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Lessinia:
montagna da lupi?
Dal
2014, in Lessinia, il problema dei lupi e del loro impatto sulle
attività umane è diventato oggetto di ampio
e acceso dibattito fra montanari e cittadini. Questo articolo di
Giuliano Menegazzi e Ugo Sauro fa
descrive la prima fase seguita alla reintroduzione (coperta da una
ridicola love story) del predatore nel parco dei Lessini. Oggi le
considerazioni sarebbero più amare e preoccupate ma resta il
fatto che la reintroduzione del lupo sulle Alpi, voluta e perseguita a
tutti costi per precisi interessi (il resto è fumo negli occhi gettato
da una propaganda da far invidia a Goebbels),
rappresenta una sfida. La montagna, di fronte allo shock del lupo,
o impara a reagire, a prendere coscienza anche di altre imposizioni
(come l'adozione di sistemi agricoli intensivi copiati dalla pianura e
di una cultura consumista e individualista), a lottare a 360° per la
sua cultura, il suo ambiente, il suo paesaggio, la sua biodiversità, o
soccomberà al
progetto neoliberale mascherato da ambientalismo (ma in perfetto stile
nazista) di spopolamento forzato.
di
Giuliano Menegazzi e Ugo Sauro
Giuliano
Menegazzi, di Erbezzo,
nato nel 1975 è un tecnico agricolo, appartiene a una famiglia di
allevatori, è stato consigliere comunale sino al 2019, ha coordinato la
richiesta (approvata) di iscrizione della Lessinia nel registro dei
paesaggi storici rurali. Segue l'associazione per la tutela a ela
valorizzazione della pecora brogna.
Ugo
Sauro, nato nel 1943 originario della Lessina veronese è stato
professore di Geografia Fisica presso il corso di studio di Scienze
della Natura dell’Università degli Studi di Padova. La sua attività si
è orientata alla geomorfologia e all’analisi del paesaggio. Oltre a
numerose pubblicazioni scientifiche ha pubblicato diverse opere
monografiche, in particolare sulla Lessinia riguardanti anche gli
aspetti antropici del territorio. È direttore del
«Quaderno Culturale – La Lessinia ieri oggi domani».
(11.05.20)
Nel 2012 con la ricomparsa in Lessinia del superpredatore per
eccellenza, il lupo (Canis lupus), ha avuto inizio una nuova stimolante
avventura
che è ancora in corso e che lascia molti con il “fiato sospeso”. Il
monitoraggio di questi carnivori ha dimostrato che la prima coppia,
formata da un maschio di origine slovena denominato Slavc e da una
femmina italiana, proveniente dalla
Alpi Occidentali, denominata Giulietta, si era già stanziata nel 2012.
Nel 2013 la coppia ha avuto due piccoli. Nel 2014 sono nati altri sette
cuccioli, facendo assumere a questa popolazione animale la dimensione
di un branco di 11 individui (Castagna, Parricelli, 2014), da cui si
sono staccati i primi due nati, ormai adulti. Nel medesimo anno si è
verificato un
notevole incremento delle predazioni, con oltre 64 fra capi di erbivori
domestici (per lo più vitelli, manze e asini) e cani predati vivi
sull’altopiano (considerando anche la parte trentina degli alti
Lessini). A questo numero vanno aggiunte alcune predazioni non
segnalate o non riconosciute ufficialmente. Il 20 settembre 2014 il wwf
ha promosso, in collaborazione con il Comune ospitante di Bosco
Chiesanuova, un simposio dal titolo: Il lupo è tornato in Lessinia, c’è
chi se ne rallegra perché arricchisce la fauna del Parco, ma gli
allevatori di bestiame e gli albergatori sono in allarme, parliamone
insieme, il quale ha coinvolto esperti di fauna, politici,
protezionisti, montanari, e cittadini, e
che ha suscitato un acceso dibattito. I giornali locali e nazionali
hanno pubblicato molti articoli relativi agli avvistamenti, alle
predazioni e alla polemica in corso sul lupo, che hanno trovato ampio
spazio anche su internet.
