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Osteria come istituzione rurale
All'osteria
si facevano affari, si faceva politica, si amministrava la giustizia,
si socializzava e si faceva anche convivio e cultura. Spunti per
ridefinire,
nei piccoli centri rurali, una istituzione dal basso polifunzionale,
"zona franca" da burocrazia, dall'asfissia regolativa e fiscale. Intanto
qualcosa si muove e la cultura dell'osteria (quella vera, non il
ristorantino rural chic) sta recuperando terreno.
di
Michele Corti
(17.05.20) L'osteria,
erede delle antiche taverne, assume nel basso medioevo quei caratteri
da "istituzione sociale totale" che, nella realtà rurale, essa ha
conservato (quasi) sino a oggi. Era il punto di incontro della comunità
ma anche di contatto tra essa e il mondo esterno (nel bene e nel male).
Nelle città e nei grossi centri i mercati, gli alberghi, i ristoranti,
i rivenditori di generi alimentari, le
banche, i tribunali, le prigioni, gli uffici e le sale pubbliche, le
sedi di partiti e associazioni hanno assorbito le tante funzioni svolte
dalle osterie.
Nei centri rurali di poche centinaia (a volte decine) di
anime, si sente il bisogno di una istituzione comunitaria del genere
(le osterie erano spesso un bene collettivo come i pascoli). Che sia
punto di riferimento per lo scambio con il mondo esterno, di
aggregazione e socializzazione, un luogo dove acquistare gli articoli
di uso quotidiano ma anche vendere i prodotti, un ufficio turistico e,
perché no, una locanda come è sempre stato o la reception di un albergo
diffuso di comunità.
La storia ci insegna che non bisogna inventare
niente, basta adattare modelli che a suo tempo funzionavano. Per farlo
ci vuole l'intelligenza e il coraggio di applicare norme diverse a
realtà diverse. Sburocratizzando e deregolamentando. Lasciando che le
comunità riconquistino la capacità di autogestirsi e di progettarsi
senza assistenzialismi, senza imposizioni dall'alto da parte di chi sta
in un ufficio di Bruxelles, di Roma o di Milano, Torino ecc.
Osteria come "zona franca", come in effetti poteva esserlo nel medioevo
quando vigeva anche il diritto d'asilo nelle osterie (come nelle
chiese). Zona franca dalla burocrazia asfissiante e dal fiscalismo (che
è un controsenso in situzioni di difficoltà e svantaggio).
Bedulita (valle
Imagna). L'antica osteria con vendita di "generi diversi", la vendita
di sali e tabacchi e la buca delle lettere, riassume la
polifunzionalità di questi esercizi pubblici, vera istituzione
sociale dove la vita collettiva aveva il suo fulcro
L'osteria
nasce per l'esigenza di disporre di un punto di riferimento per la vita
pubblica del villagi e a seguito della separazione della funzione
abitativa e di quella di ospitalità. Nell'alto medioevo vigeva ancora
il diritto-dovere di ospitalità dei viaggiatori nelle comuni abitazioni
(che nelle regioni più remote dell'Europa sopravvisse ben addentro
l'eta moderna. In conseguanza di questa "specializzazione" si sviluppò
l'ospitalità professionale e, di regola, l'osteria, oltre alla mescita
del vino a vantaggio degli abitanti, doveva garantire alloggio agli
stranieri. Nelle città le osterie-locande erano suddivisise in tre
"categorie": "tre stelle" = locanda per cavalieri; "due stelle" =
locanda per carrettieri e mulattieri; "una stella" = locanda per chi
viaggiava a piedi (pellegrini, artigiani).
La
miniatura mette in evidenza la disparità di trattamento tra il
cavaliere e il viaggiatore e apiedi. Notare l'insegna dell'osteria. La
pertica poteva sorreggere una frasca, un cerchio, una corona, una
bandiera, erano i segnali della mescita in atto. Molte osterie hanno
mantenuto nomi legati a qualle vecchie insegne.
Nei villaggi l'unica locanda poteva avere un solo locale, utilizzato
per cucina, servizio pasti, pernottamento sulla paglia. Nei
villaggi più importanti o su strade di comunicazione anche nelle
campagne e nelle montagne le osterie più strutturate disponevano di un
cortile con intorno le stalle e i fienili e delle camere al piano
superiore.
