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Un allevatore fa 'sbarcare' i suoi capi
Michele Corti, Ermanno Venier,Mario Pighetti
IL VIOLINO DI CAPRA DELLA VALCHIAVENNA la vera ricetta
I prodotti (violini e mascarpin) presentati in
questa pagina sono dell'azienda:
AGRITURISMO AQUA FRACTA
Pian della Giustizia, Piuro (So)
0343 3733623020
Materiali
Michele Corti, Luigi Andrea Brambilla
Le razze autoctone caprine dell’arco alpino e i loro sistemi di allevamento
La razza che non esiste: caratteri della capra Ciavenasca
Anche se la Regione Lombardia non ha mai voluto riconoscere la capra Ciavenasca vi sono diversi studi che la descrivono. Questi dati sono riportati anche in pubblicazioni della stessa Regione Lombardia DG Agricoltura
Modelli di pezzatura
Le pezzature sono molto frequenti (86% dei soggetti) con
prevalenza delle “frisature” (Swiss markings) nel 35% del campione.
molto diffuse anche le pezzature irregolari (33%) e in minor
misura la “pavonatura” (8%) e la roanatura (5%). I soggetti bianchi uniformi
sono meno del 4%.
Modelli di pigmentazione
Prevale il tipo eumelanico nero (tot. 46%) anche se solo
l’8% è del tipo “nero uniforme”. Solo il
4% del campione è risultato del tipo feomelanico (rosso). Molto diffuso anche
il tipo “Faccia di tasso” anche se, a questo proposito, si deve osservare che
rispetto al modello “canonico”: maschera facciale, riga mulina, ventre scuro e
arti scuri i tipi riscontrabili nel nostro campione tendono a discostarsi anche
in modo significativo. In alcuni casi l’estensione del colore nero è notevole
riguardando buona parte del fianco e della testa ; in questo caso abbiamo
indicato a parte questi soggetti qualificandoli come “faccia di tasso nero
esteso”. Non sempre, poi, il ventre è uniformemente nero e anche le zampe
possono presentare colorazione nera solo sulla faccia craniale. Ci si trova di
fronte nella realtà da noi riscontrata a tipi che si presentano intermedi tra
quelli descritti in letteratura come “faccia di tasso” e “selvatico”. Nel
nostro studio solo in un caso ci è parso di rinvenire un tipo “selvatico”
mentre, in attesa di definire un criterio più adeguato e comunemente accettato
di classificazione, abbiamo preferito assegnare gli altri soggetti al tipo
“faccia di tasso”. Riguardo alla
pigmentazione feomelanica abbiamo ritenuto di suddividere il tipo “Faccia di
tasso” in due categorie indicando separatamente i soggetti con un colore
marcatamente chiaro. Ulteriori specificazioni andrebbero operate per quanto
riguarda la pigmentazione del pelo in quanto nella maggior parte dei casi il
tipo “Faccia di tasso” presenta peli pigmentati in nero alla base mentre alcuni
soggetti (tutti con pigmentazionene feomelanica chiara) presentano
depigmentazione alla base. Non molto
diffuso, ma presente, il modello “nero e fuoco” che si presenta anch’esso con
varie varianti che si discostano dal modello “canonico” dal momento che non
solo il ventre ma, anche le zampe possono risultare scure. La localizzazione
dei peli pigmentati in rosso è, invece, di norma sull’occipite, le orecchie, il
sottocoda, ma, a volte anche, sul collo.
Altri caratteri visibili
Nella seguente tabella vengono riportati i risultati
ottenuti per i seguenti caratteri: lunghezza del pelo, presenza o assenza di
barba, tettole e corna. Il pelo è nella stragrande maggioranza dei casi corto.
Le corna sono nella maggiorparte dei casi (61,5%) presenti anche se questo
carattere dipende dalle scelte degli allevatori ed è stato riscontrato come in
alcuni allevamenti vi sia prevalenza di capre acorni.