Non
sono molte le notizie sulla passata presenza del lupo sui nostri
monti. Attilio
Benetti, memoria storica della Lessinia, è l’unico che
ne ha parlato estesamente in varie pubblicazioni, ove evidenzia il
senso di paura che i lupi esercitavano nei nostri vecchi e racconta
alcuni episodi in cui i lupi sbranarono delle persone, soprattutto
giovani donne, e numerosi altri in cui attaccarono degli uomini e in
qualche caso li ferirono.
Alcuni di questi fatti sono confermati da stele in pietra, erette sui
luoghi della predazione, come quella della “pora Mada” (la povera
Maddalena) nei pressi di contrada Valle di Camposilvano. Questi eventi
stimolarono una caccia al lupo che portò alla sua estinzione nel corso
del XIX secolo.
Un
monumento al lupo
Nel
giro di soli due anni il lupo ha saputo risvegliare i montanari della
Lessinia dal loro torpore. Infatti, da qualche decennio gli abitanti
della montagna stanno attraversando una crisi culturale e identitaria,
espressione di una disarmonia tra l’uomo e la natura che si è andata
approfondendo e che ha dei riflessi anche all’interno delle comunità
locali. Le motivazioni di questa crisi sono molteplici, ma si possono
ricondurre fondamentalmente alle due cause principali: – declino delle
comunità
contradali e con queste della cultura montanara tradizionale,–
esproprio delle risorse delle montagna da parte dei poteri e meccanismi
della globalizzazione. Sulla prima causa ha
scritto, tra gli altri, don Alberto Benedetti (1987), il quale
sottolineava come nel passato la forza dei montanari risiedesse proprio
nell’armonia che regolava le relazioni delle comunità di più famiglie
che abitavano nelle singole contrade e anche in gruppi
di contrade vicine. Relativamente alla seconda causa, Eugenio Turri già
nel 2002 si è così espresso: Il
fatto decisivo tuttavia è che ormai
anche la Lessinia si trova sempre più agganciata ai meccanismi propri
della megalopoli: un organismo che usa, riusa, rinnova e abbandona lo
spazio, lo degrada e lo mortifica incessantemente. Sembra finita
l’epoca della montagna
mitizzata, mondo autonomo, culturalmente diversificato… Così la
megalopoli distrugge miti, integra spazi, divorandoli o
rifiutandoli… (Turri, 2002).
Le
conseguenze dell’involuzione delle
comunità locali sono state da un lato lo spaesamento e disamoramento
dei montanari nei confronti delle loro terre, con le quali la relazione
non è più così vitale com’era in passato, e dall’altro le ricadute
ambientali di uno sviluppo di tipo industriale stimolato dai processi
della globalizzazione. In particolare, quello che era un paesaggio
solare e armonioso si è andato deteriorando in seguito all’impatto di
attività poco sostenibili per ambienti come il nostro, tra cui
allevamenti intensivi di bovini e suini di grandi dimensioni. Per i
primi si è poi scelto in molti casi e su sollecitazione di esperti del
settore, di privilegiare l’allevamento di razze ad alta produzione di
latte, le quali richiedono l’“importazione” di grandi quantità di
sostanza organica sotto forma di mangimi e foraggi. Ne è conseguito un
considerevole aumento della produzione di letame e liquami e quindi
l’iperconcimazione e la nitrificazione dei suoli utilizzati dagli
allevamenti più intensivi. I prati da sfalcio e i pascoli estivi che
ospitavano una moltitudine di specie di piante erbacee e di fiori
multicolori sono stati, per la maggior parte, colonizzati da poche
specie adatte ai suoli ipertrofici, come il tarassaco e le ortiche.
