Piemonte: il lupo
è (sempre più) un problema
sociale e politico
Alcuni comuni e unioni montane delle
provincie di Torino e Cuneo chiamano in causa la regione Piemonte
in tema di lupo per la sua inerzia e l'appiattimento sulle posizioni
delle lobby animal-ambientaliste. Il vice presidente Carosso risponde
sostenendo che in Italia il lupo è gestito (!?) bene e lo sarà in modo
ottimale dopo che saranno noti i risultati del censimento dei lupi
orchestrato da Wolf Alps. Fa finta di non sapere che in Italia,
Piemonte compreso, la maggior parte degli episodi di predazione non
sono denunciati, che i dati sulla consistenza della popolazione lupina
piemontese (stimata in meno di 200 esemplari) sono oggetto di
discredito e dileggio (a fronte del numero elevatissimo di lupi
trovati morti sulle strade: 48 nel 2020).
di Michele
Corti
(18/01/2021)
A Villar Pellice, nel torinese, si era tenuto in ottobre un incontro
sul
tema del lupo con rappresentanti di comuni, oltre che della val
Pellice, delle valli di Lanzo e della cuneese val Maira. La
sindaca di Villar Pellice, Lilia Garnier, riconfermata del 2019 con
l'84% dei voti, si batte da anni -in quasi totale isolamento - per
difendere la sua gente: gli
allevatori - ripetutamente danneggiati dalle predazioni - ma anche gli abitanti
delle borgate che hanno i lupi in casa.
Commentando i danni
subiti dagli
allevatori, la sindaca ha sostenuto che... Se si trattasse di negozi in
centro a Torino, danneggiati due o tre , volte l'anno immagino che
si sarebbe già mosso qualcosa. Invece per noi niente . Nel
gennaio
2019 la Garnier scriveva al prefetto di Torino, preoccupata per la
presenza dei lupi presso le case. Lo scorso anno, sempre a gennaio,
riscriveva al prefetto per fare presente che i lupi, ormai, entrano
nelle pertinenze delle abitazioni, come nell'episodio avvenuto alla
borgata Teynaud dove è stata
predata la capretta, la mascotte dei bambini, dentro il giardino di
casa. Il problema. Che i lupi diventino sempre più sfrontati e
aggressivi è facilmente constatabile in base alle cronache quotidiane.
Quest'inverno, in valle Po, a Sanfront, Paesana e Bellino sono state
registrate predazioni di cani nei cortili delle case e a Crissolo le
telecamere di sorveglianza hanno registrato la passeggiata in paese di
un branco di otto lupi. Per ora di notte, ma domani?
Covid e nevicate hanno
reso i lupi più
intraprendenti e la loro presenza nei paesi è ormai all'ordine del
giorno. Non solo nelle valli e nelle borgate, ma ora anche in zone
pedemontane
quasi di pianura come a Giaveno, 20 km da Torino, dove , il 16 gennaio,
a pochi passi da abitazioni e da un parco giochi sono state
predate delle pecore. L'allarme sociale cresce ma la politica non c'è.
Al massimo, tranne pochi sindaci e altri amminsitratori coraggiosi,
allarga le braccia: non possiamo
farci niente, è protetto dalle leggi europee. Detto in valli al
confine con la Francia dove è stato autorizzato l'abbattimento di 100
lupi su 600 un tale atteggiamento da Don Abbondio provoca veramente
disgusto.
Questa
escalation nella proliferazione del lupo è testimoniata anche dal
numero impressionante di lupi
rinvenuti morti lungo le strade. In Piemonte, a differenza di altre
regioni, grazie all'impegno di Alessandro Bassignana (blog Nuovo
Cacciatore piemontese), viene tenuta una statistica accurata. Le
autorità lupologiche avrebbero fatto volentieri a meno di pubblicizzare
questi dati (che le sbugiardano) ma le le segnalazioni effettuate con
lo smartphone da cacciatori o semplici cittadini che
passando, vedono le carcasse e ne segnalano la presenza, lasciano poco
spazio per l'insabbiamento. Tanto
che ora sono le stesse autorità lupologiche a dare per prime la notizia
dei lupi
trovati morti (nel
2021 siamo già a 4 lupi rinvenuti stecchiti lungo le strade, uno ogni 4
giorni).
