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Volete contattare i
ribelli del
bitto? Saperne di più? Visitare gli alpeggi? Prenotare un evento alla
casèra con amici e colleghi? Acquistare i prodotti?
Telefono : 0342 690081
Albino Mazzolini 3338938168
info@formaggiobitto.com presidente Paolo
Ciapparelli : 3343325366
Azienda agricola Marioli Sonia, via
Valenti, 76 , Talamona (So) 3398478035. e-mail:
soniamarioli@hotmail.it (in estate l'azienda chiude e si trasferisce in
alpeggio a Cavizzola in comune di Mezzoldo (Bg). Sonia prima di fare la
mamma era la casara, ora resta a valle, presso il ristorante
Genzianella - alla base della salita per i passo di San Marco,dove
gestisce un piccolo punto vendita tel. 0345 86078). L'alpe Cavizzola,
da parecchi anni caricata da Fabio Sassella e Sonia Marioli (quando
erano ancora fidanzati) è diventata di proprietà da qualche anno. Alfio
Sassella è presidente dell'Associazione lombarda allevatori Bruna
originale e vice-presidente del Consorzio per la salvaguardia del nitto
storico (ora "storico ribelle).
Articoli
correlati sullo "STORICO RIBELLE"
Alpe
Bomino: passato e presente di uno storico formaggio
(01.08.17) Una valle incantata,
oggi isolata e solitaria, ma in passato trafficata da carovane
cariche di formaggi e di carbone di legna. Dal 2000 qui la famiglia
Martinoli (Samuele e Donatella, ai quali si è affiancata gradualmente
la figlia Serena) produce il bitto (ora "storico ribelle"). Una storia
di vita d'alpeggio tra la val Masino e la Valgerola.
Tesori
delle Orobie ... dal bitto ribelle ai vigneti
(17.07.17)
La scorsa settimana la
carovana del "Viaggio sulle Orobie" (terminato ieri) ha
fatto tappa al Centro del bitto storico ribelle.
L'ambientazione era ideale per concretizzare lo spirito del
"Viaggio": un incontro di persone di diversa estrazione
unite dall'amore per la montagna, la cultura, l'arte, il cibo
autentico che racconta un territorio, la sua anima, la sua storia. Ma
ora bisogna fare qualcosa perché questa Dorsale viva in modo
continuativo.
E'
ufficiale: lo "storico " formaggio si sposta a Morbegno
(10.07.17)
Con un comunicato ufficiale della società valli del Bitto
benefit, a firma del presidente Paolo Ciapparelli, è stato
annunciato un importante avvenimento che avrà luogo entro il 2017:
l'apertura della nuova sede dello "storico ribelle" presso lo storico
Palazzo Folcher di Morbegno.
Forme
in dedica:un
fatto di costume
(14.05.17)
Assume i contorni del fenomeno di costume il successo delle forme in
dedica adottate da consumatori-coproduttori. Non solo una forma di
commercializzazione etica e creativa ma anche modalità nuove di
comunicare attraverso il cibo idee e valori
Gran
formaggio d'alpe orobico (per
una storia a tutto tondo)
(21.02.17) Riflettendo
su una storia di differenziazioni e perimetrazioni più o meno
artificiose, sovrapposizioni, scambi di identità, emerge l'esigenza di
una riconsiderazione complessiva di una vicenda casearia che ha spinto
a concentrare l'attenzione (spesso conflittuale) sulle denominazioni:
"branzi", "bitto", "formai de mut" (ma si potrebbero aggiungere anche i
cru monoalpeggio, di cui il "camisolo" è stato precursore).
Il
Dizionario del bitto ribelle (01.01.17)
Un 'regalo' di inizio anno agli amici dello 'storico ribelle' (il bitto
della tradizione).
Lo
storico ribelle che porta benefit alla società e all'ambiente
(23.12.16)
Dal 29 novembre la Società Valli del Bitto (meglio nota come
"ribelli del bitto") è bcorp. Una formula che impegna le società a
promuovere vantaggi (in inglese "benefit") per la società, la comunità
locale, l'ambiente. Riducendo, attraverso le sue attività (e nonla
beneficienza) gli impatti negativi per le persone e l'ambiente e
determinando impatti positivi.
Valtellina
che gusto... industriale
(23.11.16) Uno
stile industriale di marketing del fasullo per promuovere un
agroalimentare industrializzato, banalizzato, omologato. Sperperando i
soldi di chi paga le tasse. Ma non basta. Dopo aver espropriato
il bitto storico del nome "bitto" la promozione "ufficiale", continua a
mimetizzare il bitto "legale" ovvero quello "Nuovo omologato" con
lo "Storico ribelle" (il vero bitto che si fa come secoli fa).
Ribellarsi
è giusto e paga
(17.11.16)
Lo storico ribelle, liberatosi del nome "bitto" che ormai procurava
solo grane (ed esponeva alla minaccia permanente di denuncia per "lesa
dop") va meglio di prima. Chi ragiona restando nelle coordinate della
vecchia politica pensava che fosse un salto nel buio. Invece i
sostenitori aumentano e lo storico ribelle sbarca in nuovi prestigiosi
templi del gusto.
È ormai bittexit e fa paura ai nemici del
bitto storico (17.07.16)
I nemici del bitto storico
non potranno più utilizzarlo come "traino" di una dop
massificata . Non sarà più possibile giocare sull'equivoco di
due produzioni "simili".
E con la fuga del vero bitto dalla dopsi
profila una figuraccia di grandi proporzioni
per la Valtellina
(13.06.16) Commercianti si spacciano per
l'ex bitto storico
Se
si danneggiano i ribelli del bitto si può usare del
tutto impropriamente la denominazione "Bitto storico" e
illegittimanente quella "Bitto".
La storia di una degustazione organizzata in
Umbria da un'incolpevole Ais con il "bitto storico" ...
senza che vi fosse l'ormai ex bitto storico presidio Slow food
(29.04.16) Assemblea a difesa delbitto
storico il 7 maggio a Gerola
Lo Storico formaggio
prodotto sugli alpeggi delle Orobie, da secolo noto come
formaggio del Bitto non può essere più chiamato con il
proprio nome. Dopo vent'anni le lobby
politico-burocratico-industriali sono riuscite ad espropriare i
produttori storici. Ma la società civile sta preparando la
mobilitazione
(14.04.16) Il formaggio Storico dei
ribelli del bitto da Peck
Lo Storico formaggio
prodotto sugli alpeggi delle Orobie è in vendita
da Peck . Quello dell' estate 2015) a 92€ al kg,
quello del 2009 a 26€ all'etto. Il bitto dop dei mangimi e dei
fermenti , prodotto senza latte di capra, a volte in condizioni
semi-industriali, continua a calare di prezzo
Bitto storico: rivoluzione permanente
(2.10.15)
A
Cheese ques'anno il tema era il formaggio dei pascoli e, complice anche
l'indignzione per il tentativo di imporre il formaggio senza latte, il
bitto storico non poteva che essere al centro dell'attenzione in quanto
"campione" della resistenza casearia. Ma l'attenzione è stata anche per
la sua "rivoluzione dei prezzi"
(08.09.15) Nuovi
documenti storici incoronano il formaggio Vallis Biti (bitto
storico)
Cirillo
Ruffoni ci ha segnalato nuovi documenti storici che consacrano già nel
Cinquecento il formaggio delle Valli del Bitto. Già
allora riconoscibile rispetto ai formaggi prodotti in altre
zone, tanto da costituire per loro anche un termine di paragone.
