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Cibo territoriale


Ul pan gialt da Nöa al traguardo


 

di Michele Corti

Dopo anni di sperimentazione l'antico pane di mistura di Nova milanese è diventato una realtà. Quest'anno viene ottenuto a partire anche da segale coltivata a Nova e la Deco è al traguardo. Un risultato importante nelle condizioni della Brianza sud-occidentale cementificata, frutto dell'impegno e del lavoro di anni dell'Ecomuseo e del convinto sostegno al progetto da parte dell'amministrazione comunale

(21.11.16) Un tempo Nova, come le altre comunità della Brianza, era rappresentata da un grumo di edifici, grandi corti per lo più dove abitavano le famiglie contadine. Nell'immagine sotto (tratta dalla cartografia militare asburgica e riferita alla metà dell'Ottocento) gli abitati sono immersi nella campagna circostante. Oggi le aree sopravissute all'impermeabilizzazione rappresentano isolotti a macchia di leopardo. Tanto più preziose per ristabilire un minimo di connessioni ecologiche, per la riqualificazione del paesaggio, per le loro potenzialità sociali.


Superata la moda dei parchi (sub)urbani, improntati all'idea estetico-ricreativa (il Parco Nord, che interessa il vicino comune di Cinisello ne è l'esempio) si sta affermando faticosamente l'idea che il "verde" può tornare ad essere connotato in senso ecologico e storico-culturale, tenendo conto del lascito dei sistemi agricoli del passato e delle specifiche condizioni pedologiche, idrologiche ecc. Così oggi a Nova e nei comuni limitrofi si progetta lo sviluppo del parco intercomunale del Grugnotorto (dal nome del nucleo abitato più antico di Nova) in funzione di "riconnessione agricola" oltre che di corridoio ecologico. 

Il verde come (costoso) consumo estetico è fuori moda

Rispetto al verde estetico-ricreativo-contemplativo si fa avanti una prospettiva di valorizzazione agricola dei "pori" lasciati liberi dalla cementificazione mediante forme di agricoltura sociale, civica, urbana attuate mediante le tecniche dell'agricoltura biointensiva, dell'agricoltura naturale, della permacoltura, dell'agricoltura sinergica presentano sostanziali vantaggi. Non è un verde di consumo come quello estetico, retaggio dei parchi signorili il cui significato ostentativo (di ricchezza e potere) e implicito nel non utilizzare per la produzione di cibo ampie superfici adibendo una considerevole manodopera per la cura.  Il prestigio di quel verde consisteva nel risultare isola nella campagna dove i contadini sgobbavano per un tozzo di pane mantenendo i lussi (e i giardini) dei proprietari, una circostanza quanto più vera nella Brianza dell'Ottocento che ha conosciuto il feroce sfruttamento attuato, più dai più avidi proprietari borghesi che dalle vecchie classi aristocratiche in crisi, mediante i giugulatori contratti del "fitto a grano".


Quando il terreno agricolo diventa raro il modello si ribalta. Le amministrazioni pubbliche, che in qualche modo hanno ereditato il ruolo che fu dei "signori" finanziando consumi di prestigio (collettivo) oltre che di pubblica utilità, appaiono però meno propense a progettare l'utilizzo del territorio "vuoto" in termini di "bosco in città", "forestazione urbana" e altre forme simili derivate dal parco nobiliare che appartengono ad una cultura tardoindustriale. Certi "consumi sociali" appaiono in ogni sempre più insostenibili per la finanza pubblica a fronte di una pressione fiscale ormai già a livelli intollerabili  e dei costi  incontrati dalla pubbica amministrazione per fornire beni e servizi come conseguenza dell'insieme di procedure e di regole che la stessa si è data . Sul piano culturale il disprezzo per l'agricoltura - che significava inferiorità sociale e memoria di miseria - è stato metabolizzato, alla fine persino ribaltato nel succedersi delle generazioni. I contadini (autoctoni o immigrati dalla Puglia e da altre regioni del sud) divenuti operai hanno fatto in tempo a vedere figli impiegati. Ma i nipoti sono precari o disoccupati e il modello urbano industriale, terziario, contrapposto a quello rurale non incarna più promesse di sempre ulteriore progresso e benessere (tantomeno di felicità).