Nel 2020 la statistica
si è fermata a 48 lupi trovati morti. Un numero
palesemente incompatibile con le stime ufficiali del Centro grandi
carnivori di Entraque/Parco Alpi
marittime/Wolf Alps che vorrebbero far credere come in Piemonte ci
siano solo 195 lupi. Nessuno, tranne l'assessore Carosso (che mi fido di Wolf Alps) può credere
che il 25% dei lupi lasci ogni anno la
pelliccia sulle strade. Nessuno può crederci perché vi è comunque da
aggiungere la mortalità
naturale e il controllo illegale (che non lascia tracce, ma che pesa
almeno quanto gli incidenti stradali). Sommando le cause di mortalità
quella complessiva supererebbe il 50% della popolazione e dovremmo
vedere il lupo ... in estinzione. Invece gli avvistamenti aumentano e
sono sempre più presenti in pianura e nei paesi (sotto un'immagine di
pochi giorni fa).
Le stime ragionevoli
della
consistenza della popolazione (basate sulla mortalità e sulla crescita
della popolazione) indicano come plausibile un valore di 3-4-5? volte
tanto
la stima "prudente" ufficiale. Probabilmente i lupi piemontesi si
avvicinano già al migliaio quando la lupologia stimava una capienza
massima di 350 capi a dimostrazione di quanto essa sia più ideologia e
smania di potere che scienza. Se, in Francia, la stima dei lupi
certificata dallo
stato è fornita con un errore del ± 10%, in Italia e in Piemonte, l'
"errore" (che è in realtà un falso ideologico avallato da istituzioni
"pubbliche" ma manovrate dalla lobby lupista) è solo di sottostima ed è
di un ordine di grandezza superiore.
Tornerò poi sul tema del monitoraggio e del censimento dei lupi in atto
e sui
trucchi per ritoccare i vecchi numeri farlocchi senza rivelare la reale
consistenza delle popolazioni lupine piemontesi e italiane.
In ogni caso da Villar
Pellice la protesta a muso duro contro la regione Piemonte si è
allargata.
Lo scorso ottobre a Villar Pellice si era tenuto un incontro al
quale aveva preso
parte, oltre ad amministratori della montagna ed esponenti di
organizzazioni agricole, anche l'europarlamentare Pietro Fiocchi.
IN CONFLITTO DI INTERESSI CHI?
Apriamo un inciso: gli animal-ambientalisti hanno subito evocato il
conflitto di interessi (la Fiocchi è una primaria azienda
internazionale nel settore delle munizioni) e pubblicando la notizia
dell'incontro di Villar "condita" di foto di scatole di munizioni. Una
polemica grottesca. L'eventuale apertura
della caccia al lupo in Italia, (che comunque non è quello che chiede
chi vuole
il controllo della specie), rappresenterebbe un
mercato insignificante per un'azienda che esporta l'80% che
produce munizione anche per il tiro sportivo e la difesa personale
nell'ordine delle centinaia di milioni di pezzi. Altrettanto
insignificante lo sarebbe quello
delle munizioni utilizzate per cacciare il surplus di cervidi e
cinghiali "sottratti ai lupi". In
compenso, mettendoci la faccia sullo scottante tema del lupo, Fiocchi
espone semmai l'impresa a ritorsioni da parte delle potenti
lobby
animal-ambientaliste internazionali.
