggi via facebook finalizzati ad
organizzare un evento aperto agli amici della stampa. I risultati ottenuti in
cucina avevano indotto lo chef a bruciare i tempi sicuro del risultato che
si sarebbe ottenuto a tavola. E così è stato.
La cena è stata organizzata con la
collaborazione di Daniele Visconti della Trattoria Visconti di Ambivere che ha curato la scelta e la mescita dei
vini. LaTrattoria Visconti, come
il Collina, fa parte dell'associazione Slow Cooking (per ora unici soci
bergamaschi).
Elio
Ghisalberti (a destra) discute con Enzo Lo Scalzo, impegnato nella mescita
Daniele Visconti
Alla cena del castrato hanno partecipato
i giornalistiAlberto Lupini (direttore de l'Italia a Tavola) e Elio Ghisalberti, curatore della rubrica enogastronomica de
l'Eco di Bergamo e redattore de laGuida dei ristoranti
dell'Espresso. I pastori erano rappresentati da Tino Ziliani (presidente dell'associazione, Daniele
Savoldelli (che è anche un macello aziendale), Danilo Agostini (anch'egli con
macello proprio) e Claudio Filisetti.
Tino Ziliani (al centro), Alberto Lugoboni
(a destra), Danilo Agostini (a sinistra)
Oltre
ai produttori, agli utilizzatori e ai comunicatori erano presenti duerappresentanti della
realtà politico-amministrativa: Alberto Lugobonidirigente della StrutturaSviluppo
dell'agricoltura di montagna e dell'utilizzo sostenibile dei terreni agricolidella DG
agricoltura della Regione Lombardia e il consigliere provincialePietro
Isacchi. Tra i commensali vi era ancheEnzo Lo Scalzocultore
di storia gastronomica (suo l'articolo sulla Castradina che segue) e
appassionato difensore, del Bitto storico.
Da destra a sinistra: Alberto Lupini, Pietro
Isacchi, Daniele Savoldelli
Il menù
Le preparazioni presentate sono state
realizzate utilizzando tutte le parti della mezzena più il quinto quarto. Tutte
le portate hanno incontrato il favore dei commensali che hanno potuto
apprezzare la qualità della carne constatando l'assoluta assenza di gusto
'selvatico', la tenerezza, la succulenza, la tessitura compatta e
succosa. Particolarmente apprezzati i piatti realizzati con
i tagli 'poveri' (utilizzati per gli antipasti e il ragù). (Le foiade
sono un piatto di pasta fatta in casa tagliata a grossi rombi tipicamente
bergamasco ).
L'insalata di costine e biancostato con la
giardiniera dell'orto dellaTrattoria Visconti
La 'finanziera' con i carciofi e il
tartufo su letto di polenta
Una cena operativa
I commensali oltre a impegnarsi nella
valutazione della materia prima e delle modalità di utilizzo hanno affrontato
molto concretamente il tema della potenzialità e continuità produttiva del
sistema di allevamento e di macellazione. I pastori hanno evidenziato come il
loro parco fattrici sia ragguardevole e che una spostamento anche modesto dalla
linea di produzione dell'agnellone pesante al castrato metterebbe a
disposizione della ristorazione lombarda migliaia di castrati. Alla fine
della cena i pastori e i due ristoratori protagonisti dell'evento hanno
concordato la fornitura di castrati per un ulteriore evento in piazza a
Bergamo e per i loro locali (che li inseriranno nel menù).
La specificità del castrato bergamasco: una
qualità che va apprezzata
Il castrato bergamasco è un prodotto unico
ma va chiarito che anche l'agnellone bergamasco è anch'esso un ovino
'maxi' raggiungendo e superando i 50 kg di peso vivo. Solo che non è un prodotto
storico. Si tratta di un prodotto in larga misura 'nuovo' destinato al
mercato dei consumatori di religione islamica che prediligono - specie per il
consumo rituale - soggetti di buono sviluppo ma integri (quindi non
sottoposti ad amputazioni di nessun tipo). Il castrato raggiunge i 75 kg ma a
un anno e oltre (un tempo veniva macellato a 18 mesi). Il vero castrato è un
animale in cui è già avvenuta l’eruzione dei primi denti da adulto (la ‘rotta’)
che nella razza Bergamasca avviene a 15 mesi di età.L'accrescimento
del castrato è più lento e quindi il costo del kg di carne più elevato. Nel
sistema di produzione transumante i costi sono legati alla custodia e
conduzione del gregge, ai trasporti, alle cure sanitarie. Mantenere per
ulteriori sei mesi nel gregge un capo aumenta quindi notevolmente i costi anche
perché il castrato necessita di più pascolo di un agnellone. Dal
punto di vista qualitativo la carne di castrato, come tutte le carni a giusto
grado di maturazione, è superiore dal punto di vista delle tessitura e del
sapore. Richiede ovviamente una conveniente frollatura specie se deve
essere cucinata in umido. La paventata durezza e 'selvaticità' appaiono come
assurdi pregiudizi. Va detto che il castrato bergamasco ha sempre mantenuto una
cerchia di estimatori e il suo apprezzamento è rimasto radicato nella
gastronomia regionale della Romagna. Un tempo era molto apprezzato anche in
Francia, terra di numerose razze ovine e di una valorizzazione delle loro carniche noi ci sogniamo.
