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(24.10.10) Organizzato il 22 nell'ambito del Salone
del Gusto il preannunciato incontro sulla 'Resistenza
casearia' ha 'mandato in onda' una confusa protesta
dei produttori di latte ovino sardi e dei loro simpatizzanti.
Ma di cacio si è parlato poco e male
All'incontro
sulla 'resistenza casearia' tante proteste (fuori tema) e poche proposte
di Michele Corti
Una protesta
senza idee (tranne la richiesta di 'sostegno pubblico')
che ha impedito di parlare di Resistenza casearia
(i cui protagonisti, invece, di idee, , ne hanno
eccome)
Forse era inevitabile, e
agli organizzatori non si può attribuire nessuna
responsabilità, ma l'esito dell'annunciato dibattito
sulla Resistenza casearia è stato, a dir poco,
deludente. Nei giorni della jaquerie sarda, della
rivolta di quelli
che - in omaggio a stereotipi di comodo- i
media si ostinano a definire 'pastori' era inevitabile
che finisse così. Ma si è persa un'occasione
importante per parlare del movimento di resistenza casearia,
dei nessi tra potere e formaggio, dei nuovi spazi di
libertà che la ricontadinizzazione la ripastoralizzazione
rendono possibili. Del ruolo eversivo (e non in senso
figurato) della riappropriazione di saperi non subordinati
ai 'saperi esperti', della riappropriazione di gusti
'selvatici' non omologati, biodiversi. Peccato, veramente
peccato. Speriamo che il prossimo anno a Cheese si possa
rimediare.
Mi
sembrava di essere nel Jurassic Park
Al Lingotto mi è parso di
essere in un Jurassic Park lontano anni luce dai problemi
dei contadini e pastori del terzo millennio. Mi sono
perso parte del dibattito (in teoria partendo da Milano
alle 16 avrei dovuto arrivare alle 18.30 con un ritardo
'accettabile', invece - causa bus lumaca e altri conttrattempi,
sono arrivato alle 18.55). Ci tenevo a partecipare
a questo evento sulla 'resistenza casearia' perché
sono stato tra i primi a parlarne insieme a Stefano Mariotti.
Erano i tempi di Cheese Time (ora qualeformaggio.it e del Primo
incontro Ruralpino
del 2006).
Causa il ritardo ho perso parecchi interventi
importanti (Rubino - moderatore insieme a Piero Sardo
- Licitra, Russo, Scaffidi ) ma se ne sono comunque
seguiti una sfiza anche dopo le 19. E quello che ho
sentito mi è bastato.
Per la verità apparivano
sconsolati anche gli amici Piero Sardo e Roberto Rubino.
Quest'ultimo è intervenuto più volte dissentendo
dai tanti tribuni. Specie quando un sindacalista di
turno ha esaltato la qualità del latte prodotto.
Rubino da trent'anni studia i nessi tra alimentazione,
la quantità del latte prodotto e la 'qualità
globale' (casearia, nutrizionale, salutistica). Ha
anche fondato l'ANFOSC (associazione formaggi sotto
il cielo) per divulgare i pregi del latte da pascolo
e dei formaggi con esso ottenuti.
Comprensibile quindi
che non riuscisse a trattenersi: "me lo deve insegnare
un sindacalista cos'è la qualità del latte?".
In realtà non ci si poteva intendere. Si vedeva
che venivano parlate lingue diverse. Il sindacalista
faceva riferimento alla qualità definita dai
pochi parametri presi in considerazioni dal punto di
vista igienico e industriale; Roberto fa riferimento
a una qualità in un senso molto più ampio,
che però con la qualità dei prodotti finali
c'entra, eccome! Altri sono intervenuti parlando di
'lavoratori della pastorizia' e sostenendo che 'il pastore
deve preoccuparsi di fare il latte non gli compete di
fare il formaggio'. Ah. E chi l'ha detto?
Non è che la crisi
deriva dal fatto che poche industrie fanno tanto Pecorino
romano e che si fa poco Fiore sardo a latte crudo o
altri formaggi artigianali (compresi quelli misti capra
e pecora)?
Di fronte a una filiera in
crisi, quella del Pecorino romano prodotto non solo
in Sardegna anche in 'continente' e ormai 'stramaturo'
si fa finta di ignorare il tema della 'qualità'
e del 'mercato' e si insiste a concepire il problema
dei produttori di latte come un confronto rivendicativo
tra i 'lavoratori' che pretendono un giusto salario
e gli 'industriali'. Lo si diceva decenni fa che il
prezzo dei prodotti è il 'salario dei contadini'.