Sono invece loro, gli animal-ambientalisti in palese
conflitto di interesse. La loro rigida politica "il lupo non si tocca",
il loro proclamarlo a rischio di perenne estinzione (anche a fronte del
suo dilagare in aree dove era scomparso da secoli), non sono solo
frutto di rigidità ideologica ma di sete di profitto. L'ambientalismo
vende lupi online (vedi l'immagine sotto) ma, attraverso campagne
distorsive della realtà che fanno leva sulle emozioni e il
condizionamento psicologico,
ottiene anche tessere, donazioni. Per non parlare dei finanziamenti
pubblici per progetti
di ogni tipo per la "convivenza con il lupo", oasi, centri di recupero
della fauna selvatica ecc.
Quante decine di milioni di euro all'anno frutta il lupo? Una
gallina dalle uova d'oro, un giocattolo per far soldi che ... guai a
prtarglielo via. La magia sarebbe rotta se lo stato acconsentisse, sia
pure limitatamente, al controllo legale della specie. L'aura di sacro
idolo intocabile e oggetto di venerazione verrebbe infranta. Se il
"bracconaggio" (che non è bracconaggio perché il bracconiere agisce per
lucro e vendere il trofeo) è gestibile nel quadro della sacralità del
lupo quale sacrilegio da esorcizzare e contro il quale inscenare
liturgie di riparazione, l'abbattimento legale, che declasserebbe il
lupo alla condizione di un animale come gli altri, metterebbe in crisi
tutta la costruzione.
Il documento che ha
sintetizzato le conclusioni dei lavori di Villar Pellice
è stato reso noto il 31 dicembre 2020. Esso è rivolto in primo luogo
alla Regione Piemonte (in quanto titolare delle competenze in materia
di controllo e gestione della fauna selvatica) al Ministero
dell'ambiente, ai parlamentari nazionali ed europei all'Uncem (Unione
nazionale comuni montani). A firmarlo sono stati i soggetti già
presenti a Villar: i comuni di Villar
Pellice, Bobbio Pellice, Rorà,
Bibiana della val Pellice (Torino), l'Unione
Montana dei Comuni delle Valli di Lanzo, Ceronda e Casternone
(Ala Di
Stura, Balangero, Balme, Cafasse, Cantoira, Chialamberto, Coassolo
Torinese, Corio, Fiano, Germagnano, Givoletto, La Cassa, Lanzo
Torinese, Mezzenile, Monastero Di Lanzo, Pessinetto, Traves, Val
della Torre) e i comuni di Elva e Cartignano in val Maira (Cuneo). È
stato sottoscritto anche dalla Coldiretti e dalla Cia.
Villar Pellice
Perché il documento è
importante e segna un elemento di novità? Perché non è il solito
documento redatto tanto per dare un contentino agli allevatori e alle
popolazioni popolazioni che non ne possono più dei lupi che scorazzano
per i paesi. Non è un documento poco impegnativo
tanto per far credere che "si sta facendo qualcosa" e che, in premessa,
riporta la solita genuflessione Non
abbiamo nulla contro il lupo, non
vogliamo mettere in discussione che debba essere protetto ... ma. No,
niente di tutto questo. Ed era ora. Esso
mette la politica di fronte alla sua ignavia premettendo che
l'iperprotezione del lupo mette a rischio la presenza dell'uomo in
montagna e accusando la regione di essere apertamente e passivamente
schiera su
posizione pseudoambientaliste, di non mostrare alcuna volontà di
confronto costruttivo con il mondo rurale, di essere venuta meno al
ruolo di mediazione tra le diverse istanze che sono rappresentate nella
società.
A fronte della palese non
gestione del problema lupo, che
probabilmente è sfuggito di mano agli stessi apprendisti stregoni della
lupologia, il documento di Villar Pellice chiede che sia rivista
l'iperprotezione del canide selvatico e si attivi una gestione. La
sindaca di Villar commentando l'iniziativa ha precisato : Vogliamo che questa gestione del lupo che
non sia in
capo a chi sta vivendo anni di gloria con questo animale.