Mentre la biodiversità delle aree aperte si andava riducendo, il bosco
ha continuato ad espandersi trasformando quello che era un paesaggio
dalle ampie panoramiche, in uno scenario che tende a chiudersi sempre
più. Inoltre, la trama delle opere dell’uomo, che documenta la lunga
storia della
colonizzazione esprimendo la messa in pratica di una cultura
profondamente rispettosa dell’ambiente, si è andata progressivamente
“sbiadendo”, in parte mascherata dal bosco, in parte degradata dal
tempo. La comparsa del lupo ha fatto rivivere in giovani e meno giovani
la relazione atavica con questo animale, risvegliando l’attenzione per
il patrimonio ambientale e culturale tramandato dagli antenati. Di
fronte all’interrogativo se sia preferibile lasciare al lupo la
montagna oppure rivendicarla per gli uomini che vi abitano da secoli,
se non da millenni, i montanari hanno reagito con forza. In passato,
infatti, il lupo era percepito come il principale antagonista naturale
dell’uomo, tanto che gli abitanti delle zone rurali sono sempre stati
uniti nel combatterlo. Se il processo di presa di coscienza del
possibile ruolo dei montanari nei confronti del territorio e delle sue
risorse, che questo incontro-scontro sta suscitando, si tradurrà in
scelte maggiormente consapevoli e responsabili di sviluppo, dovremo poi
innalzare un monumento al lupo come co-attore e stimolatore
dell’avventura lessinica dei tempi della globalizzazione.
Il
lupo visto dai cittadini e dai montanari
Il
dibattito sul lupo oggi in corso risente dei diversi modi di
percepire la natura, in particolare quella montana, che hanno coloro
che vivono negli ambienti prevalentemente artificiali delle zone
urbanizzate, rispetto a quelli che invece vivono negli ambienti
seminaturali marginali. I “cittadini” in genere non hanno un’esperienza
diretta delle dinamiche di un ambiente
seminaturale, come hanno invece i montanari, e spesso percepiscono come
fatto positivo tutto quanto tende a riportare tali ambienti verso una
natura primaria. Così, l’espansione del bosco viene ritenuta una
riconquista da parte della natura di quanto le apparteneva di diritto
e, analogamente, la ricomparsa degli orsi e dei lupi come un
auspicabile “ritorno alla foresta” di
specie animali significative; i montanari sono spesso visti come degli
intrusi che hanno violentato ambienti naturali di grande pregio. A uno
di noi autori, che svolge attività di divulgazione sui propri monti
(US), è capitato spesso di sentirsi chiedere
perché non si procede a piantare i faggi nell’area degli alti pascoli,
ripristinando così la foresta primaria, senza però che gli
interlocutori si rendessero minimamente conto di tutto ciò che un
intervento del genere comporterebbe. Analogamente, i lupi e gli orsi
sono ritenuti dei protagonisti di diritto, meritevoli della massima
protezione, ancor più della gente che abita la montagna.
In definitiva, molti cittadini vorrebbero poter espropriare la montagna
ai montanari. In occasione del convegno promosso dal WWF, Associazione
benemerita per aver stimolato il dibattito, cui entrambi gli autori
hanno partecipato, uno dei due (Ugo Sauro) di origine montanara, ma che
ha
vissuto gran parte della sua vita in città, si è posto il problema
della presenza del lupo ed è intervenuto presentando le sue conclusioni
che si trovano nell’allegato 1. In seguito, l’altro autore (Giuliano
Menegazzi)
segnalava al precedente, sia una sua lettera inviata al giornale
L’Arena (all. 2), sia un documento reperibile in rete firmato da 34
studiosi francesi, sempre relativo al lupo (riportato nella sua
traduzione italiana nell’allegato 3). Interessante è notare
come tutti questi documenti, pur partendo da punti di vista diversi,
siano sostanzialmente concordanti nelle conclusioni che potremmo così
riassumere: 1) l’uomo che vive in montagna è il testimone di tradizioni
millenarie e il tutore di un
ambiente e di un paesaggio rurale che è frutto di una lunga storia e va
quindi salvaguardato più di quanto debba essere protetto il lupo; 2) la
gestione del recente “problema lupo” è stata sino a oggi inadeguata e
in prospettiva va ripensata profondamente, in quanto finisce con il
danneggiare gli abitanti delle aree marginali, mettendo a rischio la
sopravvivenza di attività tradizionali come la pastorizia e
l’allevamento, che hanno una valenza sia culturale, sia ambientale,
anche per gli stessi cittadini; 3) il fatto che nel corso dello
sviluppo ormai millenario
delle comunità alpine, nessuna di queste abbia scelto volontariamente
di convivere con i lupi, dimostra quanto velleitaria,
irrispettosa e antidemocratica sia l’imposizione legislativa dei
politici e dei cosiddetti “animalisti” che, come risulta anche
dall’esame del Progetto Life Wolf Alps e dalle misure protezionistiche
messe in atto, sembra pianificata per costringere le comunità della
montagna a convivere con i grandi predatori, e ciò senza che i diretti
interessati siano stati
preventivamente coinvolti nella “progettazione” del loro futuro.
