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Sopra il rapporto spontaneo di simbiosi tra 'cuccioli' umani e caprini. I ragazzi imparano che qualcuno dei loro amici sarà macellato, ne soffriranno, ma ne trarranno lezioni di vita. Nel contesto del rapporto 'personale' con gli animali il loro utilizzo non arriva mai a considerarli cose da sfruttare per il massimo profitto e c'è sempre la consapevolezza di un rapporto di reciprocità che non può prescindere dal rispetto per l'animale e le sue esigenze.

 

Sotto: la demagogia ambiental-animalista urbana. L'agnellino è appena nato ed è di razza Bergamasca-Biellese. Pesa pochi kg. Nessuno si sogna di macellarlo a questa età. Mal che vada sarà macellato a 15-20 kg di peso vivo, ma nella maggior parte dei casi diventerà agnellone e camperà sino a sei mesi (peso 50 kg e oltre).

 

 

 

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06.02.10)  Alla gente tenace della montagna (e alle sue capre)

A Druogno in Val Vigezzo (VB) c'è un monumento alla 'gente tenace e industriosa della montagna'. Raffigura una donna con l'inseparabile gerla e l'atrettanto inseparabile capra, tanto avversata dal 'potere' quanto amica e sorella della gente di montagna.  Oggi la storia di questa simbiosi continua. Ne sono protagonisti giovani ruralpini non per condizione, ma per scelta e passione, che trasportano volentieri un bel carico di foglia per fare il letto alle capre su per un sentierino ghiacciato vai a vedere il commento e le altre foto della storia

 

(27.09.10) Val Vigezzo (VB). I tesori degli alpeggi: Alpe Basso

All'Alpe Basso, in Val Loana, Bruno Zani alpeggia 80 capre e venti mucche e produce un formaggio particolare e molto pregevole mescolando latte caprino e vaccino (al 50% ca). La tecnica risente dell'influsso della cultura casearia della vicina Svizzera interpretata però in modo originale. Il risultato è rappresentato de forme del peso di 15 kg. La pasta presenza una marcata occhiatura ma la tecnica accutata e la paziente di lavorazione è tale da consentire una maturazione piuttosto lunga senza difetti. Anche qui, però, i problemi non mancano; a parte la siccità di questa stagione è in forse la possibilità di utizzare l'alpeggio del comune, a quota più elevata, a causa della mancata esecuzione dei benedetti 'adeguamenti igienico-sanitari'. vai a vedere

(30.01.11) Capre ossolane e problemi della montagna (Vb)

Un  piccolo viaggio tra tre vallate e tre allevamenti caprini ci porta a contatto con tanti problemi: razze autoctone da salvare, alpeggi da valorizzare, l'inserimento dei giovani, il mantenimento di patrimoni di tradizioni, paesaggi, produzioni, testimonianze storiche. Difficile sopravvalutare l'utilità della capra per mantenere in vita la montagna dell'uomo. leggi tutto

 


 

Ricette vigezzine

 

Da "La capra campa" a cura di Luciano Falcini ed Edgardo Ferrari, edito da Comunità Montana Val Vigezzo, 2000, Tipografia Saccardo, Ornavasso (Vb)

 

Capretto nel bronzo
Piatto tradizionale del giorno di Pasqua. Si tagliava il capretto a pezzi e si faceva rosolare in un paiolo di bronzo coti burro fresco, rosmarino, salvia e aglio. Quando era beta rosolato, si spruzzava con la grappa nostrana, quindi si aggiungeva un po' di vino rosso e si portava dolcemente a cationi, salando. L'uso del paiolo era determinato dal desiderio di evitare che la carne del capretto si asciugasse troppo (Di Corato).

Capretto tipico vigezzino
Soffriggere in una casseruola il burro con la cipolla tritato, mettere quindi la carne di capretto tagliata a pezzetti e far rosolare bene. Bagnare coti vino bianco. Lasciarlo evaporare ed t-mire salsa di pomodoro sciolta in tiri mestolo di brodo, sale, pepe, spezie; quindi il lardo battuto col poco aglio e molto prezzemolo. Coprire il recipiente e terminare la cottura molto lenta¬mente. Servire con patate lessate (Bartolucci e Pizzicoli).

