Rifritto il Piano
lupo:
una barzelletta che non fa ridere
Siamo
nel 2019. Dal 2015 è scaduto il Piano lupo nazionale e, causa cambi di
governi e le barricate della demagogia animal-ambientalista, siamo
arrivati alla ennesima "nuova versione". Gli abbattimenti,
previsti sia pure con il conta gocce, sono spariti senza
giustificazione,
sostituiti dalla fumosa "prevenzione mirata". Che venga approvato
questo Piano è dubbio,
perché alcuni regioni si opporranno e perché potrebbe subentrare la
crisi di
governo. Intanto, però, piano o non piano, gli allevatori ,
lasciati soli da
una politica vile, continuano tutti i giorni a stare in trincea,
costretti a difendersi come possono mentre cresce il business lupista:
Wolf Alp II passa da 7 a 13 milioni di budget e il WWF fa cassa.
di
Michele Corti
(23.04.19)
Il Piano lupo, l'ultima versione è del marzo 2019, è stato
redatto dai medesimi autori di quello precedente. Quello che nel frattempo
è
cambiato è il ministro: da Galletti (governo Renzi) a
Sergio Costa. Quest'ultimo, già generale del Corpo forestale dello
stato, è stato indicato dai grillini come referente e portavoce del
mondo ambiental-animalista, presso il quale sperano di continuare a
raccogliere consensi elettorali. Ma la linea dura "il lupo non si
tocca" accontenta le lobby e l'elettorato del ceto medio urbano, quello
dell'ambientalismo televisivo, un elettorato trasversale che vota tanto
a destra quanto a sinistra. Si illude il M5S se crede che con il lupo
si recuperi l'elettorato tradito dal voltafaccia sulla TAV
in Piemonte e sulla TAP in Puglia, per non parlare di quello, ancor più
grave, delle acciaierie di Taranto, vera fabbrica di tumori, che ha
rappresentato un pugno nello stomaco per tutti coloro che in Italia
sostengono l' "altro ambientalismo", quello della sostanza, quello
sociale e integrale, della difesa (inscindibile) della salute umana e
degli ecosistemi, della difesa della terra che produce cibo oltre che
dei boschi e dei grandi carnivori.
L'ambiental-animalismo del lupo e dei parchi è, come molti - nonostante
i media - hanno ormai capito, un diversivo, un alibi e anche un
ulteriore motivo di business.
Lo scenario politico
Costa è
uomo di parte, come molti ufficiali dell'ex CFS, schieratisi in tema
di lupi e orsi a spada tratta sul fronte dei fautori di una loro
larga diffusione. In occasione delle recenti polemiche
sull'opportunità di organizzare a ferragosto un mega-concerto di
Jovanotti (con la collaborazione del WWF) a 2275 m, sulle Dolomiti (vai a vedere l'articolo di Ruralpini) ,
Costa in televisione ha dichiarato: “Se c'è il WWF allora va
bene”. Un passacarte del WWF. Uno imparziale.
Galletti
condivideva l'eccessiva
baldanza di Renzi che - pieno di sé - ha osato sfidare l'impopolarità
del referendum, sul quale è poi caduto. Dobbiamo, però, dare atto a
Galletti di aver avuto il coraggio, tra i pochi in Italia, di sfidare
la demagogia
animal-ambientalista in tema di
controllo del lupo. Sia pure con una serie di limitazioni che
avrebbero impedito l'autorizzazione agli abbattimenti,
questi – almeno in linea di principio – sarebbero stati possibili. Si
sarebbe rotto il tabù del sacro lupo e, perso il suo status tutta la
propaganda lupista sarebbe stata indebolita. Alla fine il lupo sarebbe
diventato un animale (quasi) come gli altri. Il business del lupo ne
avrebbe sofferto.
Anche
Luigi Boitani, lupologo maximo e autore del Piano Galletti, ufficialmente firmato Unione zoologica italiana,
ha difeso con forza il principio degli abbattimenti “teorici”, in
quanto vi scorgeva uno strumento psicologico per addolcire il
conflitto sociale. Vi vedeva anche la possibilità di “educare”
le masse degli ambiental-animalisti da salotto a una concezione del
problema un po' più ecologica e un po' più socialmente equa, iniziando a
ragionare in termini si popolazione/i lupina/e e non di protezione
del singolo lupo. Iniziando a far rientrare gli eccessi della lupolatria.
