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Articoli correlati
L'Oglio
e la transumanza
(14.11.16)
La transumanza ovina bergamasca tutt'oggi è un fattore
connettivo per le quattro provincie della regione lungo quella
"autostrada della transumanza" rappresentata dall'asta del fiume Oglio.
Inserita nella vivace offerta di turismo enogastronomico
del corso del basso Oglio, con le sue osterie, le (buone) piste
ciclabili, le osterie, i castelli e i ristoranti pluristellati
può
rappresentare una carta in più per consolidare la vocazione turistica
di un territorio che rappresenta una delle più belle espressione del
volto della pianura lombarda
Cucinare
= atto agricolo e sociale
(12.11.16) Il 2017 vede la Lombardia orientale proclamata regione
europea della gastronomia. Un'occasione da non sprecare. Magari
ripensando anche in chiave critica EXPO. Il focus qui comunque non è il
mondo ma una regione con le sue differenze. Occasione per pensare la
gastronomia come fatto sociale, culturale, politico.
Un progetto
per far incontrare i territori (cibo e cultura
(08.11.16)
Sono già due gli incontri realizzati a Cà Berizzi, a Corna Imagna
nell'ambito di un itinerario attraverso le culture contadine e
pastorali e le loro espressioni culinarie
Un sogno si avvera: si torna a mietere in Valseriana
(22.07.16) Con il progetto "Cereali dell'asta
del Serio"sostenuto dall'omonima
associazione
diventa realtà il ritorno in valseriana di vari
cereali: grano,
segale, orzo, farro, mais oltre a grano
saraceno e patate.
I
magnifici sette (ieri a Gandino)
(12.01.16) L'incontro di rappresentanti di sette località
lombarde con in comune un prodotto agroalimentare ricco di storia,
emblema e orgoglio della comunità ma anche stimolo di progettualità
locale e veicolo di relazioni. Primo evento pubblico 6 marzo,
festa di San Giuseppe, sempre a Gandino
Asparago
rosa di Mezzago
(09.01.16)
Mezzago, con l'asparago, rappresenta un'esperienza trainante nel
movimento dei "cibi di comunità". Lanciato come DeCo da Luigi Veronelli
è assurto a elemento di una continuità dalla società
contadina a quella post-industriale è divenuto un riferimento
identitario per una comunità che non vuole essere fagogitata dalla
conurbazione milanese.
Cibi
di comunità in rete
(04.12.15)
Quali sono le realtà che costituiscono la rete partita dal progetto
"Cibo e identità locale" e quali altre realtà possono candidarsi
a
partecipare. In attesa che la rete si formalizzi presentiamo alcune
indicazioni emerse dalla ricerca e dal volume che ha dato il via a
questa iniziativa
La
nuova frontiera del cibo locale
(03.12.15)
Dopo l'uscita del libro "Cibo e identità locale" , ricerca partecipata
con soggetto sei cibi di comunità, in occasione degli incontri di
presentazione del libro, ma anchedel tutto spontaneamente, si sono
infittite le relazione tra la rete. A Gandino l'11 gennaio si farà
il
punto di questi sviluppi aprendo una fase nuova di questa storia di
ricerca-azione
L'agricoltura
civica come resistenza politica all'assalto finale ai territori
(03.09.14)
Dalle Alpi alla conurbazione milanese la tendenza è a trasformare il
territorio in qualcosa incapace di produrre cibo. Il biocapitalismo
ammette solo aree urbanizzate con annessi di agricoltura
iperindustrializzata. Più una wilderness da sfruttare a piacimento. Tra
le forme della resistenza c'è l'agricoltura civica. Coltivare,
mangiare, cucinare sono atti politici. Se sono raccordati tra loro, se
legano la gente tra loro e alla loro terra il drago non riuscirà a
dominare tutto. leggi tutto
Il
valore culturale della gastronomia
(26.03.14) Una
risoluzione del Parlamento europeo che sembra scritta da Slow Food
esalta il valore culturale del cibo, le usanze locali, l'autenticità
del gusto ecc. ecc. Facciamo valere queste buone intenzioni. Anche se
si tratta solo di inviti ed esortazioni a chi ha ilpotere da parte di
un parlamento poco più che consultivo: la Commissione, il Consiglio,
gli Stati.
