La
finta ecologia, quella dei lupi e dei "sacri parchi", è solo un'arma di
distrazione di massa rispetto a un sistema antiecologico che
rappresenta il contrario di quello che proclama. Non c'è nessuna
sostenibilità in un'agricoltura sempre più industrializzata, in balia
del capitalismo finanziario. Si parla di piantare milioni di
alberi (altro tema di distrazione di massa) mentre l'aumento
incontrollato dei boschi crea ulteriori problemi ambientali. Si sorvola
sul fatto che, nelle aree di agricoltura intensiva (sempre più
ristrette per lasciare spazio a cemento e wilderness), gli alberi sono
scomparsi lasciando lande desolate di monocoltura. Nelle filiere
agroalimentari industriali la perdita di fertilità del suolo, l'uso
della chimica nociva all'ambiente, il consumo di acqua, di energia
fossile, l'uso della plastica, la perdita di biodiversità, il consumo di suolo non solo non
si arrestano ma aumentano. Ma
tutti gli autori del grande inganno si dichiarano "sostenibili". Prosegue sui temi
dell'agroecologia la riflessione di Giancarlo Moioli.
di Giancarlo
Moioli
(01.08.20)
L'evidenza della recrudescenza e della crescente gravità (vedasi le
dimensioni dei "proiettili") dei fenomeni grandiniferi, insieme ad
altre considerazioni sulla fragilità del territorio, sia di montagna
che di pianura, dovrebbero indurci a serie riflessioni. Poche settimane
fa è stato pubblicato uno studio che dimostrerebbe come Bergamo, e in
generale la provincia, rappresentino la zona più a rischio di Italia
per fenomeni temporaleschi estremi (ci siamo già dimenticati la
grandinata del due giugno?). Siamo come gli struzzi, facciamo finta di
non vedere...
ATTENZIONE,
NON E' NEVE, E' GRANDINE (media valseriana, giugno 2020)
Ma vediamo di trarre
almeno qualche considerazione utile da questi disastri. E parliamo di
agricoltura. In ottica agroecologica, agli antipodi dall'ambientalismo
da salotto.
Comandare gli eventi
meteorici non è possibile, ma l'uomo contadino, da millenni, ha
imparato che alternando le colture si riesce sempre a portare a casa
qualcosa, anche in anni di grandine o di troppe pioggie, anche in
anni di siccità. Se andava male la vendemmia andava bene la mietitura
(e viceversa). Ma siccome la logica dell'economia capitalista allunga
le filiere e impone la specializzazione e la monocoltura, questa
saggezza è stata rottamata.
NON
DITE CHE E' "CONCIMAZIONE": E' SMALTIMENTO, CAMPI-DISCARICA
La migliore
assicurazione contro le incognite meteo era la policoltura. Che
senso ha, anche alla luce di questi eventi, sempre più frequenti,
continuare con una monocoltura di mais che, oltre ai problemi già
evidenziati in un precedente
articolo (vai
a vedere): perdita effetto tampone del terreno, inquinamento falde,
impoverimento sempre più accentuato di sostanze organiche), si dimostra
vulnerabile ai nuovi fenomeni? Ettari ed ettari spianati. Dove
non arriva il vento (non più frenato dalle alberature che un tempo
delimitavano i campi) ecco che la grandine, defoglia in forma
irreparabile.
Abbiamo già detto che le emissioni in atmosfera di una agricoltura iper
industrializzata sono costantemente elevate (vedi dati lockdown che
dimostrano come il traffico rappresenta una fonte di emissioni minore
rispetto ad altre, tra cui l'agrozootecnia). Non torniamo sui pesticidi
(ribadendo comunque che la monocoltura maidicola ne impone l'uso
massivo)
Proviamo a porci delle domande: perché siamo arrivati a questo punto?
Una probabile coerente risposta la troviamo nelle seguenti cifre
"C'era , una volta,
l'agricoltura sostenibile"
Anno 1985 e dintorni!
Un litro di gasolio agricolo costava 36 lire iva compresa, un litro di
latte, all' allevatore, era retribuito 240 lire iva compresa. 2019,
ante coronavirus, Gasolio agricolo euro 1 iva compresa ( 1936 lire), un
litro di latte euro 0,40 (800 lire). Quindi, al tempo, con il guadagno
di 1 litro di latte si acquistavano circa 7 litri di gasolio. Oggi con
un litro di latte non si acquista nemmeno 1 litro di gasolio (0,8 l).
Un altro esempio aiuta a capire a quali distorsioni siamo arrivati, in
termini di realizzo, e quali aberranti soluzioni sono state
adottate per farvi fronte.
Nel 1975, un vitello bruno alpino di 15 gg, veniva venduto a
50.000 lire (25 euro). Un trattore (motoagricola) Goldoni da 40 cc
costava 2,5 milioni (1250 euro) di lire. Oggi un vitello da latte di 15
gg viene retribuito euro 30, un trattore Goldoni 40 cv, costa euro
20.000. Tale forbice riguarda tutte le spese di manutenzione, di
investimento, di qualunque forma e grado.
VACCA
VARZESE (40 anni fa) 22 ANNI E... IN PRODUZIONE
Cosa ha pensato di
fare, chi coltivava la terra, per resistere a tale forbice? In
montagna, nelle zone con agricoltura ancora tradizionale, ha
progressivamente abbandonato l'attività; in pianura (ed in aree montane
ove si è impostata agricoltura intensiva) si è fatto l'impossibile per
trasformare la vacca da latte in una macchina da latte, arrivando alla
incredibile produzione di 100 e più ettolitri di latte per
lattazione (ovviamente non solo con silomais a gogò e mangime mangime,
mangime, ma anche con un aumento impressionante dell'uso di farmaci e
integratori). Una rincorsa impossibile al reddito, perché - prima o poi
- la caduta del prezzo del latte e l'aumento della quota di valore aggiunto
assorbito dall'industria e dal terziario (farmaceutica, mangimistica, informatica,
meccanica, burocrazia parassitaria), si mangia gli effetti dell'aumento di produttività.