Allevamento
e predazioni in Lessinia
La
prima notizia sull’arrivo del Lupo in Lessinia, è stata diffusa nel
febbraio del 2012 sul quotidiano L’Arena di Verona. Gli allevatori
hanno dapprima reagito con diffidenza ritenendo il fatto poco
credibile. Non si sono quindi preoccupati più di tanto sulle possibili
conseguenze che tale predatore avrebbe potuto arrecare agli
animali al pascolo. Tuttavia, già nel primo anno di presenza si sono
registrate alcune predazioni su animali domestici, anche se i numeri
esigui degli attacchi non hanno creato allarmismo, ma solo confermato
la presenza del lupo. Col passare del tempo, alcuni allevatori hanno
iniziato a manifestare timori sulle conseguenze di questa ricomparsa,
ma l’atmosfera di
entusiasmo alimentata dagli esperti contribuiva a farli tacere. I lupi
della Lessinia, esempio di una montagna in salute, titolava, nel giugno
2013, l’articolo del giornale L’Arena in occasione della 48a Assemblea
dell’Unione nazionale cacciatori - zona Alpi, a Bosco Chiesanuova.
Nonostante al convegno fossero presenti anche alcuni
esperti nazionali del nuovo predatore, nessun allarme fu sollevato
sulle eventuali nricadute negative sull’allevamento o su possibili
interventi preventivi.
Gli allevatori non dovettero aspettare molto per capire cosa
significava per gli animali portati all’alpeggio la presenza di questo
grande predatore. Solo nell’estate 2013 dovettero presentare 24
richieste di sopraluogo per presunte predazioni da lupo a carico di
animali al pascolo (12 nella Lessinia Veronese, e 12 in quella
Trentina) (Castagna, Paricelli, 2014); inoltre alcune
vacche risultarono disperse. A fine 2013, stanchi dell’immobilità degli
enti locali e regionali, diversi allevatori e proprietari di malghe
della Lessinia iniziarono ad attivarsi, per cercare soluzioni al
problema che altri dimostravano di volere ignorare. Una
lettera firmata da 300 allevatori e proprietari fu quindi spedita a 31
istituzioni, nessuna delle quali ha risposto. Nel documento si levava
un grido di allarme per la “Lessinia che va scomparendo”. In seguito a
una riunione tenutasi a Campofontana, un gruppo di allevatori e
proprietari, oltre che uno degli autori (Giuliano Menegazzi),
coordinati dall’allevatore Modesto Gugole,
richiedevano che la Comunità Montana e il Parco convocassero con
urgenza una riunione in cui si dibattesse il problema dei Lupi;
purtroppo, anche tale richiesta non fu accolta.
Di fronte all’immobilità delle istituzioni, in virtù anche di altre
criticità del nostro territorio mai affrontate, allevatori e
proprietari si costituirono in associazione col nome: “Associazione
Tutela della Lessinia”, ponendosi, tra gli altri, i seguenti
obbiettivi: a) proporre e promuovere progetti che abbiano come fine la
tutela del
territorio e delle attività presenti nel territorio della Lessinia; b)
divulgare la conoscenza delle peculiarità del territorio montano e
delle attività presenti; c) sviluppare, tramite il confronto ed
esperienze mirate, il senso critico e di conoscenza delle
problematicità del territorio montano; d) promuovere il dialogo tra
soci; e) promuovere e organizzare, anche in
collaborazione con gli enti pubblici e/o privati, iniziative (convegni,
escursioni, manifestazioni sportive, nonché iniziative di solidarietà
sosocialmente rilevanti, ecc.); f ) difendere tramite manifestazioni,
iniziative, convegni, progetti e proposte l’ambito della Lessinia da
decisioni pubbliche/private che possano
creare danno al territorio e/o alle attività presenti in Lessinia. Gli
allevatori hanno capito che devono tornare a essere i principali
protagonisti dello sviluppo del loro territorio. Da
parte loro, i proprietari delle malghe sono di fronte alla sfida di
individuare nuove modalità di gestione delle proprietà. Anche altri
abitanti della Lessinia si sono espressi con favore sulla nascita e
finalità dell’Associazione. Si sono quindi organizzati incontri in
tutti i capoluoghi dei comuni della Lessinia montana per
favorire il dibattito tra la gente. È stata spedita una seconda lettera
al Presidente e alla Giunta della Comunità Montana della Lessinia con
la richiesta di venire convocati a incontri istituzionali aventi per
tema il Lupo; richiesta che non è stata mai esaudita.
