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cultura
ruralpina
I
muretti a secco: rigeneriamo il paesaggio vivo
di Michele Corti
Il riconoscimento da parte dell'Unesco,
nel novembre 2018, dell'arte del muro a secco quale patrimonio
immateriale dell'umanità è il risultato di un movimento, attivo in
Italia e in altri paesi, fatto non solo di studi e convegni ma anche di
scuole e di corsi, di riattivazione di una pratica da
condividere.
L'arte del muro a secco è un catalizzatore di energie indirizzate alla
cura dinamica del paesaggio, alla rivitalizzazione dei meccanismi della
trasmissione del sapere manuale e
della capacità di cooperazione.
(14.08.19) Nel novembre del 2018 il
comitato intergovernativo dell'Unesco su candidatura presentata da
Croatia, Cipro, Francia, Greecia, Italia, Slovenia, Spagna and e
Svizzera ha approvato l'inserimento delle conoscenze e delle tecniche
per la realizzazione dei muri a secco nell'elenco del patrimonio
culturale immateriale dell'umanità. In sede di decisione questo
patrimonio è stato così inquadrato dal comitato:
L'arte dei muri a secco consiste nei saperi connessi alla realizzazione
di costruzioni in pietra sovrapponendo le pietre una all'altra senza
utilizzo di altri materiale, con l'eccezione, talvolta, di terriccio.
Le strutture di pietra a secco sono diffuse nella maggior parte delle
aree rurali, sia all'interno che all'esterno dei centri abitati e non
sono sconosciute nelle aree urbane. La solidità delle strutture è
assicurata dall'attenta selezione e posizionamento delle pietre.
Le costruzioni a secco hanno modellato numerosi e
differenti tipi di paesaggio, dando luogo a modelli abitativi, agricoli
e zootecnici. Queste strutture evidenziano i metodi e le tecniche
utilizzate dai gruppi umani, dalla preistoria ad oggi, per organizzare
i propri spazi di lavoro e di abitazione ottimizzando le risorse umane
e naturali localmente disponibili. Esse svolgono un ruolo cruciale nel
prevenire i movimenti franosi, le alluvioni e le slavine, nonchè nel
contrastare la deserificazione e l'erosione del suolo, nel promuovere
la biodiversità e nel predisporre adeguate condizioni microclimatiche
per l'attività agricola. Chi esercita e trasmette queste conoscenze e
di queste tecniche sono le comunità rurali, ma anche gli operatori
professionali del settore edilizio. Le strutture a secco si armonizzano
sempre perfettamemente nel contesto ambientale e la tecnica rappresenta
un esempio di rapporto armonioso tra l'uomo e la natura. La
trasmissione di questa pratica è avvenuta attraverso la sua stessa
applicazione, adattata alle particolare condizioni di ciascun luogo (1).
Requisito per il riconoscimento di un elemento nell'elenco del
patrimonio immateriale dell'umanità è il suo rappresentare un elemento
vivo, funzionale alle esigenze attuali. Da questo punto di vista il
comitato dell'Unesco si è espresso in questi termini:
L'arte del muro a secco
rappresenta una tradizione vivente che si è sempre più perfezionata in
funzione di una gestione sostenibile del patrimonio culturale, delle
terre coltivate, delle abitazioni e del loro contesto.
Nell'ambito di chi la pratica, le conoscenze e le abilità si
trasmettono attraverso il lavoro congiunto di abili maestri e di
apprendisti ma anche attraverso workshop, attività di formazione
professionale, corsi e molti altri modi. la pratica implica una stretta
cooperazione tra i membri della comunità, così da rafforzare la
coesione sociale e la collaborazione tra famiglie e tra vicini. In
quanto elemento diffuso ma al tempo stesso caratteristico del paesaggio
culturale, esso infonde in tutti i praticanti un forte senso di
identità. L'arte del muro a secco combina una tecnica diffusa con il
riguardo per le specifiche condizioni locali e l'uso del materiale di
costruzione disponibile localmente. Nel valorizzare il carattere
condiviso del sapere tradizionale, essa risponde all'esigenza di
sistemazione del terreno a fini agricoli e di utilizzo della pietra per
la realizzazione di strutture altamente funzionali (2).