Scusate se è poco
(02.09.15) Bitto storico: un autunno di
decisioni e novità
La
stagione d'alpeggio 2015 si sta chiudendo con un bilancio molto
negativo in termini di quantità prodotta, causa della
siccità di luglio. Sul fronte dei rapporti con le istituzioni
l'accordo siglatonel novembre 2014 si sta rivelando un bluff.
Stimoli per i "ribelli del bitto" per rilanciare con forza
l'originalità delle loro esperienza facendo leva
sui suoi punti di forza
(23.08.15) Siccità sugli alpeggi. Colpiti
i pascoli più sostenibili
La
grave siccità che ha colpito gli alpeggi a luglio non è rimasta
senza conseguenze. Ma chi soffre di più per il calo di produzione di
latte è chi non usa i mangimi, ovvero chi rispetta il pascolo e
l'ambiente. Così solo i "puristi" si sono fatti sentire
(22.08.15) Bitto storico rivoluzionario
Attraverso
la creatività commerciale contadina i ribelli del bitto sono riusciti a
imporre per il proprio prodotto un prezzo etico. Esso consente un
equilibrio economico compensando gli elevatissimi costi di una
produzione che va contro gli schemi della società industriale e
consumistica (che si sono imposti anche nella produzione
agroalimentare)
Articoli per argomenti
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Modello
ribelle: l'alpeggio che vive
Testo, foto,
mappa di
Michele Corti
Articolo
aggiornato il giorno 7/09/17 a seguito delle informazioni fornite dal
giovane caricatore dell'alpe Azzaredo che, chiarendo come Azzaredo sia
caricato con Arale (di proprietà di un privato di Mezzoldo e non di
Ersaf), e come egli utilizzi solo una parte di Azzaredo, come sia
seguito un piano di pascolamento e di recupero di una parte del pascolo
degradato, hanno consentito di correggere alcune conclusioni affrettate
ingiuste nei confronti di un giovane caricatore con il quale non
possiamo che scusarci.
(08.08.17) A sei
anni di
distanza sono tornato a Cavisciöla
(qui
l'articolo del 2011). L'alpe già allora rappresentava un emblema
della resistenza casearia, contadina, alpina. Oggi possiamo dirlo
con maggiore convinzione, non solo perché qui, almeno qui, il modello
"ribelle" si è consolidato, articolato, precisato, ma anche perché,
altrove (anche in un alpeggio vicino), il depotenziamento della
pratica dell'alpeggio, ha fatto passi da gigante.
Alpe Cavisciöla: la
casera e i barech
L'interagire di regole Pac
(e nitrati) da una parte, e di premi per i pascoli dall'altra, ha
spalancato le porte alla speculazione
L'aumento degli incentivi (previsti sulla base della misura del Psr
per l'indennità compensativa), la loro modulazione sulla base di
criteri in apparenza sensati, i
"paletti" inseriti, invece che sterilizzare la speculazione l'hanno
incentivata. Il racket dei pascoli si è esteso e, dalla Valtellina alla
Valcamonica, l'azione degli accaparratori (e sensali) di alpeggi si è
fatta più
incisiva. Vi sono aziende, non solo della pianura lombarda ma anche di
altre regioni che, grazie ai "basisti", si fiondano appena un comune
indice un asta. Offrono tre volte tanto e, se il comune - attirato
dalla prospettiva di far cassa - non pone dei veri paletti, si
aggiudicano il pascolo.
Stabilendo dei carichi minimi validi in
generale e non il rispetto del carico del determinato pascolo,
limitando a 45 giorni la durata minima dell'alpeggio si apre
l'autostrada alle speculazioni.
Prassi consolidate
Ormai è ben noto come operano gli
speculatori: fanno "mangiare" la "montagna", o parte di essa, a pastori
con "fame d'erba" o a malghesi locali (o di fuori) rimasti senza
alpeggio, perché quelli che caricavano in precedenza glieli hanno
soffiati gli speculatori. A volte ai
confinanti. Tutto va bene per ingannare chi vuol essere ingannato, una
burocrazia che - ma non è responsabilità dei singoli funzionari - basa
tutto sui controlli di carta, sulle verifiche amministrative. Al più si
controlla se l'erba è stata (un po') consumata. Non importa da chi. Si
sa che ci sono delle aziende "specializzate" in questo business, un
business che consente di far soldi con le carte invece che con il
lavoro e con il rischio.
Parlare di speculatori è lecito e appropriato perché abbiamo
a che fare non solo con grandi aziende a caccia di titoli e di
ettaraggi (amche per compensare il carico nitrati), ma anche di
professionisti
della speculazione come certi personaggi titolari di varie srl che
hanno alle spalle fallimenti nella bolla del biogas. Di più non
diremo perché sono in atto indagini da parte di più procure.
Certo è
che, solo a Sondrio, vi sono trenta indagati per associazione a
delinquere. Gente che sa di essere controllata, che non dirà mai al
telefono "vieni a mangiarmi il monte". Tra truffe penalmente
perseguibili e truffe legali l'alpeggio, paradossalmente anche a causa
dei "contributi"
è in crisi. Ma anche senza truffe sono sempre di più i pascoli caricati
con bestie da carne che stazionano pigramente presso ex-fabbricati,
vicino all'acqua, dove il pascolo è più comodo. Solo nei casi migliori
si sposta il filo elettrico e si attua una specie di piano di pascolo.
Quanto al personale che sorveglia questi animali si tratta quasi
sempre di stranieri alloggiati in condizioni precarie in
contrasto con quelle norme (igienico-sanitarie e sicurezza sul lavoro)
che, quando vuole, la burocrazia applica ferocemente.
Bovine da latte
dell'alpe Cavisciöla al pascolo
Quando il 4 agosto ho scorto da lontano la malga
(sulle Orobie, come i lettori di Ruralpini dovrebbero ormai sapere,
sempre con il significato di "mandria o gregge da latte") delle bovine
di Alfio Sassella mi è sembrato di vedere un miraggio.
Ma prima di parlare dell'alpe di Sassella torniamo al contesto della
realtà dell'alpeggio, senza andare neppure tanto lontano, confrontando
l'evoluzione degli alpeggi vicini. Così si apprezzerà meglio un alpe
(Cavizzola) dove, nella sostanza, gli aspetti positivi dell'alpeggio
tradizionale sono rimasti impregiudicati. Per localizzare i luoghi e i
percorsi di accesso consultare la mappa.
