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I muretti a secco: rigeneriamo il paesaggio vivo




di Michele Corti

Il riconoscimento da parte dell'Unesco, nel novembre 2018,  dell'arte del muro a secco quale patrimonio immateriale dell'umanità è il risultato di un movimento, attivo in Italia e in altri paesi, fatto non solo di studi e convegni ma anche di scuole e di corsi, di riattivazione di una pratica da condividere.  L'arte del muro a secco è un catalizzatore di energie indirizzate alla cura dinamica del paesaggio, alla rivitalizzazione dei meccanismi della trasmissione del sapere manuale e della capacità di cooperazione.



(14.08.19)
Nel novembre del 2018 il comitato intergovernativo dell'Unesco su candidatura presentata da Croatia, Cipro, Francia, Greecia, Italia, Slovenia, Spagna and e Svizzera ha approvato l'inserimento delle conoscenze e delle tecniche per la realizzazione dei muri a secco  nell'elenco del patrimonio culturale immateriale dell'umanità. In sede di decisione questo patrimonio è stato così inquadrato dal comitato: 
L'arte dei muri a secco consiste nei saperi connessi alla realizzazione di costruzioni in pietra sovrapponendo le pietre una all'altra senza utilizzo di altri materiale, con l'eccezione, talvolta, di terriccio. Le strutture di pietra a secco sono diffuse nella maggior parte delle aree rurali, sia all'interno che all'esterno dei centri abitati e non sono sconosciute  nelle aree urbane. La solidità delle strutture è assicurata dall'attenta selezione  e posizionamento delle pietre. Le costruzioni a secco  hanno  modellato numerosi e differenti tipi di paesaggio, dando luogo a modelli abitativi, agricoli e zootecnici. Queste strutture evidenziano i metodi e le tecniche utilizzate dai gruppi umani, dalla preistoria ad oggi, per organizzare i propri spazi di lavoro e di abitazione ottimizzando le risorse umane e naturali localmente disponibili. Esse svolgono un ruolo cruciale nel prevenire i movimenti franosi, le alluvioni e le slavine, nonchè nel contrastare la deserificazione e l'erosione del suolo, nel promuovere la biodiversità e nel predisporre adeguate condizioni microclimatiche per l'attività agricola. Chi esercita e trasmette queste conoscenze e di queste tecniche sono le comunità rurali, ma anche gli operatori professionali del settore edilizio. Le strutture a secco si armonizzano sempre perfettamemente nel contesto ambientale e la tecnica rappresenta un esempio di rapporto armonioso tra l'uomo e la natura. La trasmissione di questa pratica è avvenuta attraverso la sua stessa applicazione, adattata alle particolare condizioni di ciascun luogo
(1). 
Requisito per il riconoscimento di un elemento nell'elenco del patrimonio immateriale dell'umanità è il suo rappresentare un elemento vivo, funzionale alle esigenze attuali. Da questo punto di vista il comitato dell'Unesco si è espresso in questi termini:
L'arte del muro a secco rappresenta una tradizione vivente che si è sempre più perfezionata in funzione di una gestione sostenibile del patrimonio culturale, delle terre coltivate, delle abitazioni e del loro contesto.  Nell'ambito di chi la pratica, le conoscenze e le abilità si trasmettono attraverso il lavoro congiunto di abili maestri e di apprendisti ma anche attraverso workshop, attività di formazione professionale, corsi e molti altri modi. la pratica implica una stretta cooperazione tra i membri della comunità, così da rafforzare la coesione sociale e la collaborazione tra famiglie e tra vicini. In quanto elemento diffuso ma al tempo stesso caratteristico del paesaggio culturale, esso infonde in tutti i praticanti un forte senso di identità. L'arte del muro a secco combina una tecnica diffusa con il riguardo per le specifiche condizioni locali e l'uso del materiale di costruzione disponibile localmente. Nel valorizzare il carattere condiviso del sapere tradizionale, essa risponde all'esigenza di sistemazione del terreno a fini agricoli e di utilizzo della pietra per la realizzazione di strutture altamente funzionali (2).
Il comitato non mancava di aggiungere come l'arte del muro a secco non solo rappresenta un ottimo esempio del ruolo del patrimonio immateriale nella creazione e nel mantenimento degli ambienti  umani ma, attraverso la sua larga diffusione e l'attiva protezione di cui godono gli elementi materiali più significativi realizzati con questa tecnica, uno strumento di promozione del patrimonio immateriale in generale.


