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(12.09.16)
Una settimana di proteste anti lupi degli allevatori della Lessinia
La
protesta degli allevatori della Lessinia assume forme sempre più
clamorose. Quest'anno la strage ha riguardato ben 63 capi bovini.
Alcuni allevatori sono stati ripetutamente colpiti. Come Moreno Riva un
allevatore trentenne, che - alla quarta predazione avvenuta
martedì scorso - con l'appoggio e la solidarietà di colleghi e amici
che "hanno messo la faccia" ha caricato sulla pala del trattore
l’ultima manzetta dilaniata in malga dai lupi martedì e l’ha scaricata
in piazza, davanti al monumento ai Caduti.
(19.12.15)
Piano lupo: i lupocrati vogliono dettare legge ai pastori
Il
Piano lupo conferma, se ce ne fosse bisogno, l'arroganza della lobby
che - almeno sino ad oggi - ha potuto operare su un piano di totale
autoreferenzialità finanziandosi con 18 progetti
LIFE. L'impostazione del Piano è molto pericolosa per i
pastori e gli allevatori in quanto mira in modo ormai scoperto ad
utilizzare il lupo per imporre una gestione dello spazio rurale che
escluderà l'uomo
(19.12.15)
La convivenza con il lupo è impossibile
È
quanto emerso dal convegno di Saluzzo del 17 dicembre .
Il problema del lupo non è un qualcosa di isolato rispetto alle
varie minacce contro la montagna, le sue comunità, le sue attività
tradizionali. Il lupo è parte di un progetto politico di stampo
neocolonialista e tecnocratico che fa leva sui Parchi e l'attacco alle
autonomie locali.
(04.09.15)
Pastori francesi prendono in ostaggio i vertici di un parco
Dopo
le minacce di blocco del Tour de France e le manifestazioni non
si ferma la lotta dei pastori contro le stragi ad opera dei lupi. In
Savoia (a 7 km in linea d'aria dalla Val di
Susa) sequestrano presidente, e direttore del Parco del
Vanoise. Il prefetto viene incontro alle loro richieste
autorizzando l'abbattimento di sei lupi. E in Italia?
(30.07.15)
Il potere non ascolta la gente di montagna e la protesta sociale si
esprime come può (Cuneo)
Una
testa di lupo mozzata sanguinante è stata appesa ad un cartello
informativo dell'ex comunità montana della valle dell'alto Tanaro ad
Ormea. Si tratta di una forma di protesta cruda ma che in Toscana è
servita a scuotere la politica. Una protesta comprensibile ma che
fornisce alibi all'ecopotere, alle potenti lobby del rewilding.
Meglio le forme di protesta degli allevatori e pastori francesi
(14.12.14)
La Lessinia i lupi non li vuole proprio
In
Lessinia le bugie del partito del lupo non attaccano. Sindaci, consigli
comunali, allevatori, proprietari di malghe, commercianti, gente che
vive nelle contrade (e si trova già oggi i lupi in casa) è unanime:
"Non li vogliamo". L'altro ieri sera i sindaci erano presenti a
Bosco Chiesanuova all'incontro in cui si è discusso di politiche del
lupo e degli strumenti per opporsi al diktat della loggia
internazionale dei Grandi Predatori. C'è grande consapevolezza che la
partita sia di quelle grosse; dietro il lupo c'è la volontà di togliere
alla montagna la libertà di vivere come desidera in autonomia. La
montagna o soccombe o, mobilitandosi e trovando unità e
coesione, ne esce più forte
(04.12.14)
Taricco e altri deputati Pd presentano una interrogazione pro pastori
anti lupi
C'è
voluto il manifesto-appello pro pastori anti lupo apparso sul
quotidiano gauchiste Liberation (firmato anche da Carlin
Petrini) per dare coraggio a Taricco e soci e spingerli a presentare
una interrogazione ai ministri dell'ambiente e dell'agricoltura che
farà infuriare gli animalisti. Quando era assessore
all'agricoltura piemontese il nostro cercò di ottenere dal
Ministero dall'ambiente l'autorizzazione ad abbattere qualche lupo. Le
risposte furono elusive ma sostanzialmente negative. Basate sul gioco
italico della "mancanza di dati". "Non sappiamo quanti sono i lupi,
quanti sono bracconati". Un "non sappiamo" indegno di un paese civile.
Ora Taricco chiede da deputato: "Quanti sono i lupi in Italia, quanti
danni fanno?". Ci sarà da divertirsi.
(13.11.14)
Appello di accademici e specialisti francesi di varie discipline per i
pastori
La
cultura e l'accademia italiana sono affette dai secolari vizi di
provincialismo, conformismo, servilismo disprezzo per i contadini.
Chiunque si sente un minimo acculturato in Italia deve aderire al
dogna: "lupo è bello, pastore è zotico ignorante". Quindi chissenefrega
se i lupi stanno mettendo in ginocchio i pastori in tani comprensori.
In Francia, invece, 35 studiosi e specialisti firmano un appello a
favore dei pastori denunciando che la pressione predatoria che mina la
biodiversità, il paesaggio, i prodotti alimentari più autenticamente
'legati al territorio'. Tra loro Carlin Petrini, fondatore di Slow
Food
07.09.14
I lupi favoriscono l'agricoltura industriale
In
un documento diffuso in questi giorni la Confédération
paysanne accusa la politica della diffusione dei grandi predatori
e della loro ingiustificata super-protezione di favorire le
fabbriche zootecniche senza terra. Ma anche dal Trentino, Silvano
Rauzi, presidente della para- istituzionale Federazione Allevatori
della provincia di Trento denuncia come il progetto Life Ursus
(con 60 orsi presenti nel Trentino occidentale) stia provocando non
solo l'abbandono delle malghe ma anche la chiusura delle aziende
zootecniche
(29.08.14)
Hanno fatto prendere agli alpeggiatori i cani da difesa. Adesso li
criminalizzano (Ormea, Cn)
Un
gioco sporchetto quello a danno dei pastori e dei margari. Prima ti
spiegano che se prendi i cani non avrai più problemi con i lupi (non è
vero). Poi ti dicono che se hai ancora predaizioni è colpa tua e che se
i cani mettono paura o aggrediscono i turisti è sempre colpa tua.