 

Il ritorno alla terra (anche in aree urbane) non è più un sogno da "figli dei fiori"

Nel frattempo nella società sono emerse tendenze nuove: da una parte l'osmosi culturale e l'egemonia dei modelli anglosassoni ha veicolato un'idea neorurale legata  al concetto di  "countryside" come stile di vita ambito e prestigioso, dall'altra l'agricoltura di piccola scala, contadina e neocontadina, da contrassegno di miseria è diventata sinonimo di produzione di prodotti di qualità, buoni per la salute del consumatore ma anche per quella dell'ambiente. L'inevitabile destino di un'agricoltura ultraindusrializzata, supertecnologica è naufragato davanti agli orrendi impatti della zootecnia e dell'agricoltura  appendice dell'agroindustria, produttrice di  matere prime standardizzate dai prezzi infimi. Sempre più aree agricole nel mondo sono marginalizzate dall'industrializzazione, dall'internazionalizzazione dei mercati, dal controllo di intere filiere agroalimentari da parte di un pugno di multinazionali. Le promesse dell'agricoltura high-tech, degli ogm si sono rivelate sirene insidiose e hanno aumentato la diffidenza del consumatore. Di qui il favore per le filiere locali, per prodotti ancorati nella storia, cultura, memoria e ecologia del luogo. Un insieme di fenomeni che hanno spostato la bilancia a favore dell'agricoltura artigianale, praticabile anche nelle aree già espulse dai mercati delle commodities agricole: la montagna, la collina, le aree urbanizzate. La bulimia di tecnologie e l'atrofia delle capacità manuali, la voglia di recupero di saperi locali sviluppatisi a contatto con la realtà ecologica e sociale e non monopolizzati dagli apparati esperti hanno fatto il resto. Ci sono le condizioni perché, anche in un contesto così urbanizzato come la conurbazione a nord di Milano, si possa parlare di ritorno alla terra, di neoagricoltura, di agricoltura civica. 



Multifunzionalità

Il realismo dei progetti di ritorno alla terra in ambito urbanizzato poggia sulla capacità di assolvere a molte funzioni. In primo luogo, come già osservato, rappresenta una risposta all'impossibilità per le amministrazioni di accollarsi ulteriori spese di gestione delle superfici "verdi" di proprietà comunale. Affidata a singoli coltivatori, a cooperative agricole (o di comunità), ad associazioni, la gestione delle aree alleggerisce in ogni caso i costi per l'amministrazione. Le funzioni pubbliche, però, vengono non solo rispettate ma anche implementate. La nuova agricoltura urbana implica un ritorno alla policoltura, alle rotazioni, alle consociazioni agrarie, a reticoli compatibili con il ripristino di filari, siepi, vegetazione spontanea. A differenza della monocoltura essa non lascia il terreno privo di coltivazione e ricrea un paesaggio che ne incentiva la fruizione grazie al piacere di camminare e pedalare garantito dalla varietà, dai colori, dall'ombra, dal canto degli uccelli (attirati dalle presenze arboree e dagli insetti che trovano il loro habitat nei bordi dei campi e nella riduzione sino all'eliminazione dell'uso dei pesticidi). 



I primi passi

La reintroduzione della coltivazione del mais vitreo marano per la panificazione (ma anche per la preparazione della polenta e dei dolci tradizionali) ha rappresentato il primo passo lungo un percorso di rilancio dell'agricoltura e di recupero di aree alla coltivazione. Senza questo primo passo, compiuto con successo, non si sarebbero possibile oggi pensare a nuovi progetti.   La stagione 2016 segna la fine della fase di sperimentazione del Pan gialt da Nöa, il pane di mistura ottenuto con: 50% farina di mais marano proveniente dai campi di Nova milanese, 30% farina integrale di segale proveniente dai campi di Nova milanese, 10% farina integrale di grano, 10% germe di mais. Il raccolto 2016 è consistito in 40 q.li di granella di mais marano seminati nel terreno comunale di via Zara dall'azienda agricola Verzeni, di cui 10 consegnati al mulino Ronchi di Briosco (un paese della Brianza) e il resto venduti dal coltivatore per coprire le spese di coltivazione. Sono stati anche raccolti 12 q.li, coltivati su una superficie comunale di 6 mila mq, di cui 5 consegnati al mugnaio e il rimanente venduti dal coltivatore. Per la prima volta sono stati raccolti anche 7 q.li di segale (tutti destinati al mugnaio per il progetto)  coltivati nel campo di un privato (Seregni) lavorato dall'azienda agricola Verzeni. Pr la prima volta si è potuto quindi preparare il pane di mistura con cereali coltivati a Nova. Il pane, ottenuto secondo le linee fissate dai progetti sottoscritti dall'amministrazione comunale e dall'Ecomuseo, è stato presentato alla festa patronale (che da qualche anno è denominata anche "del furmentun") il 16 settembre 2016. Il pane è stato poi messo in vendita attraverso il panificatore novese "Il pane di Mario e Maria che lo distribuisce (su richiesta) il giovedì.  Preso atto di questi risultati la commissione comunale per la De.co il 21 novembre ha dato il via per l'ufficializzazione del pan gialt quale De.co del comune di Nova milanese.


