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Orso e lupo
Le regioni alpine
invocano il controllo del lupo. Svolta politica vera o propaganda?
La riunione
inter-regionale a Trento
del 29 gennaio 2019
di Michele Corti
In un clima politico
segnato dall'attesa del risultato delle elezioni per il parlamento
europeo, le regioni del Nord, pur senza manifestare una precisa
strategia, hanno sottolineato una volontà comune di arrivare a un
controllo del lupo. Non è il massimo, ma segna pur sempre una svolta
rispetto alla situazione di due anni fa quando, a seguito dei cedimenti
alle pressioni animaliste, tutte le regioni italiane, tranne Toscana e
Bolzano, si erano genuflesse al tabù: "il lupo non si tocca".
(02.02.19) La riunione del 29 gennaio a Trento segna una svolta
politica effettiva o è solo propaganda? Si avvicinano le elezioni
europee e la classe politica si rende conto che l'avanzata populista
non è arrestabile. Il voto populista è voto anti austerity ma anche
contro l'accentramento di Bruxelles, contro la globalizzazione e, in
particolare, contro le norme sovranazionali scritte da lobby
espressione delle elite, in grado di legare le mani alle autonomie
locali e agli stati stessi, contro la prepotenza degli "intelligenti"
che impongono le loro visioni e i loro interessi alla gente semplice
che lavora, che vuole continuare a vivere senza imposizioni dall'alto.
I gilet jaune in Francia sono scesi in piazza contro le tasse
ecologiche perché colpivano chi vive nelle zone rurali e non i ricchi
parigini.
La reintroduzione del lupo è questione politica e sociale rilevante:
significa ulteriore svuotamento della democrazia e ulteriore perdita di
controllo delle popolazioni locali sul proprio territorio. A livello
internazionale ai vaghi discorsi sulla sulla conservazione
dell'ambiente in sintonia con le comunità insediate della fine
degli anni '90, è subentrata, dopo la crisi del 2008, una "linea dura"
nel movimento ambientalista-conservazionista mondiale che sostiene che
l'ambiente e la biodiversità si conservano solo imponendo dall'alto le
decisioni degli esperti, imponendo alla gente quello che i
coinservazionisti ritengono giusto e solo se queste strategie di
conservazione si pagano da sé, ovvero se alimentano un biocapitalismo
finanziario che "fa fruttare" la natura (crediti di carbonio se non
tagli il bosco e concedi ad altri di emettere, titoli e derivati di
biodiversità se conservi tot tigri o lupi e consenti a chi li compra di
distruggere altrove gli habitat per cementificare, grandi opere ecc.).
La gestione della reintroduzione dei grandi carnivori sulle Alpi è
figlia di questo conservazionismo che ritiene la proliferazione del
lupo, dell'orso, dello sciacallo, della lince una necessità che non
richiede discussioni o spiegazioni.
Le regioni prevedono un'ondata populista
La politica annaspa perché le lobby sono forti e non obbedire loro è
rischioso. Ma oggi le regioni alpine, dopo vari vergognosi sbandamenti,
auspicano, sia pure confusamente e contradditoriamente (come si fa a
dire che le direttive europee sono giuste?) un controllo del lupo. Lo
fanno perché sanno che dopo il 29 maggio gli equilibri di governo
cambieranno. Il M5S - con il suo giacobinismo - ne uscirà indebolito a
vantaggio della Lega e le attuali posizioni del ministro-generale Costa (ex
generale del vecchio CSF) che ammonisce le regioni a rispettare le
competenze esclusive dello stato centrale, e prepara un Piano lupo senza abbattimenti (vai a vedere qui)
dovranno cedere al realismo
politico. Quello che manca a Costa che pensa con un milione di euro di
"mitigare" il conflitto e di accontentare lupisti e allevatori quando,
in Francia, solo per compensare il maggior lavoro dei pastori per
mettere in atto le difese dal lupo, si spendono 8 milioni all'anno con
un "parco lupi" 10 volte inferiore a quello italiano. A meno di
colpi di stato o di impensabili e impraticabili
ribaltoni che porterebbero il M5S a governare con la sinistra,
l'autonomia alle regioni andrà avanti. E' solo questione di mesi.
Posizionarsi anti-lupo può quindi convenire perché se in città non è
certo il lupo a motivare il voto (tranne una minoranza trascurabile di
fanatici ultrà animalisti) in montagna, invece, il tema può far
spostare verso l'astensione o lo scarso impegno elettorale non pochi
simpatizzanti leghisti.