Il comitato non mancava di aggiungere come l'arte
del muro a secco non solo rappresenta un ottimo esempio del ruolo del
patrimonio immateriale nella creazione e nel mantenimento degli
ambienti umani ma, attraverso la sua larga diffusione e l'attiva
protezione di cui godono gli elementi materiali più significativi
realizzati con questa tecnica, uno strumento di promozione del
patrimonio immateriale in generale.
Versanti terrazzati in valle Imagna (da A. Carminati,
P. Invernizzi, Prida e Piöda,
Sant'Omobono terme, Centro studi Valle Imagna, 2012, foto Alfonso
Modenesi)
I paesaggi terrazzati
fanno la parte del leone tra i paesaggi rurali storici
Nel registro nazionale dei paesaggi rurali storici figurano molti
paesaggi terrazzati. E' bene precisare la differenza tra terrazzi
(sostenuti da murti a secco) e ciglioni. Questi ultimi rappresentano
una forma simile di sistemazione agraria, sempre con la finalità di
poter ridurre la pendenza delle superfici da coltivare, ma - a
differenza dei terrazzi - presentano una scarpata inerbita, circostanza
possibile laddove la pendenza originaria del versante non è molto
elevata.
Tra i paesaggi terrazzati, il cui fascino dipende dalla fusione
dell'elemento costruito con quello naturale. Il muro, in
particolare, rappresenta un elemento antropico di fortissima pregnanza
simbolica, marcatore di umanizzazione di civiltà in quanto
rimanda alla casa realizzata in muro a secco fuori terra che fu un
elemento chiave dell'evoluzione della civiltà neolitica che, grazie
all'acquisizione delle tecniche murarie segnando il passaggio da dimore
circolari semi-intererrate (sorte di "tane" e richiamo all'utero
materno)(3).
A che epoca risalgono i terrazzamenti? Alcuni tra i più famosi, quelli
liguri e della Valtellina sono medievali, ma la generalizzazione del
terrazzamento, almeno in ambito alpino risale al XVIII, quando non al
XIX secolo ed è in netta relazione con la crescita demografica. Ma tali
tempistiche varrebbero anche per l'Italia peninsulare (4) Già allora
c'è chi in nome della razionalità economica e agronomica considerava
una follia contadina i vigneti terrazzati come quelli valtellinesi.
Stefano Jacini, grande proprietario terriero (ma anche industriale
della seta) espresse, da borghese capitalista, giudizi impetosi sulla
"viticoltura eroica":
Che
cosa è una vigna, propriamente detta, in Valtellina? Non è altro,
il più delle volte ,se non una nuda roccia sulla
quale il contadino
costruisce un muricciuolo per
contenere la terra; con cui egli rivestì quella roccia
trasportandola sulle sue spalle dal fondo della vallata;
dopo breve lasso di tempo gli è necessario rinnovare la faticosa
operazione; ogni anno poi vi aggiunge un capitale in concime, in
legname di sostegno ed in continuo lavoro (5).
Non solo vigneti e
uliveti
I terrazzi sono stati realizzati per coltivare la vite
e l'ulivo in primo luogo. Tra i vigneti terrazzati sono famosi in tutto
il mondo quelli delle Cinque Terre, in Italia anche quelli del versante
retico della Valtellina. Ma ci sono (tutti compresi nel registro
nazionale dei paesaggi rurali storici) anche quelli valdostani e della
trentina val di Cembra. Vi sono poi diversi paesaggi dell'uliveto
(quello di Lucisano in Liguria, quello terrazzati di Vallecorsa a
terrazze e lunette dei monti Lucretili in Lazio) ma anche i limoneti
terrazzati di Amalfi, le limonaie della sponda bresciana del lago
di Garda, i campi terrazzati della Majella in Molise, gli orti e i
castagneti terrazzati dell'alta val Sturla in Liguria, le terrazze a
noccioleto del golfo del Tigullio, sempre in Liguria, il paesaggio
terrazzato della costa tirrenica calabrese e le policolture terrazzate
dell'Etna meridionale, i terrazzamenti garganici in Puglia. Tra i
paesaggi caratterizzati dai muretti a secco, ma non terrazzati, gli
oliveti delle Serre salentine, sempre in Puglia, i carrubeti dei campi
chiusi dei Monti Iblei della Sicilia.