 

Capretto ai mirtilli

Lasciare a marinare il capretto nel vino rosso.Dopo averlo ben asciugato tagliarlo a pezzi e infarinarlo. Metterlo a rosolare in un battuto di lardo, aggiungere nella casseruola parte del vino della marinata e fai- cuocere lentamente. A parte portare ad ebollizione la restante marinata coti palina e marmellata di mirtilli. Lasciare addensare la salsa aggiungendo un cucchiaino di fecola, passarla al setaccio. Quando il capretto sarà cotto metterlo su un piatto di portata e servirlo accompagnandolo con la salsa (Bertolocci e Pizzicoli).

 

Stufato di capretto alla menta contortino di ricotta

Rosolare a fuoco lento le cipolle, quindi aggiunge il capretto tagliato a pezzi e farli dorare a fiamma alta. Aggiungere la mela tagliata a cubetti e le spezie, rimesco­lare e aggiungere gradatamente il brodo. Portare ad ebollizione lo stufato e lasciar  bollire a fuoco lento per circa due ore. A fine cottura aggiungere le foglie di menta e lasciare riposare a fuoco spento per cinque minuti. Nel frattempo preparare il tortino di ricotta: passare la ricotta la setaccio ed amalgamarla agli altri ingredienti. Versare il composto ottenuto in 4 stampi d’alluminio e cuocere in forno a bagnomaria per 10-12 minuti a 180°. Servire il capretto accompagnato dal tortino. (Ricetta presentata da Diego Rondolini, Chef del Formont, alla Rassegna Expo Capra 1999).

 

Costolette di capretto

Ingredienti per 6 persone: 18 costolette di capretto, succo di limone, sale, pepe, olio, cipolla, prezzemolo. Facoltativo: contorno di funghi sott’olio. Preparazione: è necessario che le costolette siano piuttosto spesse e sgrassate. Ponetele in un piatto, premeteci sopra il succo di un limone e conditele con sale, pepe, olio e un po’ di cipolla trita e del prezzemolo anche trito. Lasciatele così per un paio d’ore, liberatele dalle erbe e ponetele sulla gratella con fuoco bene acceso. Quando saranno colorite da una parte voltatele dall’altra. Moderate allora l’intensità del fuoco e lasciate che la cottura si compia più dolcemente, ungendo di quando in quando le costolette.

 

Coratella di capretto

Ingredienti per 4 persone: 1 coratella di capretto,prezzemolo, timo, rosmarino, 4 uova, formaggio, 2 spicchi d’aglio. Latte, pepe macinato, burro per friggere, sale q.b.. Preoparazione: prendi una coratella di capretto e falla lessare in acqua bollente. Poi la macini insieme al prezzemolo, timo e rosmarino, due spicchi d’aglio, un pezzettino di lardo e aggiungi 4 tuorli d’uovo, formaggio fresco, e pane bagnato precedentemente nel latte. Impasta il tutto, condisci con pepe macinato, noce  moscata e sale. Prendi la rete del capretto e avvolgi parte del composto, creando degli involtini e dopo essere stati infarinati e passati nell’uovo, vengono dorati in padella (Giorgio Patrone).

 


Piccoli Alberghi Tipici ed Ospitalità di Montagna

Hotel Ristorante Miramonti - S.Maria Maggiore

 

(20.04.11) La Mostra vigezzina del capretto tipico è un evento unico nel suo genere. Da qualche anno, però, è 'calata di tono'.  Un fatto che  offre spunti di riflessione sulla necessità (e le possibilità) di rilancio di tutto il sistema dell'allevamento caprino

 

La Mostra del capretto tipico vigezzino:

bella, ma merita un rilancio

 

di Michele Corti

 

In Val Vigezzo c'è una mostra zootecnica particolare: la mostra del capretto tipico vigezzino. Organizzato la Domenica delle Palme l'evento si presta a molte considerazioni circa il diverso approccio al rapporto con gli animali e al consumo di carne delle culture urbana e rurale

 

É Pasqua. Il rito del consumo di agnelli e capretti è ancora molto radicato; una delle poche tradizioni alimentari che resistono.  Occasione per parlare di consumo consapevole, di sistemi di produzione sostenibili, di un comparto come la pastorizia che -  politicamente debole - viene sacrificato a vantaggio di interessi agroindustriali forti e influenti.  

