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Lana Valgandino: la storia che riparte
(1a parte)
di Michele Corti
(23.12.17)
In
Valgandino secoli di storia del lanificio hanno lasciato tantissime
testimonianze visibili (di grande interesse dal punto di vista
turistico). Ma, ancora più preziosa, resta una filiera costituita da
attori in stretto contatto tra loro, che va dai pastori che forniscono
la lana grezza agli stilisti, passando per chi la lana la lava, la
carda, la fila, la tesse, la tinge, la sottopone a trattamenti di
finissaggio. Un caso unico in Italia. Su queste basi è nato il progetto
Valgandino. Una scommessa che riposa sulla
storia: se nei secoli il
lanifico valligiano ha subito pesanti crisi per poi ripartire, se qui
non è mai finito è forse possibile avviare qui un nuovo ciclo, in un
momento storico in cui l'evoluzione economica planetaria non appare più
a senso unico, nuove/vecchie risorse possono essere messe in campo e la tecnologia si sviluppa in modo imprevedibile.
Prima
di riferire del progetto Lana
Valgandino (e di tutto quello che è avvenuto tra l'ultimo
incontro a Peia del 14 dicembre 2017 e il primo incontro informale di
Gandino del 14 dicembre 2016) vogliamo ripercorrere la storia del
lanificio di questa valle tra Settecento e Novecento. Perché in questi
secoli non facili, piuttosto che in quelli "d'oro" tra Quattrocento e
Seicento, si individuano i motivi che rendono la scommessa attuale sul
rilancio di una filiera locale della lana meno utopistica di quanto
potrebbe a prima vista sembrare.
+
+ +
Una filiera completa
Lo
storico Angelo Moioli (1) analizzando gli assetti manifatturieri
lombardi della seconda metà del Settecento scriveva:
[nel
Bergamasco]
grazie al ruolo propulsivo esercitato congiuntamente dal capoluogo e da
Gandino, si è instaurato da tempo un sistema di lavorazione a ciclo
completo, i cui punti di forza sono costituiti, oltre che dalla
presenza nelle zone montuose della provincia di un'abbondante
manodopera a buon mercato, dalla capacità di svolgere in loco, una
volta acquisita la materia prima, l'intero processo manifatturiero
[...]
L'abbondanza
della manodopera a basso costo oggi rappresenta semmai un vantaggio (ma
in via di attenuazione) per l'industria tessile di paesi "emergenti".
L'altro grande punto di forza indicato nel Settecento: la "filiera
completa", resta pienamente valido. La
pur ridotta filiera laniera è peraltro inserita in un più ampio
comparto tessile che ha saputo diversificarsi, specializzarsi,
dedicarsi ad attività "a valle", ovvero offrendo prodotti e servizi che
utilizzano i prodotti dell'industria tessile. Grazie alla presenza di
un distretto industriale tutt'ora vitale anche se la manodopera "a
basso
costo" è un ricordo di un passato ormai lontano, vi è comunque la
disponibilità di una manodopera qualificata nonché di competenze
specialistiche al massimo livello, capaci di travasarsi in nuove
attività. E oggi il lanificio può rappresentare una "nuova" attività.
Non è nuovo del resto il passaggio, entro l'industria tessile, da un
comparto all'altro.
Può
sembrare paradossale riferirsi alla filiera della lana, che in
Valgandino risale al Duecento (e che entra in crisi già alla fine del
Seicento). Ma la nuova scommessa sulla lana si basa su considerazioni
non peregrine, sulla forza della "retroinnovazione", su inaspettati
sviluppi della tecnologia, sulla ciclicità dei fenomeni economici. Al
ciclo della lana subentrò quello della seta, emergente nel Seicento,
trainante tra Settecento e nel primo Ottocento, ma già in affanno alla
metà di quest'ultimo secolo quando inizià ad essere provvidenzialmente
sostituito dal boom del cotone. Il
declino di quest'ultimo, per via della delocalizzazione nei paesi
"emergenti"
di un'industria "matura" e a basso contenuto di innovazione è stato solo in parte compensato dallo
sviluppo delle fibre artificiali. Così la crisi del cotonificio ha
coinciso con la
deindustrializzazione di ampie aree della Lombardia. A Gandino, però, a
riprova di un "radicamento" particolare della cultura imprenditoriale
tessile, i vecchi cotonifici sono stati riutilizzati come lanifici,
ovvero da delle imprese di un comparto sicuramente molto ridimensionato rispetto al passato,
ma pur sempre vitale, perché capace di occupare nicchie particolari e di
valorizzare tradizioni, competenze, cooperazione di filiera, scambi con altri comparti.
