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Quando l'ambientalismo fa male all'ambiente
 

Le "ricette" ambientali del governo sono ispirate - vedi la smania di piantare alberi - a quell'ambientalismo becero che, in nome di soluzioni green, produce un ulteriore aggravamento dei fenomeni di degrado dei territori montani. Con l'abbandono di ampie superfici a una "rinaturalizzazione" non gestita, con il crollo verticale delle attività di contadini, pastori, boscaioli che assicuravano il controllo degli incendi, la regimazione delle acque, i tanti piccoli interventi capillari di sistemazione in seguito a eventi calamitosi, gli effetti dei fenomeni estremi saranno sempre più gravi. Fino a che, forse, se ne accorgeranno anche gli ambientalisti da salotto che tifano per una wildness ideologica che cancella realtà tradizionali a misura di ambiente e di biodiversità, basati su agroecosistemi centrati sulla rinnovabilità delle risorse


Era come una lebbra. In pochi anni la boscaglia s’era mangiata tutto: stalle, alpeggi, pascoli, fienili, praterie, persino le strade e i sentieri. Quando in autunno tirava lo scirocco, aceri e frassini si gonfiavano come vele e, oscillando, scardinavano il terreno con le radici, facendo entrare la pioggia in profondità. L’acqua non aveva più freni, le scarpate diventavano colate di fango, i canali di deflusso saltavano. La montagna intera si scorticava, mostrava la pelle viva, passava continuamente dal rischio incendi al rischio alluvione.

Paolo Rumiz

La grande ombra verde. Il richiamo della foresta

LA REPUBBLICA , 20.09.2009



di Giancarlo Moioli

(07.07.20)  Abbiamo udito e letto in molti che è diventata una fissazione di molti governanti "la pensata" di piantare milioni di alberi (dove e come è tutto da comprendere). Il governo italiano attuale, per bocca del primo  ministro ha parlato di mille euro di costo per albero e la previsione di piantare un milione di alberi; per uno come il sottoscritto che si è occupato per buona parte della propria vita professionale di progettare e dirigere lavori di Sif (sistemazione idraulica e forestale) restare allibito per i costi esposti è dir poco, c'è da essere semplicemente​ scandalizzati se mai qualcuno stilasse un computo metrico estimativo con dei costi tali.


Una piantagione a rapido accrescimento con piante fotocopia in Cina


Il ragionamento che  voglio porre, contro questa "mania di piantare alberi", a tutti i costi, è di ben altro tenore però; le carte della vegetazione e le riprese dai satelliti ci mostrano due nette situazioni e contraddizioni: i polmoni verdi della terra (le foreste pluviali, l'Amazzonia, tanto per citarne una) che andrebbero preservati, sono soggetti a tagli, distruzioni, incendi, pulizia etnica e perdita della biodiversità, molta della quale ancora sconosciuta. Altrove  si contrabbanda per "forestazione" la piantumazione di essenze a rapido accrescimento, magari attuata con piante non ottenute da seme, magari Ogm. Altrove, le foreste, molte delle quali sono ex buone terre agricole non più coltivate, avanzano a milioni di ettari, molto povere in termini di benefici ambientali, di biodiversità, di fissazione del carbonio da CO2 ad organico. 


In Italia vige una cultura superficiale. Si esulta per i milioni di superficie "forestale" in più (ma chiamare "foreste" le neoformazioni di invasione è una pietosda bugia). Non si pensa a quale qualità ambientale corrisponda quello che si è perso e il nuovo che si è "guadagnato", a quali valori estetici, di biodiversità, culturali si perdono.


Buona parte dei boschi già esistenti in Italia, i tanti boschi cedui ereditati dal passato, vengono tagliati solo per il 20% circa dell' incremento totale annuo di massa legnosa, portando ad un progressivo invecchiamento dei comparti forestali. Essi, in tal modo, diventano sempre più soggetti a sradicamento delle ceppaie, attacchi di parassiti, frane, ostruzioni di vallette e compluvi, con un aumento dei fenomeni di distruzione a valle, quando, i sempre più frequenti intensi fenomeni atmosferici, si accaniscono su una porzione di territorio. Assistiamo quindi, da parte chi ci amministra, a ragionamenti e iniziative che vanno esattamente nella direzione opposta rispetto a quella cui si dovrebbe tendere.

Il lockdown , ha ridotto del 70% cento il traffico veicolare, imputato numero uno dell'inquinamento atmosferico nei bassi strati. Ebbene, particolato, composti azotati e sostanze annesse, sono diminuiti solo del 17%. Ecco che allora la lente di ingrandimento si concentra sulle emissioni da riscaldamento domestico (38% del contributo al particolato secondo Ispra) e dell'agrozootecnia ultra meccanizzata, con il sospetto che lo spandimento dei liquami, generalizzato per via della monocoltura del mais, sia la principale causa del femomeno (allevamenti e ciclo spandimenti 15% del particolato).