Apprezzato nei migliori ristoranti di Parigi
In
passato la razza Bergamasca era nota proprio per la produzione di
castrati che venivano venduti ad incettatori francesi. Il Rota (Rota G. La
pecora bergamasca e l’industria armentizia, Udine 1910) scriveva “I
principali alberghi di Parigi segnano nei loro menus come piatto
raccomandabilissimo la vivanda o meglio “Les cotolettes de mouton
bergamasque”. La stessa cosa ho potuto leggere in un testo di
zootecnia francese della fine dell'800. Si riferiva che il castrato bergamasco
era molto apprezzato e che che le cotolettes de mouton
bergamasque si trovavano nei migliori ristoranti. Questa
tradizione venne meno con il declino delle esportazioni verso la
Francia a seguito dell’introduzione di dazi di confine che costringevano
al passaggio attraverso la Svizzera tanto che L'Astori (G. Astori, La pecora bergamasca, 1942, Tesi di laurea. rist. 1963) sosteneva che "prima della guerra si esportavano anche in Francia". In realtà una corrente di esportazione non è cessata neppure in tempi più recenti se Anna Carissoni (Pastori.
Studi, documenti, testimonianze sulla pastorizia bergamasca. Edizioni
Villadiseriane, Villa di Serio, Bg, 1985, p. 115) riferisce di aver
trovato ancora in un ristorante parigino quel piatto. La qualità dei
castrati bergamaschi è stata messa in evidenza sin dagli anni '40 dal
Salerno (Salerno A. La pecora bergamasca e la sua attitudine
alla produzione di carne, Allevamenti, 1947, -1-, 15; -2- 37-38; -3-
66-67). Nei castrati di prima (con peso vivo alla macellazione di 63,0)
l'autore citato riscontrava rese del 45,0 %. con una buon rapporto tra carne ed
osso (80% carne, 20% osso) e un altrettanto buon rapporto tra 1°, 2° e 3°
taglio (rispettivamente 43, 29 e 28%). In realtà i pesi alla macellazione
sono superiori (70-80 kg) e la resa anche oltre il 50% secondo i pastori, (50% secondo il già citato Astori che indica una resa allo spolpo dei quarti pari al 74-76%).
La tradizione del castrato è rimasta forte in Romagna
Tornando all'oggi inRomagna esiste un marchio di qualità regionale dell'Agnellone e Castrato
Romagnolo e va detto che il castrato che
ivi consuma è tradizionalmente di razza Bergamasca (il mercato 'storico'
di sbocco del castrato bergamasco è Lugo di Romagna). Una tradizione che nasce
dalla cessione di agnelli (come corrispettivo per la pastura) da parte
dei pastori bergamaschi che frequentavano le pianure emiliane; agnelli che
venivano castrati e ingrassati in loco. Non a caso l'Artusi, fiorentino di
adozione ma originario di Forlimpopoli in Romagna inserì tre ricette di
castrato nel suo famoso testo di cucina. In realtà anche in Lombardia la
tradizione del castrato non sì è mai estinta. Un consumo marginale
di castrato si è mantenuto specie in alcune zone più interessate alla presenza
della pastorizia transumante e alcuni tra i ristoratori più attenti alla
'filologia gastronomica' non l'hanno mai dimenticato (ci ritorneremo...)