Versanti terrazzati in valle Imagna (da A. Carminati, P. Invernizzi, Prida e Piöda, Sant'Omobono terme, Centro studi Valle Imagna, 2012, foto Alfonso Modenesi)


I paesaggi terrazzati fanno la parte del leone tra i paesaggi rurali storici

Nel registro nazionale dei paesaggi rurali storici figurano molti paesaggi terrazzati. E' bene precisare la differenza tra terrazzi (sostenuti da murti a secco) e ciglioni. Questi ultimi rappresentano una forma simile di sistemazione agraria, sempre con la finalità di poter ridurre la pendenza delle superfici da coltivare, ma - a differenza dei terrazzi - presentano una scarpata inerbita, circostanza possibile laddove la pendenza originaria del versante non è molto elevata.
Tra i paesaggi terrazzati, il cui fascino dipende dalla fusione dell'elemento costruito con quello naturale.  Il muro, in particolare, rappresenta un elemento antropico di fortissima pregnanza simbolica, marcatore di umanizzazione di civiltà  in quanto rimanda alla casa realizzata in muro a secco fuori terra che fu un elemento chiave dell'evoluzione della civiltà neolitica che, grazie all'acquisizione delle tecniche murarie segnando il passaggio da dimore circolari semi-intererrate (sorte di "tane" e richiamo all'utero materno)(3).   
A che epoca risalgono i terrazzamenti? Alcuni tra i più famosi, quelli liguri e della Valtellina sono medievali, ma la generalizzazione del terrazzamento, almeno in ambito alpino risale al XVIII, quando non al XIX secolo ed è in netta relazione con la crescita demografica. Ma tali tempistiche varrebbero anche per l'Italia peninsulare (4) Già allora c'è chi in nome della razionalità economica e agronomica considerava una follia contadina i vigneti terrazzati come quelli valtellinesi. Stefano Jacini, grande proprietario terriero (ma anche industriale della seta) espresse, da borghese capitalista, giudizi impetosi sulla "viticoltura eroica":

Che cosa è una vigna, propriamente detta, in Valtellina? Non è altro, il più delle volte ,se non una
nuda roccia sulla quale il contadino costruisce un muricciuolo per contenere la terra; con cui egli rivestì quella roccia trasportandola sulle sue spalle dal fondo della vallata;
dopo breve lasso di tempo gli è necessario rinnovare la faticosa operazione; ogni anno poi vi aggiunge un capitale in concime, in legname di sostegno ed in continuo lavoro (5).
 


Non solo vigneti e uliveti

 I terrazzi sono stati realizzati per coltivare la vite e l'ulivo in primo luogo. Tra i vigneti terrazzati sono famosi in tutto il mondo quelli delle Cinque Terre, in Italia anche quelli del versante retico della Valtellina. Ma ci sono (tutti compresi nel registro nazionale dei paesaggi rurali storici) anche quelli valdostani e della trentina val di Cembra. Vi sono poi diversi paesaggi dell'uliveto (quello di Lucisano in Liguria, quello terrazzati di Vallecorsa a terrazze e lunette dei monti Lucretili in Lazio) ma anche i limoneti terrazzati di Amalfi, le limonaie della sponda  bresciana del lago di Garda, i campi terrazzati della Majella in Molise, gli orti e i castagneti terrazzati dell'alta val Sturla in Liguria, le terrazze a noccioleto del golfo del Tigullio, sempre in Liguria, il paesaggio terrazzato della costa tirrenica calabrese e le policolture terrazzate dell'Etna meridionale, i terrazzamenti garganici in Puglia. Tra i paesaggi caratterizzati dai muretti a secco, ma non terrazzati, gli oliveti delle Serre salentine, sempre in Puglia, i carrubeti dei campi chiusi dei Monti Iblei della Sicilia.