Così, anche se dal vertice di Trento, necessario a Fugatti per
consacrarsi quale esponente politico di riferimento sul tema lupi e
orsi (non senza qualche merito accumulato nella passata legislatura
provinciale), non è uscito gran che di concreto , esso è valso in
termini propagandistici ad accreditare in modo un po' surrettizio una posizione
intransigente e dura alle regioni: "Le regioni vogliono sparare ai
lupi".
Questi messaggi possono ottenere l'effetto di temporaneo tranquillante
per le popolazioni di montagna senza peraltro allarmare troppo gli
animal-ambientalisti che non ci mettono molto a capire che, per ora, si
tratta solo di parole. Una tattica tanto per lasciar passare a 'nuttata e poi riprendere il
tran tran di prima, di ossequio alle direttive UE e delle lobby? Non è
facile rispondere.
I dubbi restano. A conferma di una scarsa decisione
nell'affrontare il problema, lo stesso Fugatti ha precisato, nei giorni
successivi alla riunione inter-regionale, che "prelevare" i lupi può
significare anche "dislocarli". Pronta è arrivata l'osservazione dei
lupisti che hanno fatto (giustamente) rilevare come il lupo sia specie
molto mobile, capace di spostarsi di 50 km a notte.
In più le Alpi vedono ovunque popolazioni più o meno dense di lupi.
Dove vorrebbe mandarli Fugatti? Non avrebbe neppure senso una grande
area recintata (a meno di affrontare spese faraoniche e di realizzarla
di inaudite dimensioni) perché, di centri con lupi in cattività, ce ne
sono a decine in Italia, anche in Trentino e chi proprio vuole vedere i
lupi non ha che l'imbarazzo della sceltra tra i vari zoo all'aperto.
Non serve dal punto di vista conservazionistico, né educativo, né di
niente. Solo per "venire incontro" alla sensibilità animalista. La pur
discutibile "prigione per orsi" della Provincia di Trento, contestada
da Fugatti quando era il capogruppo leghista a palazzo Trento è più
plausibile di un "giardino dei lupi". Perché? Perché l'orso è animale
solitario dal carattere molto individuale. Chiudere in un recinto
l'orso pericoloso può avere un senso (anche se lo condanna alla
cattività è meno consona con il rispetto del benessere dell'animale che
una fucilata), chiudere i lupi "discoli" no. Perché sono animali
sociali, relativamente intercambiabili nel branco e il comportamento è
più caratteristico del branco che del singolo (che ha una sua posizione
sociale rigida). Con la sua proposta sulle catture, Fugatti ha solo
dimostrato di non essere abbastanza deciso (il suo predecessore, Rossi,
non si è sottratto alla responsabilità di sparare l'orsa pericolosa). Dal punto di vista giuridico
la cattura richiede, come lo sparo, l'attivazione delle deroga alla
direttiva comunitaria e l'autorizzazione dell'ISPRA. Non è una strada
più facile. La si può affrontare solo senza tentennamenti... e
cambiando i burocrati. La
conferma di Romano Masé e di Claudio Groff, responsabili,
rispettivamente della forestale trentina e dell'ufficio grandi
carnivori della PAT, entusiasti sostenitori del progetto Life Ursus,
tanto contestato dal Fugatti oppositore, avvalora i timori di una
deriva democristiana. Molto "democristiana" appare la stessa
proposta dei "dislocamenti".
Alla fine, tra politiche prudenti e sin ossequiose per le
organizzazioni imprenditoriali (grande impresa), mantenimento
dell'alleanza con Forza Italia e una distanza sempre più evidente con
il salvinismo, il leghismo delle regioni (come istituzioni) del Nord ha
un tasso di polulismo piuttosto basso, più basso di Salvini e,
soprattutto, degli elettori. Ecco perché qualche proclama anti-lupo non
guasta.
Sbagliato chiedere il
Piano lupo. Esso era un abile escamotage per avallare una politica
ancora più lupista
Le regioni alpine non mostrano idee molto chiare neppure quando fanno
riferimento al Piano Lupo. Se, come proclamano, hanno intenzione di
tutelare le attività economiche della montagna (allevamento e turismo
in primis), e la sicurezza degli abitanti, il Piano Lupo va smantellato
da capo a fondo e reimpostato da zero.