Territorialità, storia, sostenibilità
In tempi di km 0 e di valorizzazione delle
valenze ecologiche e storiche degli alimenti in castrato tradizionale
bergamasco dovrebbe avere le carte in regola per un rilancio anche in Lombardia
dove il consumo era un tempo diffuso largamente diffuso sia in montagna che
nelle aree rurali di pianura. La produzione del castrato ha rappresentato sin
dalle origini della razza sino in tempi recenti (qualche decennio fa) quella
prevalente della pastorizia bergamasco-camuna, in coerenza con il suo carattere
di razza 'gigante' (conosciuta infatti come Gigante Bergamasca e, a volte,
semplicemente come Gigante/Giant) e con il sistema di allevamento transumante
che, limitando i costi di alimentazione, rende la produzione di soggetti
tardivi relativamente più conveniente. Produzione storica perché la razza
Bergamasca e il sistema transumante hanno nove secoli di storia, una storia
legata alla lana e all'industria laniera che per secoli ha rappresentato un
settore trainante dell'economia bergamasca (con carni e, un tempo, i formaggi,
a fare da complemento). Quanto ai valori ecologici non vi è un sistema di
allevamento così legato al pascolo. Al pascolo delle prateria alpine come dei
prati di collina e di pianura, delle stoppie dopo le raccolte, dei terreni
lungo i fiumi. Per produrre il castrato non si utilizzano concimi chimici,
diserbanti, acqua di irrigazione. Gli unici carburanti sono quelli dei
fuoristrada dei pastori e degli autocarri che una o due volte l'anno spostano
le greggi dalla pianura alla montagna e viceversa (ma a volte la discesa si fa
ancora a piedi). Se tutti questi valori si traducono in un buon inserimento del
castrato nella ristorazione 'consapevole' (dei valori territoriali); se il
castrato sostituisce la non a fare da complemento).Se tutti questi valori
si traducono in un buon inserimento del castrato nella ristorazione
'consapevole' (dei valori territoriali). Se il castrato sostituisce la non
trascurabile quantità di carni ovine di agnellone extracomunitario utilizzate
dalla ristorazione lombarda si saranno ottenuti due risultati: i pastori
potranno contare su una diversificazione produttiva che - in tempi di rapidi
cambiamenti storici - è una necessaria 'assicurazione' contro le incognite di
una 'monoproduzione'. La ristorazione potrà contare su una materia prima
locale, tradizionale, di alta qualità che si distingue dalla produzione
'globale' di carne ovina . Una carta da giocare anche per rafforzare l'immagine
della Lombardia che è sì terra di produzioni industriali di suini e vitelloni
ma conserva anche comparti di produzioni estensive e 'antiche', legate alla
grande realtà della montagna.
Prossime iniziative
Per ora non voglio anticipare troppo ma sono
in cantiere diverse iniziative anche con serate aperte al pubblico e
degustazioni in piazza. La partenza di questo progetto nato - ci tengo a
ribadirlo - dal basso, grazie a pastori e ristoratori, è stata bruciante.
Saranno seguite da presso da Ruralpini che. ed è un grande onore, almeno per
ora funge anche da 'voce' dell'Associazione Pastori Lombardi.
Carni di castrato e di pecora nella storia
La
"castradina" e la festa della Madonna della Salute, a Venezia, il 21
Novembre diogni
anno
di
Enzo Lo Scalzo
Strano che una festa popolare veneziana, come quella
dellaMadonna della Salute,
abbia, come piatto tradizionale, un piatto di terra,"la castradina", a
base di carni ovine, certamente provenienti dai territori posseduti, in
terraferma o oltre sponda, tipicamente dall'Istria e dalla Dalmazia. Infatti a
Venezia, ancor negli anni ‘90, la provenienza delle carni cotte in buone
quantità dal ripristino dell’usanza tradizionale, proviene prevalentemente dal
Goriziano.
Intuiamo da Michele Savonarola, padovano, vicino di
casa, ma nel '400, (Alberini,Il
libreto de tutte le cose che se manzano,pag.
81-82) che le carni di capra e del becco al tempo fossero abbondanti e
costassero relativamente poco.
Il"Libreto"del Savonarola resterà a lungo un
testo di gastronomia di riferimento.
La cottura è genericamente descritta come"lessata",
il che, annota Massimo Alberini, significa anchesguazzettiespezzatini.
E' particolarmente apprezzato il castrato"nutrito
in boni pascoli de herbe odorifere, che del bon nutrimento se fa bona carne",
come quelle del Valure, nel territorio Ferrarese.