Corna
Imagna (Bergamo) contrada Roncaglia. L'antica Locanda Roncaglia
ripristinata nella sua funzione dopo un lungo periodo di abbandono. Al
piano superiore le spanze, sotto l'osteria che oltre che per i turisti
funziona per la gente del posto. Qui si organizzano serate su temi di
cucina e di cultura e ci si intrattiene anche in eventi sul "canto
d'osteria". Non è vero che tutto è perduto.
La cucina era separata dalla sala da mescita. Se la mescita de vino ha
rappresentato sempre la funzione principale dell'osteria (simboleggiata
dalla botte esposta sulla porta o da una brocca alla finestra), la
somministrazione di alimenti era quasi sempre assicurata, se non altro
perché l'osteria doveva garantire l'ospitalità ai viaggiatoti di
passaggio che pernottavamo. Oltre al vino l'osteria formiva anche il
pane, molto spesso il formaggio, abbastanza spesso anche la carne. I
viaggiatori di rango sociale si facevano precedere da servitori che
avvisavano l'oste in anticipo in modo che potesse procurarsi vivande
adeguate.
L'osteria come raffigurata nelle
miniature celeberrime del Theatrum
sanitatis (fine Trecento). L'avventore osserva con attenzione il
vino in trasparenza. Le osterie oltre che osservare scrupolosamente
l'uso di recipienti con misure controllate (dalla botte al bicchiere)
erano sottoposte all'esame di assaggiatori del vino che dovevano
certificare la qualità. L'annacquamento era punito da gravi sanzioni.
Mentre nell'età moderna nelle città gli osti cessarono di svolgere
altre attività e diventarono addetti full time alla hotellerie, nei
villaggi, altra differenza, essi continuavano a svolgere altri
mestieri. Potevano essere vitivinicultori o in generale contadini,
allevatori, commercianti di vino o di granaglie, fieno, bestiame,
formaggio, mugnai, macellai, barcaioli (se le osterie sorgevano presso
un fiume). Si trattava di attività complementari che, in qualche modo,
troviamo oggi riproposte nell'agriturismo. Nelle città, invece, le
osterie importanti erano possedute o gestite anche da notai,
mercanti, agenti di cambio, avvocati, funzionari pubblici e in
questo caso la complementarietà era di diverso tipo e l'osteria
diventava sede di attività commerciali, vi si siglavano contratti, si
concludevano affari. Con l'oste in posizione, se non di attore, di
mediatore, testimone, comunque importante che metteva in evidenza la
sua posizione di persona di "pubblica fiducia", in contatto con le
autorità alle quali doveva denunciare gli stranieri di passaggio e
riferire di realti e cospirazioni (come l'oste della Luna piena che denunciò Renzo
Tramaglino) .
Renzo
all'osteria della Luna Piena
I
ricchi osti delle città svolgevano spesso anche compiti
di
rappresentanza politica e detenevano cariche pubbliche nei consigli ma,
in qualche modo, anche nei villaggi l'oste poteva assolvere funzioni
pubbliche come scrivano o in altro modo. Quanto agli affari anche nelle
osterie rurali se ne concludevano molti. Anche quando c'era il mercato
o la fiera spesso la conclusione avveniva all'osteria. Ve ne erano
perciò molte nelle immediate vicinanza delle piazze del mercato. Spesso
osterie, trattorie, ristoranti, alberghi recano ancora questo nome.
Siamo a Faenza e
questa "classica" Osteria del Mercato si presenta con il pergolato e il
fiasco collocato sulla botte. Bella l'insegna a sinistra dell'anta di
ingresso, ovviamente in maiolica di fattura locale.
L'osteria era un
po' il preteso per i capifamiglia (gli "anziani") per mangiare e
bere e stare in compagnia. Ogni affare, sia pure piccolo, era
sugellato da un giro di brindisi rituale. Non era solo un pretesto per
bere,
(il che comunque non dispiaceva a nessuno, specie quando offrivano gli
altri), quanto un modo per sugellare in forma solenne, difficilmente
dimenticabile, i termini del contratto (specie quando valeva la stretta
di mano e non una firma su un foglio). Questo tipo di bevute ovviamente
incrementavano il giro d'affari dell'oste che non poteva che favorire
questo ogni attività che si concludeva i brindisi.