Non ci voleva molto a capire che il Piano, scritto dall'Unione
zoologica italiana, ovvero dal lupismo "centrista" mainstream di
Boitani, in realtà era abilmente elaborato per far si che il prelievo
restasse solo sulla carta mentre, sul piatto della bilancia pro lupo,
si aggiungevano una serie di misure di controllo del territorio
(sino a prospettare l'istituzione di Autorità
di gestione del lupo) e di vera e propria polizia. L'insistenza
contro il bracconaggio è un vero e proprio alibi inaccettabile. In
Italia non esiste il bracconaggio (caccia illegale per fini
commerciali) ma l'autodifesa di allevatori, pastori (e solo in minor
misura di cacciatori). Va ricordato che, non siamo concettualmente
molto lontani, in Africa, al grido di "dagli al bracconiere" vengono
sistematicamente uccisi e torturati, dalle guardie "ecologiche",
cacciatori- raccoglitori tribali che cacciano per sopravvivere (spesso
con arco e armi rudimentalli). Ciò per salvaguardare la fauna per
il business dell'ecoturismo (comun que un disturbo) e della classica
caccia grossa (i bianchi possono uccidere, in modo ovviamente
sostenibile e benedetto dal WWF e dalle altre organizazioni quella
fauna africana a rischio che viene difesa anche applicando la pena di
morte senza processo a poveri disgraziati).
Il Piano lupo prevedeva oltre alla militarizzazione del territorio con
la scusa del bracconaggio (lezione dei parchi neocolonialisti
africani), sanzioni contro i pastori e allevatori che non si sarebbero
attenuti alle prescrizioni dei lupisti in materia di pascolamento,
imponeva greggi più piccole e più custodi (pagati da chi?) oltre,
ovviamente ai cani da guardiania e alle recinzioni. Condizioni
incompatibili con la realtà morfologica di numerose valli alpine,
pensate apposta per costringere allevatori e pastori a gettare la
spugna (qui
i nostri commenti al Piano lupo).
Il fatto aberrante è che il Piano lupo è stato bocciato in sede di
conferenza Stato-Regioni non perché contro i pastori, gli allevatori,
gli abitanti della montagna e delle aree interne sempre più alle prese
con la presenza del lupo, ma perché troppo "anti-lupo". Le
organizzazioni animal-ambientaliste, infatti, non ragionando in termini
strategici come Boitani e il partito del lupo centrista, ma solo in
termini di vantaggi immediati procurati dalla propaganda demagogica,
hanno visto una minaccia alla sola previsione teorica degli
abbattimenti.
Facendo leva su un pubblico poco informato e condizionato dai (loro)
messaggi emotivi, incapace di cogliere il sottile gioco di Boitani, gli
animal-ambientalisti hanno scatenato tutti i loro canali per creare un
fuoco di sbarramento contro l'astuto Piano lupo. E ci sono riusciti.
L'aspetto paradossale è che solo due componenti la conferenza non si
sono piegate al ricatto della propaganda animal-ambientalista: la
Provincia autonoma di Bolzano e la Regione Toscana. Piemonte, Liguria,
Lombardia, Veneto, Friulio VG, Provincia autonoma di Trento si sono
schierate con il becerume animalista per pura vigliaccheria, per paura
di perdere qualche voto. Non sono passati molti anni: succedeva
esattamente due anni fa, nel febbraio 2017 (qui il nostro
commento) le regioni, rimangiandosi la posizione precedente,
bloccavano il nuovo Piano lupo (quello vecchio era scaduto nel 2015!!).
In questo modo hanno assegnato agli animalisti un potere di veto (come
accade con la legge sulla caccia che, vecchia di vent'anni, non si
riesce a cambiare).
Ora vedremo come le Regioni reagiscono al Piano lupo targato Costa, un piano tutto all'insegna della "convivenza" (coatta).
Quando il vento ha
cominciato a girare
Successivamente
al vergognoso allioneamento delle regioni (di ogni colore) vi sono
stati dei riposizionamenti. La Regione Veneto
ha cambiato idea dopo la terribile estate 2017 con le stragi senza fine
di animali in malga e gli allevatori che assistevano impotenti alla
mattanza. In realtà il lupo era presente sulla montagna venete, in
Lessinia, già dal 2012. Ma solo quando sono state coinvolte altre
realtà e provincie (Asiago, bellunese) la politica si è accorta. E si è
accorta perché, come a Bolzano, in queste zone c'è una economia
zoocasearia forte e piuttosto intensiva che impronta la vita locale.