Ma il mondo è cambiato.
Pastori
o imprenditori?
Mentre
non si può non dare ragione a quanti hanno citato
i generosi aiuti al Grana Padano e al Parmigiano Reggiano
(denunciati da noi in tempi non sospetti come testimonuiano
alcuni articoli delal colonna a fisnco) altri
si sono lasciati andare alla demagogia nonostante i
richiami di Sardo e Rubino.
Il
richiamo più demagogico è arrivato non
già da un 'pastore' ma da un elegante alto papavero
della DG agricoltura della Regione Sardegna che ha identificato
il 'pastore con un poveraccio espluso da altri settori
di attività più dignitosi che si prende
10, 20 o 30 pecore - giuro che ha citato questi numeri
- e cerca di sopravvivere. Insomma una 'questione sociale'.
Che ci sia anche questa dimensione è innegabile
ma il grosso del latte chi lo fa?
E'
lo stesso alto papavero che si da la risposta da solo
menando vanto per una "selezione genetica all'avanguardia
nel mondo". A parte che tante epcore da latte le
ha solo la Sardegna siamo sicvuri che ci sia molto da
vantarsi dall'aver trasformato la Sarda in una Frisona
degli ovini? Jan Douwe Van Der Ploeg*, che è
un sociologo rurale, ma anche gli economisti della scuola
di Wageningen (mica l'utima arrivata, anzi la prima
in Europa) da anni sostengono che chi produce più
latte per vacca va incontro ai peggiori risultati economici.
Risultati che si vedono meglio usando la contabilità
Chayanoviana** che non quella 'neoclassica' modellata
su aziende capitalistiche 'teoriche', ma comunque
la superiorità del risultato economico di chi
oggi cala le rese (e pratica quello che gli olandesi
anno ribattezzato farming economically viene
fuori in ogni caso. Con la crescita del costo di cereali
e soia la vacca come la pecora 'spinta' diventano antieconomiche.
Certo non conviene quasi a nessuno ammetterlo. La spinta
alla produzione in Padania con la vacca Frisona e, in
Sardegna, con la pecora Sarda è convenuta a un
sacco di gente: venditori di attrezzature, di software,
alimentaristi, professori, mangimisti, veterinari, banche,
sindacati agricoli trasfomati in uffici disbrigo pratiche,
associazioni allevatori, burocrazia (che vede lievitare
il suo potere con l'aumento delle pratiche e delle complicazioni
inutili.
La
metafora del mulino a trazione 'umana'
E'
convenuta agli industriali che ad ogni balzo in su di
produttività hanno storicamente ridimensionato
i prezzi. E i produttori come pecoroni a inseguire;
a produrre di più, fidandosi della premiata ditta
Gatto&laVolpe che li 'consigliava'. Un altro
sociologo rurale (l'inglese Marsden) un po' di anni
fa usava la metafora del 'mulino a ruota', quello dove
una persona camminava al'interno di una grande ruota
e la faceva girare per far funzionare le macine. Se
volete è la stessa cosa della ruota del criceto
che corre come un pazzo per restare sempre ... fermo.
Ma almeno il criceto fa esercizio! L'allevatore in questa
corsa per restare fermo ogni tanto cade. La premiata
ditta Gatto&laVolpe ha anche gratificato chi si
è assogettato alle filiere (acquistando i mangimi
e vendendo il latte) con la qualifica nobilitante di
imprenditore. Il Gatto&laVolpe sanno fare
il loro mestiere. Così uno si sente un Agnelli
(un po' più piccolo d'accordo ma su gradino più
elevato di quei 'trogloditi' di contadini e pastori.
Oggi, sostiene Van der Ploeg se la passano meglio i
neocontadini che gli imprenditori.
Purtroppo
la cultura italica urbanocentrica e ruralofobica insiste
nell'equivalenza contadino = servo (comunque un dipendente,
un subordinato) = pezzente. Negli studi di Van der Ploeg
non solo sull'Olanda ma anche sull'Emilia (ha lavorato
parecchio in Italia e proprio sul latte) salta fuori
che le aziende neocontadine che si sono sganciate dalle
filiere industriali sono più grandi di quelle
'imprenditoriali'.
Alla
fine anche in Sardegna è problema di resistenza
casearia (ma al Salone non se ne è potuto parlare)
Il
problema della Sardegna è che, per far fronte
ai i mutui per la stalla nuova, per il grande impianto
di mungitura, per il carro unifeed si è aperto
il rubinetto del latte. Genetica e mangimi hanno aiutato
(un aiuto pericoloso...). Oggi i 'pastori' hanno centinaia
di pecore molto produttive. Sono imprenditori e
gli si liscia il pelo chiamandoli così. Poi nel
2010 tornano tutti per miracolo improvvisamente pastori.