Boitani
sa bene che il lupo, in una
prospettiva di lungo periodo, corre più rischi a
causa dell'animal-ambientalismo superficiale ed emotivo che dal
“bracconaggio”. Infatti, come deve riconoscere anche il nuovo
Piano, il problema più grave per la conservazione del lupo in Italia
è l'ibridazione, che non può essere contrastata con le norme,
ispirate all'animalismo viscerale, che impediscono l'efficace lotta
al randagismo canino e l'eliminazione degli ibridi. Boitani e i
lupologi hanno giocato agli apprendisti stregoni quando, per
risollevare le sorti della specie (e per promuovere sé stessi e la
lupologia), non
hanno esitato a costruire intorno al lupo una narrativa che trascende
la dimensione biologica ed ecologica. Hanno teorizzato il lupo
bandiera, il lupo specie-ombrello, hanno fatto del lupo l'emblema della
biodiversità. Lo stesso piano attuale, non trascura di presentare il
lupo come "esigenza spirituale". Su questa base, con le armi
ideologiche forgiate dal conservazionismo "scientifico",
l'ambientalismo ha costruito i suoi
business, si è appropriato del lupo in versione gallina dalle uova
d'oro,
capace di catalizzare con facilità consenso e calamitare offerte in
denaro e adesioni alle grandi organizzazioni ambientaliste. Per farlo
utilizza, con dovizia di mezzi, martellanti campagne
propagandistiche, ampiamente amplificate dai media di regime,
schieratissimi in tema di lupo.
Ora il lupismo è prigioniero del business
costruito intorno ad esso, un business che non può più prescindere da
un approccio emotivo che rasenta l'isteria, da una costruzione sociale
della lupinità che
rifiuta di confrontarsi con la realtà, che non riesce a misurarsi con
altre esigenze, che si pone
come fatto assoluto. Che diventa partito ponendosi esplicitamente in
una dimensione politica, consapevole che il lupo, più di altri animali
è un potente strumento per trasformare uso e controllo del territorio.
Il partito del lupo, di fronte al pubblico dell'animal-ambientalismo da
salotto, ormai non può abbandonare più la posizione di rifiuto
aprioristico di ogni proposta di controllo legale perché è parte del
suo Dna.
Ma fino a quando potrà reggere una situazione di assenza di controllo
legale del lupo a fronte del continua aumento della specie? La
lupologia per "non creare allarme sociale" continuerà fornire stime
pesantemente
sottodimensionate della consistenza delle popolazioni, (prigioniera
anche di decenni di bugie), ma fino a quando riuscirà a nascondere la
vera dimensione del fenomeno lupo? L'aumento dei
branchi è in alcune regioni fuori controllo, il lupo si espande anche
fuori dalle "aree vocazionali" perché è opportunista e non si attiene
alle regole elaborate a tavolino dai lupologi. Come con i cinghiali, è
solo questione di
tempo e la situazione sociale diventerà esplosiva con molte più
categorie di cittadini esasperati contro lo stato inerte e il partito
del lupo, premessa di un conflitto sociale dagli esiti imprevedibili. E
in un giorno non lontano si potrebbe tornare non solo ad aprire la
caccia al lupo ma anche a dare premi a chi elimina i lupi.
Impar condicio
Gli
allevatori, se fosse passato il
vecchio Piano avrebbero – nelle intenzioni di Boitani - dovuto
ammettere che lo stato non si era schierato in toto contro di loro e a
favore del lupo e dei lupisti, che c'era una sia pur minima par condicio e
questo, forse, avrebbe un po' anche demotivato e ridotto il controllo
“fai da te”. Certo sarebbe stata una par condicio ancora molto
squilibrata. In Francia, nel 2018, su 500
lupi, che hanno causato 12 mila vittime, lo stato ha stabilito
l'abbattimento di 40 esemplari (un lupo per 300 pecore predate); in
Italia,
forse, si sarebbero abbattuti si e no quattro lupi all'anno (ma in Italia sono dieci
volte tanto la Francia).