Fosse stata una realtà solo pastorale il lupo poteva andare
avanti tranquillo. In questo contesto socio-economico si
sono mossi i sindaci e la questione lupo con le "soluzioni" come
i recinti da 1,4 m proposti da Wolf Alp e dalla Regione, sono stati
oggetto di pubbliche discussioni (e contestazioni). Non solo, ma comuni
e allevatori nel 2018 si sono autotassati per lanciare un
contro-progetto (poi sfumato per l'entrata in scena della Coldiretti)
affidato non già a un esperto lupista ma "antilupista".
In questo contesto, caratterizzato da moltissime predazioni subite ma
anche da attivismo politico sia a livello di territori che di regione
(quest'ultima in modo confuso), la posizione dell'animalista
democristan-leghista Zaia è diventata insostenibile e vari
assessori leghisti hanno imposto il dietro-front, ovvero hanno
rinnegato la precedente capitolazione alla demagogia animalista. Così,
prima della scadenza, il Veneto - a proposito di propaganda - si
è (del tutto virtualmente perché i fondi ormai andavano utilizzati e
rendicontati) "sfilato" da WolfAlp
I e ha rinnegato la precedente rinnegazione del piano lupo. Doppio
salto mortale politico carpiato. Chapeau. Il Consiglio
regionale ha anche provveduto a votare una legge per la gestione
autonoma. A prescindere della natura politica dell'atto (stante
l'assetto di competenze) va segnalata la dissociazione dal medesimo del "doge"
che continua a non rinunciare al suo animalismo.
In Liguria e Friuli la posizione è cambiata a seguito del cambiamento
di maggioranza politica (sconfitta centro-sinistra), in Lombardia la
nuova giunta (di stesso colore di prima) si è allineata alla posizione
delle altre regioni a guida Lega quando Fugatti (ottobre 2018) è diventato
presidente della PAT (anche grazie all'uscita di scena di alcuni
esponenti leghisti animal-ambientalisti).
Alla
riunione del 29 a Trento la regione Piemonte non era presente. Ha, però
inviato un documento di assenso. Altro capolavoro di cerchiobottismo.
Un modo ambiguo
per "coprire" il percorso poco limpido e poco onorevole di una regione
che, prima tra tutte, aveva chiesto, sin dal 2009, al ministero
dell'ambiente di poter procedere all'abbattimento selettivo dei lupi
(dove più gravi erano gli attacchi predatori) e che poi si era schierata
capofila delle regioni animaliste pro lupo.
Regione Piemonte: il
capolavoro della vergogna. Una regione che smentisce sé stessa per
inginocchiarsi all'animalismo e alla lobby (Parco Alpi marittime e
dintorni)
Nel giro di pochi mesi l'assessore all'agricoltura (Taricco, del Pd),
dopo aver inoltrato la richiesta di autorizzazione agli abbattimenti e
sostenuto di essere personalmente favorevole alla caccia al lupo,
doveva ripiegare (inizio 2010) a più miti consigli a fronte dei
dinieghi romani e della stessa scarsa decisione nel sostenere le
proprie ragioni contro le pretestuose argomentazioni ministeriali.
Così si trovò a
dichiarare : in teoria si può
sparare al lupo, ma in pratica no. Stana teoria del diritto, ma
poi se lo fanno in Francia! L'assessore spiegava che era
impossibile intervenire per via della protezione assoluta di cui gode il lupo.
Bugia clamorosa. Quando la maggioranza di sinistra venne sconfitta dal
centro-destra, l'assessore leghista Sacchetto proseguì l'azione verso
il ministero per ottenere di poter abbattere i lupi. Le risposte
furono sconcertanti: non è possibile
perché non sappiamo quanti lupi ci sono in Italia e quanti sono
uccisi dai bracconieri [...] non
è possibile perché urterebbe la sensibilità animalista del pubblico.
Invece il destino di famiglie e di aziende che vivono in montaga di
allevamento si può non solo "urtare" ma "disfare" a piacimento.
Non sono, ovviamente. le "motivazioni scientifiche" che ci si potrebbe
aspettare dall'Ispra, ma andò così. E, anche in questo caso, la Regione
Piemonte non fece opposizione a un diniego che non aveva fondamento.
