RINATURALIZZAZIONE
O RIPOPOLAMENTO DELLA MONTAGNA?
Dal punto di
osservazione della sua valle Imagna, un territorio di montagna
intensamente antropizzato, Antonio Carminati affronta, con un secondo
intervento, il problema della politica di spopolamento della montagna.
Una politica cammuffata con l'ipocrisia pseudoecologica del "rewilding"
e gabellata come riparazione della natura e risanamento dell'ambiente.
Ai fautori di queste politiche non si deve consentire di operare la
pulizia etnica della montagna contrabbandandola come operazione
ecobuonista. Vanno costretti a gettare la maschera.
di Antonio Carminati
(07.01.29)
La questione della “rinaturalizzazione”, appena accennata nel
precedente post (vai a vedere qui),
ha fatto incontrare diverse
posizioni, attraverso il dibattito in rete che ne è scaturito.
L’equivoco di fondo è il preteso sillogismo tra rinaturalizzazione e
risanamento dell’ambiente, quando, invece, un concetto è la negazione
dell’altro.
Mi vengono i brividi al solo pensiero che “rinaturalizzare”
possa anche solo lontanamente significare riportare alle condizioni
naturali piccole o estese aree rurali che nei secoli scorsi sono state
molto modificate dall’opera dell’uomo. Non stiamo parlando di aria
fritta, se pensiamo che c’è stato persino chi ha teorizzato la pratica (Rewilding) che
prevede di ripristinare ampi ecosistemi reintroducendo grandi carnivori
o erbivori, per poi lasciare fare alla natura il proprio corso. Una
natura per così dire “liberata” dalla presenza e dall’azione dell’uomo.
Del resto, la realtà che abbiamo di fronte non è proprio entusiasmante
e diversi segnali vanno in quella direzione, se pensiamo con quanta
facilità si accetti l’abbandono delle terre e degli insediamenti rurali
e, nel contempo, si favorisca la comparsa nelle vallate alpine di
animali pericolosi, come il lupo e l’orso, attesi e difesi da alcuni
settori, quelli più integralisti, di un certo ambientalismo militante
cittadino.
L'abbandono
dei terrazzamenti culturali e le situazioni di degrado ambientale
Dapprima
diverse aree rurali sono state “svuotate” dei loro contenuti originari
autentici, sottraendo molta forza lavoro con il mito del denaro e del
salario garantito in fabbrica, come pure dei migliori e comodi servizi
in città; è stato allentato quel rapporto atavico della popolazione con
la propria terra, che improvvisamente ha perso la centralità
nell’economia sociale e solidale delle famiglie, quindi è stata
dispersa, abbandonata, frammentata in mille rivoli sino a diventare
quasi inutile e insignificante per l’esercizio di attività agricole. La
montagna è diventata terra di conquista, serbatoio di forza lavoro, ora
anche preteso “parco cittadino” o ambito privilegiato per nuove
sperimentazioni naturalistiche. Quanti atteggiamenti rinunciatari
abbiamo sotto gli occhi, anche da parte di coloro che vivono la
montagna e che dovrebbero difenderla, sollecitati da forze esterne a
trascurare o a travisare la propria storia! Una montagna “misurata” e
considerata quale utile spazio insediativo solo in funzione della forza
dei numeri e del sostenimento della relazione costi-ricavi.
Diminuiscono i bambini? Chiudiamo le scuole. Le contrade si spopolano?
Cancelliamo i piccoli Comuni dalla carta geografica. Mancano i denari?
Interrompiamo i servizi. Del resto i circa quindicimila abitanti del
bacino idrografico della Valle Imagna potrebbero tranquillamente
trasferirsi in un quartiere cittadino. Così la valle sarebbe più
facilmente rinaturalizzata e i suoi abitanti vivere tranquillamente,
con grossi risparmi economici e sociali, alla periferia della
dimensione cittadina dei servizi. Come una riserva dei nativi della
montagna. E chi si ostina a continuare ad abitare le terre alte, si
arrangi. Peggio per lui. Sarà destinato a soccombere. Davvero una
triste prospettiva. Ho volutamente estremizzato il paradosso per
sollevare e mettere bene in evidenza la questione, significando che tra
i due estremi - rinaturalizzazione e ripopolamento – si collocano
diverse posizioni intermedie, le quali fanno propendere l’ago della
bilancia di qua o di là.
