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Offese di sapore razzista a tutta la categoria dei pastori

di Michele Corti

Due anni fa, in piena campagna elettorale per eleggere il nuovo sindaco, una candidata 'progressista' aveva dato dei 'beceri contadini' ai sostenitori del centro-destra. Adesso è il quotidiano locale "la cronaca di Cremona" a dare dei 'furfanti' ai pastori transumanti

In un articolo dal titolo programmatico "Greggi in pianura, nessuna regola. Dopo il passaggio il deserto'" Il giornalista Sergio Mantovani de 'La Cronaca di Cremona' e l'ambiental-animalista Adriano Wainer Galli fanno a gara a lanciare gravi accuse a tutta la categoria dei pastori secondo un cliché che ricalca polemiche e pregiudizi secolari. Solo per i pastori i secoli non passano.  Per loro non vale il rispetto, il garantismo, il criterio di non mettere sul banco degli imputati un'intera categoria di persone sulla base di presunti illeciti di singoli.

 

La guerra alle pecore non è una novità a Cremona  (premessa storica interessante, ma se non hai tempo, salta oltre)

 

Le polemiche contro le pecore a Cremona non sono nuove e sono sempre state particolarmente virulente. Centodieci anni fa il quotidiano La Provincia di Cremona, tra marzo e aprile, ospitò diversi interventi di botta e risposta di due veterinari: il Dr. Fausto Strozzi di Casalbuttano e il Dr. Lodovico Braga di Soresina. Il primo argomentava che la pastorizia era un male assoluto e andava abolita. Per fare questo auspicava una crociata:

"Contro questo vero flagello di Dio che periodicamente scende a colpire le nostre pianure non sono le proteste ed i lamenti che fanno difetto ogni anno. A giudicare dai mali enormi che esso arreca all'agricoltura della valle del Po - dalla devastazione delle colture alla diffusione dell'afta epizootica - a quest'ora una tenace e generale solidarietà avrebbe dovuto riunire tutti gli agricoltori in una santa crociata contro le orde invadenti."

Il Dr. Lodovico Braga di Soresina, pur non assumendo le difese d'ufficio dei pastori e non  negando la presenza di danni 'agricoli e sanitari', riteneva profondamente ingiusto sopprimere la pastorizia suggerendo di regolamentare il 'pascolo vagante'.  Nel suo scritto del settembre 1901 (vedi sotto il frontespizio dlel'estratto a stampa) il veterinario scrisse.

"Volere sopprimere un'industria che è sempre vissuta a memoria di secoli, van­taggiosissima, che vive d'espedienti che non gravano veramente sul bilancio di chichessia, perchè altrimenti le erbe dei cigli delle strade, ecc., dei monti, ecc., andrebbero perdute, non è proprio a parer nostro un vivere alle spese o alle spalle d'altri. Il Governo interessato alla ricchezza nazionale adotterà quel qualunque siasi espediente, che avrà valore di ovviare certi danni ma non mai metterà mano all'estinzione di una produzione vantaggiosa e decorosa".

In realtà il Dr. Lodovico Braga,  'pro ovini',  fece presentare  dall’on.  Deputato Pavia nello stesso 1901 un progetto di legge prevedeva il divieto del pascolo vagantivo delle  pecore nelle provincie del Piemonte, della Lombardia, del Veneto e dell’Emilia; in  compenso ogni comune  delle suindicate regioni avrebbe dovuto provvedere a  mettere a disposizione un ricovero per una mandra di pecore, o per esso un privato. Il contenuto del progetto è esposto in uno scritto precedente della serie  (L. Braga, Ancora Pro ovini, Cremona, 1901). Braga prevedeva che:

 

“abolita una forma difettosissima di esistenza di  un’industria ostica non solo ai nostri conduttori di fondi del piano, ma ai medesimi  pastori, assisteremo ad una rigenerazione ovina che tornerà utile e di decoro ad una  nazione incivilita quale la patria nostra”