Per
gli allevatori non sarebbe cambiato
nulla e, probabilmente, si sarebbero presto accorti che quegli
abbattimenti
previsti sulla carta erano un contentino, una presa per i fondelli.
Forse alla lunga si sarebbero arrabbiati ancora di più. Ma,
per assecondare la lobby e sostenere il partito del lupo nella sua
ragion d'essere, anche quel minimo di apertura agli allevatori
è stato eliminato.
Ci si sarebbe però aspettati quantomeno una giustificazione per la sparizione in toto della misura sul
controllo attivo, sugli abbattimenti. Tanto più che ad essa erano
dedicate intere pagine e dettagliate condizioni di attuazione. Invece nulla. Boitani non si è sentito in
dovere di giustificare il perché quello che, un anno fa, era necessario, dal punto di
vista del conservazionismo scientifico, oggi non lo è più. Ma non si deve
rompere l'incantesimo, non si deve ammettere che il lupo è un problema principalmente politico
(e non solo sociale e psicologico come il Piano ammette). Si
sarebbe dovuto riconoscere che il Piano è tutto politico e per niente
scientifico.
Per capirlo basta considerare
l'approccio al problema dello status e, in particolare, della
consistenza numerica, specie per quanto riguarda la popolazione
appenninica. Formule tartufesche come la seguente sono una vera
barzelletta: “per inferenza e deduzione da dati frammentari,
la opinione condivisa tra la maggior parte degli
esperti che hanno collaborato al Piano è che la popolazione italiana
mostri una tendenza demografica positiva”(p.14).
Con mille cautele ci si azzarda a dire che il lupo in Italia...
probabilmente aumenta. Ma questo lo sanno tutti perché le cronache
quotidiane di
moltissime provincie italiane raccontano dell' aumento di predazioni,
dell'
aumento di ritrovamenti di carcasse, di lupi in spiaggia e alle
periferie delle città. Di stasera la notizia che un lupo (così, in
attesa del responso del Dna, classificato da un veterinario del centro
nazionale di referenza per la medicina forense veterinaria) è arrivato,
trascinato dalle acque del Naviglio grande, dove è probabilmente
caduto, in centro di Milano.
Notare
che ufficialmente nel Parco del Ticino non esistono lupi ma solo
"presenze". Invece ve ne sono diversi branchi e decine di capi. Due
anni fa, durante un censimento di caprioli guidato dal lupologo
Meriggi, eseguito nei dintorni di Robecc, a un volontario che aveva
individuato fatte e impronte di lupo, il lupologo intimò: "Tu non non
hai visto niente". Non è stato obbedito; ma i tentativi di negare o
minimizzare la presenza del lupo continuano. Se dove esistono diversi
branchi, ufficialmente non vi è nulla, viene da pensare che in Italia i
lupi potrebbero benissimo essere 10 mila. Infatti, pur con metodi di
censimento che tendono a sottovalutare la consistenza (per ammissione
degli stessi esperti), solo in Toscana erano 1100 nel 2017/18 (stima
dei lupologi, non dei cacciatori).
Che
gli scienziati vengano a raccontare che,
sì, forse c'è un timido aumento è offensivo. In realtà sappiamo
bene il perché di questa farsa: hanno incassato progetti milionari a
ripetizione fingendo, per decenni, che il lupo fosse sempre al
lumicino, in via di estinzione. Bisognava stare al suo capezzale e
dargli l'ossigeno. Ora non sanno come nascondere le loro
bugie (qualcuno ha ammesso di averle propalate "a fin di bene"). Alla
fine, quando devono fornire una valutazione numerica della popolazione
appenninica estraggono 1500 (“ma potrebbero essere anche 1000”).
Dal momento che, come già ricordato, solo in
Toscana sono stati stimati 1100 lupi le cifre del Piano lupo targato
Costa e
Boitani che vogliono far credere che su tutto l'Appennino ci sarebbero meno
lupi che in Toscana sono una barzelletta, un insulto al contribuente
che paga le tasse, uno sberleffo da parte chi si crede tanto potente da
poter raccontare qualsiasi menzogna senza tema di pagarne prima o poi
le conseguenze. Sulle Alpi non si può ovviamente
negare la spettacolare crescita dei branchi nel Nord-Est mentre, in
attesa che anche il Piemonte settentrionale venga “saturato”, si
osserva che a Cuneo e Torino la crescita rallenta perché, ormai, i
branchi sono gomito a gomito.