(per chi
desidera recarsi a Cavizzola in fondo alla pagina anche la scheda con
le informazioni escursionistiche)
L'alpe Cavizzola confina con numerosi
alpeggi: a Nord con quelli della valtellinese val Tartano, a Est con
l'alpe Sessi di Valleve, a Sud e a Ovest, nella stessa valle vi sono
Azzaredo e Siltri. Quest'ultimo, caricato insieme a Terzera. Già
quando ero salito nel 2011, ai Siltri (con terzera) vi era bestiame
asciutto. Adesso vi è bestiame da carne (me lo ha confermato Sassella).
L'alpe è affittata a un'azienda bresciana, che ha rilevato anche altri
pascoli in Valtellina. Saranno coinvolti nelle indagini della procura
di Sondrio attualmente in corso?
È un po' triste che la Casera dei
Siltri, una di quelle che da il nome al "sentiero delle casere", non
veda da tanti anni una forma di formaggio. Eppure questa è una zona di
formaggi d'alpe pregiati: bitto e formai
de mut, con una grande tradizione alle spalle. Già questo
dovrebbe lasciare intendere che c'è qualcosa che non va.
Quest'anno, invece che salire dai Siltri
(percorso un po' più lungo ma senza tratti ripidi e saliscendi), sono
salito dall'alpe Azzaredo seguendo poi il sentiero 101 (il grande
sentiero delle Orobie occidentali).
Ad Azzaredo ero
stato nel 2007 e quindi il confronto riguarda un periodo abbastanza
lungo. La grande novità è costituita dalla presenza del Rifugio
Balicco, inaugurato nel 2015.
Esso è sorto sui ruderi di un vecchio stallone (foto sotto "occupato"
dalle capre). Il rifugio Balicco viene a colmare l'assenza di punti
tappa sul percorso della dorsale orobica settentrionale. In realtà, a poca distanza dal rifugio,
esisteva già il bivacco Zamboni, ricavato da una baita
dell'alpeggio, ma esso dispone di soli quattro posti letto. Potrebbe tornare ad essere una baita dell'alpeggio a questo punto.
Lo stallone di Azzaredo
con la malga delle capre (archivio Ruralpini, 2007)
La valorizzazione
turistica di queste belle montagne è un fatto positivo. Essa, però,
dovrebbe sostenere l'alpicoltura. Invece non si può non rilevare come,
in un alpeggio del demanio regionale (gestito da Ersaf), si faccia
parecchio per il turismo ma non si contrasta in modo efficace il
depotenziamento dell'attività d'alpeggio. Dieci anni fa, come testimoniano le foto
qui riportate, ad Azzaredo c'erano una cinquantina di bovini (in gran
parte vacche da latte) e un'ottantina di capre (in gran parte in
lattazione). L'alpeggio era utilizzato insieme a Fioraro e Arale comprendeva
114 ha. Oggi Azzaredo è tornato diviso e a Fioraro ci sono le pecore da
carne di Emanuele Manzoni.
Nulla contro le pecore, ma questi sono alpi da bitto. Sarebbe come
piantare patate a Montalcino.
Lo malga delle capre di
Azzaredo verso il passo della Porta (archivio Ruralpini, 2007)
Mungitura delle capre
all'alpe Azzaredo (archivio Ruralpini, 2007)
Produzione del bitto
all'alpe Azzaredo (archivio Ruralpini, 2007)
La malga delle bovine di
Azzaredo (archivio Ruralpini, 2007)
Diviso da Fioraro,
con l'avanzata del bosco e dei cespuglieti (non imputabile all'attuale gestione) che oggi si cerca di contenere , il pascolo di
Azzaredo oggi è capace di soli 35 Uba. Per di più l'azienda di Sorisole
che carica l'alpe la gestisce con due gruppi separati di animali.
Presso il rifugio pascolava sabato
scorso questa piccola malga di Musetti Alessandro (20 capi compresi
asini e vitelli). Va precisato che pur essendo prossima a Bregamo
Sorisole ha una lunga tradizione d'alpeggio in alta Valbrembana come
avviene in altre valli alpine dove genti stanziate quasi allo sbocco
della pianura sono spesso proprietarie di pascoli alle testate delle
valli. La proprietà di alpeggi in alta Valbrembana da parte di quelli
di Sorisole risale al medioevo. Poi alcuni alpeggi vennero venduti e
altri acquistati ma tuttora il comune di Sorisole è proprietario di un
alpeggio di cui parliamo in questo articolo (Siltri). Ad Azzaredo non
si fa bitto, però formai de mut sì.
Un fatto che non dipende solo dalla presenza delle capre (tanto è vero
che gli anni scorsi si facevano caprini utilizzando il latte di capre
camosciate) ma da una tradizione di abbandono della lavorazione a latte
misto che in alta Valbrembana risale alla fine dell'Ottocento quando i
comuni (tranne Valtorta), dopo averle difese per secoli, misero al
bando le capre. La
situazione di Azzaredo è resa complicata dal fatto che i genitori di
Alessandro caricano una parte di Azzaredo ma anche il pascolo di Arale
e hanno in complesso una sessantina di capi.
La
vicenda all'alpe
Azzaredo è emblematica. Come tante alpi del demanio regionale (vedi
Dosso Cavallo sul versante valtelliese) è stata "vittima"
dell'ideologia forestalista. Quando già il bosco avanzava di suo si
sono spesi soldi inutili (tanto pagava il contribuente) per scavare
buche, piantare alberelli da vivaio (meno idonei di quelli che crescono
spontaneamente in montagna), creare recinzioni di filo spinato. Qualche
decennio fa la motivazione "naturalista" era secondaria: si pensava che
il bosco avesse (sempre e comunque) una superiorità sul pascolo dal
punto di vista della regimazione delle acque e, se si va indietro negli
anni, si pensava anche ad una resa economica.
Oggi sappiamo che
in termini di biodiversità e idrologici un buon pascolo è superiore a
un mediocre bosco. Quanto al valore del legname sappiamo che è spesso
negativo (il costo di taglio, esbosco, allestimento supera il valore
del legname in piedi). In ogni caso il pascolo ad Azzaredo, come
altrove, negli ultimi decenni il bosco stava regredendo. Il lavoro per tirare più fili, spostare spesso il bestiame,
cercare di ingrassare le superfici che si stanno "smagrendo", lasciar
sostare meno gli animali dove dominano le slavazze (Rumex alpinus)
è effettivamente faticoso. Si è assistito
all'avanzata del ginepro ed altre arbustive sui "magri" e all'aumento
delle slavazze nei siti più comodi e pianeggianti. Il risultato è una
doppia perdita di superficie di buon pascolo. Oggi, però, il giovane
caricatore cambia i fili due volte il giorno e è impegnato del recupero
di una parte del pascolo (la baita dell'orso) anche con il taglio dei
ginepri.