Uliveto alle pendici del monte Baldo (Veneto)

La realizzazione di terrazze per effettuare coltivazioni meno pregiate e specializzate della vite e dell'olivo testimonia quanto fosse importante "rubare" superfici coltivabili alla montagna, anche solo per poter piantare dei castagni da frutto, l'albero del pane dei poveri. In Valchiavenna [...] Imponenti e accurati erano i lavori tesi a consolidare il terreno del castagneto, con la costruzione di incredibili muraglie a secco (ancora oggi visibili in molte parti delle nostre pendici di mezza costa, sia pure abbandonate ed irrimediabilmente votate al degrado). Per queste opere veniva utilizzato il pietrame utilizzato sul posto, non esclusi enormi macigni, che si stenta a credere potessero essere smossi con la sola forza delle braccia. Si otteneva così una serie di terrazzamenti (bancín) , non dissimili da quelli che, ancora, che si possono ammirare  nei vigneti della vicina Valtellina […]. Non venivano trascurati nemmeno i castagni isolati, magari in mezzo alle balze rocciose,: anch’essi sostenuti dal loro bravo muro a secco (6).
Abbiamo citato alcuni paesaggi che sono stati "certificati". Ma quanti altri sono altrettanto meritevoli di essere conosciuti, conservati e valorizzati? Operazioni come quelle del "registro" sono armi a doppio taglio. Da una parte, celebrando alcuni paesaggi rurali storici si promuove in generale l'interesse e la considerazione per il valore in generale di questo immenso patrimonio, dall'altra si rischia di far credere al grosso pubblico che solo queste "eccellenze" hanno dignità di bene culturale. Va rilevato, però, che il criterio fondamentale per accedere a queste forme di "certificazione" è la capacità dei soggetti locali di attivarsi per la candidatura. Purtroppo in molte realtà non vi sono attori locali interessati o capaci di  sostenere una candidatura di questo tipo. 


Valle Anzasca (Ossola). In estate di questi vecchi terrazzi non si ha più cognizione. Solo in inverno, specie con la neve che aumenta (come in una foto bianco e nero molto contrastata), l'effetto del terrazzo per via della neve che copre  solo la fascia un tempo coltivata, riusciamo solo ad accorgerci della loro presenza. E sbalordiamo di fronte alle impensabili pendenza di questi versanti coltivati. Cosa non si faceva per procurarsi il pane! (foto Ruralpini)


Altrove, forse, si ritiene che questi patrimoni siano, tutto sommato, uguali a tanti altri e non meritevoli di essere celebrati pur rappresentando qualcosa di importante. L'auspicio è che attraverso il registro nazionale, o altre forme di riconoscimento, tutto il patrimonio dei paesaggi rurali storici sia tutelato. Restando nell'ambito dei muri a secco e, in particolare dei paesaggi terrazzati che rappresentano la forma più interessante di applicazione agricola delle strutture murarie a secco, la prima cosa che è bene chiarire è che esse sono veramente diffuse come sottolineava l'Unesco. Dovunque le valli presentano forti pendenze e dovunque, per strappare alla montagna un po' di fazzoletti di terra, risultasse necessario terrazzare, noi troviamo queste strutture.

Versanti terrazzati in valle Imagna (da A. Carminati, P. Invernizzi, Prida e Piöda, Sant'Omobono terme, Centro studi Valle Imagna, 2012)


Tratti comuni e adattamenti

Chi conosce i terreni terrazzati della valle Imagna, una valle prealpina poco conosciuta fuori della Lombardia? Eppure essi, grazie alle particolari caratteristiche della pietra carbonatica locale (depositi di argilliti di Riva di Solto), che si sfaglia in strati paralleli tra loro - consentendo di ricavare blocchi dalle superfici piane e regolari, qui è possibile realizzare muri a secco molto alti (sino a cinque metri)(7). In più questa pietra locale è molto durevole. L'altezza dei muri a secco è in genere pari a 2-3 m. Dove non si dispone di pietre particolarmente adatte, e di maestranze specializzate, per altezze superiori i muri devono essere realizzati a calce.
 