Ci si
può rammaricare che un documento così, che segna, comunque lo si
voglia leggere, l'acquisizione di una consapevolezza politica chiara
sui termini del problema, non sia stato firmato da più comuni e unioni
di comuni. Mase il prezzo
dell'unanimismo consiste nell'annacquamentodel buon vino e nel ritorno
a ordini del giorno e delibere che si limitano a "suppliche" nei
confronti delle
"superiori istituzioni" (alle quali si riconosce ancora una dignità e
una terzietà che, invece, hanno perso da un pezzo),
allora è meglio evitare di contrattare al ribasso con i pavidi che non
vogliono esporsi.
Troppi amministratori
si defilano perché temono che
"esporsi" in tema di lupo possa "irritare" la politica e la burocrazia
regionali e far perdere al comune, alla valle (o forse alle
cerchie di interesse prossime agli ammistratori in carica ed
ad appalti, incarichi, consulenze) i finanziamenti
regionali.
Meglio che si muovano
e parlino schietto pochi (per ora) ma coraggiosi amministratori senza
peli sulla
lingua. Le comunità amministrate dai pDon Abbondio, preoccupati di non
"disturbare il manovratore", sapranno fare i confronti. E qualcuno prenderà
coraggio pungolato dai propri cittadini.
La risposta di Carosso: la toppa è peggio
del buco
Palesemente chiamato
in
causa dal documento di Villar Pellice, l'assessore e vice presidente
della Regione Piemonte, Fabio
Carosso, ha fornito una risposta che conferma ancora di più come questo
esponente politico, si sia del tutto appiattito su Wolf Alps-Centro
grandi carnivori, l'ente in via di istituzionalizzazione, comunque già
molto potente, che in Piemonte, tendenzialmente anche in
altre regioni, sta sostituendosi agli assessorati regionali nel
definire le linee
di azione e la loro applicazione in materia di lupo.
Carosso ha negato che
non non vi sia una gestione del lupo. E, a sostegno di questa
indifendibile tesi, ha avuto l'impudenza di proclamare che le cose
vanno meglio in Italia che in
Francia dove, con meno lupi, hanno molte più predazioni. Una
battuta di pessimo gusto considerando che in Italia il controllo, in
presenza di una non-gestione, lo devono fare i pastori e gli
allevatori, rischiando denunce penali per difendere il loro lavoro.
Anche in Piemonte. Gli stessi ambientalisti devono ammettere che in
Italia vengono "bracconati" 300 lupi ogni anno. In realtà sono molti di
più.
Un esempio di come
si nascondono i dati sulle predazioni. A ferragosto 2020 in alta val
Sesia un intero gregge di un centinaio di pecore si è gettato in un
burrone (sopra le carcasse insaccate per l'elitrasporto a valle). Nella
zona erano stati segnalati già attacchi di lupi (anche negli anni
precedenti) ma nessuno si è preoccupato di ottenere delle prove
sulla responsabilità del lupoe la strage è stata derubricata a
"incidente".
Quanto agli
indennizzi, tutti sanno che in
Italia le regioni e gli altri enti preposti fanno di tutto per
scoraggiare gli allevatori a denunciare i danni da predazione e, molto
spesso anche per "sviare" la responsabilità del lupo (specie nelle zone
dove il lupo è apperso di recente). Ogni
regione ha dei suoi criteri: alcune riconoscono il danno solo se è
provato (da analisi del Dna) che il responsabile dell'attacco è un
lupo, alcune riconoscono i "danni collaterali" e la perdita degli
animali non recuperati con una (misera) percentale di forfettizzazione,
molte si affidano a compagne assicurative private che, come noto, con
sistemi di franchigie e massimali fanno di tutto per non risarcire chi
ha subito il danno.
In alcuni casi agli
allevatori viene richiesto un
contributo per la coperttura assicurativa. Anche in
Piemonte vigeva un sistema di questo tipo e, per poter accedere agli
indennizzi dei danni da predazione, l'allevatore doveva essere iscritto
al Cosman, il consorzio per lo smaltimento dei rifiuti di origine
animale, un adempimento oneroso per i piccoli allevatori.