 

anche nell'interese di  “quei poveri  parias che si chiamano pastori”. Nel regolamento si prevede un regime di stretta sorveglianza del pastore che avrebbe  dovuto raggiungere il comune di destinazione senza  fermarsi se non lo stretto  necessario, avrebbe dovuto restare entro i confini  assegnati di pascolo e pernottare  obbligatoriamente nell’ovile messo a disposizione (previa corrisponsione di un  affitto). In un regime di sorveglianza quasi poliziesca il pascolo sarebbe stato

consentito solo “dall’Ave Maria del mattino a quella della sera”, inoltre il veterinario  comunale sarebbe stato tenuto a visitare ogni quindici giorni (!?) il gregge ed a  redigere “rapporto in iscritto ancorchè negativo”.

 

Niente di nuovo perché già nel secolo precedente i 'terrierii cremonesi avevano cercato di 'estirpare' a pastorizia. Sentire cosa scrivevano gli 'estimati' (proprietari terrieri) di Corte de' Frati in una trasmessa dalla Delegazione provinciale (sorta di giunta provinciale)  al governo lombardo-veneto (Congregazione Centrale) nel 1826, ovviamente con parere di appoggiare le richieste degli agrari contro quella che veniva definita: " Una massa di uomini corrotti [che ] calpesta ogni legge impunemente"

 

"Si trovano fra essi [terrieri] de’ piccioli proprietari e fittabili che per lucro di  poche lire, di poca lana, o del dono di una pecora  danno ricetto a pastori ed ai loro  armenti che discendono tra noi sui primi di Novembre, e vi dimorano a tutto Maggio  successivo. Chi conosce mezzanamente l’economia campestre sa quanto pregiudizio arrechino le pecore ai vegetali col loro morso velennoso e col loro calpestio. Le leggi  statuarie della nostra Città proibivano saviamente di dar ricovero ai pastori, e sono ben  pochi i proprietari che non vietino per istrumento a suoi fittabili di tener pecore, o capre  sui loro fondi. Le nostre campagne sementate a ricchi prodotti, e fornite di numeroso  bestiame esigono per il pubblico interesse che si allontani un tanto flagello dell’industria  privata e della ricchezza nazionale e che mette a cimento il Colano  [agricoltore] con la tracotanza de’ Pastori facili a minaccia di vita, ad incendi a taglio de’ viti e, di gelsi. Non sarebbero i sottoscritti nella necessità di rivolgere i loro reclami alla Superiorità se ad esempio d’altre Comuni più saggie avessero col reciproco accordo eliminati i pastori ed il loro  gregge. Felice ma rara combinazione! E quindi alla  saggezza dell’Imperial Regio Governo che i terrieri di Corte de’ Frati dirigono supplichevoli la presente rimostranza nella fiducia di ottenere una immediata provvidenza per la giustizia delle loro domande e supplicano in pari tempo la Deputazione Comunale  poiché voglia inoltrare con favorevole rapporto. Corte de’ Frati primo settembre 1826”.

 

 La risposta di Milano fu netta, in favore dei pastori: “In quanto alle pecore considerate come ramo di ricchezza nazionale pel prodotto delle lane si diedero le opportune istruzioni perché fossero loro disciplinati i pascoli de’ fondi comunali e si raccomandò alle I.R. Delegazioni Provinciali anche di animare con ogni mezzo e persuadere i privati a non denegare ai pastori i pascoli, di cui avessero bisogno sui loro poderi”. Per quanto riguarda i danni eventualmente provocati ai fondi vicini la C.C. ritiene che “provveggono già le disposizioni vigenti”

 

Nelle loro polemiche i proprietari terrieri e le amministrazioni locali invocavano l'applicazone dell'editto del 25 aprile 1775 :

 

“fondamento del quale è il principio che nessun pastore di pecore o capre possa farle transitare o moltomeno pascere nel fondo altrui  senza licenza del padrone sotto comminativa della multa di lire due Milanesi per ogni capra o pecora trovata a pascolare negli altrui fondi senza licenza del proprietario  stabilito a cauzione di penale il diritto di sequestro degli stessi animali, il qual diritto di sequestro potrebbe essere regolato secondo la massima adottata dal art. 2320 del Codice Civile Universale Austriaco”.