Pare, con una interpretazione azzardata, che i ricchi
popolani Veneziani (relativamente più facoltosi dei vicini) festeggiassero nel
tardo novembre laMadonna
della Salutecon carne ovina,
contrapponendosi in un certo modo alla tradizione dei loro territori di
terraferma, quali la antichissima usanza di festeggiare S. Andrea, il 30
novembre, con carne di maiale, ad esempio in Carnia. La scelta di una carne più
pregiata era dimostrazione di una certa ... superiorità di mezzi rispetto alle
genti delle terre dominate.
Come ilSavonarola,Latini(fine '600) descrive che il castrato
di migliore qualità o giovamento fosse quello"giovane,
d'un anno circa...”. “Riescono ottimi e sono di squisita qualità quelli che si
pascono in parti montuose, erbose e odorose;questa è una carne che si
digerisce con molta facilità; genera buon sangue, ed è di buon nodrimento, a
tutte le età e complessioni; rallegra l'umore malinconico stante la sua
soavità; mantiene la Complessione in buon temperamento, e il suo brodo
parimente è di ottimo nodrimento. ...Li migliori di tutti sono quelli della
provincia della Marca, per essere luogo di buoi pascoli... Sono, al riferire di
Plinio, buoni e salutiferi li castrati di Puglia, pasciuti in buoni pascoli e
in luoghi montuosi.."
Sostiene il mio amicoErmanno
Scopinich(pittore, nativo di
Lussinpiccolo), che la vera"castradina"
veniva cotta con carni dicastratooagnellone(spalla e coscia) dall'Istria e
Dalmazia; salate e massaggiate con laconcia,
le parti venivano quindi trattate come i prosciutti di maiale, asciugate e
leggermente affumicate per non meno di quaranta giorni.
L' affermazione sarebbe a labile sostegno della tesi
poco fa avanzata, per una scelta di carne più nobile di quella del maiale, in
occasione di una festa di gioia, di liberazione, di ringraziamento; la
citazione delle Marche negli appunti del Latini, coevo all'origine dell’evento
veneziano, renderebbe ancora più probabile che gli animali provenissero
dai pascoli Istriani e Dalmati, che assomigliano molto a quelli marchigiani.
Anche le tradizioni di conservazione delle carni, con un’affumicatura
lievissima, appese alle travi all'esterno dei camini, in Istria, Dalmazia e
nelle Marche, potrebbe fare pensare a una provenienza da quei territori di
carni conservate per la festa stessa... O no? E' troppo divertente cercare una
ragione logica e pratica alle tradizioni popolari!
RimarcaScopinichche la “puzza” dai magazzini di
Venezia proveniente dalle cosce ammassate in attesa della festa, facesse
scappare tutti i nobili dalle loro case per sfuggire agli odori...
Provo a consultare sul castrato anche ilVincenzo Corradoe mi trovo di fronte ad un ampio
ventaglio di modi di cottura, generalmente molto speziati, allo spiedo, bollito
e al forno in crosta, in carbonata, fritto alla pastetta, al vino, in salsa di
tartufi, farcito infarinato e fritto, arrosto a fuoco di riverbero e allaSanté Menò: questo modo mi
incuriosisce.Santémi richiama Santa e Salute e provo a
leggere:"...dopo che una
Culatta di castrato sarà cotta in buon brodo chiaro con fette di vitello, fette
di lardo, presciutto, erbe ed aromi; si caverà, si panerà e si farà grigliare,
servendola calda con salsa romolata, fatta d' acciughe, prezzemolo, pepe,
butirro ed olio, con un senso d' alio." Cosa vorrà direSanté Menò? Sto diventando troppo curioso!
Invece la cottura della"castradina",sostieneScopinich, avviene sempre in
brodo con le verze...
Ma cosa significa"castradina"alla fine? Di fatto, e questa è
notizia da confermare storicamente con la citazione delle fonti di scrittura e
di collegamento con la festa, ma molto credibile e proveniente da fonte locale,
...il termine"castradina"deriverebbe da"castra",
caserme e depositi di fortezza delle isole, nei territori e possedimenti di
Venezia, più che da "castrà",popolare denominazione del castrato.
Erano i grandi magazzini in cui si conservavano carniaffumicateeessicate; all'uso del tempo,
per gli equipaggi della flotta e le truppe di terra (gliSchiavoni). Una volta all'anno
le carni in deposito venivano sostituite con carne fresca, a partire dal primo
autunno, rinnovando le giacenze. Lo stoccaggio vecchio veniva distribuito
gratuitamente alla popolazione del luogo e... queste gratuite disponibilità
davano luogo alle feste e mangiate popolari.