L'ipocrita "rinaturalizzione"
Quello che non è accettabile è
che questo processo venga salutato con favore e chiamato
"rinaturalizzazione" arrendensosi alla logica del circolo vizioso: meno carico, meno superficie pascolabile, ancor meno carico (vedi
le peraltro ben fatte tabelle
informative sistemate sul percorso di salita all'alpe Azzaredo). Ma le
superfici "magre", sono diventate tali perché non si è pascolato e si sono introdotti animali poco adatti alla montagna che non possono utilizzare terreni se non a limitato pendio.
In realtà esso è risultato di scelte politiche, contesti economici e
normativi, criteri gestionali inadeguati. Dalla logica forestalista
l'Ersaf, come molti altri soggetti, è passato da tempo a quella
naturalistica. Eppure nel cda ci sono i rappresentati delle oo.pp.aa
(più attenti a interessi particolari e a clientelismi spiccioli che alla
difesa strategica del mondo agricolo e rurale). In realtà non si può
imputare solo all'ente (che avrebbe per ragione sociale i "servizi
agricoli ... e forestali) l'adesione al paradigma naturalistico (che è antiagricolo e antirurale).
Conta, è vero, il fatto che l'ente discenda dall'Arf, la vecchia
azienda regionale delle foreste, che gestiva in tempi lontani molti
cantieri forestali e molte assunzioni (modello calabrese in miniatura).
Ma conta di più la politica della Ue. Da ormai diversi anni la parola
d'ordine è "rewildering" (ritorno alla natura selvaggia). Non è scritto
esplicitamente nei trattati e nei regolamenti ma nella costituzione
materiale dell'euroburocrazia e della costellazione di organismi
consultivi, ong, lobby che le ruota attorno . Tutto
congiura per disincentivare la permanenza delle attività
agricole in montagna e nel favorire il rewildering. La leva è
quella dei finanziamenti. Ersaf, come altri soggetti, rincorre i
progetti Life (famosi quelli che hanno favorito la reintroduzione
dell'orso e del lupo) e affini. Il tutto per assicurarsi
l'automantenimento e giustificare la propria esistenza.
La carota funziona sempre.
Il pascolo un sistema in
equilibrio dinamico
Tornando al sodo: se faccio pascolare una superficie l'apporto di nutrienti al terreno
favorisce la crescita delle buone piante foraggere. Ovvero di piante
tendenzialmente a basso portamento e annuali, con apparato
radicale più sviluppato della parte epigea (fuori terra), con
tessuti meno lignificati (mancando l'esigenza di sostenere dei fusti).
Ne deriva una buona umificazione:le radici che muoiono e si
decompongono facilmente, le parti aeree, poco slerotizzate, sono anch'esse velocemente degradate
da funghi e batteri con buona produzione di humis. Ma più humus significa maggiore capacità del
terreno di trattenere acqua e trattenere elementi nutritivi dalla
lisciviazione, rendendoli disponibili più facilmente, e con gradualità,
per l'assorbimento radicale. Se il carico di bestiame sul pascolo non diventa eccessivo
(innescando altri processi degradativi) si favorisce, con un buon
pascolamento, una maggiore potenziale produzione di biomassa: un
circolo virtuoso. Vero è che, dove c'è pendenza e forte incidenza
di tare (pietre e rocce affioranti) questo processo di evoluzione di un
pascolo ricco è più difficile. Ma, in ogni caso, a parità di
pendenza e altre condizioni una buona gestione del pascolo può evitare
il continuo restringimento delle superfici pascolabili. Con i bassi
carichi attuali, peraltro ulteriormente ridimensionati ai fini della capacità di utilizzo del pascolo, dalla somministrazione di
mangimi, che deprime il consumo volontario di erba (1), ciò non è possibile.
(1) Nota tecnica.
Spiebile in funzione dell'inibizione, legataall'abbassamento del pH
ruminale indotto dalla presenza dell'amido
nell'ingesta, dell'attività
batteri cellulosolitici con la conseguente riduzione della velocita di
degradazione della cellulosa e quindi di quella del transito
digestivo che, a sua volta, determina un calo di appetito e di
ingestione volontaria di foraggio.
In vista di Cavizzola
Ormai ho lasciato
l'alpe Azzaredo alle spalle. Seguendo il sentiero 101 salgo al monte
Azzaredo e, dopo una ripida discesa, sono in vista dell'alpe Cavizzola.
L'alpe si articola in diversi settori. Balza all'occhio l'ampio
pianoro, che un tempo era un lago. Solo qualche anno fa era più umido,
con una flora quasi da palude poco favorevole alla qualità del latte. A
monte dell'ex lago si apre un anfiteatro che rappresenta la sezione
alta dell'alpeggio, comprendente la cima, pascolata in agosto. Questo
settore è "servito" dalla baita alta. In tutta la vasta alpe non vi
sono piste percorribili da mezzi meccanici (con l'eccezione della moto
da trial). I trasporti si effettuano con il cavallo imbastato (ce ne
sono due).
La piccola baita è come un tempo, all'esterno e all'interno.
All'interno Alfio ha dato una mano di calce. Tutto è in ordine, ogni
oggetto ha il suo posto e la sua funzione. Non c'è niente di inutile o
fuori posto e grande pulizia. Di certo aiuta il fatto che Alfio e la
moglie Sonia (titolare dell'azienda agricola) siano riusciti ad
acquistare l'alpe (ovviamente contraendo mutui e sobbarcandosi
sacrifici).
Gli utensili sono
di legno, di rame, di plastica in funzione di una provata praticità. Se
si mantiene il legno è perché, per alcune funzioni, è superiore, no
comporta "effetti collaterali" che compromettono la qualità del
prodotto. Non per fare
folklore.
È bello vedere come si possa gestire l'alpe in modo tradizionale
mantenendo tutto in ordine, al suo posto. Mentre tante stalle moderne
brillano, invece, per il disordine, la disseminazione di rottami, le ragnatele, plastiche abbandonate. A questa estetica
corrisponde una rara etica contadina dell'orgoglio. Quella del bauer
tirolese ma anche quella che caratterizzava anche i vecchi bergamini transumanti che
caricavano questi alpeggi sino alla prima guerra mondiale. Se c'è
orgoglio, e si crede nell'importanza di quello che si fa, se si è certi
di essere sulla giusta via, non solo c'è lo stimolo a lavorare con il
gusto dell'opera ben fatta, con il giusto rispetto per persone,
animali, oggetti, ma c'è anche lo stimolo a progredire.