Il sindaco di Ormea, Ferraris, intende concedere ai margari
l'impiego di un solo cane (altrimenti niente rinnovo degli affitti). Ma
un solo cane non basta e la stessa Regione Piemonte condiziona i
contributi erogati per la difesa degli animali ad un congruo numero di
cani.
(02.03.14)
In Maremma ci si interroga sui lupi. Un intero fascicolo di una rivista
accoglie il dibattito
Le
"esposizioni" delle carcasse dei lupi non hanno prodotto solo
l'esecrazione rituale degli animal-ambientalisti e la malcelata
soddisfazione degli allevatori. Hanno stimolato un dibattito tra coloro
che hanno a cuore il territorio dal quale emergono molte posizioni
critiche sull'introduzione del lupo in un territorio vocato
all'allevamento ovino
(24.01.14)
Altro che "reintroduzione spontanea". Alla frontiera polacco-tedesca i
lupi entrano... in camion
Come
pensano da tempo allevatori, pastori, cacciatori, c'è l'"aiuto" delle
organizzazioni ambientaliste dietro l'espansione travolgente del lupo
in tutta Europa. Nel numero in edicola di una importante rivista
venatoria e cinofila germanica si riferisce di un colloquio con
funzionari di polizia che parlano di un camion fermato con lupi e linci
(05.01.14)
Il leader no global con i pastori sui lupi
José
Bové, conferma in una "scandalosa" intervista al quotidiano vallesano
"le Nouvelliste" del 31 dicembre la sua ricetta sui lupi "ridurre
fortemente il numero con il fucile". Le sue parole cadono in un momento
di grande tensione in Svizzera e in Italia. Ormai il discrimine tra
ambientalismo di comodo che sfrutta una fasulla "natura selvaggia" e
l'ecologismo sociale e contadino è chiaro. Va chiarito invece che la
politica italiana "pro lupi" è ipocrita e cinica e nuoce al lupo come
specie e come individui
(31.12.13)
le fabbriche dei lupi
Il
Corpo Forestale dello Stato ha eseguito una vasta operazione contro le
"fabbriche dei lupi" (allevatori del cane "quasi lupo" CLC che volevano
ibridi ancora più lupeschi). Ma siamo sicuri che tra Centri lupo del
CFS, Centri recupero, Zoo, Centri faunistici vari non ci sia in
essere una "fabbrica del lupo" finalizzata a favorire l'espansione
della specie? E chi ha messo in circolazione i lupi canadesi. Vediamo
di penetrare un po' nell'ambigua vicenda.
(17.11.2013)Imbrogli
ecologici: WolfAlp
Grazie
alle spudorate menzogne scientifiche "il lupo è sempre a rischio di
estinzione" i cordoni della borsa per i progetti pro lupo dei parchi
sono sempre aperti. Sarà bene che si sappia che 7,15 milioni di euro
vanno ad ingrassare i meccanismi clientelari dei Parchi mentre sempre
più pastori, produttori onesti e sostenibili che non usano concimi
chimici e pesticidi, abbandonano
Articoli per argomenti
|
Orso
e lupo
Piano lupo: gli ambientalisti vittime delle
loro bugie
di Michele Corti
(30.12.16)
Le barricate dell'ambientalismo istituzionale hanno impedito che
proseguisse il suo iter e l'approvazione entro l'anno il "Piano
nazionale di conservazione del lupo", che doveva sostituire quello del
2002. Calendarizzato per il 7 luglio alla Conferennza stato-regioni il
Piano non è più stato inserito all'ordine del giorno.
La paura di perdere altri SI al referendum ha fatto soprassedere,
probabilmente. Dopo che il popolo del Family Day l'aveva giurata a
Renzi non si voleva perdere Si anche sul fronte ambientalista. Così
vanno le cose in Italia. le decisioni possono aspettare. Tanto chi ci
rimette nell'inerzia? I sudditi. Così passano gli anni e il lupo
diventa sempre più un problema. L'aver dipinto il canide, sempre e
ovunque in Italia, come
a rischio di estinzione (mentre esso si espandeva alla grande), ha
reso gli ambientalisti prigionieri delle loro stesse bugie, della
ideologizzazione e idealizzazione della loro inconsapevole "bandiera".
E con loro la politica che ascolta cento volte più loro degli interessi
diffusi delle comunità rurali.
Il lupo vittima della troppa protezione
La colonizzazione, da parte del lupo, di ambienti fortemente
antropizzati
(dove non era presente neppure un secolo fa), l'ha esposto al rischio
di
ibridazione con il cane, mentre è cresciuta la sua impopolarità presso
le popolazioni rurali che, ormai, lo conoscono da vicino e non sono più
ipnotizzate dal lupo delle favole ambientaliste televisive (che
continuano a condizionare il
pubblico delle città). Ai fini della mitigazione del conflitto sociale,
sempre più esacerbato, gli stessi studiosi del lupo e gli ambientalisti
si
rendono conto benissimo (in camera caritatis) della necessità di
introdurre un controllo legale. In
assenza di esso pastori, allevatori, abitanti della montagna e delle
colline, percepiscono le soppressioni del lupo come un atto
indispensabile di resistenza sociale, nell'inerzia in uno stato che
tutela solo gli interessi "che portano più voti", quelli - alla fine -
più
forti, e che si autopromuovono meglio, ovvero quelli di chi sta in
città, negli uffici, ha più risorse economiche, più reti di relazioni
che contano, ha più possibilità di studiare,
organizzarsi e fare lobbying. La funzione riequilibratirice della
"politica democratica" resta una pia finzione. La politica sta con i
più forti.