Come puà un Ispra, un comitato di esperti, un Ministero sostenere dopo
anni e anni di progetti sul lupo di non conoscere la consistenza della
specie? (su
tutta questa vicenda vedi qui). Eravamo nel 2011. Sacchetto ebbe anche
il merito di non rifinanziare il Progetto lupo e di avviare, invece, il
Progetto ProPast che con limitate risorse cercò di andare nel senso
opposto ai progetti lupisti: ascolto delle comunità coinvolte (in
alcuni piccoli municipi ci dicevano che non si erano mai viste riunioni
così affollate vedi qui),
ascolto dei pastori, valutazione sul campo dell'impatto del lupo.
Parecchie interviste a pastori realizzate in alpeggio con mezzi
rudimentali e caricate su you tube sono state visualizzate decine di
migliaia di volte (vedi un
esempio). Moltissime persone hanno potuto ascoltare dal vivo,
grazie a ProPast, come la storiella dei "miracolosi" cagnoni e recinti,
sia una mistificazione, un abile mezzo dei lupisti per mettere in
ginocchio i pastori (se non adotti non di indennizziamo gli animali
sbranati, se adotti devi tribolare molto di più e pensi di mollare).
Nel 2013 la giunta regionale di centro-destra, ormai in crisi, approvò
la presentazione del famigerato progetto WolfAlp che è coinciso con
l'esplosione del lupo nelle Alpi orientali (responsabili della malefatta Sacchetto,
Casoni, Valmaggia).
Nel 2014 si insedia Chiamparino che, da uomo forte, legato ai poteri
forti (specie bancari) avocò a sè la questione lupo "sollevandone" la
responsabilità agli assessori all'agricoltura, aree protette e montagna. Il suo
ragionamento era chiaro: chi ce lo fa fare di perdere consensi urbani
per quattro sfigati che vivono in valli ormai spopolate: il lupo è
politically correct e da bravi sinistri progressisti organici al
capitalismo neoliberale ci conviene stare con gli ambientalisti da
salotto.
Dopo la nomina dell'Appendino a sindaco di Torino, dopo la
formazione, nel maggio 2018, del governo popolare e - soprattutto -
dopo il mantenimento da parte di esso di un largo consenso (nonostante
difficili prove), non sfugge più a nessuno che lo strato sociale
privilegiato "liberal", connesso all'elite euroglobalista, sia
quanto mai esiguo e che - ciò che più conta - abbia perso la
capacità di manipolazione degli strati popolari e di esercitare
- almeno temporaneamente - influenza egemonica (lo si nota
dall'inefficacia del quotidiano fuoco di artiglieria mediatica dei
giornaloni contro il governo popolare). Così il ragionamento sul
lupo che "rende"
in termini di consenso elettorale forse non fila più molto. Il
pensionato a
1000 e sotto, il disoccupato, la partita iva di necessità, il precario,
in un contesto di radicalizzazione sociale e di totale scetticismo
verso le elite e gli esperti intelligentoni, si
identificheranno più facilmente con il piccolo allevatore di montagna
piuttosto che con il tecnoburocrate dei parchi, il funzionario ben
pagato delle Ong, il residuo ceto medio che consuma riviste naturaliste
patinate e viaggi nei parchi.
Nel 2017 Chiamparino ha guidato lo schieramento delle regioni
"cagasotto" (girone dantesco degli ignavi) che si sono rimangiate dalla sera alla mattina la
precedente approvazione del progetto lupo. Come si vede la questione di
schieramenti convenzionali c'entra poco (la Toscana, dove il Pd è
saldamente - ancora per poco, però - al comando è invece l'alfiere del
controllo dei lupi).
Le cose hanno preso una piega diversa da quando il lupo ha iniziato a
picchiare duro nella montagna veneta e a far presenza anche in Südtirol
Nelle valli del Piemonte sud-occidentale il lupo
rappresenta il colpo di grazia che si innesta su un secolo di calo
demografico, divenuto impetuoso tra gli anni '50 e '70 con la
deportazione, non forzata ma quasi, di intere borgate alpine verso la pianura,
verso il lavoro di fabbrica alla Fiat o alla Michelin (cfr le testimonianze raccolte da Nuto Revelli ne Il mondo dei vinti).