Tra i vari
pregiudizi, le "superstizioni"
del modernismo agricolo, c'è l'idea che l'adozione di costose e
sofisticate tecnologie sia
associata a dinamismo (imprenditoriale, mentale) mentre il
tradizionalismo è sinonimo di
staticità e involuzione. Quelli,
non sono molti, che come Alfio hanno rotto la dipendenza con il
sistema, una dipendenza che è prima di tutto psicologica, sono lì a
dimostrare che tradizione e dinamismo oggi vanno spesso d'accordo e che
la tradizione stessa, reinterpretata, è alla base di interessanti
"retroinnovazioni" (la riproposizione di tecniche, prodotti, processi
tradizionali in nuovi contesti, con nuove funzioni). Anche l'industria
vive di "retroinnovazioni", ma al contadino non si deve farlo sapere. Deve restare fermo alla retriva superstizione modernista.
Alfio può disporre dell'aiuto di una
squadretta composta dal casaro Faustino Aquistapace (per parecchi anni
titolare a Trona vaga) e da due ragazzi, uno locale l'altro straniero.
I quattro devono convivere il non ampio spazio della baita. Ma in baita
si sta poco, giusto il tempo di un riposino postprandiale (e del non lungo riposo notturno). Per il resto
la giornata è lunga e si svolge per buona parte all'aperto (anche
quando piove). Lunghissima a luglio, più rilassata ad agosto, con il
calo del latte prodotto da mucche e capre. Di fronte alla baita una
piccola tettoia utilizzata come deposito. Tra le tante mansioni
dell'alpe c'è anche la legna da tagliare per alimentare la caldera.
Il sole è alto e le
malghe (delle mucche e delle capre) stanno pascolando sulla costa di
fronte alla baita. Nella foto ci sono anche le capre ma non si
distinguono: sono dei puntini chiari indistinguibili alla base della "mammella" di destra.
Come regola si
mungono prima le capre. Assistere alla loro chiamata è uno spettacolo
che non smette mai di emozionare e commuovere. Alfio è un pastore di
razza, sa entrare in sintonia con gli animali come non tutti sono
capaci di fare. A lui basta un fischio e i suoi animali corrono
senza farsi pregare. Non sono tutte di Alfio le capre, in
realtà
appartengono anche ad altri piccoli proprietari che glieli affidano
volentieri sapendo che sono ben custodite e che torneranno gravide di
un capretto orobico (altrove, invece, risciano di essere incrociate).
Vedere queste capr,
così
disciplinate precipitarsi verso la baita (il cane era lì a guardare o
poco più) è per me la conferma che c'è uno "stile" di alpeggio, di
allevamento che riconduce in modo schietto al concetto di simbiosi, di
rapporto paritario, di partenariato con gli animali. Se gli animali
sono trattati bene, se - detto in termini più precisi - hanno la
possibilità di comportarsi liberamente secondo quelle che sono le
caratteristiche della specie e viene - essi entrano in risonanza con il pastore, sanno
ricompensarlo, agevolando il suo lavoro.
Arrivano al galoppo
le capre (orobiche al 90%), dell'alpe Cavizzola. Docilmente si lasciano
rinchiudere nel recinto di "attesa mungitura". Sanno che la prigionia
sarà brevissima e che presto saranno ancora libere di pascolare.
Grazie ai non molti
alpeggi come Cavizzola la bellissima capra orobica non rischia
l'estinzione.
Il "capo" e il
ragazzo
straniero mungono velocemente. Il ragazzo locale aiuta a scegliere le
capre da mungere e le porta verso i mungitori. Il casaro taglia la
legna (che poi gli servirà per scaldare il latte).
La deve tagliare in pezzi di varie dimensioni, alcuni più fini, in modo
da regolare in modo preciso e graduale il riscaldamento. Ovvio che un
fornello a gpl si regola più facilmente di un fuoco di legna, ma se sai
il tuo mestiere puoi regolare bene anche quest'ultimo.
L'operazione di mungitura è
rapidissima. Il latte sta già calando e i nostri mungitori sono dei
veri profesisonisti. Ma anche le capre collaborano di buon grado a far
sì che tutto si svolga rapidamente.
In meno di mezz'ora la "sala d'attesa" si svuota anche perché
qualche capra non ha più latte.
Candido e schiumoso
è il latte, che zampilla da mammelle celate da lungo pelo lucente e riempie
i secchi dei mungitori .
... e viene versato sul
fondo della caldera (ancora più lucente) ... in attesa di unirsi al più abbondante
latte di mucca.
Intanto le capre sostano tranquille
presso la baita e riprendono gradualmente a pascolare.
Nel
gregge si distingue
il prestante e ben "costruito" giovane becco
(poco più di un anno di età) che, con l'approssimarsi della stagione
degli amori, inizia a "ispezionare" le capre. Lo fa per individuare
quelle che stanno per andare in calore, annusando la vulva per
percepire dall'odore dell'urina l'innalzamanto dei livelli di estrogeni.
Una volta che il
latte delle capre è in caldaia si inizia a dare la voce alle mucche. Alfio, armato, di secchio, brentel (il bidone da trasportare a spalla) e
scagnel
(il seggiolino a
una gamba del mungitore d'alpeggio) si avvia verso la malga .
Le capre, più mobili e agili, vengono fatte venire alla baita per la
mungitura, le mucche bisogna andare a mungerle sul pascolo. Vengono
però spostate dove il pendio è meno ripido.
La malga delle mucche si muove immediatamente appena
uditi i richiami
dei pastori e i movimenti del cane. Lo scampanio si fa più forte e
inizia un breve spostamento verso l'area dove la mungitura è più agevole
Ora tutti mungono.
Gli animali sono tranquilli. Non sono infastiditi dalle mosche (siamo a
duemila metri), la giornata di mezza estate è serena e tira una live
brezza. Tutto fila via liscio non solo perché il meteo è favorevole ma
anche perché siamo nella seconda metà dell'alpeggio. Uomini e animali
sono più tranquilli, hanno ingranato. Si godono la parte migliore della
stagione.
Con Alfio, in baita,
abbiamo parlato dei "ribelli del bitto", dei nuovi progetti Non
c'è in vista solo l'apertura a Morbegno di un punto vendita,
prestigiosissimo, ma anche altri progetti in qualche modo innescati da
questa grande opportunità. progetti che riprendono ei sogni nel
cassetto e si rifanno ai fini originari che hanno dato origine a questo
movimento di ribelli costruttivi. Qui, sul pascolo - mentre Alfio munge -
parliamo invece dell'alpeggio, della stagione, dell'erba, degli animali.
La malga è uno spettacolo: in pochi anni la "Original" (braun, non
brown anche se la pronuncia è la stessa) è diventata prevalente; sono
animali solidi, tutti con le corna. Se non fosse per l'abbigliamento
moderno di Alfio queste scene di mungitura potrebbero essere "vendute"
come foto storiche (opportunamente antichizzate).