Pelo
|
n
|
%
|
Barba
|
n
|
%
|
Intermedio
|
3
|
2,8
|
Presenti
|
101
|
92,7
|
Corto
|
105
|
96,3
|
Assenti
|
8
|
7,3
|
Lungo
|
1
|
0,9
|
|
|
|
Totale
|
109
|
|
Totale
|
109
|
|
Tettole
|
n
|
%
|
Posizione
tettole
|
n
|
%
|
Presenti
|
59
|
54,1
|
Alta
|
0
|
0
|
Assenti
|
50
|
45,9
|
Bassa
|
59
|
100
|
|
|
|
|
|
|
Totale
|
109
|
109
|
Totale
|
59
|
59
|
Corna
|
n
|
%
|
Presenti
|
67
|
61,5
|
Assenti
|
42
|
38,5
|
|
|
|
Totale
|
109
|
109
|
La capra Ciavenàsca non presenta uniformità di caratteri
trattandosi di popolazione non standardizzata. Si deve , però, constatare che
alcuni aspetti del profilo fenotipico presentano una prevalenza di alcuni tipi.
Ciò vale innanzitutto per la lunghezza del pelo dove la
presenza di pelo lungo o intermedio è eccezionale. Per quanto riguarda i
modelli di pigmentazione prevale nettamente quello eumelanico con forte
presenza, però, anche della “faccia di tasso”. Molto diffuse sono le pezzature
che nella maggioranza dei casi sono di tipo “friso” (Swiss markings). La capra Ciavenàsca presenta le
caratteristiche tipiche della capra Alpina “comune” anche se la frequenza di
alcuni tipi morfologici sembra caratteristica e tale da differenziarla da altre
popolazioni quali la Lariana che pure occupano un areale limitrofo.
Misure biometriche
capra Ciavenàsca
(media
109 soggetti adulti)
Misura
|
cm
|
Altezza
garrese
|
75,2
|
Altezza
torace
|
34,1
|
Larghezza
torace
|
18,0
|
Lunghezza
tronco
|
81,4
|
Circonferenza
torace
|
88,3
|
Circonferenza
stinco
|
9,1
|
Fonte: M. Corti, M. Curtoni, 2002
|
|
(25.03.11) Si sono persi decenni snobbando gli allevamenti estensivi, gli allevatori pluriattivi, gli alpeggi ed inseguendo solo gli allevamenti intensivi, gli unici degni di considerazione in una distorta visione 'tecnica' e 'moderna' della zootecnia. Ora si spera in un ripensamento della politica
Alla mostra ovicaprina di Chiavenna
voglia di valorizzare le risorse del settore
testo e foto di Michele Corti
Prima Mostra APOC (ass. produttori ovicaprini della provincia di Sondrio) dopo il passaggio di consegne tra lo storico presidente degli allevatori ovicaprini Mario Pighetti e il giovane Andrea Morelli. E tra i giovani allevatori c'è voglia di impegnarsi anche in iniziative di rilievo economico per valorizzare un patrimonio considerevole
La mostra ovicaprina 'mandamentale' del 20 marzo
organizzata dall'APOC ha confermato che la Valchiavenna è area di elezione per
l'allevamento ovicaprino (più caprino che ovino). Organizzare una Mostra ovicaprina con oltre
cinquanta allevatori non è cosa da poco. Per farlo l'APOC (Associazione
produttori ovicaprini della Provincia di Sondrio) ha avuto a disposizione un
finanziamento di 3.000 € della Comunità Montana più altri contributi di
sponsor privati e della Provincia. Quest'ultimo particolarmente apprezzato
perché è la prima volta che la Provincia sostiene la Mostra di Chiavenna. E in
tempi di vacche magre ...
Una mostra con diverse novità significative
Era anche la prima volta che la mostra di svolgeva nel piazzale di Pratogiano, un luogo importante per Chiavenna perché su di esso si affacciano numerosi i famosi 'crotti', tra cui diversi funzionanti come ristoranti. Un cambio di 'location' molto significativo e positivo rispetto a quello di diverse edizioni precedenti che si svolgevano al campo sportivo ai margini dell'abitato.
Il significato di una mostra come questa emerge subito sin dalle 8 del mattino quando (foto sopra e a fianco) arrivano a decine con ogni tipo di mezzo (Ape, trailer, furgoncini) i contadini-frontalieri, ma anche di 'agricoli' a tempo pieno che operano nel contesto di piccoli-medi allevamenti (spesso anche con bovini) che hanno mantenuto un rapporto con la montagna a differenza dei 'frisonisti' pur ben presenti nella piana di Chiavenna.
La mostra è una delle poche occasioni per 'fare gruppo', per far valere una identità (che rischia di sbiadire) di montanari, di allevatori, di pastori.