Ex
cotonificio Valseriana, poi Bellora, ora lanificio e feltrificio
Gusmini a Cene
Un po'
di storia
Rimandando
ad altra occasione un approfondimento sui "secoli d'oro" del lanificio
in Valgandino, ci interessa qui mettere in luce come il segmento di
storia
successivo (dal
Settecento in poi), non fu per il lanificio della Valgandino solo ombre
ma vi furono anche luci e riprese e per dimostrare quindi come la
"rinascita" del lanificio oggi non
costituirebbe un fatto inedito e sorprendente ma, al contrario, un
nuovo capitolo di una lunga storia.
Partiamo quindi dalla fine del Seicento,
quando iniziava a profilarsi quella crisi che, a metà del secolo
successivo, si palesò gravissima. Francesco Bonduri di Gandino, uno di più
importanti e noti mercanti
di lana del bergamasco, scrivendo da Verona al padre sostiene la
necessità di applicarsi “ad altri
negozij”. Si riferiva all'acquisto di case e
terreni, ma soprattutto investimenti nel setificio (2). Pietro Gelmi,
storico gandinese, attribuisce la crisi del lanificio al
"disinvestimento" operato dalla maggiori famiglie. Già verso la fine
del Seicento i più potenti lanieri gandinesi: i Giovannelli, seguiti
dai Peruzzi e dai Raffaelli si trasferiscono in terre dell'Impero,
diventando proprietari terrieri e acquisiscono titoli nobiliari (3) .
Nei
primi decenni del Settecento altre famiglie seguono il loro esempio ma,
a questo punto, più per ragioni economiche contingenti che per
strategie
di lungo termine (che potevano spiegare le scelte delle famiglie più
potenti). In ogni caso l'industria tracolla e, quella che era una terra
ricca, vede un aumento fortissimo delle famiglie in condizioni di
povertà. Le fonti contemporanee sono unanimi nell'attribuire la crisi
economica e sociale della Valgandino alla minore redditività
dell'industria dei pannilana che costrinse i lanieri ad accettare
dilazioni di pagamenti e a ridurre la qualità della produzione.
Le
ragioni della crisi vanno ricercate in parte nel ritardo con cui la
produzione gandinese si riposizione sul mercato di "fascia bassa" dopo
aver insistito nelle produzioni di pregio. Gandino
non riesce comunque più a esportare verso le terre tedesche a causa del
protezionismo adottato dall'Impero tanto che, dagli anni Quaranta, i
gandinesi non frequentano più le fiere di Bolzano dove erano assidui
(4).
Anche il mercato lombardo del "panno
comune" è insidiato da
prodotti analoghi
fabbricati a Zurigo che, grazie a costi inferiori, riescono a
bilanciare carichi doganali e spese di trasporto risultando
concorrenziali sui mercati lombardi (5). Va rilevato che i costi
superiori per il lanificio gandinese erano legati all'obbligo -
imposta dalla Serenissima - di acquistare in monopolio alcune materie
prime
dall'emporio veneziano (olio, sapone, materie tintorie). Aggiugasi
un'elevata imposta di fabbricazione imposta da una Repubblica veneta
assillata dal crescente debito pubblico. A nulla valgono le richieste
avanzate a più riprese dai bergamaschi (tra cui la ditta Bernardino
Giovannelli di Gandino) ai Savi della mercanzia di Venezia.
Solo negli anni '80 vengono concesse
da Venezia esenzioni fiscali e alleggerimenti sui dazi di importazione
di
materie prime, ma solo per Gandino (che sapeva fare lobbying e lo dimostrerà ancora in numerose occasioni). Nel
1794, vengono revocate ma la Serenissima era giunta al capolinea.