Rinasce
la vitivinicoltura contadina nei Cèch
(26.03.13) Sulle
"Terrazze dei Cèch" rinasce la viticoltura contadina.
All'autoproduzione per passione si affianca l'"economia della crisi" ma
c'è anche una coop e crescono le etichette mentre si avviano nuove
iniziative di turismo rurale. Insieme al Bitto storico, al grano
saraceno di Teglio emerge "l'altra Valtellina"
Agricoltura
sinergica
(09.01.13) Con
questo contributo sull'agricoltura sinergica che viene "dalle terre del
Sud" torniamo a parlare del tema delle agricolture naturali.
Anche
in montagna avanza l'agricoltura urbana
(07.06.12)
Spesso
è nelle aree più urbanizzate e industrializzate che si riscopre la
voglia di tornare a coltivare il proprio cibo. Torniamo ad occuparci
del caso di Gandino nella bergamasca, famoso per il suo mais Spinato
Permacultura:
vera sostenibilità in città come sulle montagne
(16.01.12) Sempre
più numerose anche in Italia le iniziative sulla Permacultura (basta
guardare in questa pagina, prima colonna: Corsi). "Importata" in Italia
sin dalle origini (inizio anni '80) grazie alla Scuola contadina di
Ontignano e alla LEF, la Permacultura ha dovuto attendere parecchio a
divenire "di tendenza". Ora è in fase di crescita e se ne capiscono
bene le ragioni: la delusione del modello di sviluppo basato sulla
crescita illimitata e lo spreco, la fuga dalle città e la voglia di
agricoltura urbana al tempo stesso, il desideriodi rendersi autonomi e
di tornare ad una dimensione di vita dove produzione e consumo non sono
artificialmente separati.
Coltivare la
nostra terra
(08.04.10) In
questi giorni dal Feltrino alla Valseriana si svolgono iniziative con
un comun denominatore: la voglia di riprendersi la terra, di procurarsi
il cibo con le proprie mani. Attraverso la rivalorizzazione
dell'orticoltura e della frutticoltura 'rurali'. Non solo orticelli 'da
pensionati' ma anche piccole produzioni integrate ad altre attività
agricole, co-produzioni con il coinvolgimento di consumatori, auto
e
micro-produttori, aziende agricole. Perché la terra torni a dare frutti
(e verdure).
Olivicoltura
alpina? Uno stimolo alla rinascita rurale
(18.02.10) Mentre
si consolida la realtà delle aree dove l'olivicoltura non era mai
scomparsa (Garda, ma anche Sebino e Lario) si registrano insperati
progressi sul Lago di Varese, sul Ceresio e sul Verbano e in Valle
d'Aosta. Spetta alla Valtellina il primato degli uliveti più a
Nord
d'Italia (al mondo il record è del Galles con un uliveto alla
latitudine di Liverpool). Il movimento olivicolo 'alpino', è
caratterizzato da una forte componente di aggregazione sociale, di
voglia di recupero del paesaggio e della ruralità. Del tutto sganciato
da preoccupazioni quantitative rappresenta un modello di
multifunzionalità e di costruzione di filiere alimentari brevi sia di
tipo economico che no profit.
Valle
Camonica (Bs). Il rilancio della patata occasione per
l'agricoltutura di montagna
(06.11.09) Dalla
trentina Val di Gresta, alla montagna ligure si moltiplicano le
inziative intorno alla patata.Il consumatore apprezza la qualità delle
patate di montagna ed è disposto a riconoscere un prezzo superiore a
'quelle del supermercato'. In Valle Camonica, nell'ambito di un attivo
movimento di differenziazione agricola e di lancio di filiere corte è
in atto anche la riscoperta della pataticoltura con una serie di prove
di campo per testare diverse varietà. leggi
tutto
Liguria.
