In passato, la realizzazione di strade in alta montagna si è prestata a
critiche: opere realizzate con caratteristiche non congrue con
l'ambiente alpino e le reali necessità delle attività silvo-pastorali,
interventi eseguiti laddove non vi era possibilità di recupero degli
alpeggi. Oggi, però, la realizzazione di strade di accesso alle alpi
pascolive
che ne sono ancora prive, va valutata positivamente anche dal punto di
vista
ambientale. Le regole sul transito sono infatti diventate
rigorose e la rete delle piste solvo-pastorali favorisce un turismo
"dolce" (escursionisti, biker, equiturismo). Ciò che ancor più conta,
il
mantenimento della pratica alpicolturale produce servizi ecosistemici
importanti. Dalla val Maira un esempio virtuoso di rilancio di un
alpeggio a vantaggio della comunità degli allevatori locali.
di Andrea
Aimar
(26.10.20)
La
montagna è un luogo gestito dall’uomo fin dall’antichità, dove lo
spirito del montanaro ha saputo conservare intatto il patrimonio
ambientale per millenni, a differenza di molte zone della pianura che
con il tempo sono diventate, in molti casi, un ammasso obbrobrioso di
asfalto e cemento. Una valorizzazione, quella del “monte”, che ha
saputo mettere in risalto gli aspetti ecologici ed antropologici
creando un’importante relazione territorio-culturale. Con l’avvento del
progresso le Alte Terre hanno dovuto adattarsi però al cambiamento
acquisendo nuove metodologie di lavoro, rispondendo a esigenze
ineludibili, a partire da quelle di crescita ed espansione aziendale,
in
particolar modo del settore agricolo boschivo, rimasto pressoché
inalterato per secoli.
Tutt’ora le
aree marginali non servite da strade
di accesso non possono essere ragionevolmente gestite e di conseguenza
tutelate perché, dove è impedito l’uso della meccanizzazione, i boschi
sono abbandonati ed i prati incolti, innescando così un lento ed
irreversibile progredire di conseguenze anche negative, dall’aspetto
estetico dove i prati un tempo falciati si riempiono di rovi e arbusti,
agli effetti pericolosi dell'instabilità del suolo , senza dimenticare
gli incendi, in cui le
borgate ormai soffocate dagli alberi, corrono rischi non indifferenti.
L’opera
dell’uomo nelle aree montane, se fatta con anima e attenzione, è il
tassello fondamentale per il presidio dell’ambiente. Lo stesso vale per
i pascoli, dove i margari e pastori necessitano degli accessi diretti
alle proprie baite per assecondare i bisogni aziendali con il
trasporto di materiale sugli alpeggi garantendo
il mantenimento di
un'importante filiera agro-alimentare con prodotti di nicchia a km 0.
Il collegamento mediante piste agro-silvo-forestali,
auspicabile ovunque vi siano le condizioni per realizzarlo,
consente anche di superare una condizione di isolamento oggi
difficilmente accettabile e alla quale l'elicottero può compensare solo
parzialmente.
Le
strade agro-silvo-pastorali: l'esperienza di Prazzo
Le piste
agro-silvo-pastorali sono un prezioso strumento per contrastare
lo spopolamento dei territori montani soddisfando reali
necessità di chi in questi luoghi vive e lavora.
Queste strade, per lo più sterrate, hanno creato una fitta
rete
di viabilità, anche in alta quota, rilevante anche dal punto di vista
turistico, componendo così circuiti adatti a tutti, dall’escursionismo
allo sci, all’utilizzo delle biciclette per favolosi percorsi immersi
nel
verde.