All'osteria
il comportamento degli avventori variava da una moderata bevuta
all'eccesso (con le conseguenze spiecevoli che si constatano del
personaggio sulla destra). La morigeratezza poteva essere frutto di
signorile autocontrollo (come nel caso del personaggio sulla sinistra)
o dalla mancanza di soldi (come accadeva spesso ai piccoli contadini).
Nei villaggi, dove non
esisteva un edificio del comune, le riunioni si tenevano all'osteria e
intorno ad essa ruotava la vita pubblica; così per quelle delle
organizzazioni comunitarie (vicìnie ecc.) sempre che non fossero dotate
di propri locali. Va precisato che spesso l'osteria era di proprietà
del comune stesso o, ancor più frequantemente della vicìnia. L'osteria
come il mulino, la segheria, i pascoli i boschi faceva parte delle
proprietà collettive, era patrimonio comune della comunità.
Nella vita rurale di un tempo l'osteria era spesso il luogo dove i
giudici tenevano le udienze. Non solo era molto spesso (sino
all'Ottocento) un banco dei pegni e una "prigione" per uomini e...
animali. Chi non pagava i debiti con l'oste (ma anche nei confronti di
terzi) poteva lasciare in pegno degli oggetti. In tutti i casi in
cui degli animali erano sequestrati per qualche violazione (legata al
pascolo o altro) o quando il contadino non aveva altro che gli
animali da lasciare in pegno a fronte di sanzioni o tasse per le
quali era insolvente, era l'osteria il luogo di deposito giudiziario.
La cosa era possibile perché, come abbiamo visto, l'osteria doveva
accogliere cavalli e muli di viaggiatori e trasportatori. Anche le
persone potevano essere rinchiuse nell'osteria o in attesa di essere
trasferite a prigioni o fino al pagamento dei debiti.
Questa
simpatica osteria della Lombardia elvetica (siamo nel Mendrisiotto,
regione vitivinicola, a pochi km dal confine di stato) non solo ha
conservato l'antico nome ma anche l'antica usanza di collocare le botti
e le sedie ai lati dell'ingresso. Erano i segnali che vi era un
servizio di mescita. Un tempo ai viaggiatori il calice di vino era
portato anche all'esterno del locale, così il cavaliere o il
carrettiere non doveva legare il cavallo o parcheggiare il carro, una
scecie di drive in. Inutile osservare come, oltre confine, dove si
parla lo stesso dialetto comasco, vi sia una cultura diversa, che
valorizza di più le tradizioni.
Con lo sviluppo dei servizi postali, molte osterie diventarono stazioni
di posta. Un fatto naturale se si pensa all'esigenza di cambio dei
cavalli e che le diligenze postali facevano anche servizio passeggeri,
che dovevano essere rifocillati e, se la sosta avveniva alla sera,
anche alloggiati. Così molte osterie (poi diventate alberghi) hanno
conservato la denominazione "della posta" che oggi rischia di essere
interpretato con la vicinanza a un vecchio ufficio postale. Tra i nomi
che ancora sopravvivono delle antiche osterie vi è quello di Corona ,
perché la corona era una delle insegne (insieme al cerchio, alla
frasca) che contraddistinguevano le osterie. Molte altre traevano il
loro nome da animali, reali o leggendari.