LA
CORSA DEL CRICETO. I PREZZI DEI PRODOTTI AGRICOLI CALANO. E ALLORA SI
AUMENTA LA PRODUTTIVITA': PIU' TECNOLOGIE COSTOSE, PIU' ATTREZZATURE,
PIU' MEZZI TECNICI. RISULTATO: I PREZZI CALANO DI PIU'. E SI VA AVANTI
(CON SEMPRE PIU' AZIENDE ELIMINATE)
Un povero animale così
sfruttato (perché gli orsofili e lupofili non si interessano a questa
situazione?) quanto può durare? Nella realtà contadina
una vacca da latte, salvo malattie infettive, traumi, problemi di
parto) poteva tranquillamente campare una ventina di anni. Ma
una produzione di 100 quintali di latte non rappresenta condizioni normali. Ho
visto caricare con un paranco vacche stramazzate a terra distrutte da
tale sfruttamento, con una età di 7 o 8 anni, ma nelle aziende spinte
di pianura succede anche a 4-5 anni. Inaccettabile. Perché sistematico.
Per produrre un litro
di latte, nella mammella devono circolare 300 litri di sangue. Si pensi
a quale pazzesco metabolismo (con enormi consumi di mangimi,
integratori, biomodulatori ecc.) si deve arrivare per sostenere tali
produzioni? E che dire dei tentativi senza fine di interventi di
fecondazione artificiale (quindi grave infertilità) a causa di tale
condizione di stress metabolico in un organismo orientato
spasmodicamente alla produzione di latte con equilibri endocrini del
tutto sfavorevoli all'ovulazione e all'attecchimento dell'embrione?
Tutto questo, oltretutto, fornisce argomenti a un animalismo
strumentale che punta a mettere in discussione l'allevamento animale in
sé (condizione, invece, di un'agricoltura realmente sostenibile). E colpisce la componente più debole ma più ecologica. Che strano?
A carico dei sistemi
agrozootecnici industrializzati vi sono anche emissioni di gas
climalteranti. Le deiezioni, sparse con il carro botte, oltre che causa
di emissioni in atmosfera di ossidi di azoto, rilasciano miasmi da
fonte ammoniacale, tra le prime cause della inquinamento
atmosferico. Causano lisciviazione di nitrati nelle acque di
falda e, nel terreno, sono causa di gravi inquinamenti con
disinfettanti e antibiotici che alterano il microbiota del terreno. Non
si può poi dimenticare l'accumuli di metalli pesanti, utilizzati in
modo esagerato nei mangimi e negli integratori (microelementi
stimolatori delle produzioni).
Gli allevatori, di
questo sistema, sono vittime, presi delle spire di un vortice governato
dall'industria e da apparati di produzione di conoscenza,
innovazione tecnologica, consulenza organici all'industria stessa
(pubblici o privati non fa differenza). Sono estenuati dall'impossibile
ricerca - in queste condizioni imposte dal contesto di mercato e
istituzionale - di un giusto tornaconto che risulti anche rispettoso
dell'ambiente e del benessere animali, della sicurezza, salute e
soddisfazione dei consumatori...
FILIERA
CORTA: La formaggella Sant'Antonio (una storia di resistenza). Prodotta
con il latte del lockdown dalla Coop Sant'Antonio in val Taleggio
Le due estremità: il
produttore agricolo e il consumatore sono tanto più conciliabili quanto
più la filiera ritornerà ad essere il più possibile corta, sostenibile,
equa. Ovviamente a questo si oppongono tutti quegli interessi che
"succhiano" valore aggiunto, a partire da chi fa opinione, produce
conoscenza (funzionale al sistema). A partire dagli economisti e dai
tecnologi che esaltano l'efficienza dei sistemi industriali
semplicemente perché fa comodo, a loro e ai loro "committenti",
nascondere i costi sociali e ambientali dei sistemi industriali (così
come i vantaggi, in termini di sociali e ambientali, di implementazione
di capitale naturale, umano, sociale, territoriale, dei sistemi
"contadini"). Non ascoltando gli "esperti", gli economisti, gli
"scienziati" salveremo noi, l'ambiente che ci circonda, la salute e il
portafoglio, nella doverosa diversità
Purtroppo, questa riflessione si deve chiudere mettendo anche nel
conto lo scempio delle migliori terre (le più comode anche da mettere a
coltura) che, nonostante le tante leggi per contrastare il
consumo di suolo, procede a ritmo imperterrito. Non c'è destra,
sinistra, centro: sono tutti responsabili. Sono tutti ambientalisti ...
di comodo.
Quando
l'ambientalismo fa male all'ambiente
(07.07.20) Le "ricette" ambientalidel governo sono ispirate - vedi la
smania di piantare alberi - a quell'ambientalismo becero che, in nome
di soluzioni green, produce un ulteriore aggravamento dei fenomeni di
degrado dei territori montani. Con l'abbandono di ampie superfici e una
"rinaturalizzazione" non gestita, con il crollo verticale delle
attività di contadini, pastori, boscaioli, gli effetti dei fenomeni
estremi e la perdita di biodiversità, patrimoni di paesaggio, beni
culturali materiali e immateriali, saranno sempre più gravi.leggi
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