L'ingresso
nella corte della contrada Roncaglia (prima che si insediasse la
Locanda gestita da Sara e Robi)
Chiudere,
fondere, creare grossi centri scolastici, bancari, istituzionali, di
consumo nei supermercati,… sembrano essere le parole d’ordine al giorno
d’oggi, dimenticando che la montagna è sempre stata, per antonomasia,
il luogo dei piccoli numeri: piccole scuole, piccoli Comuni, piccole
botteghe, piccoli laboratori artigianali, piccoli allevamenti,… con
prevalenza delle attività di servizio, rispetto a quelle tipiche della
produzione intensiva. La montagna è stata così nei secoli e noi, oggi,
abbiamo la pretesa di decodificarla e governarla con strumenti che non
le sono congeniali, utilizzando ad esempio gli standard strutturali e
gestionali dei servizi propri degli ambienti cittadini o delle grosse
concentrazioni urbane. Ci sono evidenti situazioni di squilibrio
sociale ed economico che non possono essere trascurate, come pure
abitudini, stili di vita, esigenze ambientali di interesse generale che
richiedono uno sforzo particolare di comprensione, per uscire dagli
stereotipi delle velleità egualitariastiche. Come pure non si possono
dimenticare o sottacere le grandi lezioni di autonomia e di libertà che
la montagna ha saputo costruire nei secoli scorsi, le quali
rappresentano tuttora straordinari esempi di democrazia, dove il potere
popolare è stato esercitato in forma quasi diretta, come è stato ad
esempio nel processo di formazione degli antichi insediamenti umani e
di costituzione delle regole e degli usi civici nelle vicìnie. Perché
nelle piccole comunità alpine e prealpine ci si conosce tutti.
Architettura
tradizionale della Valle Imagna e tetti in piode (fotografia di Alfonso
Modonesi)
Rinaturalizzare
l’ambiente non significa risanarlo, come si vorrebbe far credere, ma
abbandonarlo a sé stesso, sottraendo una componente essenziale, anzi
determinante, nella costruzione del paesaggio e nella tenuta degli
ecosistemi locali: l’uomo. Quell’idea di natura ancora intatta,
vergine, quasi primordiale, non esiste se non nella nostra capacità di
lettura e comprensione storica dei processi evolutivi della terra e
delle sue espressioni anche fisiche nella storia. Le valli alpine e
prealpine sono state nei secoli ampiamente antropizzate, vissute e
modellate dalla quotidiana presenza di comunità umane, distribuite un
po’ dovunque, sia sui versanti che nelle aree di fondovalle, oppure
adagiate sulle principali alture: esse, attraverso la costruzione di
insediamenti stabili, hanno vissuto e lavorato la terra per secoli e
secoli, costruendo balze campive, dissodandola e rendendola coltivabile
e fertile, edificando case, stalle e un’infinità di infrastrutture
agricole di monte.
Il
bacino dell'Alta Valle Imagna visto da Ricudì. Dopo la nevicata del 15
dicembre 2019
Il
catino montano della Valle Imagna, chiuso a Nord-ovest (rispetto alla
città di Bergamo) dal Resegone, nelle immagini di inizio secolo ci si
presenta dinnanzi come un unico esteso versante agricolo terrazzato
(nella parte sinistra del bacino idrografico), oppure utilizzato a
pascolo e a bosco (nella parte destra del medesimo bacino),
caratterizzato dalla presenza di agglomerati rurali (le contrade),
distribuiti dai quattrocento ai mille metri di altitudine, e da
un’infinità di piccoli edifici sparsi (stalle e cascinali per
l’alpeggio), ciascuno dei quali posto a presidio di una porzione di
territorio, costituita da una propria “isola colturale” composta da
prato, campicello, pascolo e bosco. Unità produttive complete e
complesse. Si percepisce a vista d’occhio la presenza capillare
dell’uomo, il quale ha saputo governare il proprio ambiente, entrando
in comunicazione diretta con esso, attraverso il lavoro quotidiano e le
istanze di sostentamento dei gruppi familiari. Questa è la valle nella
quale siamo nati, dove i diversi campanili, anche non molto distanti
gli uni dagli altri, che svettano da postazioni strategiche e
panoramiche, richiamano alla luce le antiche alleanze municipali,
costituite da gruppi di famiglie che sono state capaci di rivendicare