Vennero però anche meno gli sbocchi tradizionali negli stati
italiani
(sempre a causa del protezionismo). Fortunatamente per il
lanificio bergamasco le produzioni nello Stato di Milano si riducono
alla marginalità e questo mercato compensò in parte la chiusura di altri
sboccchi (6).
La
produzione di panni
(lunghezza media 25 m) diminuì così, tra il 1705 e il 1770, da 39.500 a 16.334 unità, ma a dispetto della crisi, nel 1745,
risultavano occupati nel bergamasco nell’industria laniera 24.000
addetti. Ventiquattro famiglie
esercitavano l’attività laniera a Bergamo e altrettante a Gandino
e in bassa Valseriana (Gandino, Leffe, Peja, Casnigo, Alzano e
Nese). Le lane più utilizzate erano quelle pugliesi, di romagna e
quelle “succide” del lavante, ma erano ancora molto usate quelle
“nazionali” offerte dai pastori bergamaschi e bresciani sul
mercato di Clusone (7).
La ripresa dell'Ottocento
All'inizio
dell'Ottocento il
lanificio lombardo si concentra a Bergamo e Gandino anche se vi sono
altri due poli più piccoli : uno a Marone sulla sponda bresciana del
Sebino, l'altro a Como. Il quadro della produzione laniera vedeva una
fortissima concentrazione nel dipartimento del Serio (provincia di
Bergamo) e, al suo interno, della Valgandino. A Como si
producevano panni fini, nel milanese – ad eccezione di pochi telai
– la produzione era rivolta ai cappelli, a Iseo e Marone si
producevano coperte e solo qualche pannolana in
Valtrompia (8).
Tab.
1 - Andamento del lanificio nei dipartimenti lombardi del Regno
d'Italia nel 1811 (da Cova, 1988)
Dipartimento |
Stoffe prodotte (km) |
Valore (000 lire) |
Serio (Bergamo) |
1189
|
6613 |
Mincio (Mantova) |
75
|
208 |
Lario (Como) |
19
|
223 |
Olona (Milano) |
14
|
217 |
Mella (Brescia) |
13
|
279 |
Adda (Sondrio) |
4 |
41 |
Fu
così che Gandino riuscì ad approfittare nella fase napoleonica delle
commesse per l'esercito.
Il
bellicismo napoleonico, che colpì diversi settori dell'economia lombarda compromettendo gli
sbocchi di esportazione e comprimendo i consumi con una pesante
tassazione diretta e indiretta, favorì però alcuni settori (produzione
di palle di
cannone e armi da fuoco e, per l'appunto, il tessile, ovviamente limitatamente al comparto laniero).
[nel
1806] le fabbriche di pannine
sono delle più cospicue e oltre che hanno formato la ricchezza di
molte riguardevoli famiglie che vi si contano e che mantiene in uno
stato di agiatezza generale la popolazione del Cantone, offrono,
mezzi di sussistenza anche a molti altri”(9)
Maironi da Ponte,
nelle sue Osservazioni sul
dipartimento del Serio, riferendosi alle produzioni
gandinesi, riferiva:
Queste
consistono in
panni più o meno fini, e di vario uso in peluzzi, molettoni, spagnolette bianche finissime, mezzane ed ordinarie,
rattine
di varia finezza ed altezza in mezzi-
panni, in saglie
di molte sorti, e in certa altra robba detta volgarmente peina,
perchè primitivamente fabbricata in un nostro villaggio nominato Pea
(10)
Consapevoli
che le ingenti forniture richieste potevano essere realizzate solo a Gandino le autorità
napoleoniche si dovettero confrontare con le richieste degli agguerriti
gandinesi che chiedevano
- un
miglior collegamento stradale;
- la
decadenza dell'obbligo per i pastori bergamaschi che pascolavano in
Piemonte di tosare la lana prima del rientro in patria (11);
- l'istituzione
di una Camera di Commercio a Gandino;
Mentre su questi
punti il governo di Milano si limitò a promesse, i gandinesi ottennero
grazie all'intervento diretto del vicerè (bypassando il rifiuto del
ministro degli interni Di Breme contrario a partecipazioni pubbliche in imrrese industriali) un finanziamento governativo di 50
mila lire che venne poi barattato con l'impegno del governo a
provvedere all'acquisto e alla installazione dei nuovi macchinari
necessari per poter garantire le forniture. (12) .