Tornando alle novità di questa mostra rimane da ricordare quella più importante: il cambio di presidente. Dopo molti anni il vulcanico Mario Pighetti ha ceduto il testimone al giovane Andrea Morelli. Come molti altri allevatori ovicaprini della valle Andrea oltre ad essere allevatore (con 30 mucche e 40 capre della popolazione autoctona Frisa valtellinese) svolge anche un'altra attività collaborando all'impresa famigliare di commercio ortofrutticolo all'ingrosso. Pighetti, in ogni caso (foto sotto) è ancora l'anima della mostra (e dell'APOC) anche se si è preoccuopato di valorizzare il ruolo del suo giovane successore.
Da sinistra: Andrea Morelli, Enio Bombardieri (Provincia di Sondrio, Settore Agricoltura) e Mario Pighetti
La pluriattività caratterizza la maggior parte degli allevatori valchiavennaschi. Parecchi sono frontalieri e riescono a conciliare la cura degli animali con il lavoro in Svizzera (la frontiera passa dalla Val Bregaglia a pochi km da Chiavenna sulla strada del Maloia). Alcuni affidano i capi ad alpeggiatori, alcuni si recano in alpeggio anche con centinaia di capre (come il sig. Del Bondio di Villa di Chiavenna ritratto nella foto sotto). La maggior parte, però, lascia gli animali incustoditi durante l'estate limitandosi a controllarli più o meno a distanza.
La maggior parte dei soggetti presenti alla Mostra erano capre del tipo Frisa , un ceppo alpino tra i più interessanti che deriva dall'introduzione del ceppo dell'alta Valtellina ma anche da immissioni dalla vicina Svizzera.
Capra Frisa. Le strisce bianche sul muso che si estendono intorno alla bocca, insieme alle orecchie, al sottocoda, alle estremità bianche degli arti costituiscono un modello di pezzatura ben definito nelle capre chiamato "Swiss Markings". Nella Ciavenasca 'verace' questa pezzatura non è mai completa
La capra autoctona chiavennasca, conosciuta come Ciavenàsca presenta mantelli di vario colore ma caratteri che la distinguono dal ceppo 'Lariano' che pure occupa un territorio limitrofo. Nonostante questo la capra Lariana detta anche di Livo è stata riconosciuta come popolazione caprina a limitata diffusione e inserita nel numero delle popolazioni che possono accedere ai relativi contributi. La Ciavenasca non ha mai potuto essere riconosciuta in assenza di un parere favorevole della Regione Lombardia. Nonostante la documentazione presentata e i dati pubblicati dalla stessa Regione. La burocrazia ha deciso che non le stava simpatica e così niente riconoscimento e niente contributi. Un fatto che equivale a decretarne la scomparsa, visto che chi in Valchiavenna alleva le Frise può incassare il premio per le razze in estinzione. Ovvio che se sono un allevatore - a meno di una particolare passione per la 'nostrana' - cerco di utilizzare un becco Friso e di ottenere capretti bianchi e neri.
Capre Ciavenasche in mostra
Anche allla Mostra di Chiavenna di domenica scorsa la capra Ciavenasca ha dovuto subire l'insulto di essere catalogata 'meticcia', lei che è di certo la più autoctona e la più biodiversa. Ma a parte l' immeritata collocazione nel limbo del meticciato quello che mi è spiaciuto di più è che, nonostante ci fossero presenti un numero discreto di capre, di becchi non c'era l'ombra. Quantomeno l'ombra di soggetti meritevoli di un premio. E siccome il giudice ero io il premio ai becchi 'meticci' non è stato assegnato.
Massiccia capre Ciavenasca nel suo ambiente (anche questa foto è mia, anche se ha circolato). Si noti la stuttura scheletrica.
Prima di proseguire con le capre una parola per le pecore. Non erano molto numerose. Un po' di derivati Bergamasca-Biellese, un po' di derivati Suffolk. La presenza più significativa in mostra era quella dei derivati 'Bianca delle Alpi', la razza svizzera allevata nelle valli limitrofe.
Un simpatico gruppo di ovini derivati dalla razza svizzera merinizzata 'Bianca delle Alpi'
Tra questo gruppo vi erano soggetti di discreto valore. Ritengo che questo sia il tipo di ovino su cui puntare dal momento che unisce rusticità e buona conformazione ai fini della resa in carne. Una razza che può fornire sia agnelli da latte pesanti che agnelloni leggeri da macellare in autunno dopo aver fruito di alcuni mesi di pascolo. L'agnellone leggero da pascolo d'alpe dovrebbe diventare il prodotto di punta una volta stabilita una filiera locale in grado di valorizzarlo commercialmente superando lo scoglio della concorrenza di generico prodotto estero.