La
Marucco qualche anno fa auspicava
una “saturazione” al livello di 300 lupi per tutto il Piemonte.
Ora, secondo Wolf Alps, i lupi in Piemonte si attesterebbero a poco
più di 200. Cifre non compatibili con il numero di carcasse
rinvenute sulle strade e di quelle dei lupi avvelenati o sparati (30
lo scorso anno, 15 quest'anno appena a marzo e quindi destinate a
superare la casistica del 2018). A questa mortalità va aggiunta
quella naturale senza contare che i lupi, sparati o presi con trappole
(ancore, tagliole, ecc.), non vengono lasciati sul posto mentre, quelli
avvelenati, vanno spesso a morire in posti inaccessibili. A parte ogni
altra considerazione i lupi morti aumentano anche dove, secondo gli
esperti, la crescita si è fermata. Non
si è fermata invece e i "valori di saturazione" sono molto più alti di
quelli denunciati. Lo spazio per il lupo sulle Alpi è di 70 mila km2 che significa qualcosa come 3-4 mila lupi.
Purtroppo
il Piano, nel ragionare sulle
possibilità di espansione della specie, tiene conto quasi esclusivamente
della variabile densità degli ungulati. Questa è oggi effettivamente elevata,
anche per la sciagurata politica delle aree protette che ha favorito
la proliferazione di specie altamente impattanti sull'agricoltura
come il cinghiale. Ma, poi, a parte la generica considerazione contenuta nel
piano che: “i rapporti preda-predatore sono influenzati da molti
diversi fattori contesto-specifici e questi valori non possono
costituire base per calcoli della popolazione potenziale di lupi”,
nemmeno una parola viene spesa per riconoscere che, in determinati
contesti ambientali, la crescita del lupo è conseguita in forza
della pressione predatoria sulla fauna domestica. Il bel “quadretto
ecologico” del lupo che “regola”, quasi per magia, le popolazioni di
ungulati è visibilmente contraddetto dalla realtà: sicuramente
nelle aree di nuova colonizzazione ma anche in alcune delle aree di
consolidata e strutturata presenza dei branchi. La rarefazione o
persino la sparizione di alcune specie di ungulati a livello locale
in seguito all'arrivo del lupo è segnalata in diverse aree.
Nel
Piano si conferma come il lupo
rappresenta sempre (per i lupologi) la variabile indipendente. Le
attività
zootecniche valgono meno, sono una subordinata. Ma chi lo ha deciso?
C'è uno straccio di
decisione politica presa alla luce del sole da organi democraticamente
eletti che lo
sancisce? Il Piano dice che il lupo deve colonizzare tutte le Alpi,
nessuna valle esclusa: “La
popolazione alpina, pur in fase di espansione, è invece ancora
lontana dal soddisfare questo requisito, infatti risultano
attualmente ancora non occupati 69600 Km2 di territorio montano”.
Insomma: sino a che non vi saranno migliaia di lupi sulle Alpi
bisognerà favorirne la diffusione. Cosa rimarrà dei sistemi
zootecnici a obiettivo lupista raggiunto? In alcune aree nulla perché
come anche il Piano ammette, i sistemi di prevenzione non sono sempre
efficaci. Quando il Piano fa
riferimento alla “coesistenza con le attività umane” lo fa solo
in modo formale, perché il principio è contenuto nella stessa
Direttiva Habitat. Ma è un riconoscimento formale: sono le attività
di allevamento a dover adattarsi al lupo se si esclude a priori ogni
misura
di contenimento legale del predatore e se si stabilsce che il lupo deve
popolare tutte le Alpi. Adattarsi o sparire.
Si continua a sostenere che i danni da
lupo sono seri solo a livello locale (“I danni economici causati
dal lupo risultano, in assoluto, notevolmente inferiori a quelli
causati da altre specie selvatiche”) anche se si riconosce che “in
alcuni casi” vi sono danni “ insostenibili da parte di singoli
allevatori o delle comunità locali”. Come far fronte a queste
situazioni il Piano non lo dice, non lo può dire, non lo vuol dire.