Un piano ridicolo
Chiariamo
subito che se il "Piano lupo" è bloccato per via dei problemi sollevati
dagli ambientalisti esso non può portare nulla che venga incontro alle
richieste degli allevatori. Le "aperture" al controllo sono
condizionate da così tanti e tali fattori (il controllo si attuerebbe
solo se l'area ha danni superiori al 40% della media, solo se è censita
la popolazione di lupi e se si conosce la mortalità, solo se non
nell'area non sono stati trovati bocconi avvelenati, solo se gli
allevatori attuano i metodi di difesa con i cani e i recinti, solo se
la popolazione nell'area non è minacciata da malattie ecc. ecc.). Basta
questo per capire che non ci sara mai un solo abbattimento, almeno per anni. Esso, in
ogni caso deve essere singolarmente approvato (uno per uno) dall'Ispra
e dal Ministero con u proprio iter. Il lupo, nel frattempi, fa in tempo a morire di morte naturale (o per
mano di qualcun altro). In ogni caso il numero di abbattimenti non
potrebbe superare il 5% della popolazione. Ma, attenzione, calcolata sulla stima
prudenziale. Ovvero quella "ufficiale" di 1000-2000 lupi, ovvero, su
mille, ovvero cinquanta. Gli animalisti vanno in giro stracciandosi le
vesti dicendo (mentendo sapendo di mentire) che il Ministero vuole abbattere 60 lupi. In tanto il
Ministero autorizza e non abbatte (la competenza è delle regioni). Facciamo poi notare che, nel 2013, Mattioli et al.
(lupologi) stimavano in 1600-1900 capi la popolazione lupina italiana precisando, però, che i
metodi di rilevamento tendono alla sottostima e che sono applicati nel
periodo dell'anno in cui la popolazione è al minimo (Mattioli
L. , Forconi P. , Berzi D. , Perco F. Stima della popolazione di lupo
in italia e prospettive di monitoraggio wolf population estimate in
italy and monitoring perspectives , in Atti IX Congresso Italiano di
Teriologia - Civitella Alfedena - AQ - 7-10 maggio 2014. Il piano poi
prevede un apparato di investigazione del bracconaggio con squadre
antiveleno, e tutta una vera e propria messa in scena, per far credere che si voglia
contrastare realmente il fenomeno. Nel seguito dell'articolo aiuto a
capire perché è tutta propaganda (il veleno è solo uno dei mezzi
di soppressione dei lupi. Poi nessuno - verdi in
primis - ha veramente interesse a combattere i bracconieri, utile mezzo
di contenimento di una pressione predatoria e di un allarme sociale
crescenti e un ottimo bersaglio retorico. Per gli altri aspetti del Piano
lupo (per quanto riferiti alla vecchia bozza) si veda quanto scrivevamo
un anno fa (vai
al link)
Insostenibile la linea sin
qui seguita
Diventa
oggi sempre più difficile per lo stato sostenere la linea del :"non si
tocca
un pelo a un solo lupo". Il conflitto è uscito dalle "sacche" della
Maremma e della montagna appenninica o e investe valli a pochi
chilometri da Torino e, soprattutto, è arrivato in Lessinia, a pochi
chilometri da Verona. La Lessinia è una montagna molto
particolare, dove l'allevamento
bovino da latte è gestito con criteri simili alla pianura, alimenta una
filiera economica importante ed è una componente fondamentale della
società locale. Una differenza notevole rispetto allo stesso
Piemonte, dove sono colpiti allevamenti estensivi ovicaprini e bovini
da
carne, realtà più "diluite" nel contesto di un territorio montano
cuneese e torinese già di per sé segmentato in tante valli profonde e
poco popolate.
In Lessinia, un altopiano, organizzarsi è più facile, i contatti sono
più frequenti. La conseguenza è che l'impatto politico del branco della
Lessinia è maggiore di quello delle popolazioni di lupo di intere
regioni. Il tutto anche se, persino in Lessinia, il livello della
capacità di ascolto della politica si ferma ai sindaci e a qualche
esponente politico veronese o della montagna veneta. Al di sopra, nelle
regioni, a Roma, a Bruxelles c'è il muro di gomma di una
politica (a
sinistra come a destra) che, per ragioni di calcoli elettorali, è
ancora
compattamente schierata con l'ambientalismo. Non parliamo della
burocrazia che ha numerose, organiche e opache connessioni con le lobby
ambientaliste. Anche in Veneto, dove pure c'è uno schieramento contro
la presenza del lupo degli amministratori locali la Regione Veneto,
molto democraticamente, ha del tutto abdicato a WolfAlp (Sonia
Calderola e Semenzato) la gestione del lupo. Si
realizza così la governance del territorio auspicata dagli
ambientalisti: le istituzioni rappresentative esautorate, mentre la
lobby assume le reali funzioni decisionali e amministrative. Un nuovo
feudalesimo.
Nonostante questo la politica inizia a provare imbarazzo
per il diffuso allarme sociale e la protesta antilupo che non si riesce
più a tenere del tutto nascosta. La
politica sa bene che la stessa opinione pubblica cittadina, nonostante
decenni di lavaggio del cervello ambientalista televisivo, è volubile.
In Trentino nella popolazione si è passata dal 70% di favorevoli
all'orso al 70% di contrari. Uno spostamento rapido, dovuto ai primi
segnali di
danno al turismo e al fatto che i più gravi episodi di aggressione da
parte di orsi all'uomo sono avvenuti in comune di Trento o a poca
distanza da esso.
Nel
2017 il WWF ha promuove il tesseramento facendo leva sull'incombente
minaccia di un (fantomatico) piano di abbattimento dei lupi. Demagogia
a buon mercato per fare cassa. Ma in questo modo WWF e
Legambiente sono prigionieri del loro stesso estremismo perché non
potranno giustificare davanti agli ingenui soci che, prima o poi, i
lupi verranno abbattuti legalmente. Su altri fronti ambientali, invece, sono più che moderati, del tutto conniventi con le speculazioni contro l'ambiente.
L'avvicinamento
del lupo alle città, e la crescente insofferenza contro la burocrazia e
l'Unione Europea, entrambe percepite (giustamente) pro lupo, non
possono lasciar ben sperare nella durata del consenso dell'opinione
pubblica alle politiche protezionistiche. L'esito del referendum
costituzionale, che ha liquidato clamorosamente il disegno
neoaccentratore renzista (ed è spiegabile anche con un sempre più
diffuso
sentimento antiglobalizzazione e antiUe) non favorisce l'ambientalismo
e
la sua capacità di influenzare la "governace". Una capacità che è tanto
più efficace quanto più agisce a livello centrale, nelle organizzazioni
internazionali non elettive, nelle opache stanze dell'Europa dei
tecnocrati.