Uniformi di soldati del Regno d'Italia napoleonico. Il panno era prodotto per la maggior parte a Gandino
Tra
il 1808 e il 1809
vennero acquistati per l'esercito 140 mila metri di panni. I
vincitori delle commesse erano però prevalentemente degli affaristi
milanesi che operavano per intermediazione. Un solo fornitore di
Gandino appare in questa tornata di commesse anche se esso
rappresentava un consorzio di ditte. Dal 1811 le commesse divennero
più significarive e troviamo nel 1812 come
vincitori Testa, Gelmi e Bosio di Gandino e i Carrara a Bergamo (13).
La
domanda pubblica in quegli anni divenne preponderante.
Il panno resistente,
richiesto dall'esercito (in tempo di pace era
richiesto da contadini e pastori), aveva anche il vantaggio di
poter
essere realizzato utilizzando la lana bergamasca. E, a riprova della
forte integrazione della filiera e del vantaggio del poter disporre di materia prima "franco azienda", va sottolineato che i
più importanti industriali della lana di Gandino erano proprietari
di moltissimi greggi che transitavano per la tosa direttamente negli
stabilimenti (15). Lo spettro della povertà, che aveva aleggiato anche
su
Gandino (sia pure in misura minore rispetto al resto della Valseriana),
venne esorcizzato
Va comunque
sottolineato come, sia pure in un contesto di ripresa, il
periodo napoleonico non fu esente da difficoltà, anche per il lanificio
gandinese. I produtori di
pannilana soffrono ancora per gravosi dazi sull'importazione di
materie prime (oltre che per le conseguenze del blocco navale ) cui
si aggiungevano quelle della politica protezionistica adottata
dall'Impero francese che penalizzava le esportazioni manifatturiere
(ma non quelle agricole) del Regno d'Italia. Questa politica colpiva
le esportazioni verso il Piemonte e Genova (annesse alla Francia). I
produttori di Bergamo e Gandino riuscirono però ad ottenere permessi
di
esportazione in deroga: ne usufruirono, tra il 1811 e il 1812, 14 ditte
di
Bergamo (per 95 mila metri di pannilana) e 7 di Gandino (per 71 mila
mettri) (16).
Gandino nel 1872. In basso a destra la zona degli
opifici dove si distinguono le strutture allungate ( ciodere) per l'asciugatura dei
pannilana
La meccanizzazione e la ripresa
La meccanizzazione del lanificio
gandinese ebbe un grande impulso negli
anni '20 e '30. Il nuovo slancio impresso all'industria compensò in parte l'effetto del venir meno
delle commesse dell'esercito (l'esercito imperiale asburgico si riforniva
altrove). Vennero introdotte innovazioni tecnologiche, importate
macchine moderne e assunte maestranze dall'estero. Nel 1820 la filatura e
tessitura Marco
Ghirardelli
di Gandino importò per prima macchine di cardatura e filatura dando il
via
all’industria moderna laniera bergamasca (17). Ne derivò una
vera e propria rivoluzione. La produzione, che prima era ancora decentrata in una
casa su tre, si concentrò negli opifici dove si utilizzavano i telai
meccanici. Ignazio Cantù nella sua Storia di Bergamo e della sua
provincia, edita nel 1859, (18) scriveva:
Ora sei fabbriche compiute,
con macchine per cardassare, filare, tessere, feltrare, ridur a pelo
e raderlo, e parecchie fabbriche piccole coll’antica filatura a
mano si hanno in Gandino. Vi lavorano 515 telaj, la più parte
riuniti in 27 opificj, e servono pei tessuti operati più fini,
sussidiati da 45 macchine alla Jaquard, producenti sino a 8000 pezze
annue di panno del valore complessivo di lire 600 mila, la massima
parte grossolano, ottimo pel popolo. Onde è che in quel distretto si
lavora più lana che in tutto il resto della provincia, e viene
importata in gran parte dal Veneto, dalla Romagna, dalla Puglia,
dall’Ungheria, dalla Russia, dal Levante, dall’Australia.