La stratigrafia della roccia carbonatica della valle Imagna




Lo schema base del muro squadrato e quasi verticale del terrazzamento (da A. Carminati, P. Invernizzi, Prida e Piöda, Sant'Omobono terme, Centro studi Valle Imagna, 2012)


Schema di muro a secco per la realizzazione dei terrazzamenti delle Cinque Terre in Liguria



Terrazzamenti (fasce) con muri molto alti e verticali in valle Arroscia (Liguria)

Le differenze tra le pietre disponibili sul posto spiegano alcune varianti nella realizzaizione di muri, anche se la struttura è fondamentalmente la stessa. Il principio della realizzazione del muro è basato sull'uso di conci più grandi e regolari alla base e di elementi di minor dimensione salendo verso l'alto. Dove si dispone solo di pietre locali tendenzialmente tondeggianti (levigate dai fiumi e dai ghiacciai) i muri non possono salire di molto. Meno regolari sono i conci e più diventa cruciale la scelta di elementi che "combacino" tra loro e di elementi minori di interposizione in grado di stabilizzare la struttura.


Un esempio di recupero dell'uso degli antichi terrazzamenti per la cerealicoltura alpina (Berbenno, Valtellina). La struttura del muro mette in evidenza l'indisponibilità in loco di grosse pietre di fondazione. L'altezza del muretto è quindi modesta. Do conseguenza la fascia coltivata sarà stretta e sarà necessario erigere più muretti.
 

Per contenere la maggior spinta alla base il muro deve essere ovviamente anche più spesso. Posteriormente al paramento murario (che viene realizzato spesso con pietre proveniente da piccole cave nei dintorni) il riempimento può essere effettuato con ciottoli reperiti in loco. Ciò, ovviamente, se il terrazzamento modifica il profilo del pendio ma questo presentava comunque uno strato di terriccio. Dove il terrazzo è realizzato sulla nuda roccia (come spesso avveniva nelle situazioni "eroiche" come quelle della Valtellina), alla fatica del lavoro di erezione del muro e di trasporto delle pietre, si aggiungeva quella del riporto della terra di coltura. I detriti collocati alle spalle del muro hanno la finalità, ovviamente in base alla natura del terreno più o meno permebile, di drenare le acque. Nel paesaggio terrazzato non vi sono solo i muri ma anche altri elementi che strutturano e complessificano il paesaggio. Le terrazze sono chiamate localmente in modi diversi (vedi le fasce liguri, le piegne valdostane, le tee valdimagnine) e presentano, oltre alla struttura del muro anche altri elementi che le differenziano. Tra questi le modalità di acesso (scale) e le demarcazioni dei confini di proprietà. Queste complesse opere di rimodellamento del paesaggio non potevano essere realizzate se non con la cooperazione dei proprietari di tutte le parcelle interessate alla sistemazione. Quanto più era complesso l'intervento, riguardando interi versanti, e quanto più esso doveva avere alla base un progetto collettivo che impegnava in modo solidale tutta la piccola comunità.


In queste terrazze valfdimagnine la scala segue la linea di massima pendenza e funge anche, molto razionalmente  da divisione delle proprietà (da A. Carminati, P. Invernizzi, Prida e Piöda, Sant'Omobono terme, Centro studi Valle Imagna, 2012)

Tra le modalità più semplici di accesso alla terrazza superiore figura quella dei gradini a sbalzo. Un sistema applicato dove si dispone di lastre scistose di ampia superficie e modesto spessore (le stesse utilizzate per la copertura dei tetti).



A volte la divisione degli appezzamenti determina una vera e propria compartimentalizzazione del paesaggio con i muri delle terrazze e (disposti ortogonalmente) i muri di dicisione delle proprietà. Un sistema applicato negli ambiti a coltivazione più intensiva (dove la selva castanile era oggetto di usi promisco, con la coltivazione orticola al suolo). 