La
“prevenzione”
Il
nuovo Piano è stato propagandato
dal ministro e dai suoi sostenitori animal-ambientalisti come
“innovativo” dal punto di vista della prevenzione. Sono state
sbandierate le tante misure finalizzate a tenere conto delle realtà
locali e a incentivare forme di difesa quasi “su misura”. Forse
l'unico aspetto positivo di questo Piano è l'ammissione che:
L'adozione di sistemi di prevenzione è una soluzione parziale e
non applicabile a tutte le forme di zootecnia e in tutti gli
ambienti. Inoltre richiede, almeno inizialmente, un incremento di
lavoro e risorse, nonché il confinamento degli animali domestici in
spazi ristretti, con possibili conseguenze sulla nutrizione e qualità
di produzione in alcuni particolari contesti ambientali p. 18.
Peccato
che il Piano, in difetto di scienza e coscienza, non abbia il coraggio
di andare oltre e riconoscere che la colonizzazione mettendo a rischio
l'equilibrio ecologico tra pastoralismo e ambiente minaccia anche la
sopravvivenza di habitat prioritari (ricchi di biodiversità)
riconosciuti dalla Direttiva Habitat e le specie dell'avifauna tipica
montana. Non è vero che il lupo promuove automaticamente la
biodiversità, è un dogma di fede che con la scienza non ha niente a che
fare. Sulle Alpi può facilmente ridurla invece che incrementarla (vedi le considerazioni di Ruralpini in proposito).
Pur
a denti stretti il Piano lupo ammette che la "prevenzione" non sempre
funziona. È il riconoscimento di quello che allevatori e
pastoralisti sostengono da anni, da quando il lupo è diventato un
serio problema in Piemonte e poi in Veneto. Ma cosa ne consegue in
termini pratici? Nulla. Tranne la rinuncia a infierire troppo e a
tirare troppo la corda in caso di palese inefficacia delle misure
adottate. In questo caso si rinuncia a usare il bastone della negazione
degli indennizzi per i danni da predazione, che pure viene caldeggiata come misura "rieducativa" dei cattivi allevatori da adottare in tutte le regioni.
Vediamo cosa
si dice nel Piano entrando nel merito dei metodi di
prevenzione.
Prevenzione: I sistemi di
prevenzione più efficaci sono quelli basati sulla integrazione di
diversi dispositivi a seconda delle situazioni: cani pastore, recinti
elettrici, recinzioni in rete, guardiania, ricoveri notturni, greggi
di piccole/medie dimensioni, sistemi di raggruppamento mobile
elettrificati delle mandrie e dei greggi, interventi di
costruzione/ristrutturazione delle stalle, sistemi fotografici di
allarme e la costruzione di recinti per la permanenza notturna degli
animali. Gli incentivi economici, culturali (per facilitare
l’adozione di tecniche non tradizionali) e logistici (assistenza
tecnica per la messa in opera di mezzi di prevenzione, per la
fornitura di cani da guardia selezionati e addestrati, ecc.) dovranno
tendere alla realizzazione di una prevenzione quanto più efficace
possibile e adeguata alle locali condizioni di pastorizia, oltre che
ad una gestione sempre più attiva dell'alpeggio da parte degli
allevatori (es: presenza costante dell'allevatore).
Al
di là di
ribadire il principio della flessibilità in funzione delle
situazioni locali il Piano introduce misure diverse da quelle solite?
No. Dovete custodire di più e dovete ridurre la dimensione dei
greggi, dovete investire di più in strutture e ricoveri. Ecco la
raccomandazione in materia di prevenzione. Come dire: dovete
sostenere più costi (di personale, di attrezzature, di strutture) e
ricavare di meno, dovete chiudere, dovete sparire. Sì perché se in
Francia il maggior lavoro dedicato all'apprestamento delle misure di
prevenzione è rimborsato un tanto al giorno (50 €) nulla del genere è
previsto in Italia.