Si
sono organizzati alcuni incontri con i responsabili del Progetto
Life Wolf Alps per capire cosa si stava progettando per salvaguardare
gli animali e gli allevamenti della Lessinia In occasione del già
citato simposio promosso dal wwf, i due giovani agricoltori Laura
Giacopuzzi e Daniele
Massella, rappresentanti dell’Associazione
Tutela della Lessinia,
sono intervenuti sulle criticità del progetto.
Su proposta di uno degli autori (GM), l’Associazione internazionale
Amamont ha poi organizzato, l’8 novembre 2014, un
incontro ad Erbezzo, con ospiti giunti da varie regioni italiane e
dalla Svizzera in cui relazioni di docenti di varie università hanno
stimolato un dibattito sui problemi della montagna.
Si è preso coscienza del fatto che i montanari non devono più limitarsi
a guardare passivamente all’abbandono della montagna, ma, con grande
orgoglio per la propria eredità culturale, tornare a essere parte
attiva del loro sviluppo futuro.
Nel passato anche in Lessinia sono stati fatti molti errori, non si
sono mai trovate soluzioni all’abbandono delle contrade e al consumo
del suolo. Sono state sviluppate tipologie di allevamento non
sostenibili per i nostri territori, mentre gli allevatori più
tradizionalisti nelle metodologie di lavoro sono stati nel tempo
relegati a semplici comparse. Si è riconosciuto quanto sia problematico
gestire il territorio e far reddito in montagna
allevando razze di vacche da latte iper-produttive, come la Frisona
Italiana, non adatte al pascolamento su terreni difficoltosi. Si è
anche ribadito come all’allevatore di montagna debba essere
riconosciuto un servizio a favore della tutela ambientale. Complice la
crisi economica e sociale attuale, si sta assistendo a un ritorno al
lavoro agricolo e di conseguenza a
scelte consapevoli di abitare in aree rurali marginali; scelte che, se
favorite e ben guidate, potranno salvaguardare e valorizzare la
montagna. Per farlo serve una maggiore autonomia gestionale e
soprattutto una maggiore auto-consapevolezza da parte degli abitanti,
perché, come è stato detto durante il convegno, “la qualità della vita
in montagna è unica ed
invidiabile”. Ribadiamo, quindi, che la Lessinia non è una montagna da
lupi, e cioè che non è proponibile il progetto di fare convivere i
grandi predatori con gli abitanti di un territorio
intensamente antropizzato e con un così ricco patrimonio paesaggistico
e culturale. Altre aree di grande estensione, abbandonate dall’uomo e
conquistate dalla foresta potranno essere certamente gestite come
parchi faunistici, in cui i grandi predatori potranno trovare ambienti
favorevoli.
Per
una rinascita della montagna
Quei
cittadini che frequentano e si documentano sulla montagna,
interloquendo con gli abitanti, finiscono con il rendersi conto di come
questi ambienti e paesaggi semi-naturali abbiano una valenza culturale
inestimabile anche da un punto di vista educativo-didattico, certamente
diversa e difficilmente comparabile con quella degli ambienti naturali
primari, ma,
nell’insieme, in grado di trasmettere molto di più alle nuove
generazioni (Sauro, 2010; Sauro et al., 2013).