Valmaggia (Canton Ticino)  Nella piccola frazione Terra di Bischetto  in Comune di Cevio Vallemaggia, un vasto progetto ha salvato selve castanili, muretti, cappellette e altre testimonianze del passato. Qui le divisioni di proprietà delimitano piccole parcelle.

Il miglior sistema per assicurare la stabilità dei versanti

I muri a secco e tutto il sistema dei terrazzamenti, una volta risolti i problemi di deflusso delle acque (vi è una canaletta di scolo alla base del muro) rappresentano un ottimo mezzo per  assicurare la stabilità  dei versanti e proteggere i fondovalle. Mauro Agnoletti, lo studioso che più si è impegnato nello studio e nella tutela e valorizzazione del paesaggio rurale storico ha scritto. L’importanza e l’attualità del terrazzamento è confermata da una indagine svolta nelle Cinque Terre in seguito al disastro del 25 ottobre 2011, che dimostra come circa il 90% delle frane siano avvenute in terrazzamenti abbandonati e coperti dal bosco, dimostrano come in certe condizioni non siano le condizioni naturali o i boschi a rappresentare il migliore presidio per la riduzione del rischio idrogeologico
(8)
Voci come questa sono ancora, purtroppo isolate. Vige ancora il forestalismo, l'ambientalismo, l'ingegnerismo, il cementismo. Tutte ideologie sostenute da interessi più forti di quelli rurali.  Sistemare i muri a secco costa infinitamente meno di rimborsare i danni per gli eventi calamitosi e della realizzazione di opere ingegneristiche e consente di dare opportunità di lavoro a molti giovani, si fanno circolare risorse in loco.


Labili segni di terrazzamenti ormai cancellati dal bosco. Si vede come appena i versanti fossero meno rocciosi , i contadini non esitavano a terrazzarli anche in presenza di forti pendenza. Non si tratta di recuperare tutti i terrazzamenti, frutto di una contingenza che spingeva le popolazioni alpine a coltivare in condizioni estreme, ma quelli più vicini agli abitati, in condizioni non proibitive che possono consentire di realizzare coltivazioni specializzate  poco meccanizzabili,  che si  avvantaggano del clima e del microclima (foto Ruralpini)

Niente appalti, niente tangenti, niente intermediazioni bancarie, niente mega parcelle di mega studi professionali, però. E quindi non c'è interesse della politica (che bada agli interessi forti e organizzati anche se non ci sono di mezzo mazzette) e si preferisce far finta di nulla. E lasciare che i muretti crollino.
Oltre ai vantaggi idrologici, i terrazzamenti presentavano (e presentano ancor oggi, quando restano in piedi) anche vantaggi microclimatici. La pietra del muro rilascia di notte parte del calore ricevuto e contribuisce a "smussare" la differenza termica tra il giorno e la notte. Un effetto provvidenziale per le colture legnose specializzate in montagna che, specie in primavera, sono a rischio di forti abbassamenti termici.


Valle Antrona (Ossola). Anche i terrazzi prossimi al paese sono avvolti dai rovi. Non succede così in Svizzera, dove contributi mirati per i contadini e programmi di recupero dei muretti impediscono questa barbarie

