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Inforegioni/ Il ritorno dei celti

 

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Consorzio salvaguardia del Bitto storico, Via Nazionale 31, Gerola alta (So) Paolo Ciapparelli 3343325366) www.formaggiobitto.com

RavenArt - ArcheoStoria&Arte ravenart.archeostoria@gmail.com  

Cristiano 393470931646; Elena 393397768340 www.branart.com www.elenapercivaldi.com

Rievoca – Fabio e Elena Fortina 3478360718

Paladini del Bitto storico – Michele Corti 3282162812 www.ruralpini.it

 

(29.08.11) La cronaca del 'ritorno dei celti' a Gerola alta dove si è tenuta una interessante conferenza sulla realtà storica della presenza celtica e una dimostrazione rievocativa con i pastori-guerrieri celti e le capre Orobiche

 

A Gerola il Bitto è da leggenda, invece i celti sono storia che rivive

testo e foto di Michele Corti

Cronaca di una giornata fuori dal comune dove storia, cultura, capre e formaggio Bitto (storico ovviamente) si sono fusi in modo istruttivo ma anche piacevole e coinvolgente. L'evento di fine agosto, un po' sperimentale', sarà ripetuto il prossimo anno.

Quando ci sono di mezzo passioni autentiche non è difficile trovare punti di incontro. Succede spesso tra appassionati di tradizioni storico-culturali e di tradizioni gastronomiche (che sono poi esse stesse un capitolo importante della cultura). Se poi ci sono di mezzo il Bitto storico da una parte e i celti dall'altra l'incontro è di quelli persino scontati. Celti e Bitto, però, sono stati sinora coniugati in maniera superficiale. Si è parlato di tribù di mandriani celtici "scacciati dalla pianura padana dai romani" che avrebbero cercato una valle adatta all'esercizio dell'allevamento e del caseificio. Una storia alla fumetti di Asterix. Che non rende onore al Bitto e ai Celti. Sotto sotto c'è stato anche il tentativo di utilizzare la dubbia etimologia Bitu ("perenne") per trovare un origine al Bitto che lo slegasse dalla omonima valle. Per secoli però il formaggio che ancora conosciamo è stato denomimato "formaggio della valle del Bitto", per poi divenire (nel XIX secolo): "formaggio del Bitto" (sottintendendo "della valle" e, infine, nel XX secolo: "formaggio Bitto". Però i passaggi sono documentati e, sul fatto che ci si riferisse sempre ad un prodotto della valle (più di recente "valli" ) del Bitto) non ci sono dubbi.  Ma tolta questa dimensione mitica da leggenda cosa resta del rapporto tra  celti e il Bitto?

Per rispondere a questo interrogativo il Consorzio per la salvaguardia del Bitto storico e la costituenda associazione Paladini del Bitto ha pensato di intraprendere con chi di celti se ne intende un percorso di iniziative di divulgazione culturale (ma non solo). La prima tappa di questo percorso è consistita nella conferenza che si è tenuta presso il Centro del Bitto di Gerola alta domenica 28 agosto, relatori Elena Percivaldi, giornalista e scrittrice e Cristiano Brandolini, artista e archeologo.

I relatori, pur con riferimenti agli 'Orobi', ai 'Reti' e alla Valtellina si sono proposti di tracciare un quadro più generale della presenza celtica nei nostri territori. Concentrandosi sull'importanza della civiltà degli Insubri-Golasecchiani, di chiara matrice celtica, presente almeno dal X secolo a.C., quindi molto prima della calòata dalle Alpi dei celti 'storici' (Galli). Per molto tempo la storiografia ufficiale italiana (per non parlare della scuola) hanno insistito sulla persenta celtica come su una 'calata barbarica', una 'parentesi' tra le civilizzazioni etrusca e romana. Niente di più falso, ma è ovvio che questa vulgata è stata tenuta in vita per chiari motivi di politica culturale legati alla precaria affermazione dello stato unitario alla fine del XIX secolo, alla retorica fascista, al perdurante deficit di legittimazione della repubblica post-fascista che non ha saputo fare a meno dei miti della romanità e della sostanziale 'unità culturale e di stirpe' ereditati dal fascismo. Così i nostri antenati sono stati fatti passare per degli zoticoni. Ciò nonostante la loro civiltà molto evoluta. A parte la raffinatezza delle oreficerie e delle decorazioni i celti, sua quelli golasecchiani dell'età del bronzo che quelli dell'età del ferro erano abilissimi nella lavorazione dei metalli ma anche nell'arte delle trasformazioni alimentari (norcineria, caseificio, ma anche enologia).