Sempre più capaci (pesanti e compattanti il terreno) le  "botti"  per lo spandimento dei liquami  e dei digestati  da biogas


Non ci ricordiamo più, a proposito degli effetti deleteri di tale monocoltura, dello scandalo delle acque inquinate da atrazina e simazina (erbicidi con effetto di perturbatori ormonali, in grado di mutare il sesso degli anfibi) che costrinsero a scavare pozzi sempre più profondi per poter disporre di acqua potabile.  A causa delle forti irrorazioni di questi prodotti (da tempo banditi) e la perdita dell'effetto tampone del terreno, non più regolarmente nutrito con sano e buon letame maturo (quello definito "burro nero"), l'acqua degli acquedotti delle nostre città di pianura era divenuta altamente inquinata. Tutt'oggi le acque dei nostri fiumi presentano regolarmente concentrazioni di diserbanti oltre i limiti legge. Ma che senso ha continuare a inquinare e consumare risorse per ridurre terra, aria e acqua delle nostre pianure, in siffatte condizioni?


Il destino di buona parte dei paesi di montagna se non si inverte la rotta contrastando l'ambientalismo ideologico di matrice urbana


Per contro, dopo aver scattato una triste istantanea della situazione in pianura, dovremmo immaginare che, almeno la collina e la montagna, si possano salvare  riservandoci un ambiente più salubre e più vivibile. Ma qui è in atto un fenomeno che è l'altra faccia della medaglia. In pianura cementificazione che non si arresta, agricoltura industrializzata in montagna non solo cesazione di attività agricole ma spopolamento inesorabilmente: asili, scuole, piccoli negozi che chiudono progressivamente da decenni, nonostante le tante leggi per fermare l'esodo, a partire dalla 1102 del '71 (Nuove norme per lo sviluppo della montagna) e le tante successive. 

Gli alpeggi vengono progressivamente abbandonati (nonostante i generosi, ma distorti, contributi che premiano speculazioni e sotto utilizzo), i prati non sono più sfalciati (se non i più comodi), le superfici abbandonate, non più pascolate o sfalciate diventano incolti  e, rapidamente boscaglie impenetrabili, oggetto, talora, di devastanti incendi.  Il paesaggio scompare perché la crescita rapidissima di essenze come i frassini crea delle cortine verdi che, dai sentieri, dalle stesse strade di comunicazione, cela completamente la vista. I paesi  stessi vengono inghiottiti e scompaiono alla vista in lontananza.



I tanti prodotti tipici di una zootecnia e di coltivazioni a misura di ambiente (e di valorizzazione della biodiversità), scompaiono, o vengono falsamente riprodotti. La bresaola igp della Valtellina è fatta, quando va bene, con lo zebù del Brasile, i pizzoccheri con grano saraceno dell'Afghanistan, il pane di segale, che, tra alta val Camonica e Valtellina andava a ruba (l'impasto, fatto con le acque non calcaree di quelle zone, dava una fragranza irraggiungibile), è fatto con farine polacche (in Italia, dove pure la segale potrebbe essere coltivata facilmente su molti terreni, la superficie investita supera di poco 3000 ettari, 350  in Lombardia, 15  in provincia di Sondrio, ovvero la miseria di 140 campi di calcio). E dove qualche ostinato, sulla via del tramonto, resiste ai diktat dei mercati globali e della burocrazia ecco che lupi, orsi, caprioli, cinghiali, frutto di una falsa idea di rispristino della salubrità e biodiversità, danno il colpo di grazia.


In sessant'anni di vita ho visto e percepito tante risorse messe in campo, tante resilienze ma, anche la più ferma ostinazione e buona volontà, sono perdenti di fronte allo scempio che avanza. Uno scempio travestito, oltretutto, da ambientalismo, ma è un ambientalismo becero, superficiale, che  assolutamente non conosce la storia e il divenire dei nostri territori, che assomigliano sempre più ad una monotona noiosa unica cromaticità. 


Porto solo un esempio dei tanti che potrei citare: 50 anni or sono mio papà mi portava a funghi, nelle valli di Corteno Golgi, in pratica, alle varie quote del monte Padrio. Sulla strada statale che collega Edolo all'Aprica , da giugno a ottobre, decine di venditori di funghi arrotondavano le loro entrate agricole, vendendo agli automobilisti in transito quintali di funghi. Provate a vedere ora tra giugno e ottobre quanti ne incontrate (vale anche per il percorso Edolo - Ponte di legno). Mentre camminavo per quei pendii era tutto un coltivo di grano saraceno, patate, segale, grano di montagna, prati pascoli, vacche da latte, e tante pecore: la pecora di Corteno, che nemmeno i regali del regolamento 2078, e i successivi premi per le razze "a rischio", hanno potuto preservare dall' estinzione ormai prossima. 


E poi c'erano baite, sorgenti ovunque, piccoli rivoli che transitavano in semplici caselli di pietra per mantenere fresco il latte e il prodotto caseario. Sono andato ieri, il 90% cento del territorio è irriconoscibile, baite crollate, sorgenti disperse, percorsi inestricabili fra rovi e rosa canina che invade tutto. Restano, nei boschi, migliaia di semplici muretti a secco, a rammentare che l'uomo, anche per un fazzoletto di terra in più, trattenuta in sito, godeva dei frutti e delle fatiche, si sfamava e sfamava, senza prevaricare, tante altre persone. Non ho trovato, uno, dico uno, a vendere funghi.  I bambini nascono nelle coppie giovani o nelle case di riposo? I funghi sono come i bambini! Ora solo il funerale, quale ultimo atto!





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