Le regioni sono uscite
più forti dal referendum e anche se qualcuna (prima del referendum) come il Piemonte e il Lazio, si è
associata alla demagogia ambientalista, opponendosi all'inserimento nel
"Piano lupo" anche della sola possibilità teorica di ricorso agli
abbattimenti, altre regioni potrebbero - nella nuova situazione -
permettersi di prestare più attenzione al mondo rurale e allevatoriale. Un altro
fattore che non favorisce l'ambientalismo è l'abolizione del Corpo
forestale dello stato (CFS) che, in alcune situazioni, si comportava come una
polizia politica ambientalista sostenendo con l'azione amministrativa
la politica pro lupo.
Segnali di un nuovo
atteggiamento dei media
Da
qualche anno anche la grande stampa nazionale si è "accorta" che i lupi
non sono quella benedizione che gli ambientalisti vogliono far credere
e, sia pure raramente, sono apparsi dei servizi che riflettevano
"l'altra campana". La paura non è più ridicolizzata ma considerata un
fenomeno sociale reale. Così un articolo del Fatto quotidiano dello
scorso agosto che (per non urtare troppo il lettore ambientalista) tira in ballo l'ibridazione.
Quest'anno,
però, è stato un servizio delle Iene (del 16 febbraio) che ha destato
scalpore. Il solo titolo è stato un pugno allo stomaco
all'ambientalismo: “Quando il lupo diventa una minaccia“. Ma
come? Se il lupo è un'opportunità per il turismo, una panacea per
l'ambiente che rifiorisce e si ripopola di ogni tipo di animale per la
sua solo magica presenza.
Pur
nella spettacolarizzazione e nella brevità del servizio, esso ha
portato alla ribalta televisiva (quindi alla dimensione di fenomeno
sociale che non si può più far finta di ignorare nell'arena pubblica) quello che decine,
centinaia di articoli della stampa locale vanno raccontando da anni: le
aziende agricole che hanno chiuso i battenti, le aziende faunistiche
devastate, i cani sbranati sotto casa, i bambini che non possono
più giocare all'aperto.
Lo scandalo è consistito nel dare voce a chi ha
paura del lupo, a chi ne farebbe volentieri a meno e persino a chi si, esasperato, si fa
giustizia da solo, nell'inerzia dello stato. Uno stato che non sa e non vuole
adempiere a quel dovere minimo e basilare che lo legittima ad estorcere
ai cittadini la metà della ricchezza nazionale: difendere i cittadini,
la proprietà, il lavoro, l'impresa, garantire la sicurezza.
Anche ai
cittadini di serie C delle località appenniniche, quelle che i verdi non
aspettano altro che si spopolino per celebrare la wilderness, la
rivalsa della natura. Più prosaicamente per gestire grandi parchi e
relativi business (comprese biomasse, traffici di CO2 e quant'altro) senza comunità locali "retrograde" per i piedi. Non
importa se l'ammazza lupi intervistato dalle Iene abbia ucciso o meno
i 15 lupi di cui si vanta. Il fatto è che in Italia di lupi se ne
ammazzano parecchi e
proprio con quei sistemi illustrati dall'anonimo. Gli ambientalisti lo
sanno
benissimo. Di fronte alla loro coscienza continueranno a mettere alla
gogna i "bracconieri" o saranno sfiorati dal dubbio di essere loro,
almeno in parte, i responsabili? Con il loro approccio ecofascista alla
dimensione sociale del problema.
Cifre in libertà (ma
quanti soldi sono stati spesi per studiare il lupo in Italia?)
Agli
ambientalisti il servizio delle Iene non è proprio piaciuto, non perché
non vogliano denunciare il "bracconaggio", ma perché lo vogliono fare a
modo loro, facendo credere che i "bracconieri" siano dei sadici, dei
disturbati mentali o dei pastori "culturalmente arretrati", per non
dire apertamente ignoranti (il che fa emergere la vena classista e
razzista dei nostri). Da una parte gli ambientalisti enfatizzano il
"bracconaggio", ma dall'altra non vogliono approfondirne la realtà,
perché è per loro scomoda. Il WWF,
per sostenere la campagna contro l'inserimento della previsione di una
limitatissima possibilità di abbattimento di lupi nel "Piano lupo"
evoca uno
scenario di 300 lupi "bracconati" all'anno. Da anni gli ambientalisti
parlano di 10-20% di mortalità da bracconaggio (senza avere alcun
elemento). Una cifra elevata frutto di
pure congetture perché, come è noto, il "bracconiere" di solito fa
sparire il "corpo del reato". Stranamente gli ambientalisti sono più
bravi a
stimare i lupi "bracconati" che non quelli vivi e vegeti. Questi ultimi
sono - come abbiamo già ricordato - stimati nel numero di 1000-2000,
con
una encomiabile imprecisione (che torna comoda).
In
Francia dove lo stato è serio il fenomeno lupo è monitorato da organi
pubblici, si fornisce un numero di lupi stimato all'unità (ultimo
valore 292). Alla maggiore trasparenza corrisponde un fatto molto
importante: la maggior parte del budget del lupo va
agli allevatori. All'opacità italiana corrisponde l'incasso da parte
degli ambientalisti (e delle loro strutture, pseudopubbliche) della
gran parte del budget. Nell'opacità si ripetono progetti fotocopia che
consentono "margini" elevati di profitto.
In Francia vengono indennizzati non solo i capi predati (9.000)
ma anche le ore di lavoro impiegate per apprestare le difese passive.
La spesa è di 8 milioni di euro per lo più per il lavoro extra. Ad ogni
imprenditore si rifondono 50€ al giorno, più 25€
per l'aiuto pastore. In
Italia gli indennizzi sono parziali, condizionati da mille cavilli, da
massimali assicurativi, da compartecipazione ai premi assicurativi, da
denunce e pratiche che portano via giornate, da non isolati veterinari
(pubblici) che tifano lupo e mettono in dubbio la buona fede del
pastore, da ritardi
nelle liquidazioni.