Golasecca e Como erano agglomerati proto-urbani con forse migliaia di abitanti. Molto evoluti nella civiltà materiali i nostri antenati celti lo erano anche nell'astronomia e nella matematica (alle qualesi dedicavano i druidi). Una società complessa con agricoltori, pastori, artigiani, artisti, commercianti - che costituivano una classe - guerrieri a tempo pieno, e druidi. Nelle battaglie, però, anche la prima classe era chiamata a combattere. I pastori-guerrieri di cui si parla a proposito delle lontane origini del Bitto non erano guerrieri di professione appartenenti alla rispettiva classe della società, ma erano comunque armati di armi piuttosto temibili (Cristiano ha mostrato la ricostruzione di un 'coltellaccio' con la lama lunga 60 cm). Questa questione del limes tra gli Insubri e i Reti e dei pastori-guerrieri andrà ripersa in successivi incontri. Nella conferenza di domenica si è cercato si sottolineare il fatto che i celti erano un complesso di tribù e popoli con un certo margine di eterogenetità dovuta anche all'amalgama (più o meno profondo) con popoli pre-indoeuropei 'autoctoni'. Si parla di celto-liguri, di celto-iberi (nella penisola iberica). Il popolamento delle Alpi fu caratterizzato da una presenza celtica sull'intero arco alpino. Celti o celtizzati erano i Reti, i Camuni, le tribù del trentino, delle alpi piemontesi, venete, friulane. Una delle più interessanti iconografie relative ai guerrieri celti è rappresentata dalla stele di Bormio. Queste sottolineature erano importanti perché per troppo tempo la cultura dominante ha teso ha circoscrivere la presenza celtica a quella degli insediamenti dei celti 'storici' (che ha interessato più la pianura che le Alpi). Il tema della 'particolare' celticità della nostra zona orobica occidentale (con cui l'dentità del Bitto ha certo a che vedere)  sarà un argomento interessante di prossimi appuntamenti in cui discutere anche dell'importanza dei riotrovamenti epigrafici dell'alta val Brembana, delle fitte presenze archeologiche lateniane nella Valsassina ecc. In coda alla conferenza somo stati illustrati abbigliamento, monili, accessori degli amici che hanno dato vita alla dimostrazione rievocativa. Li vediamo nella foto sopra e, meglio, in quella sotto dove si riconoscono da sinistra a destra: Davide Silvera, Alice Mometti, Elena Sambin, Fabio Fortina e Cristiano Brandolini.

I nostri amici celti non sono addobbati a caso e tantomeno in modo folkloristico. La celtomania che a volte si mischia al fantasy non rende un buon servizio alla causa della seria divulgazione. Qui tutto è ricostruito nei dettagli. I materiali sono quelli che si utilizzavano all'epoca della civiltà celtica lateniana dell'età del ferro (nata oltralpe ma poi diffusasi anche da noi sia per la migrazione dei 'galli' che per adozione di moduli culturali). Tutto è ricostruito sulla base di dati archeologici.

I nostri celti, tornati dopo venticinque secoli sulle Orobie, si sono dimostrati molto interessati al Bitto. Un formaggio evolutosi ovviamente gradualmente (basti dire all'epoca celtica, ma fino a tutto il medioevo, erano utilizzate per la mungitura prevalentemente le pecore anche se vi erano mucche e capre). Schierati davanti al Centro del Bitto i 'celti' paiono chiamare a raccolta lla loro tribù a difesa del Bitto storico. Come si vede nella foto sulla facciata campeggia ancora lo striscione censurato ai tempi delle sanzioni erogate dalla repressione frodi per 'lesa Dop' (era il novembre 2009).

Il Bitto storico non è celtico solo per le sue origini ma anche per il suo presente: ribelle, combattivo, un po' donchichottesco (come i celti).

Anche il pranzo a base di taragna (sotto) è stato occasione di divulgazione e dimostrazioni. Sul tavolo vediamo delle copie pregevoli di vasellame dell'epoca. Spicca il famoso 'vaso a trottola' dimostrazione dell'attenzione degli antenati celti per le proprietà ergonomiche degli utensili. Il vaso in questione è stato studiato per non sprecare il vino (anche quando stravaccato non si rovescia e non versa il prezioso contenuto, utilizzato per scopi rituali più che come bevanda).

I nostri pastori celti si sono dimostrati molto disponibili anche ad interpretare il ruolo di (quasi) veri pastori. L'incontro con le capre Orobiche è comunque interessante. Non sappiamo se questa razza risalga veramente all'epoca dei celti però è lecito sospettarlo. ortiginale è originale ed è dotata di una bellezza arcaica. Di certo è autoctona da secoli.

Alla dimostrazione hanno preso parte tutti i componenti del gruppo.

Ai nostri amici dotati di bellissimi corni di bue abiamo promesso di procurare loro degli smisurati corni di becco Orobico. Gli faranno fare un figurone.

Il tutto termina con la mungitura (anche se la capra a fienco del nostro 'pastore' appare un po' perplessa). La giornata è stata certamente originale e stimolante e i partecipanti hanno convenuto sull'opportunità di ripeterla. Appuntanento quindi al prossimo anno.

 

 

           

 

pagine visitate dal 21.11.08

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