A Venezia venivano inviate le carni migliori, quelle di
agnello e di castrato, che venivano distribuite alla popolazione proprio in
occasione della festa dellaSalute,
sempre il 21 novembre!
Tuttavia, mi confermano fonti accademiche, pare che la"castradina"fosse praticamente scomparsa dalla
città lagunare nel nostro secolo: venne riscoperta a casa di un amico istriano
in terraferma, daScopinich,
nel 1960 e fatta conoscere allaDelegazionedi Venezia. Fatta e rifatta, la
Delegazione ne ripropose per anni il riabbinamento storico con la Festa della
Salute e ne promosse, insistendo a lungo con la ristorazione della Serenissima,
la ricomparsa in città.
Penso che sia particolarmente difficile oggi il
reperimento delle carni tradizionali, data la scomparsa delle antiche case di
campagna, con camino vissuto quotidianamente per fare luce, dare calore e per
cucinare: le carni venivano ben massaggiate con la "concia" esposte
all' aria e a poco fumo. La concia tradizionale è fatta con: sale, pepe nero,
chiodi di garofano, bacche di ginepro e fiori sfarinati di finocchietto
selvatico! Eccezionale esempio di conservazione e chicca da inserire nei"giacimenti gastronomici"
paoliniani!
AllaVecia
Cavana, in Dorsoduro, locale dove Scopinich ha accesso in cucina da vari
decenni, è stato preparato un assaggio di"castradina"tradizionale, piuttosto asciutta come
una buonacassoeula, molto differente dallaquasi zuppettascura proposta dabacarie ristoranti veneziani. La cottura ha
avuto luogo con verze, a lungo, fino a consumare le acque di conservazione e
naturali. Il sapore, ancora parzialmente salato, non nasconde unaconciamolto aromatica e forte.
L'affumicatura è molto leggera, tipica della Slovenia, Istria e Dalmazia, molto
differente dai sapori tipici di Sauris o del Trentino, comunemente attesi dal
gruppo. Scopinich ne ha testimoniato la fedeltà: detto da chi l'ha riscoperta e
ha partecipato a farne riprendere la tradizione, dobbiamo ricordarne il sapore
come riferimento storico. Non è detto, sostiene il mio mito Pereira, che
gastronomicamente sia il più appagante!
Piace? Statisticamente, ai 33 italiani misti provenienti
dalla Lombardia, poco. Non c'è abitudine a quelle carni e agli odori, anche se leggeri,
della conservazione. In Venezia abbiamo notato "castradine"
dappertutto, dai ristoranti più raffinati a quelli più umili, dalle mescite aibacari.
Descrivere come sono quelle "castradine", con
che carni siano preparate, con che cotture, anche se sempre colle verze, è come
cercare di raccontare le infinite varietà impropriamente chiamate
"casseoula" e in circolazione durante l'inverno nei ristoranti più
raffinati o nelle osterie più semplici del milanese: leggere, lavate,
sgrassate, sugose come uno stufato o asciutte come quasi un arrosto, tutte
rivolte a non disturbare le sensibilità moderne ai sapori.
Dei gusti non si può discutere, ma è importante avere
qualche riferimento alla verità storica, anche gustativo. Dall'esame delle
testimonianze sull'origine è molto probabile che quello assaggiato fosse quello
vero, al che, non è da concludere, che i sapori debbano essere stati quelli più
affini alla cultura gastronomica del 2000. Pochi piatti del '500 e '600 sono
affini ai gusti d'oggi, tolti alcuni arrosti (spiedi), qualche minestra di
cereali e legumi, qualche dolce. Su tutto il resto ci sarebbe tanto da mettere
in dubbio!
A proposito dell'origine storica, la Delegata in carica
a Venezia,Laura Ghittino
Courir, di famiglia Dalmata, di Zara, non crede tanto alla derivazione
della denominazione da "castra" e crede di più al "castrà",
quella più popolare. Una recentissima pubblicazione di Sergio Brcic, che Laura
mi ha fatto cortesemente pervenire, su"Scuola
Dalmata dei SS Giorgio e Trifone"(Venezia
32-1997/1), propone la storia della tradizione popolare, di cui riporto una
sintesi.