 

Le autorità cremonesi chiedevano sanzioni penali  severe quando “per avventura non si riputasse più acconcio l’assoluto divieto di  numerosi armenti di bestie lanute che di tanto infestano le nostre campagne”Si vorrebbe un assoluto divieto al pascolo ovino,  oltre a quello caprino, impedendo anche il pascolo  con il consenso dell’agricoltore  proprietario del fondo “[gli agricoltori] chiedono che sia provveduto all’abuso di dar  ricetto la più parte dell’anno agli armenti delle bestie lanute”. nelle loro perorazioni anti-pecore i proprietari terrieri si appellano alla presenza di vigneti osservando che l'unico territorio a pascolo in alcuni distretti come quello di Casalmassione è solo quello sulle sponde del Po (che oggi, nel XXI secolo gli pseudo-ambientalisti vorrebbero del tutto precludere ai greggi)

 

“l’introduzione delle bestie lanute [...]  e massime nel Territorio di Casalmaggiore è  tanto più perniciosa in quanto [...] detto territorio è tutto a vigna e sprovvisto di  pascolo se si esclude la parte che fa fronte alla sponda del Fiume Po.”

 

 Stanca di tante proteste la Congregazione Centrale di Milano risponde che del ripristino dell'editto di Maria Teresa nopn si parla nemmeno ma prospetta una soluzione di controllo deli pastori con l'obbligo di indicaare dove pascoleranno e quando e a condizione che ci sia il consenso del proprietario del fondo.

 

Se si va indietro nei secoli ptroviamo che l'editto del 1775 non è certo il primo di una serie di 'grida' che, a partire dal XVI-XVII secolo tendono a limitare e, qualche volta, a proibire la presenza dei pastori. Nel 1653 veniva emeso un proclama a Cremona in cui si stabiliva che “ne ardeat in territoris illius Provinciae introducere Pastores cum ovibus seu ques  ipsas retinere” [e non si osi far venire pastori con pecore nel territorio di quella provincia o farveli restare]. Ma le 'grida' erano destinate a restare tali.

 

 

Quando le pecore erano una ricchezza da ... 'tosare'

 

Se si risale ancora più in là nel tempo, però, si scopre che il rapporto tra Cremona e le pecore transumanti era ben diverso e che nel medioevo la transunmanza era fonte di ricchezza anche per i cremonesi, anche se la città padana non divenne mai un centro laniero del calibro di Bergamo.

Nel 1186 l'imperatore Federico I concesse ai figli del  cremonese  Cremoxanus (ovvero proveniente da Cremosano, località a NO di Crema) il monopolio della protezione dei greggi bergamasche svernanti nella  diocesi di Cremona; la 'protezione' era di fatto un pedaggio sulla conduzione e custodia delle greggi. In qualche caso i proprietari della pianura, invece di limitarsi alla  facile e lucrosa riscossione dei diritti di pascolo, gestivano essi stessi la transumanza,  ma si tratta di casi isolati. Sempre a proposito di Cremona sappiamo che nel XIII  secolo i ricchi personaggi di questa città, noti per la passione per l’allevamento di  cavalli di grande bellezza, possedevano anche grandi greggi che svernavano sulle  glaree (gère, ovvero distese ghiaiose) lungo il corso del Po. Essi erano governati da pastori bergamaschi che, probabilmente, le conducevano d’estate sugli alpeggi Da queste notizie  ricaviamo che il rapporto tra la pastorizia transumante e il territorio Cremonese fu  molto stretto sin dagli inizi della transumanza a lungo raggio nel XII secolo. Oltre ai diritti di pascolo i pastori dovevano pagare tributi di passaggio ai vari comuni, tributi per il passaggio dei ponti e per la 'protezione'. Quest’ultima che, come visto costituiva un  privilegio accordato ai figli di Cremoxanus (divenuti poi la famiglia dei Malfiastri) venne confiscata dal  Comune di Cremona nel 1288 che continuò a riscuoterla anche nel XIV secolo ricavandone entrate consistenti e mantenne il nome di 'tassa dei Malfiastri'. Al comune di Cremona la pastorizia transumante aveva fruttato anche la vendita dei 'bareg' sulle rive del Po. I baregh (da: Peri, Dizionario Cremonese, 1847) erano i recinti di pertiche di legno sostenuti da pali che servivano per rinchiudere di notte il bestiame nei luoghi aperti. Ancora oggi si chiamano barech i recinti in pietra a secco sugli alpeggi della montagna lombarda. I documenti cremonesi medioevali ci raccontano anche di liti tra pastori bergamaschi e cremonesi: tentativi di eludere le gabelle, 'rappresaglie' (sequesti di bestiame) ma è chiaro che nel medioevo le pecore erano ben accette in quanto potevano fruttare denaro.