percorsi di autonomia per la formazione di nuove aggregazioni sociali e
la definizione delle appartenenze. Armate di idee e di entusiasmi, più
che di numeri. Abbiamo di fronte una particolare geografia sociale ed
economica, frutto del millenario processo di radicamento dei gruppi
parentali in un contesto ambientale che, nel tempo, ha assunto una
valenza identitaria. Che la smettano, dunque, per una ragione storica
superiore, i vari detrattori dei campanili, di denunciarne la loro
limitatezza, giacché tali manufatti hanno costituito nel passato e
rappresentano ancora oggi espressioni avanzate di democrazia e
avamposti del governo territoriale. Difendere i campanili non significa
essere campanilisti e l’uso improprio e superficiale del vocabolo, per
certi versi anche spregiativo, ha inteso denunciare l’atteggiamento di
chiusura e quasi retrogrado delle popolazioni della montagna, quando,
in realtà, esse si sono da sempre confrontate, attraverso i commerci e
l’emigrazione, con il mondo intero, sin dal Medioevo, partecipando
attivamente alla costruzione della storia più generale. I campanili
hanno rappresentato altrettante bandiere di autonomia, di libertà e di
proprietà delle popolazioni della montagna.
Fuipiano
Valle Imagna in una mappa del 1737
Attualmente
il “disegno” ambientale della valle non è più così chiaro e fulgido
come appare nelle vecchie fotografie di inizio Novecento, poiché il
bosco avanza a vista d’occhio sino a minacciare l’esistenza delle
contrade, dopo avere annullato e già conquistato molte di quelle “isole
colturali” sparse di un tempo. Il paesaggio, nel suo complesso, appare
meno ordinato, per di più dequalificato sul piano produttivo. Molte
contrade, a cominciare da quelle più distanti, sono state abbandonate,
i versanti hanno perso le sembianze dei giardini rurali di un tempo,
con i vari colori caratterizzati dalle alternanze colturali, mentre le
zone di fondovalle hanno subito un intenso sviluppo edilizio,
forsennato e senza precedenti nella storia.
Corna
Imagna, l'antico nucleo di Regorda di Qua (fotografia di Alfonso
Modonesi)
Nel
corso dei millenni l’uomo ha vissuto e modellato l’ambiente in
relazione alle proprie specifiche istanze di sopravvivenza, un po’ come
Dio - perdonatemi l’equiparazione - ha creato l’uomo a sua immagine e
somiglianza; oppure come l’evoluzione ha fatto sì che tutti gli
organismi viventi, siano essi di natura vegetale che animale,
tutt’altro che statici, abbiano subìto un continuo processo di
cambiamento. L’uomo fa anch’esso parte, come il lupo e l’orso, di
quell’ambito ampio e generale che passa sotto il titolo di “natura”,
anzi ne rappresenta forse la componente più sublime: pretendere di
isolarlo dai processi di ripensamento del volto dei luoghi e dagli
ecosistemi territoriali è davvero un atto criminale. Un crimine contro
la natura.
La
preparazione dei "corlàs" (roncole) presso le antiche fucine di
Locatello (fotografia di Alfonso Modonesi)
Al
concetto di “rinaturalizzazione” preferiamo anteporre quelli di
“ripopolamento” o di “riumanizzazione” dell’ambiente rurale.
Riumanizzare il contesto - già di per sé “umano” - delle nostre valli
significa ricondurre “a misura d’uomo” i diversi elementi che
compongono il modello abitativo e produttivo locale, abbandonando
atteggiamenti stereotipati e ripristinando condizioni abitative e
produttive sostenibili, anche mediante l’utilizzo di strumenti moderni
e innescando processi creativi. Riponiamo le nostre attese in un nuovo
umanesimo rurale in grado di coniugare, sempre in montagna, democrazia
e agricoltura (come nell’Antica Roma), qualità della vita e attività
rurali, cibo e ambiente, terra e lavoro,… quali elementi fondativi di
nuove relazioni di comunità. In sostanza, si tratta di rimettere al
centro delle montagne l’uomo, quale protagonista indiscusso di sviluppo
e difensore di un ambiente assai prezioso, in grado di “coltivare” non
solo beni agro-alimentari ma anche relazioni umane connesse alla
propria esistenza, all’accoglienza, alla presenza identitaria, alla
costruzione di percorsi innovativi di benessere sociale.