Uliveto alle pendici del monte Baldo (Veneto)
La realizzazione di terrazze per
effettuare coltivazioni meno pregiate e specializzate della vite e
dell'olivo testimonia quanto fosse importante "rubare" superfici
coltivabili alla montagna, anche solo per poter piantare dei castagni
da frutto, l'albero del pane dei poveri. In Valchiavenna [...] Imponenti e accurati erano i lavori
tesi a consolidare il terreno
del castagneto, con la costruzione di incredibili muraglie a secco
(ancora oggi visibili in molte parti delle nostre pendici di mezza
costa, sia pure abbandonate ed irrimediabilmente votate al degrado).
Per queste opere veniva utilizzato il pietrame utilizzato sul posto,
non esclusi enormi macigni, che si stenta a credere potessero essere
smossi con la sola forza delle braccia. Si otteneva così una serie di
terrazzamenti (bancín) , non
dissimili da quelli che, ancora, che si
possono ammirare nei vigneti della vicina Valtellina […]. Non
venivano
trascurati nemmeno i castagni isolati, magari in mezzo alle balze
rocciose,: anch’essi sostenuti dal loro bravo muro a secco (6).
Abbiamo citato alcuni paesaggi che sono stati
"certificati". Ma quanti altri sono altrettanto meritevoli di essere
conosciuti, conservati e valorizzati? Operazioni come quelle del
"registro" sono armi a doppio taglio. Da una parte, celebrando alcuni
paesaggi rurali storici si promuove in generale l'interesse e la
considerazione per il valore in generale di questo immenso patrimonio,
dall'altra si rischia di far credere al grosso pubblico che solo queste
"eccellenze" hanno dignità di bene culturale. Va rilevato, però, che il
criterio fondamentale per accedere a queste forme di "certificazione" è
la capacità dei soggetti locali di attivarsi per la candidatura.
Purtroppo in molte realtà non vi sono attori locali interessati o
capaci di sostenere una candidatura di questo tipo.
Valle Anzasca (Ossola). In estate di questi vecchi
terrazzi non si ha più cognizione. Solo in inverno, specie con la neve
che aumenta (come in una foto bianco e nero molto contrastata),
l'effetto del terrazzo per via della neve che copre solo la
fascia un tempo coltivata, riusciamo solo ad accorgerci della loro
presenza. E sbalordiamo di fronte alle impensabili pendenza di questi
versanti coltivati. Cosa non si faceva per procurarsi il pane! (foto
Ruralpini)
Altrove, forse, si ritiene che questi patrimoni
siano, tutto sommato, uguali a tanti altri e non meritevoli di essere
celebrati pur rappresentando qualcosa di importante. L'auspicio è che
attraverso il registro nazionale, o altre forme di riconoscimento,
tutto il patrimonio dei paesaggi rurali storici sia tutelato. Restando
nell'ambito dei muri a secco e, in particolare dei paesaggi terrazzati
che rappresentano la forma più interessante di applicazione agricola
delle strutture murarie a secco, la prima cosa che è bene chiarire è
che esse sono veramente diffuse come sottolineava l'Unesco. Dovunque le
valli presentano forti pendenze e dovunque, per strappare alla montagna
un po' di fazzoletti di terra, risultasse necessario terrazzare, noi
troviamo queste strutture.
Versanti terrazzati in valle Imagna (da A. Carminati,
P. Invernizzi, Prida e Piöda,
Sant'Omobono terme, Centro studi Valle Imagna, 2012)
Tratti comuni e adattamenti
Chi conosce i terreni terrazzati della valle Imagna, una valle
prealpina poco conosciuta fuori della Lombardia? Eppure essi, grazie
alle particolari caratteristiche della pietra carbonatica locale
(depositi di argilliti di Riva di Solto), che si sfaglia in strati
paralleli tra loro - consentendo di ricavare blocchi dalle superfici
piane e regolari, qui è possibile realizzare muri a secco molto alti
(sino a cinque metri)(7). In più questa
pietra locale è molto durevole.