Motivi di
esclusione dagli indennizzi in alcune regioni possono riguardare i
requisiti soggettivi (Imprenditore agricolo a tiutolo principale) e la
messa in atto di sistemi di prevenzione. Un sistema fortemente
distorsivo che crea forti disparità tra allevatori persino all'interno
della stessa regione (specie quando vige un sistema diverso tra aree
parco e fuori parco). In tutte le regioni ile procedure impongono
lunghe trafile burocratiche che di
per sé tendono a indurre gli interessati a non denunciare gli attacchi
subiti.
Spesso vi è
anche il timore che la richiesta di indennizzo comporti una serie di
controlli tesi a verificare il rispetto delle norme sanitarie, sul
benessere animale, sull'esercizio del pascolo, sul personale addetto.
Per timore di essere
colti in fallo, specie dove gli addetti agli accertamenti sono
dichiaratemante lupisti (interessati a tenere sommerse le
predazioni e a dissuadere le denuncie) molti allevatori e pastori
tengono il tutto nascosto.
Ma lo sa Carosso che
in Francia:
c'è - come già abbiamo
visto,
una stima seria del numero di lupi certificata dallo stato;
il 17% della
popolazione viene
legalmente abbattuto ogni anno per contenerne la proliferazione;
ogni
pastore riceve 50 € al giorno per ogni aiuto pastore, 70 € se è egli
stesso addetto alla sorveglianza del gregge, per compensare i costi
aggiuntivi indotti dalle misure di difesa passiva (reti, sorveglianza
maggiore, cani);
vi è un
finanziamento statale all'80% per l'adozione di misure di protezione
(compresi i cani);
in ogni
dipertimento con presenza del lupo
l'allevatore può contare su un servizio di assistenza e formazione
sull'impiego dei cani da guardiania ecc.?
Tranquilli, stiamo lavorando al piano-lupo
Il vice-presidente
della regione Piemonte che forse non si accorge di apparire più
realista del re, ovvero il ventriloquo di Wolf Alps, non si è
limitato a sostenere che in Italia il lupo è gestito meglio che in
Francia ma ha anche detto, intervistato dalla Stampa nell'ambito
dell'articolo sulla predazione a Giaveno di cui sopra, che non è vero
che la Regione non stia facendo niente in quanto sta lavorando, in seno
alla Conferenza Stato-Regioni per il nuovo piano-lupo. Si tratta
di quel piano fermo da
sei anni per via della demagogia animal-ambientalista. Quella campagna
che indusse
Chiamparino, allora presidente Pd della Regione Piemonte, a rimangiarsi
- scavalcando i suoi assessori - l'assenso a una versione del piano già
approvata dalle regioni che prevedeva, pur con infinite clausole
restrittive, l'abbattimento massimo teorico di 50 lupi in tutta Italia.
Un controllo omeopatico, ma tale da far scatenare le lobby che sul lupo
fanno affari.
Che
Chiamparino, esponente della sinistra bancaria torinese, dimentichi che
anche l'uomo in montagna, anche l'allevamento e la buona cura dei
pascoli siano un patrimonio è cosa comprensibile. Che il leghista
astigiano Carosso si appiattisca su Wolf Alps è meno comprensibile agli
elettori della montagna.
Tornando a Carosso ha
dichiarato in questi giorni, confermando la sua fede in Wolf Alps: Entro due mesi dovremo avere i numeri
esatti del censimento coordinato dagli esperti di Wolf Alps e da lì
lavoreremo per una gestiore ottimale di questa specie protetta.
In che mondo vive
Carosso? Quello dei dirigenti regionali animal-ambientalisti si vede.
Non sente in giro, sul territorio da dove provengono i voti, che
Wolf Alps è percepito come la struttura autoreferenziale nemica degli
allevatori e della montagna? Non ha abbastanza acume politico per
capire che Wolf Alps, usando il lupo, sta costruendo un nuovo centro di
potere e di spesa connesso alla lobby dei parchi ma, rispetto a questa,
più aggressivo e spregiudicato, in grado di condizionare la stessa
Regione? Non si accorge che i numeri
forniti da Wolf Alps sono screditati?