Un gruppo di Frise
Le capre presenti
A parte la Ciavenasca la parte del leone alla mostra la facevano le Frise. Non mancavano delle Verzaschesi (vedi il becco sotto, decisamente il migliore della mostra), delle Camosciate delle Alpi e delle Saanen. In valle vi sono anche nuclei di Orobica ma, pur previste, non sono arrivate. Sulle razze minori non c'è molto da dire; si tratta di nuclei di pochi allevatori e non c'è stato quell'interesse che un certo spirito competitivo determina quando vi sono molti soggetti e un premio diventa ambito.
Un bel becco Verzaschese. In mostra c'erano anche alcune signore capre Verzaschesi di 'vecchio tipo'. Di taglia notevole rispetto a quelle che si vedono in provincia di Varese (ma anche di Como)
le Frise in mostra erano persenti e c'era anche un discreto drappello di becchi e becchetti tra I quali è stato possibile fare una ragionevole 'selezione' per individuare i soggetti premiati. le femmine Frise erano sufddivise in tre categorie: fino a un anno, da uno a due anni, oltre due anni. I soggetti erano parecchi e qundi c'era spazio per la competizione.
Competizione o aggregazione?
La competizione a volte, però, nelle mostre zootecniche degenera in sterili diatribe e ci si chiede se le mostre servano a unire o a dividere gli allevatori. Poi non ci si può non chiedere "Ma le mostre si fanno tanto per farle, per reiterare stancamente un rito o hanno un significato?". Bisognerebbe chiedersi perché sono nate le mostre zootecniche e a che scopi rispondessero in passato. Storicamente le mostre hanno indotto la diffusione di certi 'modelli' da raggiungere, modelli di 'bellezza' legati a obiettivi di miglioramento del patrimonio zootecnico. Un miglioramento che non può essere fine a sè stesso o, peggio, in conflitto con le esigenze economiche. É bene precisare che 'miglioramento' non significa animali più produttivi o più 'belli' alla luce dell'accentuazione di determinate caratteristiche legate ad alcune attitudini produttive piuttosto che ad altre. Se ci dimenticassimo queste premesse. Il 'bello' in un animale da carne è ben diverso che in un animale da latte. Un cavallo da tiro pesante esprime una 'bellezza' diversa dal P.S.I. (purosangue inglese). Una Holstein esprime una bellezza diversa da una Simmenthal. Nelle capre si è un po' dimenticato che la ricerca della 'bellezza' legata alla elevata produzione lattea è criterio valido laddove c'è spazio per l'allevamento intensivo basato su razze tipo Saanen, amosciata, Nubian, Toggemburg. Ma nel caso delle razze autoctone dove il pregio è legato al bilanciamento tra rusticità, produzione di carne e di latte le cose stanno diversamente. Nel giudicare i numerosi (e spesso validi) soggetti Frisi presentati alla mostra ho ritenuto pertanto di dover dare un segnale preciso. La Frisa non deve ulteriormente ingentilirsi pena la perdita della propria identità e del suo 'spazio' che ne fa un'ottima razza a duplice attitudine, probabilmente la migliore in Europa per l'utilizzo di pascoli di montagna. Quando negli anni '80 la Frisa è stata per la prima volta descritta dal Prof. Gallarati Scotti e dal sottoscritto non erano pochi i soggetti 'che parevano cammelli'. Un certo ingentilimento era necessario se si voleva tornare a valorizzare anche il latte. Ma poi si è passato il segno.