Non prendiamoci in giro.
Ma
ora è grama con i mangimi che salgono e il latte
che scende o, al più, resta fermo. Ci si è
infilati nel vicolo cieco della quantità che
chiama quantità. La strada opposta si chiama
ripastoralizzazione e non implica essere meno professionali,
meno aperti, meno intraprendenti, meno mioderni Tutt'altro.
Con la ricontadinizzazione e ripastoralizzazione si
devono prendere decisioni che nel meccanismo rigido
imprenditoriale ti impongono gli altri. Si devono intessere
nuove relazioni (specie con il consumatore). Ripastoralizzazione
significa valorizzare la risorsa foraggera, il pascolo,
l'allevamento sotto il cielo come presupposto di una
qualità del latte che poi la trasformazione deve
tradurre in formaggi in grado di valorizzarla anche
commercialmente.
Ecco
che allora possiamo tornare veramente alla Resistenza
casearia. Il senso di questa resistenza va individuato
nelle lotte anche aspre condotte da tanti singoli artigiani
del loro latte dalle Alpi alla Sicilia. In sala al Lingotto
c'era Paolo Ciapparelli che da quindici anni sostiene
una delle più aspre ma belle 'resistenze casearie'
che si conoscano in Italia. Non è l'unica penso
proprio ai pastori del Fiore sardo dei pastori,
del Pecorino di Osilo, del Macagn biellese
, dell'Originale malghe del Lagorai ecc. ecc.
E a tante aziende singole che non producono un formaggio
'tipico' ma comunque formaggi artigianali. Contro cosa
si è scontrata la Resistenza? Contro la possibilità
di usare il latte crudo, contro l'imposizione del fermenti
selezionati, contro la possibilità di usare materiali, metodi,
attrezzature, locali 'tradizionali'. Contro la 'burocrazia
del gusto' o i veri e propri 'gendarmi del gusto' che
hanno per esempio colpito il Bitto storico con una sanzione
di 60mila € perché usurpava (!) il 'nuovo
Bitto', Resistenza contro burocrati, uffici veterinari
pubblici, Consorzi delle Dop, Provincie, Regioni. Molti
hanno gettato al spugna. Qualcuno non ha mollato. Peccato
che Ciapparelli che voleva intervenire e che poteva
dire qualcosa di utile abbia preferito lasciare spazio
alla 'protesta sarda'.
*Conosciuto
anche in Italia per l'opera 'I nuovi contadini', Donzelli,
Roma, 2009 (vai
alla recensione)
**
Alexandre Chayanov 1888-1937 - Ruralista ed economista russo vittima di Stalin. Grande teorico del 'modo di produzione contadino'. E' stato definito il Marx dei contadini. Sosteneva l'assurdità di applicare alle aziende famigliari contadine il calcolo economico capitalista
(comprendete l'interesse per la remunerazione del capitale
investito). L'attualità di Chayanov è
data dal fatto che il 'modo di produzione contadino'
rinasce nella crisi dell'agricoltura imprenditoriale
e che la 'logica contadina' è compatibile con
la 'crisi ecologica'. Mentre l'azienda capitalista si espande all'infinito spinta dalla molla del profitto (distruggendo la biodiversità, la fertilità, inquinando e distruggendo gli ecosisteni, come ci siamo accorti in tempi recenti) l'azienza contadina trova il suo equilbrio tra soddisfazione dei bisogni di consumo della famiglia e la fatica del lavoro. Un equilibrio che viene rotto dall'esterno per disgregare l'economia e la società contadina e costringere i contadini a entrare nelle logiche 'imprenditoriali' (o a sparire). Una visione 'sostanzialista', 'populista' secondo i detrattori, più o meno esplicitamente marxisti, ma che la crisi ecologica del modo di produzione capitalista applicato all'agricoltura ripropone d'attualità. Nel suo romanzo fantapolitico (una utopia contadina) del 1920 il protagonista si risvegliava nel 1984 (Orwell verrà dopo con la sua distopia) in un mondo in cui le campagne avevano conquistato la città e le industrie erano state sostituite da cooperative di artigiani. Nella 'fiction' si parlava di un Partito laburista dei contadini. Da questo riferimento le accuse della polizia segreta che, nel 1932, lo portarono nel Gulag. Nel '37, scaduta la condanna, venne subito arrestato e immediatamente fucilato. Un personaggio tuttora scomodo per i 'progressisti'.
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