Si dirà: "ma molti sono fondi Life". Un'aggravante! Ricordiamoci
che l'Unione Europea è un ottimo sistema per decidere non
democraticamente dove devono andare le risorse, ma che è finanziata
estorcendo tasse al contribuente italiano che senza controllare in
alcun modo la spesa (il Parlamento europeo è un costoso soprammobile)
paga 104 all'Europa per
vedere tornare 100. Questi 100 sono spesi come vuole l'Europa
(ovvero un governo non eletto da nessuno). Poi
gli "intelligenti" (che certo non parlano disinteressatamente) si
meravigliano che i sudditi della EU siano "disaffezionati",
"euroscettici". Gli
ambientalisti, graziosamente, con le briciole dei progetti, regalano
reti elettriche e cani agli allevatori (da qualche parte anche
recinzioni fisse), ma solo a quelli "che fanno i bravi" che
accettano di ripetere come tante scimmie a comando che si può convivere
con
i lupi ecc. Buoni da esibire ai convegni come tanti buoni selvaggi
ammansiti. Utili a far montare la collera degli altri, come quelli che
non hanno in regalo una recinzione fissa e sanno che il lupo mangerà
più a suo carico. Divide et impera. Il Italia i danni, con 2000-2500
lupi (stima approssimativa,
forse ancora per difetto, che tiene conto del fatto che i censimenti
locali sottostimano le presenze), sono stimati con la solita precisione
a 1-2 milioni di euro. Una frazione di quelli Francesi. Come è
possibile? Quanto indennizzano parchi e regioni nessuno lo
sa. Nessuna sa nulla. Eppure per sapere i Signori del lupo ricevono
risorse importanti dalla mano pubblica. Nessuno
chiede conto loro di tutto questo e si approvano nuovi progetti in
automatico (il lupo è specie di grande importanza, ancora in pericolo e
la scusa continua a funzionare). Quindi, nella completa autoreferenzialità, la policy del lupo a l'italienne procede.
Maledetti "bracconieri", anzi benedetti
In
ogni caso gli ambientalisti sanno bene che, dove esiste un controllo
legale, il "bracconaggio" si riduce. Per quale motivo? Perché non è
bracconaggio, come fanno credere, ma è una forma di controllo
esercitata dagli allevatori e
dai pastori "supplendo" all'inerzia dello stato. Il bracconiere,
storicamente, è un professionista della caccia di frodo, che opera per
necessità economica, per sfida al potere costituito o per lucro. Un
pastore con un fucile (o anche una
trappola) non è un bracconiere. Le menti ambientaliste non hanno ancora
capito la differenza tra "caccia" e "controllo". Eppure è una
differenza chiarissima su cui si regge la normativa sulla "protezione
della fauna omeoterma e l'esercizio dell'attività venatoria". Gli
ammazzalupi non vanno a caccia di lupi. NFinché si resta in questi
equivoci non
ci sarà nessuna possibilità di dialogo... e i lupi continueranno a
morire in modo atroce.
Il bracconiere emiliano alle Iene ha
spiegato tecniche che vengono usate anche in altre parti d'Italia
(riferite dalla stampa locale). Sono tecniche tradizionali escogitate
nei secoli dalle popolazioni rurali per difendersi dai lupi. Non per
cacciarli. Infatti con questi sistemi la carcassa molto spesso
non si ritrova più. Chi ammazza il lupo non lo fa per ottenere una
preda ma per toglierlo di mezzo.
da:
G.Todaro, La bestia del Gévaudan, 2011
Le
trappole per lupi si acquistano su E-bay e basta leggere qualche libro (anche su Internet)
per apprendere le tecniche per la soppresisone dei lupi. Alla necessità
di operare senza rischiare di farsi prendere corrispondono, di solito, le
tecniche più crudeli. Tutti sanno che quando un cacciatore esperto tira
al lupo lo colpisce al cuore puntando appena dietro la scapola (in corrispondenza del cuore) e il lupo muore di
colpo, senza soffrire.
Un
tiro di precisione di un guardiacaccia del canton Vallese. L'esemplare
si era reso responsabile della predazione di oltre 35 capi e, secondo
la strategia lupo elvetico, oltrepassare quella soglia fa scattare
l'ordinanza di abbattimento.
Il controllo del lupo "fai da te", motivato
dall'assenza dello stato e dal risentimento sociale contro gli
ambientalisti da salotto (che fanno del lupo un business), provoca al
lupo lunghe e penose agonie. Tutta colpa dell'ultimo anello della
catena? Di chi appende l'amo, di chi posa il laccio, di chi mette in
azione la tagliola, di chi sparge bocconi avvelenati, boccono e sangue con vetri rotti? Forse, ribadiamo, ci sarebbe
da riflettere su certi "amici del lupo" più amici di sé stessi che del
lupo.
Dal libro La bestia del Gévaudan
di Giuseppe Todaro, che racconta la più famosa vicenda di antropofagia
lupina, si
legge che la trappola a uncino a ad amo sospeso - impiegata con
particolare frequenza in Francia nel periodo fra il XVI e il XIX
secolo - veniva utilizzata in inverno quando il lupo è meno prudente.
Formata da una fune o da una catena appesa ad un ramo di un albero con
all'estremità un grosso uncino nel quale veniva posta l'esca,
solitamente un pezzo di carne avariata allo scopo di attirare il
predatore con il forte odore. Oggi si usano i molto più
efficienti fili di acciaio. L'uncino
in Francia veniva appeso a due metri di altezza. Il lupo spiccava un
balzo e rimaneva agganciato. La fine del lupo non era umana. Nel XVIII
secolo in
francia il rozzo uncino (quello che usano oggi gli ammazza lupi) veniva
sostituito da un "traquenard" con la molla che smorzava gli strappi e
il peso dell'animale. Todaro illustra anche altre trappole crudeli, per
esempio un lungo ago di ca 15 cm (o una lamina d'acciaio affilata ed
elastica) tenuto teso ad arco da un tendine o striscia di pelle e
inserito in un boccone di carne grande come un albicocca. L'acido
cloridrico secreto dalla mucosa gastrica corrodevail legaccio e la
molla scattava. Più semplici, ma
efficaci, i bocconi di carne con inseriti aghi e frammenti di vetro che
provocavano fatali tagli non solo allo stomaco e alla bocca ma anche
alla lingua, e quindi il dissanguamento. Sono sistemi che risalgono
anche a secoli fa come documenta la miniatura sotto dell'inizio del XV
secolo (dal volume di M.Comencini, L'uomo e la bestia
antropofaga,
Unicopli, Milano, 2002). I lupi esperti non ci cascano facilmente, ma
quelli giovani si. Oggi i lupi si servono al supermercato sotto casa,
pranzi lauti offerti da pastori e allevatori con le mani legate. In
definitiva questi sistemi: 1) sono inaccettabili per via delle atroci
sofferenze che procurano all'animale; 2) sono parzialmente efficaci per
quanto sopra ricordato; 3) sono spesso letali per altri animali, cani
compresi. Ma se non si interviene in altro modo, per esempio con il
"tiro di difesa" consentito in Francia nei dipertimenti più a rischio
(prima il pastore spare in aria, poi mira il lupo se questo non desiste
dall'attacco), gli ammazzalupi continueranno a usare gli ami e le altre
terribili trappole.