L'altezza dei muri a secco è in genere pari a 2-3 m. Dove non si
dispone di pietre particolarmente adatte, e di maestranze
specializzate,
per altezze superiori i muri devono essere realizzati a calce.
La stratigrafia della
roccia carbonatica della valle Imagna
Lo schema base del muro
squadrato e quasi verticale del terrazzamento (da A. Carminati, P.
Invernizzi, Prida e Piöda,
Sant'Omobono terme, Centro studi Valle Imagna, 2012)
Schema di muro a
secco per la realizzazione dei terrazzamenti delle Cinque Terre in
Liguria
Terrazzamenti (fasce) con muri molto alti e verticali
in valle Arroscia (Liguria)
Le differenze tra
le pietre disponibili sul posto spiegano alcune varianti nella
realizzaizione di muri, anche se la struttura è fondamentalmente la
stessa. Il principio della realizzazione del muro è basato sull'uso di
conci più grandi e regolari alla base e di elementi di minor dimensione
salendo verso l'alto. Dove si dispone solo di pietre locali
tendenzialmente tondeggianti (levigate dai fiumi e dai ghiacciai) i
muri non possono salire di molto. Meno regolari sono i conci e più
diventa cruciale la scelta di elementi che "combacino" tra loro e di
elementi minori di interposizione in grado di stabilizzare la struttura.
Un esempio di recupero dell'uso degli antichi
terrazzamenti per la cerealicoltura alpina (Berbenno, Valtellina). La
struttura del muro mette in evidenza l'indisponibilità in loco di
grosse pietre di fondazione. L'altezza del muretto è quindi modesta. Do
conseguenza la fascia coltivata sarà stretta e sarà necessario erigere
più muretti.
Per contenere la maggior spinta alla base il muro deve essere
ovviamente anche più spesso. Posteriormente al paramento murario (che
viene realizzato spesso con pietre proveniente da piccole cave nei
dintorni) il riempimento può essere effettuato con ciottoli reperiti in
loco. Ciò, ovviamente, se il terrazzamento modifica il profilo del
pendio ma questo presentava comunque uno strato di terriccio. Dove il
terrazzo è realizzato sulla nuda roccia (come spesso avveniva nelle
situazioni "eroiche" come quelle della Valtellina), alla fatica del
lavoro di erezione del muro e di trasporto delle pietre, si aggiungeva
quella del riporto della terra di coltura. I detriti collocati alle
spalle del muro hanno la finalità, ovviamente in base alla natura del
terreno più o meno permebile, di drenare le acque. Nel paesaggio
terrazzato non vi sono solo i muri ma anche altri elementi che
strutturano e complessificano il paesaggio. Le terrazze sono chiamate
localmente in modi diversi (vedi le fasce
liguri, le piegne valdostane,
le tee valdimagnine) e
presentano, oltre alla struttura del muro anche altri elementi che le
differenziano. Tra questi le modalità di acesso (scale) e le
demarcazioni dei confini di proprietà. Queste complesse opere di
rimodellamento del paesaggio non potevano essere realizzate se non con
la cooperazione dei proprietari di tutte le parcelle interessate alla
sistemazione. Quanto più era complesso l'intervento, riguardando interi
versanti, e quanto più esso doveva avere alla base un progetto
collettivo che impegnava in modo solidale tutta la piccola comunità.
In queste terrazze valfdimagnine la scala segue la
linea di massima pendenza e funge anche, molto razionalmente da
divisione delle proprietà (da A. Carminati, P. Invernizzi, Prida e Piöda,
Sant'Omobono terme, Centro studi Valle Imagna, 2012)
Tra le modalità più semplici di accesso alla terrazza superiore figura
quella dei gradini a sbalzo. Un sistema applicato dove si dispone di
lastre scistose di ampia superficie e modesto spessore (le stesse
utilizzate per la copertura dei tetti).
A volte la divisione degli appezzamenti determina una vera e propria
compartimentalizzazione del paesaggio con i muri delle terrazze e
(disposti ortogonalmente) i muri di dicisione delle proprietà. Un
sistema applicato negli ambiti a coltivazione più intensiva (dove la
selva castanile era oggetto di usi promisco, con la coltivazione
orticola al suolo).