In
quest'ottica
il Piano non rinuncia alla colpevolizzazione degli allevatori che,
per ignoranza, pigrizia, tradizionalismo, avarizia non adottano le
misure di prevenzione adeguate. E qui siamo all'inaccettabile. Si
sono tolte, senza giustificarlo, le misure di controllo
(abbattimento) ma non si fa verbo di misure alternative (catture,
sterilizzazione), non si osa nemmeno proporre di integrare delle
misure di dissuasione nei confronti del lupo (pallottole
di gomma, petardi, repellenti) e si continua a far credere che
allevatori meglio “informati” sarebbero in grado di prevenire
meglio gli attacchi. Offensivo. Intanto sulla misura principe di
prevenzione: i cani, si registrano i "bidoni" tirati agli allevatori da
un business che approfitta della situazione (vedi qui
il nostro articolo recente).
Elemento
chiave per diffondere
l’applicazione di efficaci misure di prevenzione è la corretta e
capillare informazione degli allevatori su scopi, modalità, costi ed
eventuali incentivi delle misure di prevenzione dei danni; per tali
programmi informativi è necessaria la piena partecipazione delle
associazioni di categoria tramite le loro riviste di settore. E’
necessario un ulteriore sforzo di informazione e partecipazione del
mondo agricolo alla messa in opera di sistemi efficaci per ogni
tipologia di zootecnia e ambiente, concordando le misure di
prevenzione da adottare e garantendo allo stesso tempo il supporto
per assicurare il corretto funzionamento delle misure adottate. E’
necessario che i sistemi di prevenzione siano attuati in forma
appropriata alle esigenze specifiche di ogni territorio e spesso di
ogni azienda, concordandoli con l’allevatore che dovrà applicarli
e mantenerli.
Scopo
del lupismo è
mettere una camicia di forza al pastoralismo e farne venire meno le
possibilità di esercizio. Ovviamente, per potere attuare il loro
piano, gli ambiental-animalisti non possono dichiarare apertamente i loro obiettivi. Gli
allevatori devono fare la fine della rana bollita. Se l'acqua si
riscalda troppo rapidamente la rana reagisce e salta fuori. Se
l'acqua dove si vuo far bollire la rana si scalda lentamente la rana
si intorpidisce e... lessa senza accorgersene. Vogliono pianificare
loro, i lupisti, la gestione dei pascoli. Intanto vietando il pascolo
brado non custudito (cosa che mette in crisi in certe aree alpine
l'intero sistema pastorale) , poi attuando...
Un’attenta
pianificazione delle
attività di pascolo, in particolare degli alpeggi nelle aree montane
finalizzata a minimizzare le occasioni di stretto contatto tra
animali domestici e predatori e ad aumentare l’efficienza del
controllo esercitato dal pastore e dai cani - permetterebbe di
prevenire efficacemente gli attacchi al bestiame. Inoltre, quando la
gestione delle attività di pascolo rientra tra i compiti degli enti
gestori delle aree protette, queste amministrazioni dovrebbero
promuovere un’attenta programmazione delle attività zootecniche
finalizzata a contenere il rischio di predazione ed i potenziali
conflitti tra il lupo e gli allevatori.
Siccome
poi gli
allevatori sono ignoranti e delle loro associazioni non c'è da
fidarsi ecco che si inventano dei “mediatori” (di parte), un altro modo
per
dare uno stipendio ai lupisti e mettere sotto controllo gli allevatori.
Uno
strumento di grande efficacia e
già sperimentato con successo nella gestione del lupo in Piemonte e
Francia è la costituzione di un gruppo selezionato di “mediatori”,
personaggi che hanno il compito di costituire il tramite tra le
autorità di gestione del lupo e i gruppi sociali maggiormente
interessati o colpiti dalla presenza del lupo. I mediatori dovranno
essere istruiti appositamente e compensati nell’ambito del
programma di gestione del lupo: ad essi sarà demandato di spiegare a
pastori e allevatori la reale situazione della specie, le tecniche di
difesa del bestiame, le pratiche amministrative per gli indennizzi e
gli incentivi.
E
se qualcuno
avesse ancora dei dubbi sul fatto che il lupo è un subdolo
grimaldello per mettere il territorio sotto il controllo della
burocrazia animal-animalista, sottraendolo ai comuni e alle categorie
che dal territorio traggono il loro reddito (ma che contribuiscono
anche alla sua manutenzione a differenza dell'ambientalismo parassita), ecco che si ripropongono le Autorità
del lupo. Una nuova istituzione (apparentemente solo consultiva e non
deliberativa) da aggiungersi al “potere verde” e, in definitiva,
per ingabbiare ancora di più gli allevatori con prescrizioni e
vincoli.