E poi quale
"gestione ottimale" si potrà mai attuare se lo strumento alla base
della gestione, il controllo, rimane precluso per non urtare la
sensibilità ambientalista (e compromettere il business)? Il
censimento nel quale Carosso ripone tante aspettative è gestito da Wolf
Alps (che non può certo fornire
risultati tali da sputtanare sé stesso e tanti anni di incasso di lauti
finanziamenti); non solo ma a contare i lupi sul territorio (dopo brevi
webinar
di formazione organizzati sempre da Wolf Alps) saranno volontari
reclutati prevalentemente tra le
associazioni ambientaliste (Cai, WWF, Legambiente, Lipu e altre siglie
minori). Con queste premesse, nonostante il fumo negli occhi della
metodologia messa a punto dall'Ispra, i risultati sono conosciuti in
partenza. Si
aggiusteranno al rialzo le stime passate mantenendo i risultati molto
lontani dalla realtà e ci si attesterà su un dato di consistenza per la
popolazione lupina italiana di 3000 capi, al massimo 4000.
Dal nostro punto di
vista è importante che ci sia un numero crescente di amministratori che
non si lascino abbindolare dalla retorica lupista di Wolf Alps e di
Carosso.
Ricordiamo al lettore che il medesimo è stato apertamente contestato lo
scorso giugno in
Ossola (vai
a vedere) e poi a luglio in val Sesia (vai
a vedere) nel corso degli incontri "informativi" di Wolf
Alps.
Il motivo?
Allevatori, ma anche sindaci, non accettavano che l'istituzione
regionale, in teoria al servizio di tutti i cittadini, affidasse alla
sola parte
lupista la gestione di tutto quello che riguarda il lupo. Come se
questo tema non coinvolgesse, loro malgrado e in modo pesantissimo,
altri interessi oltre a quelli dei "conservazionisti" e come se non vi
fosse l'esigenza di sentire anche altre campane oltre a quella pro lupo
trattando del tema in un contesto pubblico. Con la differenza che
mentre l'interesse dei lupisti - che si nasconde dietro il loro
arrogarsi di rappresentare i "diritti della natura" - coincide con
quello delle loro tasche, quello degli allevatori e delle persone che
abitano in montagna è un interesse vitale che riguarda la stessa
possibilità di lavorare e vivere in montagna. Come si può essere così
Ponzio Pilato da ignorare le implicazioni etiche di questo conflitto di
interessi?
Negli incontri Wolf
Alps in val d'Ossola e in val Sesia, gli
allevatori hanno potuto parlare con i cartelli e i campanacci. A
loro sono stati concessi solo alcuni brevi interventi alla fine del
convegno in qualità di "pubblico". Una strana concezione della
democrazia quella della Regione Piemonte. Carosso anche a
Villadossola
non aveva mancato di elogiare i monitoraggi "altamente
scientifici" di Wolf Alps e aveva dichiarato che la regione non può
fare
nulla in materia di controllo in assenza del solito deus ex machina: il
Piano nazionale del lupo.
Una bugia per dire che
la regione non se
la sente di attuare un controllo perché non ha il coraggio di
affrontare le lobby animal-ambientaliste. In presenza di gravi danni
economici un ente responsabile del controllo della fauna selvatica (il
Italia le regioni) ha il diritto-dovere di attivare un controllo. In
assenza di Piani-lupo vale la direttiva europea. Vero che essendo
ancora il lupo specie "particolarmente protetta", serve l'ok
del
Ministero, che a sua volta deve avere l'ok dell'Ispra ecc. Ma se una
regione non attiva una richiesta di attuazione di un piano di controllo
non potrà mai essere il Ministero a prendere l'iniziativa. Questo varrà
anche quando ci sarà il Piano lupo, sia ben chiaro. Lo dice la
costituzione quando definisce la ripartizione di competenze tra stato
centrale e regioni.