Probabile
stemma della famiglia Roncalli scolpito su un'acquasantiera (fotografia
di Alfonso Modonesi)
Mi
rifiuto di pensare a una valle buia e spopolata, come una grande oasi
selvaggia rinaturalizzata, magari ripopolata da lupi e orsi, con buona
pace di quei cittadini che vorrebbero avere a disposizione il loro
grande “parco avventura”. Come era un tempo: riserva di caccia dei
principali feudatari detentori delle terre. Magari con la ricostruzione
fedele di un’antica contrada rurale, per far vedere come vivevano quei
poveri montanari di un tempo…
Terre
alte: tra falsi risparmi e veri sprechi
(05.01.20) Si
chiudono gli asili e si fondono i comuni "per risparmiare", minando i
presupposti della "tenuta" delle comunità e dilapidando il capitale
umano. Poi si sprecano milionate in opere faraoniche, frutto della
gestione mirata a favorire interessi forti e al prestigio della
politica locale. Le piccole opere utili, che premiano interessi
diffusi, che contrastano lo spopolamento sono snobbate. Il caso
esemplare (in negativo) di come il comune di Breno ha investito in
grandi opere ben sei milioni del fondo per i comuni di confine (con il
Trentino)
L'esodo
culturale uccide la montagna (21.12.19)
Il
dibattito tra montanari sul futuro della montagna entra nel vivo.
Rispondendo ad Andrea Aimar (val Maira, CN) , Carminati dalla valle
Imagna bergamasca, mette l'accento sui processi culturali
oltre che su quelli socio-economici. Vero che la montagna è colonizzata
, che le normative la penalizzano, che è priva di rappresentanza
politica, ma il problema è anche l'autocolonizzazione, l'esodo
culturale che - altrettanto negativo dello spopolamento demografico -
rende i montanari estranei alla montagna pur continuando a risiedervi,
ma senza più legami concreti e simbolici con il territorio, con
la memoria della comunità.
Un
giovane si
interroga sul futuro della montagna
(13.12.19) Nella
lettera con la quale Andrea, un
giovane di una valle della provincia di Cuneo, intende dire la sua sul
futuro della montagna si sostiene che - al di là dei proclami - la
politica (Roma e Bruxelles) vuole lo spopolamento della montagna.
Andrea poi prende in considerazione anche quelle condizioni di
"eguaglianza" in materia fiscale e normativa che, di fatto, uccidono la
montagna. Porsi rispetto alla politica senza illusioni, con realismo,
significa poter elaborare strategie adeguate a contrastare certi
disegni. Quantomeno provarci, in un quadro di scenari aperti che
concede anche qualche chances.
L'ambigua
cultura del bosco
(30.03.19) L'ideologia del bosco ha
radici plurime che si richiamano a una... selva di simboli. Essa è
capace di richiamare valori che si collocano agli antipodi: libertà e
autoritarismo, peccato e innocenza, razionalità e irrazionalismo,
individualismo e statalismo. Come tutte le suggestioni
ambigue anche il richiamo apparentemente innocente all'amore per il
bosco è capace di suscitare un consenso manipolato.
Idolatria
boschiva (24.03.19) La superficie forestale ha superato nel 2018
quella agricola, rappresenta il 40% del territorio nazionale
contro l'11% del 1950. L'Italia à dunque un paese ricco di
boschi (di che qualità?) e gli ambientalisti da salotto (ma anche tanti
esperti con il paraocchi) giubilano.