La
meccanizzazione della produzione della lana si sviluppò
prepotentemente dopo la metà del secolo, anche se non andò affatto
perduta per questo la capacità del lanificio in Valgandino di
realizzare innumerevoli tipologie merceologiche. Lo conferma una nota
di Antonio Tiraboschi:
A Gandino si fabbricavano e si
fabbricano ancora panni fini, sopraffini e ordinari: lodrine all'uso
di Germania, Moravia e Olanda, puluzzi denominati Gandino, scarlatti
e candidi, Peine (da Peia), mollettoni candidi, tigrati e rigati,
spagnolette, peloni e perpetuelli all'uso di Inghilterra, ratine,
panni all'uso di Bergamo, saglie romane, rubboni all'uso di Torino,
panni per abbigliamenti militari: berretti, guanti, calze e legacce
(19) .
Così, a metà Ottocento, la
lavorazione della lana era in
netta ripresa. A Gandino esistevano 6 fabbriche con macchine per
cardassare, filare, tessere, filare feltrare, ridurre a pelo e
raderlo. Più varie minori ancora con la filatura a mano. Lavoravano
115 telai sussidiati da 45 macchine “alla Jacquard” che
producevano 8.000 pezze annue di panno, in massima parte grossolano,
per le classi meno abbienti. Si fabbricavano 15.000 coperte ordinarie
più altre più fini per un valore di 36.000 lire l’anno (20).
Lanifici di Gandino agli inizi del Novecento
La nuova
crisi di inizio Novecento
Dopo
la formazione del Regno d’Italia
la concorrenza di centri lanieri di altre regioni si fece pressante e
la locale industria laniera subì un ridimensionamento. Nei primi
anni '60 la Statistica delle industrie del Regno d'Italia riferiva per la
provincia di Bergamo che:
Lana. – L'industria
della lana si
esercita quasi esclusivamente in Gandino ed
in alcuni Comuni di quel mandamento. I
nostri panni e tappeti, le nostre coperte di lana e
la flanella, pel buon mercato e per la solidità, non temono
concorrenza, e vanno aumentando la loro diffusione principalmente
dacchè, per la introduzione di nuove macchine e nuovi sistemi,
alcuni opificii acquistarono pregio, in causa della finitezza dei
loro prodotti. Rilevanti commissioni governative per forniture
militari potrebbero dare maggior incremento a quest'industria, che
s'avvia con prosperi risultati verso l'antica floridezza (21).
La citazione dimostra come, oltre a
ridimensionarsi, il lanificio gandinese dovette ripiegare su
produzioni particolari tra le quali ebbero grande importanza le
coperte (in cui si erano specializzati gli operatori di Leffe). Il già
citato Carlo Ghirardelli di Gandino era proprietario
di numerosissime greggi che periodicamente faceva passare dei suoi
stabilimenti per la tosa e, con la lana ricavata, fabbricava tre tipi
di coperte: quelle grigie per l’esercito (esportate in diversi
paesi), i panni da bigliardo e quelli per le tonache dei frati (22).
Pecore alla basilica di
Gandino
A fine Ottocento vennero aperti grossi
lanifici moderni nel contesto di una diminuzione degli stabilimenti
tra i quali si segnalavano quelli dei Maccari, Radici, Testa e
Rudelli come
quelli che più avevano accelerato il processo di
meccanizzazione (23).
Una
nuova crisi verticale sopraggiunse con
l'inizio del Novecento. L'industria laniera in provincia di Bergamo
in vent'anni tra 1890 e 1911 passò da 60 stanùbilimenti con 5 mila
addetti a 14 con 1100 addetti per la maggior parte donne. La
produzione si concentrò ulteriormente in Valgandino, ultima ridotta
dello storico lanificio bergamasco ma dove solo due imprese
superavano i 100 addetti (24).
