Sono decine di migliaia le sagre in Italia, la maggior parte non
meriterebbero questa qualifica e screditano quello che è un patrimonio
unico al mondo di cultura, valori gastronomici, socialità. Ma
quest'anno le saagre non allieteranno le migliaia di borghi e villaggi che le
organizzano, a volte da decenni, talvolta da secoli. Il
fermo imposto dalla seconda ondata del contagio può rappresentare occasione per un ripensamento. Ovvero per il
superamento di politiche demagogiche che danneggiano le manifestazioni
degne di essere qualificate bene pubblico di valenza
culturale, sociale, enogastronomica meritevole di sostegno,
agevolazioni, riconoscimento, valorizzazione. Purtroppo, nonostante un
dibattito che dura da oltre dieci anni, la politica non ha
voluto/saputo ancora dare risposte convincenti. Rimprendiamo il tema.
di Michele
Corti
(15.10.20) Sono
quelle d'autunno le sagre più belle e tradizionali. La ragione è
evidente: l'autunno è il tempo dei raccolti, della festa che celebra la
pur temporanea abbondanza, prima di un inverno che, un tempo, era più
lungo e che doveva essere affrontato con le risorse immagazzinate da
ogni famiglia conmtadina. Il nuovo vino, il nuovo olio, le
castagne,
le mele, i formaggi prodotti sui pascoli estivi, il rientro degli
animali alle stalle, la macellazione del maiale (dopo un finissaggio
con gli scarti delle castagne e con l'abbassarsi della temperatura che
facilitava la conservazione delle carni). Con questo non si vuole
sostenere che le sagre di altre stagioni siano meno belle e importanti.
In estate molte piccole sagre rappresentano l'unica fiammella di
socialità e di riattivazione di microeconomie locali di villaggi ormai
sull'orlo del completo spopolamento invernale; quando gli "oriundi"
tornano al paese e si riallacciano i tenui legami che ancora
definiscono una comunità. Però in estate vi sono anche tante
manifestazioni che sfruttano le presenze turistiche
proponendo pseudo sagre e questi eventi sono solo un'attrazione in più.
In autunno, tempo di sagre, la sagra è, spesso, il motivo di
un'escursione, di un viaggio.
Sagra
del Pradèir a Piatta (Valdisotto)
In
ogni caso quest'anno stop a tutte le feste e le sagre, dopo un'estate
caratterizzata da manifestazioni sottoposte a limiti e regole. Non si
tratta di contestare l'esigenza si evitare assembramenti però lascia
l'amaro in bocca vedere come, mentre si imponevano norme restrittive ad
eventi di genuina socializzazione rurale, non venivano controllate le
movide urbane, espressione coatta di un'esigenza di socializzazione
distorta, frutto dalla solitudine delle metropoli e dall'affermazione,
incoraggiata dal sistema culturale ed economico domninante, di un
individualismo esasperato. Ma vogliamo mettere la "socializzazione"
della movioda con quella dell'osteria (sull'osteria come istituzione
sociale totale vedi il nostro recente articolo - al tempo della prima
ondata del contagio - qui su Ruralpini)
Sagre di pregio: a che punto
siamo?
Oltre dieci
anni fa si era sviluppato un vivace dibattito sulle sagre. Nel 2010 era
stato presentato un Manifesto
della sagra autentica (vai a vedere l'articolo
di commento su Ruralpini con il testo). Frutto del lavoro di
una commissione coordinata da Davide Paolini ("il gastronauta"), di cui
- oltre ad alcuni "esperti della materia", tra i quali figuravo anch'io
- partecipò l'UNPLI (unione delle pro loco), in
rappresentanza di molti soggetti organizzatori di sagre e la
"controparte", i pubblici esercizi, (rappresentati dalla FIPE) che
denunciavano la concorrenza sleale delle pseudo sagre. Uno dei
risultati positivi di quel confronto fu che le posizioni, inizialmente
molto distanti, si avvicinarono. Tanto è vero che l'Unpli ha poi
promosso, nell'ambito degli eventi organizzati dalle pro loco, il
marchio della Sagra di
qualità. L'attribuzione del riconoscimento è
iniziata nel 2018 e, nel 2019, le Sagre "blasonate" erano 49, premiate
con una cerimonia presso il Senato. A fronte delle migliaia di sagre
che meritano di essere riconosciute tali, questa iniziativa, per quanto
importante, in quanto afferma la condivisione da parte delle pro loco
di un principio della separazione tra il grano e il loglio, appare
ancora riduttiva.
Sagra del
bitto a Gerola
Quancosa
è anche cambiato nella "cultura della sagra". Sono diventate rare le
code interminabili con il vassoio di plastica in mano, me montagne di
plastica accumulate nell'orgia dell'usa e getta. Un po' di quelle
riflessioni culturali e gastrovulturali sulla buona pratica sociale
della sagra sono filtrate. Questo sul piano della spontaneità degli
attori.
Nel frattempo,
però, le istituzioni hanno prodotto poco o nulla. Speravamo che,
cambiasse qualcosa dopo dieci anni dalle infuocate polemiche di allora
(anche i media nazionali si occuparono delle "sagre farlocche".
Purtroppo le nostre amare considerazioni sull'inflazione
delle sagre spurie sono tutt'oggi attuali (oltre all'articolo
sul Manifesto si vedano anche su Ruralpini: (23.07.2009)
Sagra
o fast food alla salamella congelata? (24.08.2010)
Pseudo
sagre sputtanate.