Così come Alfio comunica l'orgoglio per il suo lavoro anche gli animali
comunicano dignità, una fierezza tranquilla. Non è forse vero che gli
animali riflettono in qualche modo l'animus del loro padrone? Queste
bestie sono "belle fuori e pulite dentro". In realtà sono pulite anche
fuori. Vediamo il pelo lucido, segno di buona salute e stato
nutrizionale, un buon "body score" (stato di ingrassamento), niente
sterco incrostato su fiancate o posteriore (che dipende dal costringere
gli animali a sostare troppo a lungo su determinare aree). Tutte cose
che concorrono a
definire un giudizio positivo, cose che contano (animali sporchi, latte
sporco). Bisogna osservarli da vicino questi animali di Alfio (mucche e
capre), il loro aspetto, la loro pulizia, il loro comportamento, il
loro sguardo per capire che qui non c'è l'involuzione che si registra
nella zootecnia "moderna". Si, a vedere queste bestie se slarga propi el fiaa.
C'è anche il toro Orso nella malga. Niente fiale, fecondazione
naturale. Se la vacca va in calore ci pensa lui (e il risultato è molto
più certo).
L'involuzione zootecnica è parallela all'involuzione alpicolturale:
animali non adatti al pascolo, "integrati" con generose dosi di mangimi
(che arrivano anche con l'elitrasporto all'occorrenza) provocano il
degrado dei pascoli.
Qui le cose stanno divesamente. Tanto diversamente che Alfio non si
lamenta della stagione. In alto (qui siamo già a duemila metri) l'erba
c'è, ed è verde.
Basta un temporale la settimana, nei
prossimi giorni saliamo alla cima dove l'erba è buona, ma anche a basso
c'è già un buon ricaccio e se piove un po' ancora non abbiamo problemi,
anzi conto di stare in alpe sino a metà settembre.
Animali, uomini, erba,
latte fanno parte tutti di un'unica catena; se circola un'energia
positiva, tutta la catena ne risente in bene. Se gli animali sono
quelli adatti alla montagna, se pascolano bene e non sono stressati, il
latte è migliore e non ha bisogno di "correttivi industriali". Il
formaggio d'alpe condenserà, al termine della catena, le proprietà
benefiche di tutto il sistema.
Vorrei proprio poter assaggiare tra uno - due - tre o più anni una
forma di "storico ribelle" Cavizzola 4 agosto 2017. Sono certo che
saprà riportarmi a quel pomeriggio di inizio agosto, a quella bella
sensazione trasmessa dal pascolo, dagli animali, dagli uomini che erano
lì. Credo sia importante far partecipi quante più persone, potenziali
consumatori di "storico ribelle" o meno,
di quello che c'è dietro una forma, una porzione del prezioso
formaggio. Prezioso non per il prezzo, ma perché è la sintesi di una
non scontata armonia che forse un tempo era "naturale", ma che oggi può
essere raggiunta solo se c'è la determinazione e se si va
controcorrente, con coraggio. Se il formaggio è valorizzato anche in
termini commerciali il sistema si perpetua chiudendo il cerchio e si
contribuisce a un'economia morale di rispetto del lavoro, degli
animali, dell'ecosistema pascolo.
Ma lo "storico ribelle" non resiste solo perché
viene venduto, come è giusto e necessario, ad un prezzo adeguato alle fatiche necessarie per
produrlo (e per "allevarlo", spesso per anni, nella cantina del "centro del bitto
storico ribelle"). Esso resiste anche perché è sostenuto da una comunità
di persone che credono in questa esperienza anche per le sue valenze
sociali (in fondo alla pagina puoi vedere come puoi sostenere anche tu i "ribelli").
Quando
l'erba è rispettata il pascolo è anche più "resiliente"
Non è strano che Alfio
non si lamenti di questa stagione? No. Lui viene a pascolare in
alto, dove altri non vanno perché "non ci sono le comodità", perché non
si arriva con i fuoristrada, con i carri mungitura. Si deve mungere a
mano. Non solo, ma va tenuto in conto quanto osservato sopra: con un
buon regime di pascolo la fertilità, attraverso le deiezioni degli
animali - che digeriscono e metabolizzano solo una parte minore dei
principi nutritivi dell'erba - si distribuisce in modo omogeneo sulle
superfici pascolive, promuovendo l'umificazione, la creazione di uno
strato di terreno fertile meno superficiale, la migliore messa a
disposizione delle piante erbacee di acqua e sostanze nutritive. Ci
vuole tanto a capirlo (almeno per chi ha nozioni agronomiche)? No.
Più
facile adottare
le "scorciatoie" messe a disposizione del sistema agroindustriale. C'è
siccità? Aumentiamo l'uso dei mangimi. Si produrrà molto più latte di
quello che munge Alfio anche in annate siccitose, ma che latte? E che
formaggio? Sappiamo che basta pochissimo amido da cereali nel rumine
per alterare la composizione del microbiota, modificando le
trasformazioni
biochimiche. A ciò si aggiunge il ruolo sul biochimismo ruminale
di molecole presenti nell'erba fresca e non in altri alimenti.
Cambierà la composizione degli acidi grassi del latte e con essa
molte caratteristiche sensoriali del formaggio. Tutte cose che si sanno
ormai da tempo. Ma è più comodo dare del "troglodita", del cocciuto
"ribelle" ad
Alfio Sassella (e alla pattuglia di resistenti che operano, più o meno,
come lui).
C'è da camminare
un discreto
tratto per tornare alla Fraccia dove ho lasciato la macchina e mi
congedo prima del termine della mungitura.
Nella
ridiscesa all'ex lago mi accompagna il gorgoglio del ruscello e fisso
questa immagime che scelgo a commiato da questo piccolo mondo che mi ha
regalato la sensazione di una resistenza che si rafforza e porta frutti. Questi frutti, toccati con mano, giustificano il tanto impegno profuso a sostegno dei "ribelli del bitto".
Ancora qualche considerazione (inevitabile)
Sulla via del ritorno ancora qualche spunto a conferma delle riflessioni della giornata. Lungo il "sentiero delle casere"
non posso fare a meno di fissare l'immagine di un "bosco" tristo e
deperente (sotto). Non è tutto cos', ovviamente. Quello della foto non è bosco perché non c'è la rinnovazione naturale,
che è il presupposto della definizione stessa di bosco. Sono piantagioni
artificiali, costate denaro pubblico. Eseguite con piante da
vivaio e che non sono state ioggetto di cure selvicolturali, in
primis di diradamento. Così non valgono niente sia economicamente che
ecologicamente. Le trombe d'aria (numerosi gli schianti) e i parassiti
penseranno a "rinaturalizzare". Ma con un processo lungo e faticoso.
Sono i danni del forestalismo, cento volte peggiori di quelli delle
capre (questi ultimi, in realtà, erano legati alle antiche pratiche delle
"tagliate", ovvero dei tagli a raso con turni troppo ravvicinati ).