Regioni
e Province Autonome potranno
realizzare, qualora ne ravvedessero la utilità, un Ufficio
(Autorità) di Gestione del lupo di ambito locale, con compiti, ruoli
e poteri da definire (inclusa, ad esempio, la gestione del conflitto
con gli allevatori, la valutazione dell’efficacia delle misure di
mitigazione e lo studio di eventuali soluzioni alternative).
Non
tocchiamo in
questa sede gli aspetti limitativi dell'attività venatoria che pure
sono importanti e provano quale sia il vero aspetto politico del
lupismo: ridurre e poi abolire tutte le attività tradizionale e
vediamo solo qualche altro punto importante.
Lotta
al
“bracconaggio” e ai “bocconi”
Il
Piano continua,
come tutta la lobby ambientalista mondiale, a screditare come
“bracconieri” gli indigeni che cacciano per sfamare la famiglia,
così come i pastori che controllano i carnivori per salvare la
propria attività. Poi è però costretto a riconoscere che l'assenza o il ritardo degli indennizzi e la sensazione di essere
lasciati soli ad affrontare il problema costringe gli allevatori
a “fare da sé”.
Ricordiamo che il bracconaggio è una forma di
caccia illegale. Caccia e controllo degli animali nocivi sono due
fenomeni completamente diversi: si caccia per vendere la selvaggina o
per utilizzarla come alimento (carne, grasso) o come vestiario
(pelli, pellicce) o per conservare un trofeo. Si controlla per
eliminare il nocivo dannoso all'agricoltura e all'allevamento che viene, di solito, lasciato sul posto o, in
presenza di rischio di sanzioni, occultato. Il bracconiere è un
cacciatore che pratica l'attività senza averne titolo legale ma che
utilizza per sé (o più spesso vende) la selvaggina. Detto questo il
Piano proclama di voler rendere efficace la lotta al bracconaggio
perché “mette a rischio la popolazione del lupo”.
Ci
devono spiegare
come fa il lupo ad espandersi in termini numerici e geografici se il
bracconaggio lo mette a rischio. Di più, se sugli Appennini, il
numero di lupi è adeguato all'habitat cosa succederebbe se il
bracconaggio fosse
eliminato? Se la popolazione crescesse troppo e non fosse più
limitata nella sua crescita (perché sugli Appennini il lupo continua
a crescere) cosa dovrebbe fare lo stato? Ricorrere agli abbattimenti
legali. Ma questo è tabù politico. E allora? Allora ci troviamo di
fronte a una (tragica) farsa le cui conseguenze la pagano solo gli
allevatori e i cui vantaggi sono usufruiti solo dai lupisti. Boitani
ha dichiarato: “Se non ci fossero i bracconieri ci troveremmo i
lupi in casa”. Ma, ribadiamo, non sono i bracconieri ad abbattere i lupi. Ci sono
allevatori, pastori e cacciatori che, di fronte a una presenza
localmente insostenibile del lupo, sono costretti, rischiando in
prima persona, a fare quello che sarebbe dovere dello stato. Poi ci
sono i “bocconi”. Che, sciaguratamente, colpiscono indiscriminatamente cani, volpi,
tassi ecc. Ma anche in questo caso è la politica di assoluta
protezione del lupo (e il timore del penale) che spinge gli allevatori
esasperati a mettere in atto questa forma di difesa dei loro animali.
Per
lottare contro
il “bracconaggio” si propone l'inasprimento delle pene e una
maggiore vigilanza, anche se si deve ammettere che, sinora, nessuna
autorità dello stato si è costituita parte civile contro i
bracconieri.