Senna lodigiana. Osteria della Corona
Modena. Osteria La Frasca
Barberino di Mugello. Osteria del Cavallino Bianco
Nei
Promessi Sposi non c'è solo l'osteria cittadina della Luna Piena ma vi
sono altre due osterie: Uscito da Milano perde la strada, in un
villaggio non specificato trova una piccola osteria rurale: A un tratto vede una frasca fuori da una casupola che la indica come un'osteria, quindi decide di entrare e di ristorarsi, chiedendo al contempo le informazioni che gli servono. Nella casa c'è solo una vecchia intenta
a filare, dalla quale Renzo accetta dello stracchino e rifiuta
cortesemente il vino, memore della sbornia presa la sera prima. Renzo all'osteria di
Gorgonzola, molto più affollata di quella del paesino precedente, memore degli infortunii occorsi alla Luna Piena, stette in
disparte e non si fermò a
dormire. Gli altri avventori, però, discutevano animatamente dei
tumulti di Milano. A raccontarli il mercante, cliente fisso dell'osteria nei suoi viaggi d'affari a Bergamo ...quando sentono avvicinarsi un cavallo. Corron tutti all'uscio; e, riconosciuto colui che arrivava, gli
vanno incontro. Era un mercante di Milano, che, andando più volte
l'anno a Bergamo, per i suoi traffichi, era solito passar la notte in
quell'osteria; e siccome ci trovava quasi sempre la stessa compagnia, li conosceva tutti. Gli si affollano intorno; uno prende la briglia, un altro la staffa...
L'osteria, per quanto visto sinora, era quindi una istituzione legata
all'ordine sociale (il controllo degli stranieri in primo luogo), ma -
nella sua dimenione pubblica a 360° - essa era anche il luogo del
"disordine" (o della resistenza sociale, secondo i punti di viata),
ovvero della cospirazione contro il potere costituito (con
gli osti spesso dalla parte dei cospiratori).
Sia per la presenza di
sconosciuti di passaggio che per il ruolo dell'osteria di spazio
relativamente libero, un po' da contraltare della chiesa e delle
confraternite, essa - nonostante tutte le regolamentazioni - attirava
sempre un certo sospetto da parte dei puritani. Con la riforma
protestante e la risposta cattolica (che fecero a gara nel mortificare
le "classi subalterne"), la frequantazione da parte delle
donne dell'osteria venne tabuizzata e così divenne una istituzione
tipicamente maschile. Con la conseguenza che il vino lo potevano bere
solo i maschi dal momento che, sino agli anni Trenta del secolo scorso,
il consumo in ambito rurale era quasi esclusivamente legato all'osteria
(dove - nella zona della mescita - per le donne era "sconveniente"
mettere piede, salvo recuperare i mariti ubriachi). Oltre al desiderio
di bere in compagnia questa limitazione del consumo di vino all'osteria
dipendeva anche dal desiderio dello stato di controllare meglio il
consumo (per incassare le tasse).
L'insegna
di una osteria cremonese. Uno dei due personaggi regge uno strumento
musicale. L'osteria è sempre stata una istituzione ricreativa e
culturale in cui la musica e il canto hanno avuto largo spazio. Non
solo "giri di brindisi" e scommesse a chi trinca di più. In epoche in
cui alle "classi subalterne" non è stato concesso altro svago che la
bevuta (che, oltretutto, portava importanti cespiti fiscali allo stato)
è pacifico che si andasse all'osteria per sbronzarsi. Una volta alla
settimana per sopportare una vita di fatica e sfruttamento.
Se nel medioevo l'osteria era anche luogo di festa e di danze di uomini
e donne, essa lo perdette con l'epoca moderna. Rimase il luogo però dei
giochi (consentiti dalle leggi), delle bevute, degli affari, delle
cospirazioni, delle discussioni sulla vita pubblica. Nelle osterie
nacquero (nel senso di firma degli atti) tante società economiche,
sportive, ricreative. Nelle osterie nacquero liste elettorali, progetti
importanti per la vita locale. Non venne meno, però, l'associazione tra
le osterie, la musica, il canto, i cori.
Nelle osterie la gente non era
spettatrice, con "consumava" musica, produceva musica, canto e quindi
esprimeva e produceva una cultura. Di quelle atmosfere si sente la
mancanza o non mancano iniziative per riattualizzarle. Nessuna
tradizione è "inventata", come dicono, con un mantra ormai usurato
(citazione un noto storico inglese), i progressisti, a condizione che
essa risponda a un
bisogno sociale attuale e che vi sia la consapevolezza di operare in un
contesto diverso, che non esclude, però, (cosa che "ruga" alquanto ai
suddetti progressisti) la rivendicazione di una continuità, di una appartenenza
a una cultura radicata in un luogo.