Un'esperienze ruralista: il Consorzio della Quarantina
(27.09.09) Intorno
al recupero della patata Quarantina di Genova si è sviluppata da dieci
anni a questa parte una delle più interessanti esperienze ruraliste
italiane. Vissuta nella coerenza, coinvolgendo dal basso e
dall'inizio
contadini e comunità locali, senza affidarsi ad agenzie mediatiche
esterne, senza puntare ai supermercati.
Valle
Camonica. Torna il paesaggio delle messi in montagna (Valle camonica,
BS)
(26.07.09) Sotto
la spinta della grande voglia di filiere corte e 'pane di casa' si
moltiplicano i progetti per il ritorno dei 'cereali minori' in
montagna. Non sono esenti da difficoltà ma vale la pena crederci. I
costi ecologici, sociali, psicologici del cibo 'che non si sa da dove
viene' sono enormi e aprono lo spazio per tornare a coltivare il
territorio ....
leggi tutto
Lombardia/Brianza.
Dalla terra... il pane.
(11.07.09)
Il
Parco di interesse locale (PLIS) della Molgora (MB) dimostra che 'km 0
si può' anche in un'area fortemente urbanizzata. Un progetto che
mobilita il territorio: amministratori, ristoratori, panificatori
artigiani, agricoltori, consumatori
|
di
Michele Corti
Dopo anni di sperimentazione
l'antico pane di mistura di Nova milanese è diventato una realtà.
Quest'anno viene ottenuto a partire anche da segale coltivata a Nova e
la Deco è al traguardo. Un risultato importante nelle condizioni della
Brianza sud-occidentale cementificata, frutto dell'impegno e del lavoro
di anni dell'Ecomuseo e del convinto sostegno al progetto da parte
dell'amministrazione comunale
(21.11.16)
Un tempo Nova, come le altre comunità della Brianza, era
rappresentata
da un grumo di edifici, grandi corti per lo più dove abitavano le
famiglie contadine. Nell'immagine sotto (tratta dalla cartografia
militare asburgica e riferita alla metà dell'Ottocento) gli abitati
sono immersi nella campagna circostante. Oggi le aree sopravissute
all'impermeabilizzazione rappresentano isolotti a macchia di leopardo.
Tanto più preziose per ristabilire
un minimo di connessioni ecologiche, per la riqualificazione del
paesaggio, per le loro potenzialità sociali.
Superata
la moda dei parchi (sub)urbani, improntati all'idea
estetico-ricreativa (il Parco Nord, che interessa il vicino comune di
Cinisello ne è l'esempio) si sta affermando faticosamente l'idea che il
"verde" può tornare ad essere connotato in senso ecologico e
storico-culturale, tenendo conto del lascito dei sistemi agricoli del
passato e delle specifiche condizioni pedologiche, idrologiche ecc.
Così oggi a Nova e nei comuni limitrofi si progetta lo sviluppo del
parco intercomunale del Grugnotorto (dal nome del nucleo abitato più
antico di Nova) in funzione di "riconnessione agricola" oltre che di
corridoio ecologico.