 

 

La 'guerra' contro i pastori "all'alba del XXI secolo"

 

Da mille anni le pecore scendono dalle montagne bergamasche e camune (e vi risalgono puntualmente a maggio). Da mille anni le rive del Po sono utilizzate come pascolo. Da cinquecento anni si assiste a ricorrenti 'crociate' e 'guerre' contro i pastori. con editti, grida, regolamenti miranti a fermare le 'orde' ovine. Non saranno quattro ambiental-animalisti a impedire un'attività cui il buon senso ha sempre attribuito un'utilità economica e ambientale. Se così non fosse la pastorizia transumante non esisterebbe più da secoli. È però avvilente vedere come in una società che si proclama 'aperta', 'tollerante', 'senza pregiudizi' contro un gruppo sociale come quello dei pastori si utilizzano gli stessi clichè di un secolo, due secoli fa. Solo per i pastori non valgono quelle cautele che impediscono - anche con sanzioni penali - di affermare che un determinato gruppo è incline come tale all'illegalità. L'articolo uscito il 23 giugno a pag. 9 del quotidiano "La Cronaca di Cremona" contiene affermazioni diffamatorie nei confronti dei pastori condannati in blocco come una categoria di 'furfanti' e fuorilegge. Il titolo del pezzo su quattro colonne è già un programma "Greggi in pianura, nessuna regola. Dopo il passaggio, il deserto". Questa volta, però, al contrario di quello che avviene di solito, è il contenuto del pezzo ad essere più 'pepato' del titolo.

 

 

Il casus belli

 

"Il pascolo selvaggio colpisce ancora. Questa volta - e certo non è la prima - è accaduto bnei pressi delle Colonie padane, alle porte della città. Almeno cinquecento pecore e capre, e poi asini e cavalli, oltre gli immancabili cani a custodia del gregge. Dopo un solo giorno di sosta, il risultato appare devastante: della vegetazione erbacea e arbustiva è stata fatta tabula rasa, come sempre accade in questi casi"

 

Così l'incipit. A queste esternazioni 'ambientaliste' siamo abituati. I verdi (in servizio permanente effettivo o semplici gazzettieri simpatizzanti) hanno strane concezioni dell'ecologia pastorale. È interesse del pastore fare 'terra bruciata'? No, perché vuole tornare a pascolare le stesse aree. Ogni pastore transumante ha la sua 'batida' un'area di pertinenza dove ha una sorta di monopolio riconosciuto attraverso accordi non scritti ma ferrei tra pastori. La 'batida' si eredita di padre in figlio. Dove le erbe e gli arbusti sono stati brucati (ma cosa dovrebbero fare le captre e le pecore) rimangono le radici, gli organi di riproduzione vegetativa sotterranei o alla superficie del terreno. Dove gli arbusti appaioni distrutti vi sono gemme di riserva, polloni radicali che 'cacceranno'. A volte basta tornare dopo poche settimane dove le pecore secondo gli ambientalisti 'hanno fatto il deserto' e tutto è più rigoglioso di prima (ovviamente se piove a sufficienza). Più ci si addentra nell'articolo e più si osserva un crescendo di toni diffamatori, di accuse gravi non fondate o comunque indebitamente generalizzate a tutti i pastori che frequentano la provincia di Cremona identificati: "Sembra incredibile, ma un manipolo di pastori, che peraltro sono sempre gli stessi, tiene in scacco un'intera città e un'intera provincia". detto così il lettore è indotto a ritenenete che tutti i pastori in giro per la provincia di Cremona sono dei delinquanti.