Le visioni del
sangue di animali domestici e selvatici sulla neve e sull'asfalto, gli
ululati nella notte, i cani sbranati nelle cucce, aggiungono
desolazione a desolazione. Se ci sono
ancora energie morali e umane da giocare prevale la rabbia contro chi a
Torino, in comodi uffici o salotto riscaldati in inverno e condizionati
in estate "tifa" per il lupo, contro i burocrati ma anche le semplici
guardeie dei parchi che corrono dietro ai lupi invece di lavorare.
Rabbia. Ma non si sa cosa fare: portare gli animali sbranati in centro
a Cuneo, appendere i lupi nelle piazze come in Toscana? Gli
intelligenti, i benpensanti, i nuovi parrucconi progressisti
(laici ed ecclesiastici), che oggi si sentono un po' Marie Antoniette
di fronte al popolo, esorcizzano e sprezzano questi sentimento
laceranti come "rancore sociale". Dall'alto delle loro sicurezze,
garanzie, comodi e privilegi ostentano disgusto per il populismo,
mostano di avere in odio la maggior parte dei loro concittadini
riservando il loro amore ai "migranti"... e ai lupi.
Oggi, però, il rischio è che in montagna se la rabbia non si convoglia
in iniziativba politica, sia pure rudimentale, prevalga la
voglia di arrendersi. Come vogliono "loro".
I
Parchi da una parte negano che il lupo si sia diffuso per via degli
"aiuti". Dall'altra rivendicano orgogliosamente il loro ruolo nella sua
reintroduzione
La conformazione delle valli di Cuneo e di Torino non aiuta i
montanari: paesi distanti, valli lunghe e con scarsi collegamenti
intervallivi che rendono difficile anche solo organizzare qualcosa,
parlarsi. Sono difficoltà logistiche che si sommano alle lunghe ore di
lavoro nelle stalle, a mungere, a regolare gli animali, alle condizioni
delle strade. Quando pensiamo che la controparte ha modo di tenersi
facilmente in contatto in moltissime occasioni (eventi istituzionali,
gruppi scientifici, gruppi di progetto) tutti pagati dal contribuente e
tali da consentire anche un piacevole turismo , capiamo bene come anche
oggi l'ingiustizia sociale assuma forme molto concrete, plastiche: due
allevatori di due valli parallele che vogliono parlarsi tra di loro
fanno più fatica di due lupisti di sue continenti diversi che si
parlano e si incontrno. C'è una disparità di forze evidente.
Penso all'allevatore che deve abbandonare le riunioni e correre a casa
a mungere, guidando nella nebbia, attento alle strade ghiacciate
e poi al lupista con i soggiorni in albergo e i viaggi pagati in aereo e tav
per i loro continui convegni. Democrazia, giustizia sociale. Ma dove?
In questo contesto di difficoltà a contrastarne l'avanzata, il lupo
negli anni '90 ha trovato terreno fertile in Piemonte. Dicevano che era
la conseguenza "naturale" dello spopolamento, dell'abbandono, del
ritorno del bosco. Le reintroduzioni di ungulati crearono un terreno
ancora più fertile. Nonostante tutto il montanaro non si è lasciato
convincere di una reintroduzione del tutto "spontanea" e vede il lupo
come una imposizione, come l'ennesima espressione di una politica
secolare di oppressione colonialista e centralista, come l'espressione
di un gioco che non è certo win-win ("ci vinciamo tutti"), ma in cui chi è privilegiato
guadagna e chi è subalterno perde e viene ulteriormente marginalizzato.
Anche se non riesce a ribaltare l'egemonia ideologica del discorso
lupista, la resistenza popolare montanara è comunque in grado di far
filtrare attraverso le maglie dei media il suo grido di dolore, non
pietistico ma lucidamente pessimistico e accusatorio, capace di
incrinare l'idilliaco quadretto costruito dalla macchina di propaganda
dei parchi (dietro la quale ci sono le organizzazioni internazionali,
vere multinazionali del conservazionismo neoliberale).
Così il j'accuse di Anna Arneodo che dalla sua contrada Marchion di
Sacto Lucio di Combouscuro (a sua volta frazione di Monterosso Grana)
dove abitano solo lei, i famigliari e le sue pecore - orgogliosamente ospitato da questo sito - ha bucato il web con 70 mila
visualizzazioni e 19 mila condivisioni su facebook (vai
a vedere), tanto da muovere inviati di Repubblica e il Corrierone a
intervistare la pastora.