Valmaggia (Canton Ticino) Nella piccola frazione
Terra di Bischetto in Comune di Cevio Vallemaggia, un
vasto progetto ha salvato selve castanili, muretti, cappellette e altre
testimonianze del passato. Qui le divisioni di proprietà delimitano
piccole parcelle.
Il miglior sistema per
assicurare la stabilità dei versanti
I muri a secco e tutto il sistema dei terrazzamenti, una volta risolti
i problemi di deflusso delle acque (vi è una canaletta di scolo alla
base del muro) rappresentano un ottimo mezzo per assicurare la
stabilità dei versanti e proteggere i fondovalle. Mauro
Agnoletti, lo studioso che più si è impegnato nello studio e nella
tutela e valorizzazione del paesaggio rurale storico ha scritto. L’importanza e l’attualità del
terrazzamento è confermata da una indagine svolta
nelle Cinque Terre in seguito al disastro del 25
ottobre 2011, che dimostra come circa il 90% delle
frane siano avvenute in terrazzamenti abbandonati
e coperti dal bosco, dimostrano come in certe
condizioni non siano le condizioni naturali o i boschi
a rappresentare il migliore presidio per la riduzione
del rischio idrogeologico
(8)
Voci come questa sono ancora, purtroppo isolate. Vige ancora il
forestalismo, l'ambientalismo, l'ingegnerismo, il cementismo. Tutte
ideologie sostenute da interessi più forti di quelli rurali.
Sistemare i muri a secco costa infinitamente meno di rimborsare i danni
per gli eventi calamitosi e della realizzazione di opere
ingegneristiche e consente di dare opportunità di lavoro a molti
giovani, si fanno circolare risorse in loco.
Labili segni di
terrazzamenti ormai cancellati dal bosco. Si vede come appena i
versanti fossero meno rocciosi , i contadini non esitavano a
terrazzarli anche in presenza di forti pendenza. Non si tratta di
recuperare tutti i terrazzamenti, frutto di una contingenza che
spingeva le popolazioni alpine a coltivare in condizioni estreme, ma
quelli più vicini agli abitati, in condizioni non proibitive che
possono consentire di realizzare coltivazioni specializzate poco
meccanizzabili, che si avvantaggano del clima e del
microclima (foto Ruralpini)
Niente appalti, niente
tangenti, niente intermediazioni bancarie, niente mega parcelle di mega
studi professionali, però. E quindi non c'è interesse della politica
(che bada agli interessi forti e organizzati anche se non ci sono di
mezzo mazzette) e si preferisce far finta di nulla. E lasciare che i
muretti crollino.
Oltre ai vantaggi idrologici, i terrazzamenti presentavano (e
presentano ancor oggi, quando restano in piedi) anche vantaggi
microclimatici. La pietra del muro rilascia di notte parte del calore
ricevuto e contribuisce a "smussare" la differenza termica tra il
giorno e la notte. Un effetto provvidenziale per le colture legnose
specializzate in montagna che, specie in primavera, sono a rischio di
forti abbassamenti termici.