Citando i danni(?) inferti all'area sopra citata l'articolista si avventura a ipotizzare che: "Siamo a due passi da un'area rimboschita a caro prezzo [...] Il gregge, molto probabilmente, ha sconfinato anche lì, come è già accaduto in passato". Nel dubbio che sia stato commesso un illecito accusiamoli preventivamente. Tanto sono furfanti.

Non bastano le accuse di danno 'ambientale', ai pastori viene imputato 'dagli all'untore' di attentare alla salute pubblica dei bambini che giocano nei parchi urbani vicini alle aree fluviali frequentate dalle pecore. "immancabilmente alle pecore si associano le zecche". Ma come immancabilmente? I pastori hanno tutto l'interesse a trattare i loro animali per evitare la presenza dei parassiti. Può capitare che in alcuni greggi ci siano delle pecore con zecche ma lanciare un'accusa di questo tipo è mala fede, è procurato allarmismo anche perché - ammesso che qualche pecora di qualche gregge sia parassitata dalle zecche - è necessario verificare che le zecche stesse siano portatrici di agenti di patologie infettive.

 

Il livore pregiudiziale contro i pastori emerge chiaramente dal seguente passaggio dell'articolo:

 

"[...] dietro alla scena bucolica del gregge [...] si nasconde quasi sempre una lunga serie di illeciti, amministrativi e, talvolta, penali; dietro l'apparenza rude e bonaria dei pastori, si cela immancabilmente un'indole furfantesca che si sposa con un'insospettabile abilità nello zimbellare le autorita preposte ai controlli".

 

Quando ad un intero gruppo sociale (quell' 'immancabile' non lascia spazio a fraintendimenti) si associa una inclinazione 'genetica' ('indole') che spinge comportamenti in violazione delle leggi si commette qualcosa di più di una diffamazione a mezzo stampa, si cade nella fattispecie della discriminazione contro un gruppo sociale. Una violazione dell' art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea
adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo
(Gazzetta ufficiale dell'Unione europea del 14 dicembre 2007) che recita:

 

"1.  E' vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale."

 

Vi è qualche dubbio che i pastori rappresentino un gruppo con una 'origine sociale' den definita (il mestiere si passa di padre in figlio per generazioni)?  I Rom (ormai sinonimo di 'nomadi' senza alcun riferimento etnico-culturale), che appartengono a etnie diverse, che parlano lingue diverse (a volte solo l'italiano) e professano più religioni, rappresentano un gruppo sociale più definito e omogeneo dei pastori? Difficile sostenerlo. Ma se le stesse accuse diffamatorie e generalizzate lanciate da La Cronaca di Cremona fossero state rivolte ai Rom stiamo certi che sarebbero già fioccate le denunce. Invece i pastori devono difendersi da soli.

 

Nell'articolo si inseriscono le esternazioni di Adriano Wainer Galli, presidente provinciale dell'Anpana (associazione nazionale protezione animali, natura e ambiente) che puntualizza "con vigore e disappunto che «I pastori sono scaltri, perspicaci tremendi»".  Galli è un veterinario, come quel Dr. Fausto Strozzi che centodieci anni fa lanciava i suoi strali contro i pastori dalle pagine de La Provincia. Galli, più modestamente, deve accontentarsi de La Cronaca di Cremona che come tutti I quotidiani locali parvenue che cercano di fare concorrebnza a testate storiche deve un po' ondulgere al sensazionalismo. Nell'intervista Galli ritorna sulla furbizia dei pastori nell'eludere i controlli accusando li di pascolare spesso senza autorizzazioni e di invadere aree protette . La filippica di Galli è piuttosto lunga e l'articolista scrive (fuor di virgolettato):

 

"Il lungo elenco delle infrazioni prosegue con la pratica, molto frequente tra i pastori, di lasciare dietro  di sé una corposa scia di rifiuti, che restano sovente bene in mostra sul terreno ripulito fino all'ultimo filo d'erba. Tutti i capi di bestiame, inoltre, dovrebbero essere muniti di amrche auricolari necessarie al riconoscimento, ma anche quest'obbligo spesso non viene assolto, confidando ad un tempo nella scarsità dei controlli, nella difficoltà oggetiva di sottoporre a verifica ogni singolo capo e «nella tendenza da parte dei controllori, come i veterinari delle Asl, a chiudere spesso un occhio», come precisa ancora Galli".