Alla bellezza dei terrazzi, legata alla sua natura di paesaggio che reca la mano dell'uomo ma nella forma di adattamento all'ambiente dato, si deve aggiungere anche un loro ruolo naturalistico. Paesaggio culturale per eccellenza è anche ricco di biodiversità. Un fatto di cui ci si accorge amaramente quando le terrazze scompaiono , cancellate prima dai rovi, poi dall'affermarsi di piante arboree pioniere che germinando entro gli stessi muri (dove c'è terriccio e umidità), con le loro radici provocano, inesorabili e impietose, la demolizione dei muri, cui seguono piccoli smottamenti facilitati dall'azione dell'acqua non più regimata. A differenza di un muro in calcestruzzo un muro a secco, con le sue cavità, offre riparo a nucchie ecologiche a molte specie vegetali (rupicole) e animali: insetti, ragni, crostacei, rettimi ma anche uccelli che vi possono anche nidificare e piccoli mammiferi. L'ideologia ambientalista, però, rifiuta di ammettere che dove c'è la mano dell'uomo ci può essere maggiore biodiversità che nelle situazioni di pseudo wilderness, frutto dell'abbandono, quindi paesaggio culturale, anzi sociale, anzi politico, si potrebbe dire,  voluto dalle forze economiche e sociali dominanti (con il supporto ipocrita dell'ideologie "verdi"). Ai "naturalisti" torna comodo parlare in termini pseudoscientifici di "disturbo antropico" non distinguendo tra opere in calcestruzzo e quelle in muro a secco. Le prime si sgretolano dopo qualche decennio (pochi anni se il cemento era depotenziato). Spesso realizzate male non lasciano "sfogare" l'acqua, nei casi peggiori cedono sotto il proprio peso. In ogni caso richiedono manutenzione.  Costosa. A tagliare la testa al toro a mettere in evidenza i vantaggi delle costruzioni a secco anche nell'ambito delle infrastrutture stradali di montagna, vogliamo citare l'estesa rete di strade camionabili, carrabili, mulattiere, realizzate nel 1916 nell'ambito della realizzazione della linea difensiva che si snoda dalla val d'Aosta alle Orobie. Ebbene, dopo oltre un secolo, molte di quelle strade sono in esercizio. A volte sono state assimilate alla viabilità forestale e sono chiuse al traffico, a volte sono parte delle rete ordinaria. Tali strade, realizzate a regola d’arte, con opere (muri di sostegno, selciature, canalizzazioni) realizzate in pietra locale "a secco” (tecnica che assicura lo scolo delle acque) hanno potuto conservarsi integre sino ad oggi e si inseriscono perfettamente nel paesaggio.


Effervescenza positiva


Possiamo affermare che il riconoscimento dell'Unesco è arrivato perché si era già, da anni, messo in moto un movimento a favore dei muri a secco. Chi è coinvolto in questo movimento ha compreso che solo attraverso il recupero dei saperi tradizionali  e il coinvolgimento dei giovani è possibile la tutela dei paesaggi dei muretti a secco. Il recupero deve avvenire dal basso, in forme spontanee e partecipate. Affidare a grosse ditte specializzate le azioni di recupero servirebbe solo a disperdere risorse. Serve, invece creare nuova professionalità. Servono i maestri specializzati ma anche tanti "praticanti" che desiderano dedicarsi a questa attività conciliandola con altre, anche nel quadro di azioni di volontariato o di scambio di prestazioni. E' stato bello vedere la moltiplicazione di scuole e i corsi (sia in Italia che nelle vicine zone svizzere)(sotto ne segnaliamo uno che si terrà prossimamente in Friuli). E se c'è anche una componente un po' di "moda" ben venga, una volta tanto, una moda così benefica. Attraverso queste iniziative, come dice giustamente l'Unesco, si allarga la consapevolezza del valore del patrimonio rurale in generale, dei valori della ruralità, della collaborazione. Rigenerare un paesaggio attraverso la cura dei muretti significa rigenerare modalità di trasmissione delle conoscenze e delle abilità, la capacità di condividere progetti per il bene comune, riattivare la solidarietà generazionale e di vicinato corrose dall'individualismo, avvicinare ai contadini coloro che contadini non sono più ma tornano ad amare la loro terra e trovano quindi motivo di operare insieme ai contadini per una rinascita di una comunità che cura il proprio spazio.




Note


(1) https://ich.unesco.org/en/decisions/13.COM/10.B.10

(2) Ivi.