È paradossale
che
proprio un leghista come Carosso si appelli al centralismo statale come
alibi. La realtà è che i parchi e Wolf Alps sono un centro
di potere capace di imporsi attraverso la burocrazia sulla debole
politica regionale, mentre la montagna, con i suoi interessi dispersi,
priva di
rappresentanze politiche forti e autonome è un vaso di coccio. Così un
assessore
alla montagna, ai parchi, alle foreste ecc. si adegua al potere delle
lobby che, se
assecondato, garantisce una navigazione
confortevole e la
non ostilità della burocrazia e della magistratura.
La politica ha abdicato.
Amare considerazioni
Politica
e istituzioni si sono liquefatte, sono diventate compagnie di
ventura, sono state svuotate dall'azione delle
lobby e dal potere crescente e incontrollabile delle grandi imprese
multinazionali (big tech, big farma) e dei grandi gruppi
finanziari. Siamo di fronte
all'impotenza nel salvaguardare i valori fondamentali della nostra
civiltà e gli stessi presupposti minimi della vita civile. Lo si vede
benissimo di fronte alla totale incapacità delle istituzioni
(ex)pubbliche
di porre argini al dilagare del controllo e del condizionamento del
comportamento da parte del regime di "sorveglianza digitale". Un regime
instaurato da ditte private (peraltro fortemente connesse con la Cia e
il Pentagono a meno che non si creda alla favola in veste moderna di
Cenerentola che narra come le più potenti corporation mondiale siano
nate in un garage per merito di stravaganti e visionari personaggi).
Travalicando dalla realtà online a quella offline, il
controllo digitale annulla l'autonomia e la
libertà delle persone ed elimina alla radice i presupposti della
democrazia.
Un
processo parallelo si
constata anche nel caso del lupo. Qui assistiamo all'abdicazione della
politica che rinuncia a
contrastare le politiche pseudoambientaliste di "rinaturalizzazione
forzata", che rinuncia, sotto i ricatti animal-ambientalisti, ad
adeguare le norme legislative alla realtà di
una fauna selvatica fuori controllo, che da spazio
all'autoreferenzialità della lobby lupista e riduce a zero, a vantaggio
degli esperti, l'importanza nella governance di istituzioni
territoriale democraticamente elette.
Libertà di pensiero,
diritto alla sfera privata, diritto di (piccola) proprietà, tutela e
libertà delle (piccole) attività economiche, tutela della sicurezza
delle persone comuni,
diritto a risiedere dove si hanno le proprie radici: tutto quello che è
scritto nelle costituzioni, delle convenzioni, dei trattati è diventato
carta straccia. Contano le leggi non scritte, conta il peso delle
azioni lobbystiche, la capacità dei gruppi di potere di
influenzare, in forme sempre più efficaci, un'amorfa opinione pubblica
prigioniera nella bolla dei condizionamenti mediatici, privata ormai di
accesso a esperienze e ricontri con la realtà.
Remare contro corrente è
faticoso, quasi impossibile, non sorprende che la politica si adegui,
vada a rimorchio dei vecchi e nuovi media, delle lobby, di una
burocrazia che con le lobby ha profonde e organiche connessioni. Per
contrastare questi processi che non sono inevitabili serve una
resistenza sociale consapevole. Nella sua drammaticità il problema del
lupo consente di aprire gli occhi, di squarciare spesse coltri di
disinformazione, retoriche, ipocrisia.