Le demagogiche e rituali messe in scena degli animalisti, che utilizzano immagini strappalacrime di agnellini di pochi giorni per attirare simpatia alla loro causa, alla fine sono funzionali all'agrofood system globalizzato. Sull'uso di un immagine distorta del consumo di carne ovicaprina, presa strumentalmente di mira dagli animalisti,  rimando all'articolo di Marzia Verona sul suo blog di qualche giorno fa (Il menù di Pasqua ma non solo).

 

La carne 'nascosta' non favorisce un consumo consapevole (e autolimitato) di carne

 

Sottolineare, facendo leva su fattori emotivi, gli aspetti cruenti della macellazione non favorisce necessariamente un consumo consapevole e può anzi riorientare i consumi in senso meno sostenibile e più industriale.  Una fettina incellofanata, un preparato a base di carne macinata, mescolata ad altri ingredienti, impanata, inscatolata hanno l'effetto di celare quasi del tutto l'origine cruenta di quella materia prima che - per quanto mascherata  - è un pezzo di quello che era un animale, vissuto più o meno a lungo e più o meno degnamente. Quanto più le filiere si allungano e tanto più la carne è manipolata quanto più la cattiva coscienza è messa a tacere e il consumo ha meno inibizioni a farsi quantitativo, automatico.

Quando ero bambino nelle macellerie troneggiavano le teste dei buoi e dei maiali, le mezzene erano lì in bella vista. A Pasqua le macellerie esibivano (anche fuori dal negozio) carcasse di capretti presentate in modo tradizionale (oggi vietato dalle norme igienico-sanitarie): con la testa ma gli zampetti, la coratella e - fondamentale - un ciuffo di pelo all'estremità della coda .  Da quanto mi posso ricordare la vista di tutto ciò non mi ha mai impressionato. Di conseguenza ho sempre consumato volentieri ogni parte dell'animale. Oggi all'idea di mangiare cervello, rene, cuore, polmone molti inorridiscono. É come se l'animale (rimosso nella sua integrità per evitare i sensi di colpa) fosse una bistecca ambulante che attende di essere 'smontata'. Il resto ci riporta alla spiacevole idea di un essere molto simile a noi, con un cuore, un cervello - tanto per citare organi dotati di forte valenza simbolica - e tutto il resto.  Ma utilizzare tutto di un animale sacrificato (cacciato o allevato) è la prima forma di rispetto per esso e di risarcimento per il suo sacrificio. Ce lo insegnano tutte le culture tradizionali.

 

Capretti in mostra

 

La premessa era necessaria per introdurre un evento che, se non accompagnato da una riflessione sugli esiti ambigui di un certo animalismo, sulla nuvola di ipocrisia che accompagna la produzione e il consumo di carne nei sistemi agroindustriali, potrebbe apparire un po' urtante una certa sensibilità. Qualcuno potrebbe storcere il naso di fronte ad una Mostra dei capretti organizzata giusto nel periodo in cui stanno per finire in padella (la domenica delle Palme). Parliamo della Mostra del capretto tipico vigezzino di S. Maria Maggione (Vb) che è arrivata ormai alla 22a edizione (la prima fu nel lontano 1989). La Mostra dopo anni di fulgore ha conosciuto, da qualche anno in qua, un certo declino. Anni fa era accompagnata da convegni e da una rassegna gastronomica che coinvolgeva parecchi locali del posto e che aveva per oggetto anche gli altri prodotti caprini.