Tutt'altro panorama nelle Alpi orientali. Se la Regione Piemonte
brillava per assenza alla riunione di Trento, il Südtirol brillava per
presenza: vi erano il presidente Arno
Kompatscher, accompagnato
dall’assessore provinciale ad Agricoltura, Foreste, Turismo e
Protezione civile, Arnold Schuler, e Luigi Spagnolli, direttore Ufficio
Caccia e Pesca.
Il Südtirol è all'opposto delle valli di Cuneo: c'è crescita
demografica. Ma c'è anche in altre aree della montagna del Nord-est.
Non c'è abbandono, la zootecnia, pur con i suoi problemi, resta
attività importante che crea reddito. Si coltivano vigneti e frutteti
ma anche i prati (a Bolzano, a differenza delle altre regioni -
compreso ilò vicino Trentino - da decenni prati e pascoli non
regrediscono). Se il lupo è lka conseguenza dell'abbandono perché si
diffonde nelle Alpi orientali, anche dove il turismo e l'agricoltura
sono fiorenti? La popolazione la risposta se l'è data da sola: perché
vogliono reintrodurli. Il vecchio Piano lupo si prefigeva come
obiettivo l'espansione del lupo sulle Alpi. In modo più deciso si è
posto l'obiettivo Wolf Alp. Perché si offendono tanto i lupisti se si
dice che i lupi li hanno voluti? L'hanno sempre scritto sui loro
documenti: va perseguita
l'espansione del lupo su tutte le Alpi. Nessuno crede che
senza "aiuti" la colonizzazione delle Alpi (prima occidentali, poi
orientali, sarebbe stata cosi' facile. I montanari, gli allevatorti, i
sindaci dei paesi hanno preso le misure ai lupisti ai vari convegni e
leggendo i vari documenti. Hanno capito che il lupista, il
conservazionista, risponde alla morale e alla legge della natura. Si
appella alla norma positiva solo quando è favorevole alla causa
conservazionista (che poi, nella fattispecie alpina, è
reintroduzionista), altrimenti si sente superiore alla morale
comune degli untermensch, la
subumanità con la quale identifica la gente comune, i villici. Un modo
di pensare frutto della fusione del vecchio razzismo delle elite
cittadine, che qualificavano apertamente il contadino quale specie di
animale da lavoro, e del nuovo (nel senso di moderno) razzismo
malthusiano e neodarwiniano, ideologie mai rinnegate dal milieu
conservazionista. Raccontare bugie per fin di bene (per il bene del
lupo e della biodiversità) è giustificato dal fine (lo hanno ammesso
gli stessi lupisti confessando che le stime del lupo ridotto a 100
esemplari in tutta Italia erano pura menzogna). Commettere ingiustizie
sociali contro gli untermensch
è meritorio per la morale della natura. Effettuare
dei lanci illegali di lupi è meritorio per la superiore legge della
natura. Basta che ci si copra bene tra adepti alla setta del lupo.
Indipendentemente dal modo con il
quale il lupo è arrivato il danno che può fare nelle Alpi orientali
ancora caratterizzate da significative presenze zootecniche, è enorme.
In più va segnalato che in Südtirol la struttura del maso fa si che i
gruppi di animali sui pascoli alti siano piuttosto piccoli (a
differenza del sistema della malga del resto delle Alpi che ha origine
collettiva). Molti allevamenti di bovini e di ovini sono gestiti anche
in estate su base famigliare e non sempre è possibile assicurare un
controllo continuativo. In
un contesto in cui la presenza diffusa dei masi regge, la zootecnia è
forte, l'organizzazione contadina (Bauernbund) tutela - a differenza
della Coldiretti - anche i piccoli, e
si fa ascoltare dalla politica, la politica non è mai stata (almeno a
parole) ambigua sul lupo (e sull'orso) e ha sempre dichiarato
attraverso il partito di maggioranza (SVP) di essere contraria a queste
presenze.