 

Non contento di accusare di ogni abuso i pastori il Galli accusa anche comportamento professionale negligente e omissivo i colleghi del servizio pubblico. Ma non è finita; più si va avanti e più la gravità delle accuse aumenta:

 

"Non è affatto raro che i pastori abbandonino sul territorio capi di bestiame morti [...] Dall'illecito amministrativo si sfocia nel penalequando gli animali vengono detenuti in condizioni non conformi alla normativa vigente. Le guardie dell'Anpana, che di fatto costituiscono un corpo di polizia giudiziaria zoofila, effettuano i controlli, ma si scontrano sovente con l'abilità dei pastori nel mantenersi un millimetro al di sotto delle soglie che configurerebbero un reato".

 

 

Lo scopo (non nuovo) della 'guerra': bandire il pascolo da tutta la provincia cremonese

 

Capito? Ai pastori si addebita di essere dei gran furfanti, tanto furfanti da non .... esserlo abbastanza. Grottesco. Alla fine, però, i nostri eroi, dopo aver preparato il terreno per benino descrivendo i pastori come dei veri mostri arrivano al sodo. Ecco a cosa vogliono parare:

 

"In teoria, ce ne sarebbe a sufficienza per vietare il pascolo una volta per tutte, tanto più che le comunità locali non hanno, come corrispettivo, alcun beneficio da trarre dalla presenza dei pastori e delle loro greggi. Invece, come in un gioco di guardie - poche e poco efficienti, a quanto sembra - e ladri, i pastori continuano imperterriti a fare il buono e il cattivo tempo, rivelando una scaltrezza davvero inmmaginabile".

 

Così, dopo aver dato en passant ai pastori anche dei ladri ci si avvia in un crescendo alla conclusione: "Quella con i pastori è, insomma, una vera e propria guerra. In'impensabile, grottesca, kafkiana guerra, combattuta all'alba del terzo millennio".

 

Dal momento che la guerra, per scacciare per sempre i pastori, sono i nostri eroi (il veterinario animal-ambientalista e il gazzettiere) a proclamarla, impensabile, grottetsca e kafkiana è solo la loro crociata anti-pastorale. Verrebbe da compatirli. Ma le cose non possono finire così.

A parte l'odiosa discriminazione contro un gruppo sociale additato come incline alla furfantaggine, al sotterfugio, alla menzogna, alla violazione della legalità, alla sporcizia (ma non vi accorgete che sono gli stigmi standard che vengono affibbiati alle minoranze che si vogliono perseguitare?) c'è anche qualcosa che la legge tutela dall'antichità: la reputazione sociale di un gruppo e dei singoli suoi appartenenti. Nell'articolo la reputazione sociale dei pastori è lesa in vari modi che offendono non solo sul piano morale i pastori ma che costituiscono un vero e proprio danno per la propria attività che da sempre è basata su rapporti di fiducia da parte dei soggetti che consentono loro diritti di passaggio e sosta sui propri fondi. Oltre a ciò la diffamazione dei pastori dipingendoli come soggetti sleali non può non incidere sui rapporti commerciali che essi intrattengono con altri soggetti e con gli stessi privati. Last but not least la 'cattiva fama' diffusa dall'articolo non predispone avorevolmente nei confronti dei pastori il cittadino che come automobilista ,o comunque utente delle strade, e come residente dei centri abitati attaversati dai greggi è chiamato a collaborare con un po' di pazienza e di benevolenza all'esercizio di un'attività di cui non è difficile dimostrare l'utilità ambientale ed economica.

 

 

           

 

pagine visitate dal 21.11.08

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