La montagna chiede animali da montagna
Parecchi erano in mostra i soggetti 'gentili' con collo lungo e fine, la testa leggera. Belli se ... non fossero Frisi. Parecchi anche quelli acorni. Sia che la capra nasca senza corna sia che venga presentata senza (in quanto - secondo le pratiche degli allevamenti intensivi - gli abbozzi le sono stati cauterizzati da capretta ) ritengo un difetto grave la capra Frisa 'muta', 'disarmata'. Tanto più che la razza è stata descitta come 'eccezionalmente acorne'. Il guaio è che vi erano in mostra anche maschi 'muti'. Per non creare tensioni inutili alcuni soggetti acorni di buona struttura sono stati classificati (terzo parimerito). Ho cercato di dare conto di questi orientamenti in modo che non fossero percepiti come una forzatura. Di più per 'smontare' il clima di competizione sterile e per 'sdrammatizzare' la valutazione ho cercato di coinvolgere gli allevatori nella valutazione stessa invitandoli a considerare insieme pregi e difetti degli animali 'rivali'. Un modo di procedere possibile dato il carattere non ufficiale della mostra (i che non significa 'alla buona'). Una valutazione più 'tecnica' è stata applicata alla miglior mammella. I questo caso, c'era da attenderlo la migliore apaprteneva a un Saanen (di Giacomo Pighetti). Anche tra le Frise, però, si sono osservare mammelle ragguardevoli. Nel complesso le caprette e le capre giovani Frise hanno messo in evidenza una buona qualità. Meno entusiasmante il gruppo delle capre sopra i due anni. La presenza di 'allievi' numerosi e pregevoli è un bel segno. Però a questo punto ci si chiede: belle capre e numerose, ma per fare cosa? Con che orientamenti, con che obiettivi. Se non si torna a parlare di economia pastorale, di produzioni, commercializzazione l'esercizio 'tecnico' diventa fine a sè stesso, un pretesto per far girare apparati mangiasoldi autoreferenziali (e in tempi di vacche magre ....)
Il mascarpin de la calza, specialità caprina valchiavennasca
L'APOC vuole rifarsi: basta cenerentola
Nel corso del pranzo seguito alal mostra (presso l'agriturismo Aqua Fracta della famiglia Pighetti) cìè stato modo di approfondire i temi dell'operatività dell'APOC e delle prospettive del rilancio del pastoralismo in Valchiavenna. Un rilancio di cui c'è grande bisogno perché poche realtà come la Valchiavenna vedono begli alpeggi, serviti per di pià da strade e ricchi di acqua, abbandonati o gravemente sottocaricati.
L'APOC e il 'comparto' ovicaprino per troppi decenni trattati da cenerentole in una valle lanciata verso il 'modello padano' della Frisona e del Silomais. Un modello, oltretutto, 'drogato' dalla fruizione (sino ad oggi) dell'indennità compensativa prevista per le aree svantaggiate (vedi l'articolo qui su Ruralpini dove si denuncia, proprio con l'esempio della Valchiavanna, questa situazione scandalosa C'è montagna .... e pianura ). L'APOC e il comparto estensivo sono stati snobbati anche nell'ambito delle iniziative a favore degli ovicaprini che, per scelte della Regione, hanno privilegiato l'approccio 'tecnicistico' proprio delle APA (associazioni provinciali allevatori) e iniziative utili ai soli allevamenti intensivi.
Gli allevamenti di razze autoctone in questo quadro sono serviti solo a 'fare numero' ma sono stati del tutto trascurati. Anche in provincia di Sondrio e nella stessa Valchiavenna dove sono è stata incoraggiata la diffusione di allevamenti intensivi in alcuni casi finiti a gambe all'aria. I problemi del raduno di greggi sugli alpeggi, della carne, della macellazione sono stati ignorati. Unica iniziativa allargare il disciplinare del Presidio Slow Food del Violino di capra alle capre Saanen e Camosciate a fine carriera e ammettere cosce di peso ridotto. Mario Pighetti, nonostante sia un allevatore di Saanen, nel suo ruolo di presidente dell'APOC ha fermamente contestato queste decisioni. Ma l'APOC, non disponendo dell'apparato tecnoburocratico dell'APA - un apparato 'omogeneo' culturalmente e funzionalmente alla burocrazia regionale - non è mai stato considerato un interlocutore dalla Regione che, per anni, ha puntato ad un monopolio delle APA in materia di progetti zootecnici. Va anche detto che la stessa Coldiretti, di cui l'APOC è emanazione, non ha fatto molto per dare spazio ad una associazione produttori che, in provincia di Sondrio, era arrivata a 140 soci. Polemizzare sul passato (vedi anche quanto da me scritto qualche anno fa) non serve più di tanto. Ora anche in Regione sta maturando la consapevolezza politica che per la montagna, gli allevamenti estensivi, il pastoralismo si è fatto poco e quel poco non è spesso andato a buon fine.