APPENDICE
Una geografia di resistenza sociale,
rurale, umana
In
realtà, pur in presenza di una spaventosa asimmetria di potere, di
conoscenze, di capacità di farsi sentire, la montagna alpina sotto
stress per il dilagare del lupo ha iniziato a sviluppare una
consapevolezza dei termini del grande scontro in atto e ad abozzare
forme di resistenza. Abbiamo visto che in val Pellice e in Ossola vi
sono sindaci che si schierano con gli allevatori e abbiamo visto come
sono già state organizzate forme di protesta vivaci. In Ossola,
all'incontro di Wolf Alps del giogno 2020, il presidente della
provincia, Arturo Lincio
(sindaco di Trasquera, un paese di montagna della valle che porta al
passo del Sempione), e la presidente delle aree protette, l'allevatrice
di capre Vittoria Riboni. Essi hanno parlato anche a nome anche degli
amministratori locali cui non è stata data la parola, hanno contestato
la politica pro lupo nazionale e regionale. In Lessinia è schierato con
gli allevatori contro il lupo il presidente del parco Raffaello
Camostrini, sindaco di Sant'Anna di Alfaedo. Anche il presidente della
provincia di Verona, Manuel Scalzotto, sindaco di un paese di pianura,
Cologna veneta, ma allevatore è schierato con gli allevatori. Ma anche
nelle valli del Torinese, oltre alla battagliera sindaca di Villar
Pellice c'è il neo presidente del parco delle alpi Cozie che non ha
esitato, appena nominato a dichiarare che i costosi progetti pro lupo
non hanno portato nessun sollievo alle predazioni, suscitando la
reazione scandalizzata dei Legambiente che si ritiene, attraverso il
controllo di Federparchi e dei direttori degli stessi, la "padrona dei
parchi". Vanno citata in questa geografia che vede in alcune valli
diversi rappresentarsi istituzionali rompere l'unanimismo lupista del
quadro istituzionale le valli di Lanzo me torinese, che hanno aderito
attraberso la loro Unione al documento di Villar Pellice e alcuni
comuni della val Maira nella provincia di Cuneo. Un'altra piccola
realtà di resistenza con i sindaci dalla parte delgi allevatori, specie
quello di Cusino, Francesco Curti, si trova nella valle più remota
della provincia di Como, la val Cavargna, al confine con la Svizzera
dove i branchi "transfrontalieri" sono insediati da anni. Sono le
realtà più salde nella loro identità, spesso di minoranza, spesso di
frontiera che reagiscono alla minaccia del lupo superando l'anestetico
somministrato dai media e dalla politica delle "superiori istituzioni"
(dalla regione a Bruxelles passando per Roma). Sono le valli che hanno
conservato lingue di minoranza, forti tradizioni, sentimenti di
indipendenza. Le valli torinesi sono di lingua franco-provenzale e in
val
Pellice e Germanasca è diffusa la religione valdese, l'Ossola è la
valle della repubbica
partigiana, dei tentati referendum per l'autonomia e la secessione da
Torino (i Savoia l'hanno annessa solo a metà Settecento ma la valle è
di lingua e cultura lombarda-alpina e walser), la Lessinia è stata
popolata, a
fine XIII secolo, da genti di lingua tedesca ed è forte, ancora oggi,
di una
cultura peculiare e di una forte coesione comunitaria, la val
Cavargna è stata terra di contrabbando e rimane una valle con un
particolare attaccamento alla cultura e
alle tradizioni locali, dove la Lega - scambiata per un partito
etnico di raccolta, alla Südtiroler
Volkspartei - raccoglie l'80% dei
voti.
Valli indomite (la
storia dei valdesi rappresenta il caso più eclatante),
che hanno conservata con tenacia la propria identità e che oggi si
rendono conto che c'è
il rischio che tanti sforzi volti a conservare la "piccola patria",
stanno per essere vanificati perché qualcuno, nel rapido
declino della democrazia, ha deciso che
tutte queste realtà devono subire la cancellazione demografica, devono
arrendersi al rewilding, devono fare la fine delle tribù dei nativi
americani cacciati dalle loro terre per far posto ai parchi.
Ma
la storia non è stata ancora scritta.
1 val Maira; 2 val
Pellice; 3 valli di Lanzo; 4 val d'Ossola (e val Strona); 5 val
Cavargna; 6 Lessinia