Il
campionario di queste trappole comprende altri sistemi, tutti crudeli
(come le spugne fritte e ridotte a picole dimesnioni che si espandono
nello stomaco dello sfortunato lupo e cane che le ingoia impedendogli
di nutrirsi). In
passato si usavano questi sistemi crudeli, ma si preferivano sistemi
alla "luce del sole". Sistemi "istituzionali" come le "fosse lupaie"
che erano le stesse autorità, in alcuni casi, a realizzare e mantenere
in efficienza. I bocconi
avvelenati o "armati" determinavano l'impossibilità di riscuotere i
premi perché il lupo agonizzante si ritirava in luoghi inacessibili. E
siccome per riscuotere i premi che ovunque erano concessi agli
ammazzalupi era necessario esibire la pelle o quantomeno la coda (che
venivano marchiate in modo che l'ammazzalupi non potesse riscuotere in
un'altra località il premio). Giova
ricordare, per aiutare a capire quanto era grave il problema dei lupi
che se in Italia l'attività dei "lupai" era svolta in larga misura da
"operatori privati", in Francia esiste da 1200 anni un corpo
paramilitare, la louveterie, che esiste tutt'oggi.
Effetto
sociale e psicologico (il "bracconiere" eroe
sociale o balordo?)
Se
gli ambientalisti non fossero condizionati dalla loro demagogia
accetterebbero senza problemi quel limitato controllo del lupo che è
attuato in tutti i paesi dove sono presenti popolazioni che impattano
sulle attività pastorali e zootecniche (e sul senso di insicurezza
delle popolazioni delle piccole frazioni). Ma, per anni, hanno
sbandierato
come un successo l'interdizione efficace contro ogni “apertura” al
controllo legale del lupo. Il Ministero e i comitati degli esperti
(dove siedono gli stessi ambientalisti portatori dei "superiori"
interessi ambientali) hanno più volte respinto –
vigente il vecchio “Piano lupo” del 2002 – le richieste delle regioni
tendenti all'autorizzazione di alcuni abbattimenti selettivi (il
Piemonte sia con un assessore leghista che uno del PD ha chiesto a più
riprese di poter abbattere dei lupi). Oggi
sostengono, con scarsissima credibilità, che la legalizzazione anche di
pochissimi abbattimenti incentiverebbe il "bracconaggio" (ovvero il
controllo fai da te). Basterebbe, invece, capire le
motivazioni dei "bracconieri" (e di chi li protegge con la solidarietà
attiva o passiva) per arrivare alla conclusione che il controllo legale
prosciugherebbe l'acqua in cui nuotano i pochi veri bracconieri (gente
motivata da spirito di sfida per la sfida, gradassi, fanatici del
trofeo-feticcio, come
quel genovese arrestato perché girava con una collana di zanne di lupo).
Vi
sarebbe da riflettere su questo caso di ammazza lupi arrestato e
condannato. Perché è stato l'unico. Gli ambientalisti a volte fanno del
terrorismo evocando il "gravissimo reato penale". Ma una legge che non
viene sistematicamente applicata che legge è? Qualcuno può
credere seriamente che gli organi inquirenti
non sarebbero in grado di risalire, almeno in alcuni casi alle
centinaia
di casi? Non ci vuole molto a capire che vige, per tacito accordo tra
politica, ambientalismo, forze dell'ordine, magistratura un gioco delle
parti. Lo stesso CFS, così zelante a favore del lupo, se volesse
non riuscirebbe a scovare gli ammazzalupi? Vanno allora chiamate le
cose con il suo nome: quello che è attuato in Italia è il "controllo
del lupo all'italiana"
(in assonanza con quel film di Pietro Germi del lontano 1961). La
consegna è: "Fate fuori pure i lupi, che ci togliete le castagne dal
fuoco, ma mi raccomando, non fatevi prendere". E per non farsi prendere
i metodi sono quelli che abbiamo spiegato. Siamo "crudi" noi o chi ha
istituzionalizzato questo sistema? Quando diciamo "togliere le castagne
dal fuoco" intendiamo che lo stato, la politica, gli ambientalisti sono
felici di lasciar fare agli ammazzalupi quello che dovrebbe fare lo
stato assumendosene la responsabilità e mettendo gli ambientalisti
nella scomoda posizione di non essere riusciti a evitare il controllo
legale. Così, invece, la colpa ricade sui "barbari bracconieri" e gli
ambientalisti incassano (non metaforicamente) due volte dagli ingenui
supporter che donanono e si tesserano: la prima perché sono stati
bravissimi, i più bravi d'Europa, ad impedire che lo stato ammazzi un
solo lupo legalmente; la seconda per
incoraggiarli e sostenerli nell'eroica lotta contro i malvagi
bracconeri. Poveri ingenui.
Disse
Boitani:
...
già oggi, anche in Italia, se non ci fosse il bracconaggio, avremmo i
lupi dentro casa. È un animale che si moltiplica velocemente e si
adatta bene ad ogni ambiente. Purtroppo, in numero eccessivo, i lupi
non sono compatibili con la presenza umana: non attaccano noi, ma
cervi, caprioli, cinghiali, animali domestici e d'allevamento
Su quell' "non attaccano noi" lo stesso Boitani (come gli accade spesso) smentisce sé stesso (lo vediamo tra poco). Negli
incontri pubblici che tengo sul problema del lupo diverse volte quando
cito Boitani, la lupomane di turno (sono sempre donne e gli spicologi
sanno il perché) si alza e mi accusa di strumentalizzare e distorcere
le frasi del Maestro . Per gli scettici qui c'è la fonte della
citazione sopra riportata. (vai all'intervista a Boitani).