Però i forestali avevano dalla loro lo stato (e prima ancora i re e i
signorotti) e l'accademia, mentre i caprai avevano la quinta elementare
e così la gente continua a pensare che i "rimboschimenti" sono stati
una manna e che le capre sono "dannose".
Sono in vista della
strada del passo di San Marco la luce sta calando (è già tramontato da
un po') ma non rinuncio a fissare questa immagine didascalica. Il
profano dice "siccità". Macchè, è il degrado di un prato-pascolo
che, scarsamente utilizzato, non concimato, non pascolato, è regredito
a un nardeto (formazione con una copertura molto estesa di Nardus stricta) . Perché è giallo (anzi uno squallido
giallo-grigiastro)? Perché è il brutto vizio di questa graminacea
presentare una precoce senescenza dele lamine fogliari fiiformi e
pungenti. Pungenti perché incrostate di silice, il che le rende
immangiabili anche per il palato "foderato" di un bovino. Se non
pascolata nella fase giovanile (prima della mineralizzazione e
senescenza) la pianta è rifiutata, così si espande. Peccato vedere una
superficie così, senza pietre, a ridotto declivio, degradata così. A
pochi passi da una strada per lo più.
Epilogo
L'involuzione in atto nel
sistema di utilizzo dei pascoli montani è un tutt'uno con le
degenerazioni della zootecnia (mucche macchine da latte usa e getta,
trasfrmatrici di mangimi), dell'industria casearia (fermenti,
pastorizzazione, latte refrigerato per giorni e giorni), della politica
agraria (che crea reddito con le carte). I contributi, con i loro
meccanismi perversi, hanno fatto più danni all'alpeggio che
vantaggi perché inseriti in un sistema (equilibri economici aziendali,
normative, incentivi) che è orientato ai paradigmi agroindustriali.
Solo un modello neo-contadino, eco-contadino, alternativo che risulti
organico, coerente, consapevole può contrastare i processi involutivi.
Un modello che prima di tutto deve scrollarsi la subalternità culturale
e psicologica dalle agenzie e organizzazioni che hanno dettato sinora
l'agenda agricola, ma anche un modello che rifiuti l'incorporazione
economica nelle filere agroindustriali.
Un modello in grado di opporsi alla tenaglia in cui la tarda modernità
sta stritolando il mondo contadino e che quindi affermi la ruralità
anche contro l'ambientalismo. Quello che si deve contrastare, e non è facile, è un Giano
bifronte,
con una faccia rappresentata dal produttivismo, dagli ogm, dalle
"filiere" globalizzate e l'altra dal "naturalismo", le politiche insidiose di rewidering,
scientificamente e pervicacemente perseguite dalle lobby che contano a
Bruxelles. Non muore solo l'alpeggio nella morsa, muore l'agricoltura
come l'abbiamo conosciuta dal
neolitico ad oggi. Quindi una, cento, mille Cavizzola.
Informazioni
pratiche
per la visita
Innanzitutto va precisato che l'alpe si
articola in quattro stazioni: il piede a 1436 m, dove si trascorrono le
prime e le ultime fasi dell'alpeggio (giugno e settembre), la Casera a
1792 m, la baita bassa (o Piedivalle) a 1944 m (luglio e fine agosto) e
la baita alta a 1996 m (da fine luglio a dopo ferragosto). Questa
scansione temporale puà variare in funzione del decorso stagionale.
Anche se la stazione utilizzata è alle quote inferiori vale la pena
salire sino alla baita alta a 2000 m per ammirare la conca. Quanto
all'ora adatta per la visita va tenuto presente che in alpe le pause
sono brevi. Però mano a mano che la stagione procede il lavoro
diminuisce e c'è più tempo e voglia di accogliere i visitatori. Come
spieghiamo nel "Galateo dell'alpeggio" sotto riportato (vai al Galateo) le ore migliori sono tra la tarda
mattinata e le 15. Per assistere alla mungitura dovete attendere sino
alle 16. Prima si mungono le capre e poi le mucche. Da non perdere lo
spettacolo dell'arrivo al galoppo delle capre chiamate a raccolta da un
fischio di Alfio.
Tabella - Le
alternative per raggiungere l'alpe Cavizzola*
Percorso
|
Dislivello
positivo m
|
Dislivello
negativo m
|
km
|
Fraccia
(124A)-Sentiero delle Casere-Casera Cavizzola - Laghetto Cavizzola -
Baita bassa Cavizzola -
|
681
|
395
|
5,63
|
Madonna
delle nevi (111)- Piede di Cavizzola - Casera dei Siltri - Cascinetto
dei Sitri - Laghetto Cavizzola - Baita bassa Cavizzola - Baita alta
Cavizzola
|
815
|
118
|
6,06
|
Madonna
delle nevi (124A)- Sentiero delle Casere-Casera Cavizzola - Laghetto
Cavizzola - Baita bassa Cavizzola - Baita alta Cavizzola |
941
|
425
|
5,46
|
* n.b. la
meta si riferisce alla Baita alta di Cavizzola (1996 m)
Il percorso 1 parte
a 1584 m ma perde leggermente quota nel primo tratto e, soprattutto,
nel tratto del sentiero delle casere. Tra andata e ritorno il
dislivello in salita complessivo è di 1071 contro i 933 m del percorso
2 che pure parte dal 1336 m del rif. Madonna delle nev.. Il percorso
3 è quello che comporta il dislivello maggiore sempre per
via dei saliscendi del sentiero delle casere e comporta un attacco
piuttosto ripido con pendenza del 30%. Il percorso 2 prevede un primo
tratto in modesta pendenza (fondovalle) con pendenza 15%, il successivo
tratto dal piede di Cavizzola alla casera dei Siltri ha pendenza nedia
del 20%, ed è il ptatto più ripido. Può essere interessante salire dai
Siltri e ritornare percorrendo il sentiero delle casere che, oltre a
transitare per la casera di Cavizzola, consente, con una piccolissima
deviazione di osservare la casera di Azzaredo presso la quale vi è un
masso con croci incise. Per
escursionisti esperti sono interessanti itinerari più arditi: quello
che proveniendo da Fraccia o dalla Madonna delle Nevi per i sentieri
124A e 124B sale al rif. Balicco e al bivacco Zamboni e, seguendo il
sentiero 101 della dorsale orobica sale al monte Azzare do per
ridiscendere al piano di Cavizzola.
La discesa è molto ripida (sino al 70%). Un'ulteriore variante
prevede la percorrenza del 101 sin dal Passo di San Marco attraverso il
Passo della porta. Anche questo percorso presenta qualche tratto per
escursionisti esperti.
Sostieni
i ribelli
Lo
"storico ribelle" ha bisogno
dell'aiuto di tutti coloro che lo ammirano e credono al significato
dei valori e dei modelli che incarna. Si può aiutare in vari modi.