"Abbiamo
bisogno di risorse per i bimbi, per le strade e l'Europa finanzia i
lupi". E' una condanna senza appello dell'Europa della tecnocrazia
quella di Alte Terre, associazione di Cuneo. Ma non basta denunciare;
occorre un'azione politica unitaria. E per l'occasione delle
prossime europee si potrebbe ripetere il "miracolo del '79" che vide
l'unità di un largo fronte minoranze e di gruppi autonomisti
(13.02.11) La
cultura urbanocentrica svuota la montagna Riportiamo l'articolo
di Tarcisio Cima pubblicato dal "Giornale del popolo" il 21 gennaio
2011 con il titolo 'La montagna svuotata' Il Canton Ticino
gode larga autonomia ed ha un territorio al 100% montano. Eppure
si 'pensa' come un'area urbana e la tendenza è a dimenticare che le
Alpi hanno bisogno di città ma che il ruolo di queste ultime
può rafforzarsi proprio in quanto città alpine
(23.06.16) Nuovi
montanari che vengono da lontano un fenomeno ambivalente
Apriamo con un lavoro su turismo alpino e immigrazione inviatoci
da Andrea Membretti, sociologo del territorio, un dibattito su un tema
tra i più sensibili: immigrazione neocomunitaria e extra-comunitaria
nelle Terre alte
(09.09.13) Lasciateci
almeno delle riserve indiane Piuttosto che essere del
tutto scacciati dalla wilderness lasciateci delle ZPS umane. A
lanciare la provocazione è l'associazione Alte Terre.
Un'associazione di resistenza sociale montanara delle valli di
Cuneo. "Siamo noi montanari in via di estinzione , creiamo
delle riserve indiane senza orsi e lupi per difendere la
biodiversità culturale umana che rischia di sparire".
(05.09.13)
Per una politica delleTerre Alte
In vista dell'incontro a Coumboscuro di domenica 9 presentiamo gli atti
del Convegno di Sondrio del giugno 2012 dal quale scaturitono 5 punti
su cui impostare la futura azione politica. Un contributo alla
documentazione del percorso sin qui seguito dal dibattito
politico-culturale sulle Terre Alte
(03.09.13)
In difesa delle Terre Alte
Quest'anno Amamont organizza il suo evento annuale nelle valli Maira e
Grana all'estremo occidente alpino, incontrando due associazioni che
condividono il tema sociale. delle Terre Alte. Un'occasione per
riprendere il filo di un percorso che si snoda nelle Alpi dai tempi
dell Carta di Chivasso, che viene riproposto anche in forma
transfrontaliera e che punta a un nuovo patto tra piano e monte
(20.08.13) La
rinascita delle comunità locali una risposta strategica alla crisi
Il sociologo territorialista De La Pierre, attento ai temi della
rinascita comunitaria e della progettualità locale autosostenibile,
invidua nella profonda crisi presente, una straordinaria opportunità di
rinascita comunitaria. De La Pierre rintraccia un filo comune in
quanto sta avvenendo nei borghi già abbandonati dell'Appennino,
in Brasile, nella Grecia che rinasce quando la crisi sembra
disperata, in una inedita Lombardia
(13.02.12)
Le montagne si parlano
Un primo incontro a Sondrio sabato 18, un secondo a Edolo per dire che
la montagna alpina lombarda si parla senza passare dalla pianura, che
l'organizzaizone in provincie è superata. Incontri paralleli in
programma in Piemonte e poi entro la primavera un grande convegno sui
temi dell'autogoverno della montagna. Con il coraggio di guardare a
prospettive radicalmente nuove. Con la voglia di fare smettendo di
chiedere
(03.02.12)
Montagna: crisi e recupero di autogoverno
Pubblichiamo gli interventi del Seminario di Milano del 10 dicembre
su: "La Montagna di fronte alla crisi". Uno spunto per un
dibattito aperto che vuole arrivare alla definizione di una "Carta per
l'autogoverno della montagna" da presentare a Sondrio in un convegno da
tenersi entro la primavera di quest'anno. Oltre a commentare ogni
intervento online i lettori possono inviare loro contributi ai temi del
dibattito aperto
(11.12.11)
Milano. Parte una iniziativa politico-culturale per le Terre alte
Si è svolto ieri presso l'Associazione consiglieri (al Pirelli) un
seminario coordinato da Robi Ronza su: "La montagna di fronte alla
crisi!". Partito da una proposta di Quaderni
Valtellinesi (Dario Benetti) e Ruralpini(Michele Corti) il
seminario era stato preparato con un incontro cui hanno partecipato
anche Ronza (Confronti), Mariano Allocco (Patto per le Alpi
piemontesi) e Giancarlo Maculotti (Incontri TraMontani). Ora si
avvia una fase di serrata discussione e confronto (via internet) per
arrivare a un Manifesto/Carta dell'autogoverno delle Terre
alte e a un convegno a Sondrio, città al centro delle Alpi. Con lo
scopo dichiarato di dare espressione politica (ma non
c'entrano i partiti tradizionali) a quel fiume carsico dell'autonomia e
libertà alpina che prese origine con la Carta di Chivasso ('44) e
proseguì con quelle di Sondrio ('86) e di Coumboscuro ('87) e, più
di recente ('06), con il Patto per le Alpi piemontesi. Con l'idea di
passare dalle "Carte" all'azione.