Ai giovani allevatori le idee non mancano
Ora pare che ci sia una contingenza favorevole: un'attenzione maggiore da parte della Regione per la montagna nella consapevolezza che quanto fatto sino ad oggi spesso non è andato a buon fine. L'APOC sta elaborando progetti concreti sempre che riesca a mettere insieme una 'massa critica' di allevatori (cosa non facile). Ma si ritorna a parlare di un macello, di un marchio (per l'agnellone leggero l'alpeggio ma anche per i Violini di capra e i formaggi caprini), di costituire greggi collettivi custoditi e 'coltivati' in luogo dei piccoli greggi 'bradi', di sfruttare le opportunità offerte dalla 'misura L' che inserisce per i pascoli adeguatamente gestiti un nuovo premio in aggiunta alla indennità compensativa.
Da parte mia sono convinto che esperienze di questo tipo in Lombardia possono nascere solo in Valchiavenna e che quindi avrebbero anche il significato di 'progetto pilota'.
Appendice
Di seguito riporto le note (polemiche) da me scritte qualche anno fa per gli amici dell'associazione RARE (razze autoctone a rischio di estinzione) di presentazione alla pubblicazione "Valorizzazione delle razze caprine autoctone della Lombardia" realizzata nell'ambito del progetto con lo stesso nome. Sono ancora attuali. Solo che ora è tempo di agire in positivo e che, almeno a parole, il riconoscimento di certi errori del passato si è fatto strada.
La robusta presenza di un settore di allevamento "autoctono" è il risultato di una straordinaria resilienza dell'allevamento caprino che, almeno in alcune aree della montagna più aspra, è riuscito a recuperare sempre terreno dopo i "bandi" reiterati dal XVI al XIX secolo che hanno in alcuni casi comportato la macellazione o l' "emigrazione" delle capre sotto la minaccia di pesanti sanzioni, dopo la politica di micragnose "deroghe" alle leggi forestali che, nel XIX secolo, in molte località di montagna concedevano di mantenere al più 1-2 capre alle famiglie "più miserabili", dopo la "supertassa" fascista del 1927.
Oggi le politiche contrarie all'allevamento caprino autoctono sono più sottili. In nome della "professionalità" e della "redditività" si inducono gli allevatori a sostituire le capre "meticce" con quelle "selezionate". Dove gli allevamenti si trasformano in fabbriche del latte in miniatura (mutuando dal settore bovino tecnologie e una distorta cultura produttivista) le produzioni aumentano, ma a prezzo di perdita di valori culturali e di problemi di sostenibilità ambientale; dove il sistema rimane semiestensivo i livelli produttivi delle "gentili" non superano quelli delle autoctone perché i fattori limitanti (qualità dei pascoli, fattori climatici) non consentono di esprimere il potenziale produttivo delle capre "migliorate" (ma dovremmo dire peggiorate dal punto di vista della variabilità genetica e della fitness bioterritoriale).
Le varie agenzie che con i finanziamenti pubblici esercitano, secondo logiche corporative del tutto lontane dalle esigenze di uno sviluppo rurale montano integrato e autosostenibile, funzioni di "servizi di sviluppo all'agricoltura" nella sostanza spingono ancora nella direzione degli allevamenti intensivi e vedono nel comparto degli allevamenti "autoctoni" una "nicchia" da presidiare e far sopravvivere senza "disturbare troppo" le logiche forti delle filiere grandi e piccole dell'agroindustria.
L'erosione genetica è una minaccia più subdola rispetto alle politiche anticapre dell'età moderna e contemporanea, ma la diffusione tra la gente comune dell'interesse per i problemi che stanno dietro al cibo e al "prodotto tipico" (ed in particolare per quelli della biodiversità e del valore culturale dei sistemi zootecnici e pastorali tradizionali) può far cambiare l'approccio corporativo e tecnocratico alla gestione dei fatti legati all'agricoltura e all'allevamento, rimettendo in circolo queste risorse per quelle finalità multifunzionali che ne possono assicurarne la continuità. La panoramica delle popolazioni locali caprine della Lombardia mette in evidenza una interessante variabilità di caratteri visibili e la presenza diffusa di ceppi autoctoni in tutti i settori delle Alpi lombarde. Si tratta di un patrimonio importante stante la quasi scomparsa di popolazioni autoctone di altre specie (basti pensare alla sorte della pecora Varesina, del cavallo di Samolaco, dei ceppi di suini neri, alla problematica sopravvivenza della vacca Varzese).
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