Da
alcuni anni l’amministrazione comunale di Prazzo ha intrapreso una
meritoria opera per il miglioramento dell’Alpe Giàs Vecchio, alpeggio
comunale a monte del vallone di San Michele, un centinaio di ettari di
estensione pascoliva distribuita tra i 2200 e 2700 metri. Dopo
aver censito gli usi civici comunali, diritto inalienabile e non
usucapibile (un lavoro iniziato nel 2014 dalla precedente
amministrazione), grazie all’assegnazione di un bando di 149 mila euro
per il
miglioramento dei fabbricati d’alpeggio (sostenuto
per il 90% a fondo perduto dalla Regione) , il piccolo Comune
montano è
riuscito a ridar vita e importanza al vallone di
Giàs Vecchio (comunemente noto in occitano come Gì Vièc),
ristrutturando completamente la baita. Un intervento (pista e
ristrutturazione del fabbricato) che va valutato alla luce
dell'estensione e della qualità dei pascoli, nonché dalla loro
eccentricità e distanza rispetto alla parte abitata del comune che
rimarca il valore del collegamento realizzato.
La
recente ristrutturazione ha rimesso a nuovo l’edificio rurale a partire
dal
rifacimento del tetto, coibentando l’opera per il risparmio energetico,
adattandola con pannelli fotovoltaici, ripristinando l’acqua corrente,
sia per uso civico che per l’abbeveramento del bestiame. Sono stati
anche rimessi a nuovo i locali per una futura possibile lavorazione
lattiero-casearia in loco. I lavori sono stati eseguiti dalla ditta
Ivan Costruzioni snc di Villar San Costanzo. «Un’ opera vigorosa, viste
le numerose difficoltà economiche e burocratiche dei piccoli comuni
montani — spiega Fortunato Bonelli, amministratore e saldo locomotore
del progetto —. L’intento è dare un servizio maggiore alle
aziende
agricole del luogo, ai “nostri” montanari, presidio autentico del
territorio. Sarebbe stato un peccato lasciar andare in rovina un'Alpe
così».
Per 35 anni,
fino al 2000, la baita, di proprietà comunale, era
stata mantenuta in buone condizioni grazie al lavoro e all’impegno del
margaro Biagio “Biasin” Ellena. Contemporaneamente
nel 2019 sono giunti al termine i lavori di accesso alla baita tramite
la costruzione di una strada agro-silvo-boschiva, che ha comportato
complessivamente un investimento di 52 mila euro, 15 mila per la
realizzazione, e 37 mila di spese tecniche. L’intervento è stato
sostenuto in parte con contributi ministeriali ed in parte dal Comune
con fondi propri: il materiale é stato trasportato in loco in un primo
tempo con l’elicottero, quando ancora non c’era la strada e quando la
strada é arrivata con mezzi gommati, generando un’economia di 15 mila
euro rispetto all’ipotesi iniziale. E i fondi risparmiati sono stati
investiti nella ristrutturazione dell’annessa piccola stalla e tettoia,
lavori non contemplati nel progetto iniziale. L’accessibilità é stata
garantita con mezzi comunali e dell’Unione montana, in tre lotti,
affidati ai cantonieri Marco Pasero ed Ettore Isaia.
Prazzo
é attualmente la realtà agricola più forte della vallata: sul suo
territorio sono presenti 15 aziende stanziali con un carico di 500
bovini permanenti, 5 aziende transumanti per una monticazione di altri
1000 animali e 6 aziende esterne. Tra le aziende stanziali (5 delle
quali hanno aderito) è stata costituita un’associazione temporale di
scopo (ATS), una cooperativa semplificata per l’utilizzo comune
dell’Alpe di Giàs Vecchio ad uso essenzialmente civico.Si
é trattato di un doveroso investimento per venire incontro alle
esigenze di quei montanari che presidiano, con dedizione, il
paesaggio.
L’iniziativa
é nata anche per contrastare la speculazione degli alpeggi
che negli ultimi anni ha visto l’arrivo in valle di aziende della
pianura, interessate ad accedere ai contributi Pac, che hanno
comportato rincari d'asta assolutamente non accessibili alle piccole
realtà agricole di montagna.«L’associazione
e l’utilizzo dei beni comuni, con l’affitto reinvestito sul territorio,
è nata dalla collaborazione tra noi aziende che viviamo in montagna
tutto l’anno. — racconta Michele Balma, 36 anni, presidente
dell’associazione - Ora i nostri animali sono in Gì Vièc tutti
insieme,
ci alterniamo per accudirli organizzando meglio i lavori della
campagna, soprattutto quando in estate tutti siamo impegnati con la
fienagione». Come
sarà usata la baita? «La baita potrà essere utilizzata per il ricovero
in caso di maltempo o per la permanenza stanziale, tenuto conto anche
del problema lupo, pensiero fisso che condiziona il futuro delle
piccole aziende di montagna».