Lanificio Redici Seniori
Nel
corso del
Novecento si
ebbero ancora delle “ripresine” del settore laniero con una crescita di
ditte e addetti che si mantenne sempre al di sopra del minimo
del periodo precedente la Grande guerra. Fasi di ripresa si ebbero in
occasione delle guerre mondiali (la prima soprattutto) per via delle
forniture militari. A fianco delle ditte storiche
(Testa, Torri, Rudelli, Savoldelli a Gandino, Bosio a Peia, Gusmini a
Vertova) ne sorsero di nuove legate, però, a produzioni
come quelle dei tappeti, feltri, materassi e altri accessori che si
affiancavano a quelle storiche dei pannilana.
Fine della prima puntata
Note
(1) A
Moioli, "Assetti manifatturieri nella
Lombardia politicamente divisa della metà del settecento", in: A.
Moioli, A.Cova, A.Carera, L. Trezzi Un
sistema manifatturiero aperto al mercato. Storia dell’industria
lombarda vol. I, Il Polifilo, Milano, 1988, pp.3-102.(p.21).
(2)
G.Baracchetti "Bergamaschi:
lana grossa, seta fina", L’Eco di
Bergamo, 11 febbraio 1993, pag. 7.
(3)
P.Gelmi, B.Suardi, "Il Settecento - Inesorabile declino e
sterzata rivoluzionaria", in Gandino.
La storia, Comune di Gandino, 2012 (§ 2, pp.287-298).
(4) Ivi.
(5)
A Cova. "Tradizione e innovazione nel
mutato contesto politico e territoriale dell’età francese In : Un
sistema manifatturiero aperto al mercato. Storia dell’industria
lombarda" Vol. I pp. 105-200, Milano, 1988
(6)
Nel “Dazio
della mercanzia” dello stato di Milano 1765 tra le manifatture di
lana si cita ancora il “Panno alto di Gandino” (ovvero quello di
quona qualità)
(7)
G. Barbieri "La produzione delle lane italiane
dall’età dei comuni al secolo XVIII" In: La lana come materia, i
fenomeni della sua produzione e circolazione nei secoli XIII-XVII,
a
cura di M. Spallanzani, L. S. Olschki, Firenze 1974, pp. 133-398.
(8)
A Cova, op. cit.
(9)
Ivi. .
(10)
G. Maironi Da
Ponte, Osservazioni sul
dipartimento del Serio,
Bergamo, 1803, p. 67. Il mollettone è
un telo di panno felpato usato come protezione del piano di un
tavolo, sotto la tovaglia oppure come lenzuolo e copri materasso nei
letti. Le Rrttine sono tessuti
piuttosto pesanti sono sottoposti a ratinatura ( pressione o
strofinio ) per cui il pelo si addensa in grumi o in scanalature
diagonali. Peluzzi
(peluche), ovvero toffa
dal pelo folto e morbido. Saglia, tipo di intreccio tessile
caratterizzato da una rigatura diagonale
a diffenenza del tessuto che presenta intreccio ortogonali .
Spagnolette, tessuti pesanti mezzi-panni . Mezzelane ovvero tessuti
misti di lana e lino.
(11)
Stabilito sulla base di un accordo tra i Savoia e la Serenissima, era
chiaramente finalizzato a favorire i lanieri biellesi.
(12) Cova, op. cit. .
(13)
Ivi.
(14)
Barbieri, op. cit.
(16)
Cova, op. cit. .
(17)
Barbieri, op. cit.
(18)
C.Cantù, "Provincia di Bergamo", in Grande illustrazione del
Lombardo-Veneto, vol 5, Corona e Caimi, Milano, 1859, pp.841-841
(19)
A.Tiraboschi (Alzano lombardo 1838- Bergamo 1883) manoscritto cit. in
Franco Irranca. I pannilana
a Vertova e in Valgandino. Pro loco Vertova, 2012 p. 61
(20)
Barbieri, op. cit.
(21)
Relazione al ministro dell'agricoltura della Giunta per la statistica".
L'avvisatore mercantile,
anno XIX, Venezia 3 marzo 1866, n. 9, p.
35.
(22)
Barbieri, op. cit.
(23)
Irranca, op. cit., p. 62.
(24)
Irranca, op. cit., p. 67.
|