Il verde come (costoso) consumo estetico è
fuori moda
Rispetto
al verde estetico-ricreativo-contemplativo si fa avanti una prospettiva
di valorizzazione agricola dei "pori" lasciati liberi dalla
cementificazione mediante forme di agricoltura sociale, civica, urbana
attuate mediante le tecniche dell'agricoltura biointensiva,
dell'agricoltura naturale, della permacoltura, dell'agricoltura
sinergica presentano sostanziali vantaggi. Non è un verde di consumo
come quello estetico, retaggio dei parchi signorili il cui significato
ostentativo (di ricchezza e potere) e implicito nel non utilizzare per
la produzione di cibo ampie superfici adibendo una considerevole
manodopera per la cura. Il prestigio di quel verde consisteva nel
risultare isola nella campagna dove i contadini sgobbavano per un tozzo
di pane mantenendo i lussi (e i giardini) dei proprietari, una
circostanza quanto più vera nella Brianza dell'Ottocento che ha
conosciuto il feroce sfruttamento attuato, più dai più avidi
proprietari borghesi che dalle vecchie classi aristocratiche in crisi,
mediante i giugulatori contratti del "fitto a grano".
Quando il
terreno agricolo diventa raro il modello si ribalta. Le amministrazioni
pubbliche, che in qualche modo hanno ereditato il ruolo che fu dei
"signori" finanziando consumi di prestigio (collettivo) oltre che di
pubblica utilità, appaiono però meno propense a progettare l'utilizzo
del territorio "vuoto" in termini di "bosco in città", "forestazione
urbana" e altre forme simili derivate dal parco nobiliare che
appartengono ad una cultura tardoindustriale. Certi "consumi sociali"
appaiono in ogni sempre più insostenibili per la finanza pubblica a
fronte di una pressione fiscale ormai già a livelli intollerabili
e dei costi incontrati dalla pubbica amministrazione per fornire
beni e servizi come conseguenza dell'insieme di procedure e di regole
che la stessa si è data . Sul piano culturale il disprezzo per
l'agricoltura - che significava inferiorità sociale e memoria di
miseria - è stato metabolizzato, alla fine persino ribaltato nel
succedersi delle generazioni. I contadini (autoctoni o immigrati dalla
Puglia e da altre regioni del sud) divenuti operai hanno fatto in tempo
a vedere figli impiegati. Ma i nipoti sono precari o disoccupati e il
modello urbano industriale, terziario, contrapposto a quello rurale non
incarna più promesse di sempre ulteriore progresso e benessere
(tantomeno di felicità).
Il ritorno alla terra (anche in aree
urbane) non è più un sogno da "figli dei fiori"
Nel
frattempo nella società sono emerse tendenze nuove: da una parte
l'osmosi culturale e l'egemonia dei modelli anglosassoni ha veicolato
un'idea neorurale legata al concetto di "countryside" come
stile di vita ambito e prestigioso, dall'altra l'agricoltura di piccola
scala, contadina e neocontadina, da contrassegno di miseria è diventata
sinonimo di produzione di prodotti di qualità, buoni per la salute del
consumatore ma anche per quella dell'ambiente. L'inevitabile destino di
un'agricoltura ultraindusrializzata, supertecnologica è naufragato
davanti agli orrendi impatti della zootecnia e dell'agricoltura
appendice dell'agroindustria, produttrice di matere prime
standardizzate dai prezzi infimi. Sempre più aree agricole nel mondo
sono marginalizzate dall'industrializzazione,
dall'internazionalizzazione dei mercati, dal controllo di intere
filiere agroalimentari da parte di un pugno di multinazionali. Le
promesse dell'agricoltura high-tech, degli ogm si sono rivelate sirene
insidiose e hanno aumentato la diffidenza del consumatore. Di qui il
favore per le filiere locali, per prodotti ancorati nella storia,
cultura, memoria e ecologia del luogo. Un insieme di fenomeni che hanno
spostato la bilancia a favore dell'agricoltura artigianale, praticabile
anche nelle aree già espulse dai mercati delle commodities agricole: la
montagna, la collina, le aree urbanizzate. La bulimia di tecnologie e
l'atrofia delle capacità manuali, la voglia di recupero di saperi
locali sviluppatisi a contatto con la realtà ecologica e sociale e non
monopolizzati dagli apparati esperti hanno fatto il resto. Ci sono le
condizioni perché, anche in un contesto così urbanizzato come la
conurbazione a nord di Milano, si possa parlare di ritorno alla terra,
di neoagricoltura, di agricoltura civica.