(28.05.11) Ricominciare
dalla montagna?
Il titolo del saggio di Gianfranco Miglio (1978) è quanto mai attuale.
Mai come oggi la montagna è a un bivio. Può ispirare al resto
della società modelli utili a ripensare la gestione dello spazio,
delle risorse, comprese quelle umane o può essere cancellata
come realtà sociale. E ridotta ad un 'supporto
fisico' colonizzato materialmente e simbolicamente dalla civiltà
megapolitana. In vista di un 'ripensamento complessivo' della
realtà della montagna è utile ripercorrere le tappe della presa di
consapevolezza della realtà delle Terre alte. Una di queste è
rappresentata indubbiamente dal convegno di Sondrio dell'aprile 1986
(foto) nel cui ambito venne redatta la 'Carta di Sondrio' che
ripubblichiamo in vista di nuove iniziative.
(24.11.11)
Materiali. Contributi al dibattito sulle Terre alte (Incontro di
Pradleves)
La scorsa primavera si è svolto un incontro sulla "questione montana" a
Pradleves, un comune della valle Grana. In collaborazione con Mariano
Allocco, che figurava tra gli organizzatori dell'evento, pubblichiamo
gli interventi più interessanti nel contesto dell'attuale dibattito "la
montagna alpina nella crisi": quelli di Annibale Salsa, Werner Bëtzing
e quello dello stesso Allocco. Nelle prossime settimane Ruralpini
intensificherà la pubblicazione di contributi sul tema che possono
essere proposti o segnalati anche dai nostri lettori.
(01.10.11)
Montanari dissodatori di ieri, montanari di oggi, montanari futuribili
Giancarlo Maculotti è l'animatore degli Incontri Tra/Montani che la
scorsa settimana a Carcoforo (alta Valsesia) sono giunti alla
ventiduesima edizione. Le riflessioni che ci consegna a commento del
convegno si inseriscono nel dibattito sulla 'chiusura della montagna'
innescato dalla serpeggiante proposta di abolizione dei piccoli comuni.
Vanno però al di là delle vicende istituzionali vissute in prima
persona da Giancarlo in quanto sindaco di Cerveno, un paese di 700
abitanti nella media Valcamonica. Toccano i temi della 'montagna
triste', dei giovani che non ci sono o che se ne vanno, della
problematica venuta di 'nuovi montanari'. Un contributo disincantato e
stimolante al dibattito che Ruralpini ha aperto su: "La montagna
nella crisi"
(27.09.11)
La montagna dentro la crisi: verso la desertificazione o un recupero di
autonomia e di identità?
I recenti dibattiti sulla chiusura dei piccoli comuni e sui
‘costi’ del mantenimento della popolazione montana impongono una
reazione. Se la montagna fosse libera dall’oppressiva
regolamentazione burocratica e dai vincoli che le impediscono di
valorizzare le proprie risorse (umane, energetiche, faunistiche ecc. )
potrebbe fare a meno del tutto delle elemosina delle istituzioni
‘superiori’. Riprendere autonomia, capacità di autogestione,
identità è, per la montagna, la strada per evitare di
divenire un deserto verde e per uscire rafforzata dalla
crisi. Ruralpini lancia la proposta di un convegno su questi temi.
(24.05.11) Meno
stato più comunità nelle Terre alte
Dalle scuole parentali agli alberghi 'informali' delle 'donne di
montagna', ai gruppi di consumo arrivano segnali della volontà
delle terre alte alpine di voler tornare a gestirsi sulla base delle
mai sopite tradizioni di gestione comunitaria. Lo stato, la
burocratizzazione e istituzionalizzazione di ogni aspetto della vita
economica e sociale, devono fare un passo indietro. E le terre alte
diventeranno un modello vitale.