 

 

In occasione della Mostra come si vede nella foto (sopra) viene ancora proposto in alcuni locali il capretto tipico. Le foto (sotto l'ingresso) si riferiscono all'Hotel Ristorante Miramonti  dove, la sera prima della Mostra del capretto, era stata organizzata una delle Serate di gola,  eventi organizzati nell'ambito del progetto il Lago Maggiore le sue Valli e i suoi Sapori  in collaborazione con il circuito dei Piccoli Alberghi Tipici del VCO. In queste serate vengono presentati piatti realizzati con i prodotti oggetto di valorizzazione nell'ambito del progetto: i formaggi caprini e la bresaola ossolana artigianale. La serata, dove a me spettava  il compito di presentare i formaggi di capra, è stata un'utile occasione di incontro tra produttori, utilizzatori intermedi (ristoranti tipici) e consumatori.  

 

 

La signora Balconi, titolare del Miramonti (e presidente del circuito dei Piccoli Alberghi Tpici), nel suo locale - dove esiste un piccolo corner shop - e attraverso il sito dell'Hotel ha già attuato alcune formule di 'filiera corta' ma lamenta la scarsa disponibilità di formaggi (caprini e misti) locali. Il caseificio di valle (sede presso la ex-Comunità Montana) ha una linea di produzione di formaggi caprini ma preferisce concentrare la vendita presso il proprio negozio; i produttori 'privati' sono spesso privi di autorizzazione sanitaria o realizzano produzioni limitate sia in quantità che in termini di stagione. É vero, pur tuttavia, che alcuni produttori, tra cui dei giovani stanno realizzando o hanno in progeto di realizzare dei caseifici aziendali. Non si può fare a meno di osservare in ogni caso che una grande tradizione di allevamento caprino e venti anni di progetti di valorizzazione e promozione dei prodotti caprini non sono riusciti a realizzare a tutt'oggi una filiera degna di questo nome.  In compenso è stata realizzata  la latteria, gestita da una coop di allevatori tra cui alcuni di capre e la bella struttira della foto sotto che rappresenta un ambiente ideale per la realizzazione di esposizioni di prodotti e di animali.

 

 

Trattasi di uno spazio dotato di una copertura che consente una buona luminosità ma che , al tempo stesso riprende, attraverso il gioco delle falde, l'inclinazione, l'suo della pietra naturale, gli elementi delle architetture locali caratterizzati proprio per le 'artistiche' coperture in piode sovrapposte. La struttura portante in travi ligne e arcate in legno lamellare fa dello spazio un ambiente funzionale e piacevole.

 

 

A differenza di tante mostre zootecniche dove i box degli animali sono rielizzati in materiali da cantiere ben poco accattivanti qui i gli animali (i capretti) sono ospitati in gabbiotti realizzati in legno e rete metallica con lettiera di paglia. Gli animali sono tranquilli (la gabbia ha sponde molto alte tali da prevenire ogni tentativo di saltar fuori) ma anche ben visibili ai visitatori anche perché i gabbiotti sono ben distanziati. Alla mostra era presente un solo gruppo di capre (sotto). Peccato perché la presenza delle capre 'contestualizza' il capretto tipico all'interno di un sistema di allevamento basato sulla capra di tipo autoctono (Alpina comune) e su moduli estensivi (utilizzo del pascolo).

 

 

Qui in Vigezzo la capra 'nostrana', ovvero quella di ceppo alpino autoctono, nonostante tutto regge meglio che altrove. Mi sento di dire che l'Ossola in generale e la Val Vigezzo in particolare sono la 'ridotta' dove l'Alpina comune ha più possibilità di consolidare la sua presenza. La storia di questa capra è però paradossale: dal momento che era diffusa su una vasta area (dal Piemonte settentrionale al Trentino) e del momento che era 'comune' non è stata tutelata. Più concretamente, mentre altri ceppi più caratterizzati (anche se a volte solo da caratteri estetici) ricevevano attenzioni e fruivano dei premi previsti dalle misure agroambientali dei PSR, la 'comune' rimaneva nel suo limbo, vittima dell'equivoco (culturale prima che zootecnico) relativo al suo essere un 'tipo meticcio'. Salviamo solo le cose quando sono 'rare', ridotte al lumicino.  Per una esauriente trattazione sul tema della capra 'Alpina comune' rimando allo studio di Luigi Andrea Brambilla 'La capra Alpina Comune Policromatica'. Purtroppo anche qui in Vigezzo la consapevolezza del valore del patrimonio caprino locale  (basta consultare il volume "La capra campa" a cura di Luciano Falcini ed Edgardo Ferrari, edito da Comunità Montana Val Vigezzo, 2000, Tipografia Saccardo, Ornavasso, Vb) non ha impedito l'erosione genetica da parte delle razze selezionate introdotte sia con l'obiettivo di una maggiore produttività (controbilanciata peraltro da maggiori costi) che del risanamento da patologie quali la CAEV.