1) Partecipare alla campagna di azionariato
popolare. Dopo il cambio di statuto per divenire
Società Benefit, secondo la
nuova legge in vigore dal 1 gennaio 2016, la Società Valli del
Bitto riapre la campagna di azionariato popolare. Società benefit
è quella che non mira solo al proprio utile ma a vantaggi per la
società, il territorio, l'ambiente.La Società Valli del Bitto punta
solo alla sostenibilità economica e non al lucro. Senza di essa non
potrebbe conseguire i propri scopi che sono in primo luogo garantire -
attraverso la valorizzazione economica - la sopravvivenza del formaggio
"storico ribelle" (ex-bitto storico) con tutto il suo sistema di
produzione in alpeggio che rappresenta un monumento di cultura e di
biodiversità. Lo "storico ribelle" è Presidio Slow Food, il
presidio che - a detta di Slow Food - incarna forse al meglio il
principi del cibo "buono - pulito - giusto". Tutti possono partecipare
a questa Società che incarna l'ideale dell'agricoltura etica sostenuta
dalla comunità che, a sua volta, sostiene il territorio. Si diventa
soci anche solo con 150€ ( con un tetto di 20 mila €). A tutti i soci
viene riconosciuto un "dividendo etico" in natura pari al 2% del
capitale sottoscritto e uno sconto del 10% sul prodotto Tutti i soci
partecipano all'assemblea e al pranzo sociale. Per sapere come
associarsi: tel. 334 332 53 66 info@formaggiobitto.com
2) Adottare una forma in dedica
vai
a guardare qui
3) Offrirsi come volontari per le
varie attività culturali e sociali
svolte dalla società valli del Bitto Benefit e per costituire
un'associaizone di sostenitori dello storico ribelle (scrivete
a redazione@ruralpini.it)
Questo
è il galateo dell'alpeggio che Ruralpini propone. Sono gradite
osservazioni e suggerimenti di miglioramento per la prossima stagione.
Osservandolo gusterete meglio questo
mondo e imparerete a interagire con esso. Presi per il verso sbagliato
da "turisti di città", che palesano la non conoscenza di fatti
basilari,
molti alpeggiatori paiono poco socievoli se non "orsi". Il solco creato
tra montagna e città dalla diffusione dell'animalismo non aiuta a
ridurre la diffidenza per il "turista", il "milanese" (altrove
"torinese" ecc.). Ma se capite la
logica dell'alpeggio le cose cambiano e potrete anche diventare amici.
1) Quando vi
incamminate per l’alpeggio lasciate la vostra autovettura nei parcheggi
autorizzati e comunque non in mezzo ai prati, ai pascoli ed ai boschi o
dove ostruisce il passaggio dei mezzi agricoli e forestali.
2) Durante l’escursione,
specie se non conoscete i posti, camminate solo sulle strade,
mulattiere e sentieri marcati; provate a gustare la lentezza, la fatica
(controllata) e le opportunità del camminare. Annusate i produmi dei pascoli e dei boschi.
3) Sentieri, ponticelli,
tabernacoli, cartelli, croci, staccionate, muretti, fontane, assai
spesso costituiscono testimonianze di cultura e di storia che aiutano a
capire l’identità di un territorio e della sua gente e vanno rispettate
al massimo.
4) Quando giungete
sull’alpeggio, non dimenticate che siete è in casa d’altri ovvero che
che l'alpeggio non ha recinzioni e cancelli ma è un'azienda agricola come le altre per
cui rispetto, attenzione e cortesia sono d’obbligo. Sarete ricambiati.
5)
Gli animali al
pascolo amano la tranquillità e la pace; evitate di fare rumori inutili
e di avvicinarli e dare loro da mangiare senza la presenza
dell’alpeggiatore. Animali troppo confidenti con i turisti rischiano
anche di seguirli e di perdersi (vedi capretti curiosi e inesperti).
Fate attenzione all'eventuale presenza di cani da guardiania (in genere
bianchi mastini abruzzesi). Sono lì per difendere gli animali e dovete
stare alla larga.
6) Il cane al seguito
tenetelo al guinzaglio particolarmente quando vi avvicinate alla zona
di pascolo. Il cane sciolto disturba la tranquillità del bestiame al
pascolo e nei casi peggiori causa fughe precipitose di animali che
possono farsi male anche seriamente. Gli animali domestici vedono nel cane un lupo.
7) Rispettate le
strutture dell’alpeggio e prestate attenzione ai cancelli e ai recinti
elettrici con le manopole isolate, richiudeteli dopo il vostro
passaggio, eviterete di appesantire il lavoro all’alpeggiatore.
8) Per avere spiegazioni
su questo straordinario mondo che è l’alpeggio, chiedete al personale
d’alpe possibilmente quando l’attività lavorativa è meno pressante,
indicativamente dalle ore 10 alle ore 15. Ricordate che l'alpeggiatore
è tanto più tranquillo quanto più l'alpeggio volge al termine e il meteo è stabilmente buono. Le prime
settimane è comprensibilmente nervoso. Nel caso fosse occupato nel
proprio lavoro, pazientate cogliendo l’occasione per soffermarvi a
riposare ed apprezzare le tipicità e le bellezze del posto.
9) Se possibile può
essere utile preavvisare telefonicamente l’alpeggiatore della vostra
visita; talvolta potrà capitare che per esigenze di lavoro il personale
sia momentaneamente assente o impegnato. Molti alpeggi sono articolati in più "stazioni". Se non trovate nessuno il personale può essere più in alto o più in basso.
Cercate di informarmi in proposito ricordando che verso ferragosto è
utilizzata la cima, mentre all'inbizio e alla fine dell'alpeggio si sta
al piede.
10) Se desiderate fare
degli acquisti, sappiate che l’alpeggio non è un esercizio commerciale
come gli altri, vanno pertanto evitate richieste impossibili poiché i
prodotti sono disponibili in quantità limitata e secondo la stagione.
Prenotate o ancor meglio acquistate in anticipo il prodotto. L’acquisto
dei prodotti d’alpe è preferibile farlo nel primo pomeriggio; osservate e
rispettate gli orari eventualmente esposti ed attenetevi alle indicazioni fornite dal gestore.
11) Non perdete
l’occasione dell’incontro con chi vive sull’alpe per scoprire la
ricchezza del confronto tra culture, modi di vivere, sensibilità
diverse. Vi rimarrà impressa la dimensione umana, l’anima dell’alpeggio.
12) Al mattino presto e
(con più facilità) al pomeriggio si può assistere alle operazioni di mungitura e
lavorazione del latte ;
13) La partecipazione
agli eventi estemporanei organizzati in alpe (feste) presuppone
attenzione e rispetto delle regole di sicurezza in primo luogo quelle
dettate dal buon senso perché non è possibile mettere in atto tutte
quelle precauzioni e osservare quelle norme che possono essere messe in
atto "a basso".
14) Non abbandonate in
giro i rifiuti. Devono essere riportati a valle dove ci sono
contenitori per la raccolta differenziata o a casa.
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