Valle Antrona (Ossola). Anche i terrazzi prossimi al
paese sono avvolti dai rovi. Non succede così in Svizzera, dove
contributi mirati per i contadini e programmi di recupero dei muretti
impediscono questa barbarie
Alla bellezza dei terrazzi, legata alla sua natura di paesaggio che
reca la mano dell'uomo ma nella forma di adattamento all'ambiente dato,
si deve aggiungere anche un loro ruolo naturalistico. Paesaggio
culturale per eccellenza è anche ricco di biodiversità. Un fatto di cui
ci si accorge amaramente quando le terrazze scompaiono , cancellate
prima dai rovi, poi dall'affermarsi di piante arboree pioniere che
germinando entro gli stessi muri (dove c'è terriccio e umidità), con le
loro radici provocano, inesorabili e impietose, la demolizione dei
muri, cui seguono piccoli smottamenti facilitati dall'azione dell'acqua
non più regimata. A differenza di un muro in calcestruzzo un muro a
secco, con le sue cavità, offre riparo a nucchie ecologiche a molte
specie vegetali (rupicole) e animali: insetti, ragni, crostacei,
rettimi ma anche uccelli che vi possono anche nidificare e piccoli
mammiferi. L'ideologia ambientalista, però, rifiuta di ammettere che
dove c'è la mano dell'uomo ci può essere maggiore biodiversità che
nelle situazioni di pseudo wilderness, frutto dell'abbandono, quindi
paesaggio culturale, anzi sociale, anzi politico, si potrebbe
dire, voluto dalle forze economiche e sociali dominanti (con il
supporto ipocrita dell'ideologie "verdi"). Ai "naturalisti" torna
comodo parlare in termini pseudoscientifici di "disturbo antropico" non
distinguendo tra opere in calcestruzzo e quelle in muro a secco. Le
prime si sgretolano dopo qualche decennio (pochi anni se il cemento era
depotenziato). Spesso realizzate male non lasciano "sfogare" l'acqua,
nei casi peggiori cedono sotto il proprio peso. In ogni caso richiedono
manutenzione. Costosa. A tagliare la testa al toro a mettere in
evidenza i vantaggi delle costruzioni a secco anche nell'ambito delle
infrastrutture stradali di montagna, vogliamo citare l'estesa rete di
strade camionabili, carrabili, mulattiere, realizzate nel 1916
nell'ambito della realizzazione della linea difensiva che si snoda
dalla val d'Aosta alle Orobie. Ebbene, dopo oltre un secolo, molte di
quelle strade sono in esercizio. A volte sono state assimilate alla
viabilità forestale e sono chiuse al traffico, a volte sono parte delle
rete ordinaria. Tali
strade, realizzate a regola d’arte, con opere (muri di sostegno,
selciature, canalizzazioni) realizzate in pietra locale "a
secco” (tecnica che assicura lo scolo delle acque) hanno potuto
conservarsi integre sino
ad oggi e si inseriscono perfettamente nel paesaggio.
Effervescenza positiva
Possiamo affermare che il riconoscimento
dell'Unesco è arrivato perché si era già, da anni, messo in moto un
movimento a favore dei muri a secco. Chi è coinvolto in questo
movimento ha compreso che solo attraverso il recupero dei saperi
tradizionali e il coinvolgimento dei giovani è possibile la
tutela dei paesaggi dei muretti a secco. Il recupero deve avvenire dal
basso, in forme spontanee e partecipate. Affidare a grosse ditte
specializzate le azioni di recupero servirebbe solo a disperdere
risorse. Serve, invece creare nuova professionalità. Servono i maestri
specializzati ma anche tanti "praticanti" che desiderano dedicarsi a
questa attività conciliandola con altre, anche nel quadro di azioni di
volontariato o di scambio di prestazioni. E' stato bello vedere la
moltiplicazione di scuole e i corsi (sia in Italia che nelle vicine
zone svizzere)(sotto ne segnaliamo uno che si terrà prossimamente in
Friuli). E se c'è anche una componente un po' di "moda" ben venga, una
volta tanto, una moda così benefica. Attraverso queste iniziative, come
dice giustamente l'Unesco, si allarga la consapevolezza del valore del
patrimonio rurale in generale, dei valori della ruralità, della
collaborazione. Rigenerare un paesaggio attraverso la cura dei muretti
significa rigenerare modalità di trasmissione delle conoscenze e delle
abilità, la capacità di condividere progetti per il bene comune,
riattivare la solidarietà generazionale e di vicinato corrose
dall'individualismo, avvicinare ai contadini coloro che contadini non
sono più ma tornano ad amare la loro terra e trovano quindi motivo di
operare insieme ai contadini per una rinascita di una comunità che cura
il proprio spazio.
Note
(1) https://ich.unesco.org/en/decisions/13.COM/10.B.10
(2) Ivi.
(3) J.
Cauvin, Nascità
della divinità, nascita dell'agricoltura. La rivoluzione dei simboli
nel neolitico, Milano, Jaca Book, 1994
(4) P.