Boitani
ricorda anche un'altra cosa fondamentale. Il lupo è animale sociale,
che apprende attraverso la cultura del gruppo. Se nel branco si
instaura un nuovo comportamento esso viene trasmesso alle generazioni
successive e può passare ad altri branchi attraverso la dispersione. Il
controllo del lupo, la possibilità di tirare legalmente a un certo
numero di capi (in Francia sono stati prelevati nell'annata in corso -
da estate a estate - già 30 lupi su una popolazione di 292), fa capire
al lupo che l'uomo è pericoloso. Un fatto che serve non solo a rendere
il lupo più prudente nell'avvicinarsi agli animali dell'uomo, ma anche
alle case, agli umani stessi. Moltissimi episodi riferiti dalla stampa
ci
raccontano di situazioni in cui i lupi non scappano più quando le
persone
gridano, sparano a salve, agitano bastoni. C'è una scala precisa nel
definire la pericolosità del lupo per l'uomo e questo comportamento
precorre uno stadio in cui si innestano concreti pericoli di
aggressione. La massima autorità lupologica, il già citato Boitani
disse anche:
Il
lupo è un animale intelligente e culturale. Il suo comportamento non
sta solo iscritto nei geni ma la mamma lo insegna ai suoi cuccioli a
seconda delle circostanze. Sa che un uomo con una forca è pericoloso e
che uno con il fucile lo è ancor di più. In origine il lupo era diverso
ed era attivo di giorno, l’attività notturna è un suo adattamento ai
pericoli. Se più nessun uomo torcesse un capello ad un lupo, in una
sola generazione lupina, cinque anni quindi, il lupo potrebbe
nuovamente provare ad attaccare anche le persone, almeno dove se lo può
permettere. Abbiamo i primi bagliori in Canada da dove ci vengono
segnalati tre casi. Ma in Europa non abbiamo ancora alcun segno di
questo tipo, finora".
(http://www.pronatura-ti.ch/Rivista/06_ProNatura/Rivista_6.pdf)
Tra
le vittime del branco della Lessinia (90 animali uccisi solo quest'anno
tra bovini, asini, ovini) c'è stato nel 2015 anche questo cane labrador.
Segnalazioni di cani sbranati sono ormai comuni in diverse regioni.
Non c'è dialogo con
gli allevatori e le popolazioni interessate, ma solo disprezzo e un
rapporto di potere squilibrato
Al
posto del dialogo con gli stakeholder l'ambientalismo
istituzionale fa leva sulle sue posizioni di potere: potere di
influenza sui media, potere economico, capacità di lobbying dal livello
regionale all'Unione Europea (e oltre). Dovunque possono cercano,
usando l'esca
del denaro (alla quale parecchi allevatori - dopo decenni di deleteria
coldirettizzazione - sono sensibili, a dividerli,
a separare i "buoni" (ragionevoli, che accettano la convivenza con il
lupo) dai "cattivi" (ignoranti, retrogradi). L'ambientalismo non cerca
il diagolo con la categoria me ritiene gli allevatori (come Marx) un
"sacco di patate" che si fanno su con i regali, comprandoli con un
piatto di lenticchie. Nei progetti Life pagati dal contribuente
spiegano le tecniche della manipolazione, sino al dettaglio ("alle
riunioni fate in modo che non ci siano leader locali, attirate gli
allevatori con gadget e offrite da mangiare"). Chi, al di fuori
dell'ambiente allevatoriale, osa
prendere la parte degli allevatori e dei pastori viene ridicolizzato,
marginalizzato
(un gioco sempre più difficile perché sono sempre di più le
associazioni, gli scrittori, i giornalisti che, se non schierati a
spada tratta con gli
allevatori, vogliono quantomeno capirne le ragioni).
In Maremma non sono più solo i "pastori sardi" a contrastare la presenza dei lupi ma anche gli intellettuali
La debolezza del
fronte sociale che cerca di contrastare il lupo è però confermata
dall'ambiguità delle organizzazioni agricole ufficiali. Mentre in
Francia esse sono schierate per il controllo del lupo senza se e senza
ma (anche se con delle distinzioni, come vedremo tra poco), in Italia
la Coldiretti promuove campagne deleterie. Invece che parlare di
gestione del lupo e di una "par condicio" che consenta agli allevatori
di sopravvivere essa "monetizza" la "passione", indotta dai lavaggi del
cervello ambientalisti, dei cittadini per il lupo. Il pastore,
l'allevatore viene presentato come un misero da "adottare", cui fare la
carità di un sostegno economico... in nome del lupo.
Chi
uccide i lupi e chi li copre lo fa anche perché si sente preso in giro,
ridicolizzato, ghettizzato (a volte con venature razzistiche come
quando ci si riferisce ai pastori toscani che "non vogliono convivere
con il lupo in quanto di origine sarda"). Sente che non ha altri mezzi.
Nella loro comunicazione gli ambientalisti (ma anche chi ha la
responsabilità intellettuale e non solo della policy del lupo, in
primis
il “papa” della lupologia, Boitani) dipingono le posizioni di
opposizione alla crescente presenza del lupo in forma rozza, senza
alcun approfondimento socioantropologico serio, in modo
arrogante, utilizzando solo le trite categorie passpartout come
la “residualità culturale”, un modo "politically correct" di dare
degli ignoranti, dei bifolchi, dei villici (alcuni, di seconda fila,
usano anche questi termini).
Questo
atteggiamento dei detentori dei “saperi esperti” (privilegiati
esperti-decisori) si conferma, agli occhi degli stakeholder (i
residenti delle zone rurali), come aprioristico, autoreferenziale,
ideologico. Perché? Perché le loro "analisi sociali" sono solo frasi fatte, pregiudizi. Da un'analisi anche superficiale emerge
chiaramente come la radicalizzazione dell'opposizione al lupo (e
alla lupocrazia, all'ecopotere) derivi da giovani allevatori,
organizzazioni comunitarie legate alla difesa di culture minoritarie,
organizzazioni rurali a forte connotato ecologista. Da posizioni
autoriflessive e consapevoli. Non dall'idiotismo rurale, come gli autoproclamati
intelligenti, portatori di una superiore scienza lupologica, amano credere.