Multifunzionalità
Il
realismo dei progetti di ritorno alla terra in ambito urbanizzato
poggia sulla capacità di assolvere a molte funzioni. In primo luogo,
come già osservato, rappresenta una risposta all'impossibilità per le
amministrazioni di accollarsi ulteriori spese di gestione delle
superfici "verdi" di proprietà comunale. Affidata a singoli
coltivatori, a cooperative agricole (o di comunità), ad associazioni,
la gestione delle aree alleggerisce in ogni caso i costi per
l'amministrazione. Le funzioni pubbliche, però, vengono non solo
rispettate ma anche implementate. La nuova agricoltura urbana implica
un ritorno alla policoltura, alle rotazioni, alle consociazioni
agrarie, a reticoli compatibili con il ripristino di filari, siepi,
vegetazione spontanea. A differenza della monocoltura essa non lascia
il terreno privo di coltivazione e ricrea un paesaggio che ne incentiva
la fruizione grazie al piacere di camminare e pedalare garantito dalla
varietà, dai colori, dall'ombra, dal canto degli uccelli (attirati
dalle presenze arboree e dagli insetti che trovano il loro habitat nei
bordi dei campi e nella riduzione sino all'eliminazione dell'uso dei
pesticidi).
I primi passi
La
reintroduzione della coltivazione del mais vitreo marano per la
panificazione (ma anche per la preparazione della polenta e dei dolci
tradizionali) ha rappresentato il primo passo lungo un percorso di
rilancio dell'agricoltura e di recupero di aree alla coltivazione.
Senza questo primo passo, compiuto con successo, non si sarebbero
possibile oggi pensare a nuovi progetti. La stagione 2016 segna
la fine della fase di sperimentazione del Pan gialt da Nöa, il pane di
mistura ottenuto con: 50% farina di mais marano proveniente dai campi
di Nova milanese, 30% farina integrale di segale proveniente dai campi
di Nova milanese, 10% farina integrale di grano, 10% germe di mais. Il
raccolto 2016 è consistito in 40 q.li di granella di mais marano
seminati nel terreno comunale di via Zara dall'azienda agricola
Verzeni, di cui 10 consegnati al mulino Ronchi di Briosco (un paese
della Brianza) e il resto venduti dal coltivatore per coprire le spese
di coltivazione. Sono stati anche raccolti 12 q.li, coltivati su una
superficie comunale di 6 mila mq, di cui 5 consegnati al mugnaio e il
rimanente venduti dal coltivatore. Per la prima volta sono stati
raccolti anche 7 q.li di segale (tutti destinati al mugnaio per il
progetto) coltivati nel campo di un privato (Seregni) lavorato
dall'azienda agricola Verzeni. Pr la prima volta si è potuto quindi
preparare il pane di mistura con cereali coltivati a Nova. Il pane,
ottenuto secondo le linee fissate dai progetti sottoscritti
dall'amministrazione comunale e dall'Ecomuseo, è stato presentato alla
festa patronale (che da qualche anno è denominata anche "del
furmentun") il 16 settembre 2016. Il pane è stato poi messo in vendita
attraverso il panificatore novese "Il pane di Mario e Maria che lo
distribuisce (su richiesta) il giovedì. Preso atto di questi
risultati la commissione comunale per la De.co il 21 novembre ha dato
il via per l'ufficializzazione del pan
gialt quale De.co del comune di Nova milanese.