La realtà di
Prazzo è un’esperienza innovativa che merita di essere
conosciuta. Rappresenta una montagna viva, fatta di tradizioni e di
gente che ci crede. Gente che conosce la montagna perché la vive tutto
l’anno. Una montagna autentica, di chi lavora quassù da generazioni. Ed
un esempio di come, trovando nuove forme di collaborazione, si possa
tentare di dare un futuro possibile a queste terre
meravigliose.
TESTIMONIANZA
DI BIASIN, BIAGIO ELLENA, CLASSE 1935, MARGARO STORICO
«La baita di
Gì Vièc
era stata costruita nel 1960 - racconta Biagio Ellena,
noto come Biasin, storico margaro classe 1935. - Allora era forse la
più imponente baita d’alpeggio costruita in alta valle Maira. Sia per
la grandezza, che per l’inaccessibilità. All’epoca era distante 3 ore
di cammino dalla carreggiata che si fermava in paese e tutto il
materiale per erigerla venne trasportato a dorso di mulo, per un
dislivello anche di 1.200 metri!». «Io
sono nato a Elva ma a tre anni la mia famiglia si é trasferita a san
Michele dove mio papà intraprese l’attività di margaro, attività che io
continuai andando per 35 estati consecutive all’Alpe Gias Vecchio:
conosco ogni pietra, quanti passi ho fatto a piedi lassù... –
prosegue Biasin – D’inverno scendevamo in pianura e giravamo le cascine
del saluzzese, Racconigi, Cervignasco, Scarnafigi, e qui ho preso la
cascina stanziale. Lassù era un alpeggio grande ma molto scomodo, dava
lavoro ad una bella azienda, con la possibilità di crescere anche una
famiglia. Ma era un alpeggio molto scomodo, non c’era la strada, non
c’era la luce, erano altri tempi, tutto il materiale veniva trasportato
a dorso di mulo. La legna, la poca che c’era, si andava a recuperare
rami secchi e arbusti (così facendo Biasin ha contribuito a tenere
pulita la zona, ndr), serviva a far scaldare il latte per fare i
formaggi. Anche perché allora la rendita del margaro era mungere: si
mungeva mattina, sera, si partiva anche di notte per andare a mungere.
Era l’unica rendita, non c’erano contributi. L’alpeggio era senza
telefono, si lavava tutto al fiume, l’acqua era gelata». Se Biasin
dovesse raccontare tutti i dettagli di quella vita non basterebbe una
collana di libri. «I primi anni che scendeva in pianura non c’erano
ancora i camion, anche di macchine ce n’era poche. Quando si scendeva
da san Michele si faceva tutta la valle a piedi passando da Dronero,
sul ponte del diavolo, per arrivare in cascina a Pratavecchia».Ora
anche l’attività di margaro é cambiata. Ci sono i servizi, con la
macchina si arriva davanti alla casa... «Una volta non c’era il filo
elettrico, si stava tutto il giorno al pascolo ed era anche un
impegno».
Al fianco di
Biasin ha sempre collaborato la moglie Maria, di
un anno più giovane, originaria di borgata Raina, sempre di San
Michele. Oltre a dare una mano al marito come margara ha anche
cresciuto 5 figlie lassù nella baita. Figlie che sono diventate grandi,
hanno la loro famiglia: Biasin e Maria sono diventati nonni di 13
nipoti ed anche bisnonni. Quest’autunno hanno festeggiato 62 anni di
matrimonio .Nel
racconto di Biasin accanto alle soddisfazioni ci sono anche tante
rinunce perché, dice, «con le mucche sei impegnato mattina e sera,
soprattutto a quell’epoca. Mi sarebbe piaciuto anche fare altre cose:
quando c’erano le forze, mancava il tempo, ora che c’é il tempo le
forze non sono più quelle di una volta». Quando era giovane suonava la
fisarmonica alle leve e non erano molti a suonare, avere una
fisarmonica era sempre un momento di festa. Biasin Ellena scolpisce il
legno molto bene, ha sempre avuto la passione artistica per la scultura
su legno, le gambise, le canaule, i collari per le mucche. Negli ultimi
vent’anni non è più andato in alpeggio a Gias vecchio ma ad Alpe
Coronata, più facilmente raggiungibile, vista anche l’età.