La peste avrebbe fatto ben 80.000 vittime in 16 mesi e,
un anno dopo la decisione di erigere una chiesa intitolata a S. Maria della
Salute, una grande festa accompagnò a fine novembre del 1631 l'inizio della
costruzione. Da allora si ripeterebbe il rituale di devozione, il 21 Novembre,
facilitata dalla costruzione di un ponte in legno sul Canal Grande, le
processioni con le Confraternite e le Scuole. La sagra, oltre a "bussolai,
zaletti, pevarini" riproponeva il piatto della "castradina"
nelle famiglie. Si tratterebbe di un cibo antico di cui si ha notizia dal 1173
nel "Calmiere" del Doge Ziani ("Sicce vero carnis de Romania
et de Scavinia"): carne di montone tagliata a metà nel senso della
lunghezza, salata o seccata al sole e poi stagionata dopo essere stata
affumicata con erbe e bacche aromatiche che abbondavano nell'Oriente e, in
Dalmazia, con elicrisio, salvia, timo e ginepro... Questa carne si conservava
bene a lungo ed era largamente usata a bordo dei bastimenti nei lunghi viaggi
senza scalo; divenne essenziale nel frangente della peste a Venezia, dove era
stata vietata la vendita della carne fresca che poteva propagare l' infezione...
Questa e altre descrizioni del piatto sono tratte
dall'autore da pubblicazioni tutte recenti;
- Profumi di Dalmazia, di Gioia Calussi (Del Bianco,
Udine, 1995)
- Cussì a Venezia, di G. Piamonte (1994)
Sul piano gastronomico se ne interessaDino Boscarato, che,
all'Amelia, ne suggerisce unospezzatinoprofumato con polenta, verze e
crostini di pane o inrisotti( Viver Veneto - Il gusto della
tavola - n 71 Nov 1995). Anche i detti tipici veneziani:
"cavarsela de castradina",
per dire divertirsi, sollazzarsi;
"castradina, roba fina, ma
magnarla in cantina"(dal
dizionario del dialetto veneto-dalmato di L. Miotto, Trieste 1984), conferma
che la ricetta, che ha più varianti, richiedeva troppo"impiego ed esalava odorosi
sgradevoli vapori"!
"No xe certo un magnar de
stomeghi deboleti", si diceva ancora della"castradina s'ciavona"...
Personalmente ritengo che tutto quanto abbiamo riportato
possa benissimo convivere, non essendo in conflitto né storico, né igienico, né
di costume. Mentre l'approfondimento culturale sulla storia delmaialeè già a buon punto, mi pare che quello
sulla storia dellapecorae suoi familiari sia ancora tutto da
coordinare, raccogliendo frammenti dalla letteratura, dalla sacralità
sacrificale della tradizione religiosa, da quella pure biblica di Caino e Abele.
Nelle valli cortenesi-camune delle Orobiche, un tempo
facenti parte della Repubblica di Venezia, dai larici affusolati e ben diritti,
il"cuz"è una versione montanara della grande
importanza alimentare e di festosità dellacarne
di pecora. Altrettanto antiche sono le usanze nell'Appennino del sud; da
altre regioni non sono ancora emerse, ma mi aspetto che dall'Appennino emiliano
e toscano se ne riportino altrettante andate perse o rimaste vive solo in
piccole comunità, ai confini del mondo o del cielo. Nelle Orobiche del sud ci
sono le bergamasche: altra nicchia da esplorare!
A Venezia era già piatto da grande potenza: oggi è
tornato a essere piatto da divertimento popolare e di sapore insolito! Ma anche
di grande cucina, comeSergio
Meiha insegnato anche ai
ragazzi del Carlo Porta nel 1996!
Riletto e ritoccato solo in questo ultimo periodare dopo
la cena “Il castrato bergamasco” preparata al Ristorante Collina di
Almeno, in Valeriana.... con allevatori, macellai e cuochi che hanno riscoperto
questo antico mito della tavola...
Busto Arsizio, 18.03.11
Menu alla “bergamasca”:
Insalata di costine e biancostato di
“Bergamasca” su giardiniera di casa Visconti e salsa verde (9.0)
Finanziera di frattaglie, tartufo bianchetto
e carciofi liguri con polenta bianca (8.0)
“Foiade” con ragù di spalla al Valcalepio
bianco (9.0)
Costatina scottadito con broccoletti
calabresi (7.0)
Cosciotto in lenta cottura con patate
croccanti (9.0)
Cassata con ricotta di pecora e coulis ai
lamponi (8.0)
I voti sono personali. Da tanto tempo non mi
capitava alla prima prova un risultato cosi incoraggiante!Ottimi
gli accostamenti con vini spagnoli e nostri.