Un lavoro di anni

Il percorso che ha portato alla De.co del "pan gialt" prende avvio nel 2008 anche se va rilevato (ne abbiamo parlato in un precedente contributo, vai a vedere) che alle spalle c'era un lavoro sulla memoria locale e le tradizioni locali già avviato dall'Ecomuseo e, prima ancora, dall'associazione culturale "Il Cortile" che aveva preso le mosse trent'anni prima. Nel 2008 il progetto parte come attività didattica con la locale scuola media statale con della semente "Marano" ottenuta a Vicenza dalla banca del seme. In occasione della Festa di Noa del 2009 si  è presentato per la prima volta il pan gialt ottenuto mescolando alla farina di mais anche quelle di segale e frumento secondo le indicazioni emerse dalle ricerche presso informatori locali. Nel 2012 il comune di Nova assegna all'Ecomuseo un'area di proprietà comunale da destinare al progetto del pan gialt.  L'anno successivo, dopo aver ottenuto dall'Unita di ricerca per la maiscoltura di Bergamo (Cra-mac) il germoplasma originale della varietà Marano  (VA56 Marano), l'Ecomuseo presenta un piano strutturato di coltivazione e il comune concede una superficie complessiva di 6 mila mq in via Assunta Nel 2014, considerato che le finalità del progetto potevano allargarsi da quelle iniziali (educative e culturali) ad altre di valenza paesistica e ambientale. l'amministrazione comunale assegna al progetto una superficie molto più ampia di 30 mila mq corrispondente ad aree resesi disponibili attraverso il ripristino delle ex cave di ghiaia. Un primo lotto, in via Zara, a seguito del riporto di idoneo strato di terra di coltivo, è stato messo a coltura nel 2015. La natura del terreno, però, in assenza di derivazioni dell'acqua del Villoresi e a seguito del decorso siccitoso della stagione, ha sortito un raccolto del tutto deludente. Ci si è rifatti nel 2016. In prospettiva, però, le aree di cava, dopo un periodo di coltivazione affidato a un'azienda agricola (che procederà alla concimazione con stallatico dei terreni) saranno destinate alla coltivazione del mais Marano e della segale (in opportune rotazioni) e si sta pensando anche di attivare nuove opere di derivazione idraulica (quelle pre-esistenti sono state rese inutilizzabili dallo sviluppo dell'urbanizzazione). Non solo ma il comune sta pensando a destinare ai progetti di nuova agricoltura ulteriori aree di proprietà comunale. Da questo punto di vista il progetto del pan gialt sta stimolando, non solo a Nova ma anche negli altri comuni interessati al Parco del Grugnotorto (Paderno, Cinisello, Muggiò), lo sviluppo e la discussione di nuove proposte. Che, auspicabilmente, non riguarderanno solo la coltivazione del mais e della segale ma anche l'orticoltura, la frutticoltura, la gelsicoltura, la viticoltura. Tutto questo, però, non potrà svilupparsi senza la partecipazione attiva delle strutture associative e di singoli cittadini che dovranno investire nelle risorse umane necessarie. Da parte dell'Ecomuseo con la sua coordinatrice Maria Teresa Elli e del comune con il sindaco Rosaria Longoni, l'assessore all'ecologia e alla cultura Andrea Apostolo, il settore gestione del territorio con il responsabile Giorgio Brioschi, vi è stato e vi è un  impegno consistente che merita di essere additato ad esempio. Andare avanti dipenderà dalla risposta della comunità. Con il vecchio modello di agricoltura che puntava a sopravvivere con i premi della Pac non si potrà certo andare lontano in presenza di problemi di redditività che affliggono anche aree di agricoltura meno frammentata. Difficile non pensare alla nuova agricoltura brianzola in termini di una forte vocazione multifunzionale in grado di tenere insieme valori sociali, ecologici, culturali e di suscitare nuove forme di cooperazione basate non solo su aspetti economici ma sul ritorno a valori di mutualità e solidarietà spontanea. Secondo formule capaci di rilanciare le relazioni tra le generazioni e di creare nuovi elementi di socialità e di appartenenza capaci di legare vecchi e nuovi abitanti.






 

 

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