Lassù,
dopo 35 anni, il margaro ha anche realizzato un’edicola incastonata
nella roccia per ringraziare la Madonnina: «In 35 anni tra fatiche,
sacrifici e difficoltà, ma anche soddisfazioni... è sempre andato tutto
bene, ho voluto rendere omaggio alla Madonna che ha protetto la mia
famiglia su queste montagne». La
soddisfazione più grande? «Diventare anziani tra le nostre montagne;
siamo rimasti qui, non siamo andati in una fabbrica di città come hanno
fatto tanti in quel periodo, andavano alla Michelin, a Torino, alla
Fiat. Siamo sempre rimasti lassù ed abbiamo visto com’è cambiata la
montagna». Alcuni dei loro nipoti continuano a fare i margari, altri
hanno radicato lo stile di vita in montagna, altri hanno preso strade
diverse. La loro vita é lassù. Biasin alleva
ancor oggi le
mucche, a 85 anni...... perché se gli togli le mucche gli togli la
vita.
Articoli
di Andrea Aimar
Piccola
imprenditoria alpina (resistere con le erbe) (22.07.20)
Aprire un'attività economica (di qualsiasi tipo) nelle valli alpine,
qualunque essa sia, è difficile. Vivere, in cima alle valli, dei
prodotti che offre la montagna per realizzare attività economiche in un
mondo di grandi aziende, di sistemi logistici è eroico. Che
si
trasformi latte, legno, uva, pietre naturali o ... erbe alpine, come
nel caso dell'esperienza che Andrea Aimar, ci racconta con questa
intervista.
Nuovi schiavi nei campi. E
lo sfruttamento del contadino italiano? (24.05.20)
Il mondo agricolo è molto critico sulle recenti manovre governatire
per regolarizzare centinaia di migliaia di clandestini "per
aiutare l'agricoltura". Il governo da bene perché l'agricoltura è in
difficoltà e ha problemi di manodopera. Burocrazia, oneri contributivi,
norme e apertura indiscriminata dei mercati ai prodotti
esteri costringono all'autosfruttamento o ad assumere in nero.
L'arte
dello sfalcio manuale. Una tecnica per giovani (15.05.20)
In provincia di Cuneo una bella esperienza di
passione e imprenditorialità si incontrano con la voglia dei giovani di
vivere montagna e agricoltura tornando alla tradizione,siapure
in un contesto innovativo. Lo testimoniano i corsi di falciatura a mano
della ditta FALCI di Dronero e il rinnovato impegno di questa ditta centenaria nel settore
handtools.
Popolo
alpino a rischio di estinzione
(29.01.20)Andrea Aimar, un giovane di 25
anni dell'alta val Maira, in provincia diCuneo torna sul tema del futuro
della montagna. Se, per gli anziani, riflettere su questo è motivo di
rimpianto o sordo risentimento, per un giovane può portare a due
atteggiamenti: rinuncia e fuga o ribellione. E infattidal Veneto al Piemonte
non si odono più solo voci di rassegnazione. Non è più il mondo dei
vinti senza voce.
La
montagna vista da un giovane dell'alta val Maira (Cuneo) (13.12.19) Essere
consapevoli dei termini di un problema rappresenta già un primo passo
per una possibile soluzione. Nella lettera che riportiamo,
Andrea, un giovane di una valle della provincia di Cuneo,
sostiene che - al di là dei proclami - la politica (Roma e Bruxelles)
vuole lo spopolamento della montagna. Porsi rispetto alla politica
senza illusioni, con realismo, significa
poter elaborare strategie adeguate a contrastare certi disegni.
Quantomeno provarci, in un quadro di scenari aperti che concede anche
qualche chances.