Con il superamento della pesante repressione dei costumi e con la
maggior ricchezza materiale, anche nei paesi si
aprirono balere, trattorie, negozi di alimentari, alberghi
per i turisti. Anche i caffé, tipica istituzione borghese, sorta
nel Settecento, in clima illuminista, in contrapposizione all'osteria e
in parallelo al "lancio" di bevande stimolanti come il caffé, la
ciocolatta, il thè che il capitalismo avrebbe presto imposto alle
classi popolari con il duplice vantaggio di: 1) stimolare il business
dell'importazione di derrate esotiche prodotte nelle piantagioni di
proprietà delle stesse compagnie di commercializzazione e trasporto
(tipica la potente Compagnia delle Indie inglese); 2) aumentare la resa
sul lavoro contrastando il consumo di prodotti "rilassanti".
I caffé, con il tempo, salvo nei centri più grandi (dove si abbinarono
a volte alle pasticcerie) si sono gradualmente trasformati nei più
popolari bar, una versione degradata dell'osteria.
La
centralità dell'osteria venne così perdendosi retrocedendo a locale per
anziani, salvo trasformarsi anch'essa in bar o in trattoria o in
bar-trattoria (dove le funzioni e gli spazi sono separati e manca il
calore dell'a vecchia osteria). La trasformazione delle ultime
vere osterie è di non molti anni fa; nei paesini di montagna era ancora
possibile trovare quei locali con i grandi camini e la stufa di ghisa
al centro del locale: si mangiava, si beveva, erano rivendite di
giornali, sale e tabacchi, mercerie, piccolo spaccio alimentare.
L'atmosfera, indimenticabile perché era un tuffo nel passato, era
calda, anche per i "foresti". Questo calore si è perso nelle
trasformazioni per diventare "osterie da guida".
Con il venir meno del
turismo, divenuto "di prossimità", per famiglie, per poi
scomparire (mano a mano i benestanti, seguiti dal ceto medio, si
sono indirizzati verso località sempre più lontane,
"snobbando" quelle della prima era turistica), con lo spopolamento,
con la crisi economica, molto spesso le realtà moderne del settore
ristorazione- ospitalità- ricreazione hanno chiuso. Non solo loro. Hanno
chiuso - sotto la pressione dei centri commerciali, aperti oltre ogni ragionevole necessità - anche le botteghe
alimentari che, dalla fine dell'Ottocento in poi, erano
sorte anche nei piccoli paesi. Così non è rimasto nulla. Era meglio
tenersi l'antica osteria.
Osteria
della bassa bergamasca in una foto di Merisio. La foto restituisce
l'ambiente famigliare dell'osteria: un posto dove di sta tra amici,
come a casa propria, anzi... a casa propria
Si
sente quindi la necessità, nelle piccole comunità, del ripristino di
una istituzione che torni a essere il punto di riferimento della vita
locale. Qualche iniziativa è già in atto ma, tornando a quanto si
diceva all'inizio, è indispensabile una coraggiosa deregulation e
defiscalizzazione per queste iniziative. Invece di semplificare le cose
ogni attività è costretta a inquadrarsi in qualche casella. Ma quello
che serve alla montagna, ai piccoli centri delle aree interne è un
qualcosa di rivoluzionario: il riconoscimento che per sopravvivere qui
le distinzioni tra pubblico e privato, scopo di lucro e assenza di
scopo di lucro, sociale e commerciale sono totalmente prive di
senso. E non si dica che non si può "tornare indietro" . Oggi,
con le apposite piattaforme internet è tornata quel tipo di ospitalità
diffusa nelle case private che esisteva prima che nascessero le osterie
con alloggio. Siamo tornati all'alto medioevo. Non può tornare la vera
osteria?
All'osteria non si è
"consumatori" di cultura, si produce
(Antica Locanda Roncaglia, Corma Imagna)
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convivialità semplice e gioiosa. Un processo che è coinciso con il
passaggio dalla comunità contadina alla, ormai generalizzata, "forma di
vita urbana". L'idea, tutt'ora prevalente e accettata acriticamente, di
comunità di montagna del passato cupe e miserabili va totalmente
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