In
Francia è emblematico che a sostenere le proteste antilupo sia la Confédération
paysanne,
il sindacato agricolo più verde e più di sinistra. José Bové,
protagonista di tante battaglie ecologiste e no global (chi dimentica
il démontage
del McDonald di Millau?), eurodeputato verde sostiene con forza il
diritto del pastore a usare il fucile per difendere i propri
animali. Lo fa perché non ha rinnegato la sua attività di allevatore di
pecore. Ma anche perché in Francia la rivoluzione (per quanto da subito
incanalata verso l'affermazione del potere borghese) ha
emancipato per sempre il contadino da una certa sudditanza feudale. In
Italia la "rivoluzione nazionale" l'hanno fatta dall'alto, senza
attivare le masse, per conto delle potenze straniere. Il popolo, specie
quello delle campagne, è stato tenuto alla larga in quanto le élites
(gattopardesche) erano memori delle insorgenze popolari antigiacobine
dell'inizio del XIX secolo. Che facevano ancora paura e che furono
esorcizzate dalla storiografia risorgimentale e "democratica" come
"tumulti reazionari".Una bella differenza quella tra Italia e Francia, che si rispecchia oggi nella policy del lupo.
Il sentimento di
squilibrio e di frustrazione (“in città non capiscono niente della
gestione del territorio ma vogliono insegnare a noi come fare e i
politici tirano dalla parte che porta più voti”), insieme alla
spudorata esibizione (in epoca di crisi) delle risorse economiche di cui dispongono i
progetti pro lupo (mentre mancano i soldi per le strade e le scuole),
rappresentano altrettante molle per la radicalizzazione.
Va quindi
ribadito che tutto ciò comporta l'approvazione morale per gli “ammazza
lupi” e l'esistenza di una cerchia protettiva di solidarietà per le
loro azioni che non sono percepite come dei “gravissimi crimini” ma
come atti di resistenza e protesta sociale, legittimati e giustificati
dalla posizione sin qui assunta dallo stato che - sbilanciandosi a
favore dell'ambientalismo - ha sin qui negato la possibilità del
controllo legale del lupo. In presenza di un controllo legale lo
scenario cambierebbe totalmente perché la giustificazione morale del "bracconaggio" verrenne meno.
Perché
lo fanno? Il lupo è una gallina dalle uova d'oro (per loro, ovviemente)
La
storiella del lupo in perenne pericolo, che non aumentava mai, è
servita agli scienziati (ma sono tali quando manipolano, nel loro
interesse di procacciatori di finanziamenti, la realtà fattuale?) e agli
ambientalisti (spesso confusi gli uni con gli altri) a procurarsi
importanti risorse. Dopo 19 progetti Life, ciascuno di qualche milioncino
l'uno, in Italia - come abbiamo già avuto modo di rilevare - non si sa quanti lupi vi siano, quanti danni facciano,
quanti capi domestici siano predati. Nelle
Alpi, nel 2013 è stato avviato il progetto Life WolfAlps, che si
concluderà nel 2018, e che ha l’obiettivo di realizzare azioni coordinate
per la conservazione a lungo termine della popolazione alpina di lupo
in sette aree di intervento (leggasi favorire in tutti i modi la diffusione del lupo sulle Alpi). E' in corso Il progetto Life Medwolf sulle
migliori pratiche di conservazione del Lupo nelle aree mediterranee e
svolto in Italia, nella provincia di Grosseto, e in Portogallo, nei
distretti del Guarda e di Castelo Branco. C'è stato Hybrid Wolf per
studiare il fenomeno degli ibridi (spesso diventati il capro espiatorio
adatto, in assenza di randagismo, quando i lupi le combinano più grosse
de solito). Poi c’è il progetto Life Micro, avviato nel 2015 e
che terminerà nel 2020, pensato per minimizzare l’impatto del
randagismo canino sulla conservazione del lupo in Italia. A Life
Wolfnet (terminato nel 2013) è seguito Life Wolfnet 2.0
(la fantasia
ormai non sorregge più gli autori di progetti Life). Una vera macchina
dei soldi. Un mega bancomat in grande stile. Hanno così creato,
irrobustita, oliate, foraggiata, una lobby potente, moltiplicando
i centri di ricerca e di studio dentro e fuori l'Università, le
cattedre dei lupologi, le iniziative, le associazioni, i
musei e i centri del lupo (tipo zoo o di "riabilitazione"). Una rete
impressionante. Una macchina da guerra. Che ha dietro le lobby
internazionali (tutto quello che gli ambientalisti e la lupologia fanno
in Italia segue format mondiali). Inutile sottolineare gli agganci a
Bruxelles e nelle capitali dove si decidono le sorti del mondo, inutile
enumerare le poltrone su cui siede Boitani (ovunque c'è da consigliare
e decidere in organi influenti a tutti i livelli). Mai il termine
autoreferenzialità è stato usato in modo più appropriato per defnire la
lupologia.
Il
lupo è da anni una gallina dalle uova d'oro. Mentre devono essere
abbandonati alpeggi troppo a rischio, mentre aziende zootecniche e
pastorali chiudono per i troppi danni subiti e i costi elevati delle
opere di “difesa”, una lobby astuta che ha ben fiutato le opportunità
offerte dalla politica e da una cultura ipocrita e di fatto - coperta
dal buonismo e dal sinistrismo - continuatrice dell'esclusione
sociale, dell'autoritarismo e del classismo, cerca di tenerdi stretta
la
gallina . Ma il re diventa nudo se il tabù si rompe, se
il sacro lupo non è più sacro e lo stato lo abbatte. Una sola
pallottola farebbe sgonfiare un castello di illusioni che hanno
fruttato soldi e potere reali (e i cui effetti reali si aggiungono alle
altre politiche di pulizia etnica della montagna e delle aree rurali
interne). Ma tenere in piedi il castello di menzogne è sempre più difficile.
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