Per forza! Perché lo stato sa che i "bracconieri" non
sono bracconieri, sa che essi gli tolgono le castagne dal fuoco , che
sono per lo più padri di famiglia e persone perbene (tolti gli
esibizionisti), sa che il "bracconaggio" è legittima difesa e
resistenza sociale. Nel
suo opportunismo, che blandisce il pelo alla demagogia
animal-ambientalista, lo stato sa che non può superare il limite, la
sottile linea rossa, che
farebbe crollare le residue illusioni circa il ruolo di supposta
terzietà
dello stato stesso rispetto agli interessi sociali in conflitto. Fare
la guerra agli allevatori,
sbattendoli in galera, equivale a proclamare una guerra sociale, con
lo stato apertamente schierato contro la popolazione rurale e
montana. Molto più concretamente tutta la categoria si scuoterebbe
dall'apatia politica, si mobilitirebbe, costringerebbe le
organizzazioni di categoria a mettere in gioco il loro peso,
costringerebbe quella parte della politica che si dichiara "populista"
a essere coerente e a stare con chi lavora e non con i burocrati e i
parassiti. A parte la politica le conseguenze in termini di
disobbedienza civile strisciante sarebbero costose per lo stato.
Per
dimostrare di
voler far qualcosa di concreto per contrastare il "bracconaggio", il Piano lupo mette allora in
campo i cani molecolari per la ricerca delle esche avvelenate. Ma
non si limita a questo. Si vuole limitare la produzione, la
commercializzazione e l’utilizzo delle sostanze velenose e
inserire nei veleni stessi delle sostanze emetiche (in grado di
provocare il vomito) e repellenti. Così la lotta contro ratti, topi,
talpe, arvicole diventerà molto più difficile. Ma cosa importa
all'ambientalista in pantofole nel suo condominio metropolitano?
Nulla. Una nuova difficoltà per i rurali? Ben venga!
Siamo
alla stessa
logica di coloro che pensano che vietando la produzione di armi si
elimini il crimine. Chi è costretto a difendersi dal lupo sa
escogitare altri sistemi che prescindono dall'uso del veleno. Nei
secoli le popolazioni rurali hanno imparato a difendersi in ntanti modi
dalla minaccia del lupo.
La
tragica farsa
del lupismo: il vero lupo e gli allevatori soccombono entrambi
Inutile
aggiungere
che il Piano prevede ampio sostegno alle attività di propaganda pro
lupo, di ricerca, monitoraggio ecc. ecc. Insomma per i lupisti
prospettive sempre più rosee. Non importa se il loro lupo è ormai
è un non lupo, non importa se gli stessi lupomani, che gongolano di
fronte
all'avanzata del lupo, per poter soddisfare la loro mania, ambiscono a
possedere un cane quanto meno cane e quanto più lupo possibile. Così si
moltiplicano le razze "canine" prodotto di incrocio con il lupo, i vari
CLC, Sarloos, Wolf dog americano, che contribuiscono all'aumento, una
volta abbandonati, del
fenomeno dell' ibridazione, inquinando l'ormai ex lupo italico con il
patrimonio genetico, non solo del cane domestico ma anche di lupi di
mezzo
mondo. Tra l'altro questi ibridi-cane sono utilissimi ai lupisti
perché, quando si avvistano i lupi vicino alle abitazioni, sono pronti
a dire che si tratta non di lupi ma di cani lupo cecoslovacchi. Così
come i lupisti sono pronti a sostenere che gli attacchi nelle
zone di nuova presenza del lupo sono sempre da attribuire agli
“ibridi”. Se
il lupo si avvicina all'uomo non è un lupo ma un ibrido. Tutto per
"tranquillizzare" o meglio dire narcotizzare l'opinione pubblica.
In
ogni caso anche se i lupisti volessero eradicare sul serio gli ibridi,
ormai è troppo tardi per intervenire. Gli studi confermano che c'è una
larga ibridazione
introgressiva, ovvero una componente genetica canina presente
stabilmente, da
generazioni, nella maggior parte della popolazione lupina italiana.
Per tornare al lupo “puro” bisognerebbe abbattere la maggior
parte dei lupi. L'animalismo non solo non lo permetterebbe, ma non
permette nemmeno di sparare ai cani che vagano soli o in branchi
nello spazio agro-silvo-pastorale e che possono incrociarsi con i
lupi. Il destino del lupo italico è segnato, vittima del troppo
successo del lupismo. Ma ai
lupisti interessa il lupo del loro immaginario, non la sorte del vero
lupo,
interessa la loro ideologia, i loro progetti, il loro potere, la
prospettiva del rewilding, della pulizia etnica della montagna, la
fine delle attività tradizionali, per realizzare una grande area
protetta estesa a tutte le Alpi.