Insieme ad altre regioni di lingua
tedesca delle Alpi orientali, la PA di
Bolzano sostiene una politica di
"zonizzazione" con regioni alpine libere da lupi. Un sogno? No se il
Parlamento europeo viene ribaltato e con esso il potere delle lobby
eurocratiche. Insieme alla Toscana, Bolzano ha sempre sostenuto -
in attesa di un cambio del quadro di riferimento normativo europeo -
l'esigenza applicazione delle deroghe che consentono, come in altri
paesi, di sparare al lupo. Ma è stato solo negli ultimi anni, con la
formazione di branchi anche delle valli altoatesine e con le proteste
rganizzate che ne sono seguite, che la politica bolzanina si è
attivata. Arnold Schuler è stato confermato
assessore grazie al lancio di una petizione no lupi (vai
a vedere) ma, da viticoltore, non ha mai mostrato un forte impegno
sul tema, tanto è vero che molti allevatori (forse sbagliando) o anche
perché poco coinvolti da Schuler , non hanno sostenuto la petizione,
convinti che fosse solo uno strumento delle conferma politica
dell'assessore. Anche a Bolzano quindi non è tutto oro quello che
luccica. Spagnolli (ufficio caccia) e il servizio forestale provinciale
sono di orientamento lupista e Schuler sinora non si è impegnato più di
tanto a contrastarli. Anche in Südtirol ai proclami che servono a
"tenere buoni" i contadini e i montanari non sempre seguono
azioni politiche efficaci. Chi ha le idee più chiare è l'eurodeputato
Herbert Dorfmann di Bressanone che da tempo sollecita azioni congiunte
a lòivello europeo per rivedere la Direttiva habitat con il suo dogma
obsoleto della "protezione assoluta" del lupo.
A Trento vi erano anche gli assessori all'agricoltura Pan del Veneto,
Zannier del Friuli e Rolfi della Lombardia. La val d'Aosta ha invece
mandato l'assessopre all'ambiente (Chatrian) e la Liguria la dirigente
delle Aree protette. Come si vede anche le regioni a guida
centro-destra non marciano in sintonia. Non può non essere valutato
positivamente che tre regioni abbiano inviato gli assessori
all'agricoltura (tutti e tre leghisti). Un bel passo avanti da quando
anche la giunta Maroni riteneva che orsi e lupi fossero "competenza dei
Parchi, dell'ambiente". E' sicuramente un passo avanti che il lupo
venga riconosciuto come problema per il mondo agricolo e che la "voce
in capitolo" non sia solo quella dei naturalisti. Rispetto a quando in
Veneto la linea la dettava l'animalista Zaia o in Lombardia i vari
Belotti e Terzi, leghisti dichiaratamente orsisti, le cose sono
cambiate, in meglio. Ma non è il caso di farsi illusioni. Se dalla
parte del partito del lupo vi sono strutture organizzate con
collegamenti istituzionali e internazionali, con ampie risorse umane e
finanziarie, dalla parte del partito della montagna c'è un interesse
diffuso senza rappresentanza, strategia. La politica ne terrà conto
solo fin quando uno spettro si
aggira per l'Europa (il populismo), che alle caste fa un po'
paura. Per il resto, se il partito che si oppone alla
colonizzazion e massiccia e capillare delle Alpi da parte dei grandi
carnivori, non saprà organizzarsi e affiderà sempre deleghe in biancop
a una politica di cui non ci si può fidare (neppure quando targata Lega
o SVP) non c'è molto da sperare. Prima o poi le Alpi, senza una
efficace resistenza ruralpopulista saranno il grande parco in mano al
conservazionismo capitalista neoliberale.
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Articoli
recenti di ruralpini sul tema del lupo
A
quando anche in Italia un Wolfsdebatte?
(14.12.18)
L'altro ieri il ministro dell'agricoltura Centinaio, davanti agli
allevatori trentini, si è rimangiato le precedenti posizioni lupiste.
Lupi, rewilding, ecotasse, "rinnovabili", sono gli aspetti della stessa
biopolitica, le nuove forme della lotta di classe (oggi elite vs
popolo) e del conflitto città-campagna incarnato dai gilet
jaunes. leggi
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I
nodi vengono al pettine: lupi sparati anche in Veneto
(29.09.18)
Oggi in Italia, in alcune situazioni , sparare ai lupi è legittima
difesa, una forma di resistenza sociale
di fronte a istituzioni - europee e statali - che non hanno il coraggio
di gestire una popolazione lupina in continua espansione leggi
tutto
La
lobby lupista censura le notizie "scomode"
(04.07.18) Negli
ultimigiorni
notizie importanti provenienti dalla Polonia e dalla Francia,
imbarazzanti per il partito del lupo, sono state ignorate dai
media italiani. E c'è il precedente della morte di Celia Hollyworth la
donna inglese sbranata dai lupi in Grecia. Quando un giornale nazionale
ne parlò... leggi
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