(3)
J. Cauvin, Nascità della divinità, nascita dell'agricoltura. La rivoluzione dei simboli nel neolitico, Milano, Jaca Book, 1994

(4) P. Laureano, Il sistema dei terrazzamenti nel paesaggio euromediterraneo, in: La cultura dei terrazzamenti per la salvaguardia del paesaggio, Atti del convegno internazionale, Vietri sul Mare, Maggio 2004, Salerno, Menabò Edizioni, 2004

(5)
S. Jacini, Sulle condizioni economiche della provincia di Sondrio nell'anno 1858, Milano, Civelli, 1858 (2a ed.) , p. 46.

(6) S.Scuffi, Nü ‘n cuštümáva. Vocabolario dialettale di Samolaco, Sondrio, Idevv, 2005,  p. 180

(7) A. Carminati, P. Invernizzi, Prida e Piöda. Mulattiere, muri a secco, fontane, stalle, case, e altri manufatti dell'edilizia tradizionale in Valle Imagna e Valle Taleggio, Sant'Omobono terme, Centro studi Valle Imagna, 2012, pp.117-183.

(8) 
M. Agnoletti, L’inventario nazionale del paesaggio rurale storico. Nuovi indirizzi per la pianificazione delle aree rurali. Ri-Vista 10.2 (2012): 85-92. L'Agnoletti fa qui riferimento a un proprio studio specifico:
M. Agnoletti et al.,  Paesaggio e dissesto idrogeologico. Il disastro ambientale del 25 ottobre 2011 nelle Cinque Terre. in M. Agnoletti, A. Carandini, W. Santagata (a cura di), Florens 2012. Studi e Ricerche, Pisa, Bandecchi e Vivaldi, 2012





Cantiere sui muri a secco ad Artegna




Prende avvio il 3 settembre ad Artegna, per il quinto anno consecutivo, un nuovo cantiere del paesaggio dedicato ai muri a secco, promosso dall’Ecomuseo delle Acque del Gemonese e dal Comune di Artegna e inserito all’interno della Scuola italiana della pietra a secco promossa dall’Alleanza mondiale per i paesaggi terrazzati. Si tratta di un corso gratuito, aperto a tutte le persone interessate, che si propone di fornire ai partecipanti il metodo base e i consigli pratici su come recuperare questi manufatti che uniscono aspetti strutturali e componente estetica: perfettamente inseriti nell’ambiente, se ben gestiti nel corso del tempo dimostrano la loro grande utilità per ricavare spazi coltivabili, regimare le acque, ridurre l’erosione.

L’attenta scelta delle pietre, la loro sfaccettatura, l’incastro perfetto, costituiscono i tratti salienti di un antico lavoro manuale che rischia di scomparire. Il cantiere, diretto dal giovane maestro artigiano 
Tommaso Saggiorato, si svolgerà lungo il sentiero che conduce al “lavio” di Borgo Monte, dando continuità all’opera di recupero realizzata lo scorso anno lungo lo stesso camminamento, chiuso da un muro di contenimento che andrà ripulito dalla vegetazione e in parte ricostruito. L’attività prevede l’approfondimento delle tecniche di taglio delle pietre, il calcolo dell’angolo di inclinazione del muro e del suo spessore, la costruzione e posa delle calandre, la posa delle pietre di fondazione e l’elevazione del muro.




L’obiettivo è quello di unire la tradizione con l’innovazione. La tradizione è quella plurisecolare legata a tecniche costruttive che mettono in sicurezza tracciati e versanti, mentre l’innovazione consiste nell’incentivare la capacità di far conoscere e valorizzare il territorio, rendendolo fruibile e condividendo le buone pratiche finalizzate alla riqualificazione del paesaggio anche a fini turistici. L’Unesco nel 2018 ha inserito l’arte della costruzione in pietra a secco, le conoscenze e le tecniche relative, nella lista dei Beni intangibili dichiarati patrimonio dell’Umanità.

Le prenotazioni vanno effettuate chiamando il 338 7187227 
o inviando una mail a info@ecomuseodelleacque.it

Si consiglia di portare pantaloni lunghi, scarpe e occhiali da lavoro, guanti pesanti 


I partecipanti disporranno della copertura assicurativa


Nelle foto di Graziano Soravito: cantiere 2018 ad Artegna







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