Un lavoro di
anni
Il
percorso che ha portato alla De.co del "pan gialt" prende avvio nel
2008 anche se va rilevato (ne abbiamo parlato in un precedente
contributo, vai
a vedere) che alle spalle c'era un lavoro sulla memoria locale e le
tradizioni locali già avviato dall'Ecomuseo e, prima ancora,
dall'associazione culturale "Il Cortile" che aveva preso le mosse
trent'anni prima. Nel 2008 il progetto parte come attività didattica
con la locale scuola media statale con della semente "Marano" ottenuta
a Vicenza dalla banca del seme. In
occasione della Festa di Noa del 2009 si è presentato per la
prima volta il pan gialt ottenuto mescolando alla farina di mais anche
quelle di segale e frumento secondo le indicazioni emerse dalle
ricerche presso informatori locali. Nel 2012 il comune di Nova assegna
all'Ecomuseo un'area di proprietà comunale da destinare al progetto del
pan gialt.
L'anno successivo, dopo aver ottenuto dall'Unita di ricerca per la
maiscoltura di Bergamo (Cra-mac) il germoplasma originale della varietà
Marano (VA56 Marano), l'Ecomuseo presenta un piano strutturato di
coltivazione e il comune concede una superficie complessiva di 6 mila
mq in via Assunta. Nel
2014, considerato che le finalità del progetto potevano allargarsi da
quelle iniziali (educative e culturali) ad altre di
valenza paesistica e ambientale. l'amministrazione comunale assegna al
progetto una superficie molto più ampia di 30 mila mq corrispondente ad
aree resesi disponibili attraverso il ripristino delle ex cave di
ghiaia.
Un primo lotto, in via Zara, a seguito del riporto di idoneo strato di
terra di coltivo, è stato messo a coltura nel 2015. La natura del
terreno, però, in assenza di derivazioni dell'acqua del Villoresi e a
seguito del decorso siccitoso della stagione, ha sortito un raccolto
del tutto deludente. Ci si è rifatti nel 2016. In prospettiva, però, le
aree di cava, dopo un periodo di coltivazione affidato a un'azienda
agricola (che procederà alla concimazione con stallatico dei terreni)
saranno destinate alla coltivazione del mais Marano e della segale (in
opportune rotazioni) e si sta pensando anche di attivare nuove opere di
derivazione idraulica (quelle pre-esistenti sono state rese
inutilizzabili dallo sviluppo dell'urbanizzazione). Non solo ma il
comune sta pensando a destinare ai progetti di nuova agricoltura
ulteriori aree di proprietà comunale. Da questo punto di vista il
progetto del pan gialt sta
stimolando, non solo a Nova ma anche negli altri comuni interessati al
Parco del Grugnotorto (Paderno, Cinisello, Muggiò), lo sviluppo e la
discussione di nuove proposte. Che, auspicabilmente, non riguarderanno
solo la coltivazione del mais e della segale ma anche l'orticoltura, la
frutticoltura, la gelsicoltura, la viticoltura. Tutto questo, però, non
potrà svilupparsi senza la partecipazione attiva delle strutture
associative e di singoli cittadini che dovranno investire nelle risorse
umane necessarie. Da parte dell'Ecomuseo con la sua coordinatrice Maria
Teresa Elli e del comune con il sindaco Rosaria Longoni, l'assessore
all'ecologia e alla cultura Andrea Apostolo, il settore gestione del
territorio con il responsabile Giorgio Brioschi, vi è stato e vi è
un impegno consistente che merita di essere additato ad esempio.
Andare avanti dipenderà dalla risposta della comunità. Con il vecchio
modello di agricoltura che puntava a sopravvivere con i premi della Pac
non si potrà certo andare lontano in presenza di problemi di
redditività che affliggono anche aree di agricoltura meno frammentata.
Difficile non pensare alla nuova agricoltura brianzola in termini di
una forte vocazione multifunzionale in grado di tenere insieme valori
sociali, ecologici, culturali e di suscitare nuove forme di
cooperazione basate non solo su aspetti economici ma sul ritorno a
valori di mutualità e solidarietà spontanea. Secondo formule capaci di
rilanciare le relazioni tra le generazioni e di creare nuovi elementi
di socialità e di appartenenza capaci di legare vecchi e nuovi abitanti.
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