Infatti, queste possono
essere introdotte, attraverso esperienze dirette, alla storia del
rapporto uomo-ambiente e alla scoperta di innumerevoli avventure umane
del passato, fornendo ai giovani le basi culturali per progettare un
futuro che, senza replicare il passato, sia espressione del
ristabilimento di una relazione
armoniosa tra l’uomo e la natura. In questo senso, la Lessinia può
diventare uno straordinario laboratorio culturale e colturale, di cui è
opportuno tornino a essere principali protagonisti gli stessi
montanari, coadiuvati, tuttavia, da istituzioni e cittadini
in grado di stimolare la maturazione e l’attuazione di progetti e
sperimentazioni. In altre parole, i montanari non devono essere
abbandonati a se stessi ma aiutati a gestire le risorse della montagna
con modalità tradizionali ma anche innovative, favorendo l’integrazione
di queste con forme di turismo culturale
diversificate. Questo tipo di collaborazione si impone in quanto la
montagna è diventata più che mai risorsa per la città, dove i cittadini
trovano spazi per attività ricreativo-culturali negli ampi territori
rurali. Allo stesso tempo bisogna prendere nuova coscienza
dell’importanza di salvaguardare le attività sostenibili di
allevamento, sia per garantire la cura del territorio e del
paesaggio, sia per tramandare lo stile di quel vivere in “contrà”
ricordato nel convegno di Erbezzo da Mons. Bruno Fasani, come momento
educativo in grado di vincere l’apatia dei giovani d’oggi, derivante
dalla cultura digitale. Tutto questo potrebbe essere favorito anche
dall’istituzione di un Centro Culturale, affiancato al Parco, e in
grado di stimolare iniziative di ricerca, di divulgazione, di
sperimentazione a differenti livelli: di
università, centri di ricerca, della popolazione, per categorie di
lavoratori (come: operatori turistici, allevatori, agricoltori…),
scolastici, per sportivi, per turisti… a vantaggio sia degli abitanti,
sia dei cittadini. Potrà sembrare un progetto utopistico, ma tutto
dipende dal coraggio e dallo spirito d’iniziativa dei molti che amano
la montagna, a partire da chi ci vive.
Bibliografia
(1) Sauro U., 2010 -
Lessinia: montagna teatro e montagna laboratorio. Cierre Ed.,
Sommacampagna (Vr), 276 pp.
(2) Sauro U., Migliavacca M., Pavan V., Saggioro
F., & Azzetti D. (a cura di), 2013 - Tracce
di antichi pastori negli alti Lessini. Alla scoperta di segni di
avventure umane nel paesaggio. Bussinelli Editore, Verona, 368
pp. [su
questa pregevole opera il cui valore va al di là dell'interesse locale.
per portare contributi alla cultura alpina in generale, si può
scaricare il PDF
della comunicazione di Ugo Sauro: Le ricerche sui pastori
negli Alti Lessini:
bilancio e prospettive in Atti della Tavola Rotonda / BOSCO
CHIESANUOVA (VR) - 26, 27 OTTOBRE 2013)
Lupi (come droni) scagliati contro la
montagna
Exorcizo vos pestiferos lupos
(13.03.20)
In una piccola valle della provincia di Verbania, il parroco, pressato
dalle richieste dei fedeli, ha ripristinato nella forma originale la
"messa contro il lupo" che si celebrava, il giorno di San Valentino,
dal 1762. L'evento ha raccolto un forte consenso da parte della
popolazione e ha trasmesso anche all'esterno il senso della gravità
della minaccia legata alla proliferazione del lupo che minaccia il
completo abbandono della montagna.
Nella
montagna veneta cresce la rabbia contro i lupi
(24.06.19)
A dimostrazione della totale incapacità e impotenza delle istituzioni,
la regione Veneto affida un progetto finalizzato alla "convivenza",
molto contestato dagli allevatori, ai soliti lupologi onniscenti (ma
senza conoscenza del territorio). Unica nota positiva, la regione non
aderisce a Wolf Alps II (le volpi a guardia del pollaio), mentre un
consigliere regionale leghista mette a disposizione un penalista per la
difesa degli allevatori dai soprusi delle amministrazioni pubbliche in
tema di lupo .