Laureano, Il sistema dei
terrazzamenti nel
paesaggio euromediterraneo, in: La cultura dei
terrazzamenti per la salvaguardia del paesaggio, Atti del
convegno internazionale, Vietri sul Mare, Maggio 2004,
Salerno, Menabò Edizioni, 2004
(5) S.
Jacini, Sulle condizioni economiche della provincia di Sondrio
nell'anno 1858, Milano, Civelli, 1858 (2a ed.) , p. 46.
(6) S.Scuffi,
Nü ‘n cuštümáva. Vocabolario
dialettale di Samolaco, Sondrio, Idevv,
2005, p. 180
(7) A.
Carminati, P. Invernizzi, Prida
e Piöda. Mulattiere, muri a secco, fontane, stalle, case, e altri
manufatti dell'edilizia tradizionale in Valle Imagna e Valle Taleggio,
Sant'Omobono terme, Centro studi Valle Imagna, 2012, pp.117-183.
(8) M.
Agnoletti, L’inventario
nazionale del paesaggio rurale storico. Nuovi indirizzi per la
pianificazione delle aree rurali. Ri-Vista 10.2 (2012):
85-92. L'Agnoletti fa qui riferimento a un proprio studio
specifico:
M. Agnoletti et al., Paesaggio e dissesto idrogeologico. Il
disastro
ambientale del 25 ottobre 2011 nelle Cinque Terre. in M.
Agnoletti, A. Carandini, W. Santagata (a cura di), Florens
2012. Studi e Ricerche, Pisa, Bandecchi e Vivaldi, 2012
Cantiere sui
muri a secco ad Artegna
Prende avvio il 3 settembre ad Artegna, per il quinto anno
consecutivo, un nuovo cantiere del paesaggio dedicato
ai muri a secco, promosso dall’Ecomuseo delle Acque del Gemonese e
dal
Comune di Artegna e inserito all’interno della Scuola italiana della
pietra a secco promossa dall’Alleanza mondiale per i paesaggi
terrazzati. Si tratta di un corso gratuito, aperto a tutte le persone
interessate, che si propone di fornire ai partecipanti il metodo base e
i consigli pratici su come recuperare questi manufatti che uniscono
aspetti strutturali e componente estetica: perfettamente inseriti
nell’ambiente, se ben gestiti nel corso del tempo dimostrano la loro
grande utilità per ricavare spazi coltivabili, regimare le acque,
ridurre l’erosione.
L’attenta scelta delle pietre, la loro sfaccettatura, l’incastro
perfetto, costituiscono i tratti salienti di un antico lavoro manuale
che rischia di scomparire. Il cantiere, diretto dal giovane
maestro
artigiano Tommaso Saggiorato,
si svolgerà lungo il sentiero che conduce al “lavio” di Borgo
Monte,
dando continuità all’opera di recupero realizzata lo scorso anno lungo
lo stesso camminamento, chiuso da un muro di contenimento che andrà
ripulito dalla vegetazione e in parte ricostruito. L’attività
prevede l’approfondimento delle tecniche di taglio delle pietre, il
calcolo dell’angolo di inclinazione del muro e del suo spessore, la
costruzione e posa delle calandre, la posa delle pietre di fondazione e
l’elevazione del muro.
L’obiettivo è quello di unire la tradizione con l’innovazione. La
tradizione è quella plurisecolare legata a tecniche costruttive che
mettono in sicurezza tracciati e versanti, mentre l’innovazione
consiste nell’incentivare la capacità di far conoscere e valorizzare il
territorio, rendendolo fruibile e condividendo le buone pratiche
finalizzate alla riqualificazione del paesaggio anche a fini turistici.
L’Unesco nel 2018 ha inserito l’arte della costruzione in pietra a
secco, le conoscenze e le tecniche relative, nella lista dei Beni
intangibili dichiarati patrimonio dell’Umanità.
Le prenotazioni vanno effettuate chiamando il 338 7187227 o
inviando una mail a info@ecomuseodelleacque.it
Si consiglia di portare pantaloni lunghi, scarpe e occhiali da lavoro,
guanti pesanti
I partecipanti disporranno della copertura assicurativa
Nelle foto di Graziano Soravito: cantiere 2018 ad Artegna
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