 

 

L'operazione Capretto Tipico Vigezzino  ha in parte aiutato la valorizzazione della popolazione caprina autoctona dal momento che si prevede l'uso del latte materno (spesso sostituito da quello 'artificiale' negli allevamenti di razze selezionate) però non ha previsto vincoli di razza e ha fissato un peso vivo alla macellazione tra i 7 e i 13 kg. Un peso francamente ridotto per capretti di ceppo nostrano che vengono macellati per autoconsumo tranquillamente a 16-18 kg senza che le carni peggiorino le caratteristiche organolettiche.  Fissando un peso minimo di 7 kg si vule evidentemente evitare il deprezzamento drastico che subiscono i capretti subito dopo la Pasqua. Ma in questo modo ci si sovrappone ad una tipologia di carcassa molto leggera quali quelle che provengono dall'estero (Francia e Spagna ma non solo) a prezzi vili. E poi se si lavora per un 'capretto tipico' ritengo sia una sconfitta in partenza puntare ancora quasi tutte le carte sulla vendita in coincidenza della Pasqua. Non sono pochi i ristoratori che hanno capito che il capretto può essere proposto per tutta la primavera e che utilizzano anche capretti piuttosto pesanti con evidente vantaggio per la quantità di carne fornita da ciascun soggetto. Datto questo ritengo che un 'capretto tipico' vada in qualche modo associato non solo ad un area geografica ma anche a un tipo genetico 'locale' e ad un sistema di allevamento. Per il ceppo alpino un peso più consono di macellazione è tra i 10 e i 16 kg di peso vivo. Quale sia l'aspetto 'policromo' dei capretti 'nostrani' alias 'Alpini comuni'' lo vediamo nella foto sopra. Il gruppo, forse il migliore, dela mostra è stato presentato da Adolfo Prelli (foto sotto) un allevatore di capre e di vacche che produce un ottimo formaggio misto d'alpe (peccato che tolto il Prelli e Bruno Zani - vedi l'articolo sul suo formaggio: I tesori degli alpeggi. Alpe Basso questa pregiata tipologia casearia non annoveri - almeno tra le aziende autorizzate alla vendita - altri produttori).

 

 

Una nota positiva della mostra è data dalla presenza di giovani e giovanissimi caprai come quello della foto sotto che maneggia con delicatezza ma anche con fare sicuro due bei capretti (di cui uno grigio particolarmente inteerssante).

 

 

Spesso ci si lamenta che l'entusiasmo per gli animali (e le cose agricole) dei 'bocia' lascia poi spazio durante l'adolescenza - in funzione delle frequantazioni scolastiche e dei giri di amicizie - ad un distacco più o meno irreversibile.  Qui alla Mostra del capretto si vedono agazzi di tutte le età interessati e questo è un fatto da segnalare come molto positivo.

 

 

Tra le giovani promesse dell'allevamento caprino vigezzino due ragazzi che i lettori di Ruralpini hanno già avuto modo di conoscere (vai al fotoracconto): Roberto Gubetta (camicia rossa a scacchi) e Donato Pasini (gilet, di spalle) (sono anche su facebook).

 

 

Roberto mi conferma che sta progettando una stalla nuova con caseificio. Anche il figlio di Zani Bruno, Fabrizio, sta realizzando una nuova stalla di capre con caseificio aziendale. In una grande e bella valle come la Val Vigezzo, molto frequentata dal turismo, al confine con la Svizzera (Locarno è vicino anche se la strada delle Centovalli è tortuosa) e con una buona fama di produzioni tipiche (prosciutto) c'è spazio per diverse aziende.

 

 

 

 

            

 

pagine visitate dal 21.11.08

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