Sugli
alpeggi
non servono le pseudo "reti anti lupo"
(16.05.19)
Sono un mezzo a buon mercato (per la lobby lupista) per poter dire "vi
abbiamo dato la soluzione per proteggervi, se non sapete usarla è colpa
vostra". Comodissimo per i politici che non hanno il coraggio di
affrontare politicamente il problema lupo. Il tema della "difesa dei
predatori" è quindi politico e in questo senso va interpretato il
giusto rifiuto degli allevatori di montagna veneti e del südtirol ad
accettare cani da guardiania e reti. Invece in Lombardia l'Ersaf
continua a rifilare reti alte 1,4 m
Rifritto
il Piano lupo: una barzelletta che non fa ridere
(23.04.19)
Siamo
nel 2019. Dal 2015 è scaduto il Piano lupo nazionale ma, causa cambi di
governo e le barricate della demagogia animal-ambientalista, siamo
all'ennesima "nuova versione". Gli abbattimenti, previsti con il
conta gocce nella precedente versione, sono spariti senza
giustificazione, sostituiti da fumose misure di "prevenzione mirata"
che piacciono al partito del lupo. Piano o non piano, gli
allevatori lasciati soli da una politica vile, continuano tutti i
giorni a stare in trincea, costretti a difendersi come possono.
Presenza
del lupo in Italia e in Toscana. Storia ed evoluzione
(05.03.19)
Ruralpini presenta, a partire da questo contributo, che proviene dalla
Toscana, unapanoramica di interventi che fanno il punto della
situazione dalla parte di chi non accetta le fonti "ufficiali", i dati
degli esperti che hanno nascosto (e nascondono) la reale diffusione del
lupo, che hanno fatto emergere solo da poco un grave problema di
ibridazione e di presenza di lupi esotici. Il tutto a danno degli
allevatori e dei pastori, della vivibilità della montagna e delle aree
interne.
Cani
da difesa greggi: sfruttando l'emergenza lupi si smerciano soggetti non
idonei
(02.03.19)
Parecchi cani venduti come "addestrati e selezionati" sono stati
"addestrati" in forza della presenza in allevamento (canino) di quattro
pecorelle da compagnia. Si comprende bene come la "soluzione" cani sia
in realtà una trappola perfetta per i pastori. Utile a dividere i
pastori tra loro e a esibire come "buoni selvaggi" (da contrapporre ai
"cattivi"), i pastori che accettano di fare da testimonial della felice
convivenza con il lupo (in cambio della fornitura a gratis di
crocchette per cani della Almo Nature)
Le
regioni alpine invocano il controllo del lupo. Svolta politica vera o
propaganda?
(02.02.19) In
un clima politico segnato dall'attesa del risultato delle elezioni per
il parlamento europeo, le regioni del Nord, pur senza manifestare una
precisa strategia, hanno sottolineato una volontà comune di arrivare a
un controllo del lupo. Non è il massimo, ma segna pur sempre una svolta
rispetto alla situazione di due anni fa quando, a seguito dei cedimenti
alle pressioni animaliste, tutte le regioni italiane, tranne Toscana e
Bolzano, si erano genuflesse al tabù: "il lupo non si tocca" .
"Lupi?
No grazie. Qui non è il Serengheti"
(21.01.19)
Troppi lupi in Europa e si incrina il fronte conservazionista.
Clamorose dichiarazioni del direttore del maggior parco nazionale
olandese: "Qui non voglio lupi, voglio potergli sparare". "Non sono
tornati da soli"
Il
lupo riduce la biodiversità alpina
(29.12.18)
Materiali per un manifesto pro pastoralismo, contro la diffusione del
lupo sulle Alpi
A
quando anche in Italia un Wolfsdebatte?
(14.12.18)
L'altro ieri il ministro dell'agricoltura Centinaio, davanti agli
allevatori trentini, si è rimangiato le precedenti posizioni lupiste.
Lupi, rewilding, ecotasse, "rinnovabili", sono gli aspetti della stessa
biopolitica, le nuove forme della lotta di classe (oggi elite vs
popolo) e del conflitto città-campagna incarnato dai gilet jaunes.
I
nodi vengono al pettine: lupi sparati anche in Veneto
(29.09.18)
Oggi in Italia, in alcune situazioni , sparare ai lupi è legittima
difesa, una forma di resistenza sociale di fronte a istituzioni -
europee e statali - che non hanno il coraggio di gestire una
popolazione lupina in continua espansione
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