Diciamo subito
che, sul tema delle sagre (vere e false), ci sentiamo di spezzare una
lancia a favore della ristorazione tradizionale, che già soffre per la
concorrenza di quelle forme di somministrazioni di alimenti
industrializzate basate sui piatti precotti da riscaldare nel forno a
micro-onde. La ristorazione "artigianale", quando si propone con
serietà e onesta come "territoriale" (una qualificazione che non
dipende dalle stelle, dalla qualifica di "osteria" o trattoria o
restaurant) merita di essere tutelata dalla concorrenza insidiosa delle
pseudo sagre che confondono il consumatore con richiami di facciata
alla "tipicità". L'abuso della denominazione "sagra" è già di per sé
una trappola. Quando poi la pseudo sagra gode di sovvenzioni,
occupa spazi pubblici, sfrutta deroge e esenzioni a norme
igienico-sanitarie, assicurative, fiscali, rappresenta una concorrenza
insostenibile, specie se questi eventi si protraggono per settimane e
settimane.
La ristorazione
non è esente da "peccati". Sappiamo che, spesso, si vanta in menù
l'utilizzo di materie prime di qualità, legate a filiere tradizionali e
a km 0, ma, a sporadici acquisti dai produttori agricoli e dai
trasformatori artigianali seguono poi più consistenti e continuativi
utilizzi di prodotti della grande distribuzione, dei mercati
all'ingrosso di carni e altri prodotti. Sono fatti che, purtroppo,
abbiamo potuto constatare di persona. A volte il ristoratore è
protagonista di eventi con il convolgimento di produttori agricoli
(che, a fini promozionali cedono la materia prima pregiata a prezzi
"politici"). Poi, sfruttando l'evento mantiene in menù alcuni piatti.
Ma non si fornisce più dal produttore. Va anche detto che il produttore
agricolo non è sempre in grado di assicurare la continuità di
fornitura, la tipologia di prodotto, quel servizio che le
organizzazioni della distribuzione alimentare (comprese quelle
specifiche per la ristorazione) sono in grado di assicurare. Non c'è
quindi "malizia", in molti casi, da parte dei ristoratori che vengono
meno a certi propositi e a certe dichiarazioni sull'utilizzo di
prodottim dei contadini, allevatori locali, pastori.
Resta il fatto
che la ristorazione tradizionale, programmaticamente espressione della
cucina del territorio, è l'alleato strategico del produttore agricolo.
Per questo motivo la sagra autentica andrebbe tutelata, per il suo
ruolo di attivatore di relazioni di filiera, per la capacità di
promuovere la riscoperta o comunque la valorizzazione di quei
"giacimenti nascosti enogastronomic" di cui è (ancora) ricca l'Italia.
Cosa dice la normativa?
La regione
Lombardia è tra quelle che hanno abbozzato una normativa in materia con
alcuni articoli della l.r. 6/2010 (Testo unico del commercio) e la
D.G.R.
n° X/5519 del 2 agosto 2016 “Linee guida per la stesura dei
regolamenti comunali delle sagre (ai sensi della legge
6/2010). La prima considerazione da fare
su questo approccio normativo è che esso rimane fondamente nel quadro
del settorialismo commerciale. Finché non si riconoscerà che la sagra
attiene, oltre al settore comemrcio, a quello agricoltura e cultura, la
tutela e la valorizzazione delle sagre autentiche non sarà possibile.
Un punto positivo della normativa regionale è che prevede una
programmazione e calendarizzazione delle sagre (con tanto di calendario
regionale). Si tratta di un primo passo per mettere ordine nel caos
dell'inflazione e sovrapposizione degli eventi.
Vediamo cosa
dice la normativa regionale:
Sono
considerate "sagre" le
manifestazioni temporanee comunque denominate, finalizzate
alla:
a. promozione
artistica, architettonica, paesaggistica ed ambientale
del
territorio
b. promozione
delle proprie risorse e/o eccellenze economico/produttive
c.
incentivazione della socialità e della aggregazione comunitaria,
intese
come espressione della cultura, della tradizione e della storia della
comunità locale
in cui sia presente l’attività di somministrazione di alimenti e
bevande in via
temporanea, accessoria e non esclusiva, anche a titolo gratuito,
effettuate su
suolo pubblico o suolo privato aperto al pubblico.
Commento: La "sagra"
così definita non è finalizzata alla valorizzazione della tradizione
agroalimentare ma, genericamente, alla promozione delle risorse del
territorio. Vincolante è solo la somministrazione di alimenti e
bevande. Detto così qualsiasi alimento anche industriale, anche quelli
del tutto estranei alla tradizione e alla cultura alimentare locali. In
più si chiede solo alla "sagra" di non essere permanente in quanto la
"temporaneità" può corrispondere a mesi. Qui notiamo che nei
regolamenti comunali alcune amministrazioni hanno introdotto, di loro
iniziativa, vincoli restrittivi (5 giorni al massimo)
Osserviamo
anche che nella
sagra autentica i requisiti b) (promozione risorse/eccelelnze economico
produttive) e c) (socialità e valorizzazione tradizione e cultura
locali) sono sempre presenti, spesso anche il punto a) (specie quando
si opera in centri e contesti storici). Stabilire che i requisiti
previsti possano essere un optional equivale a non riconoscere e
differenziare le sagre autentiche.
La Delibera
regionale che stabilisce che i comuni si dotino di regolamenti sulle
sagre dimostra di recepire in qualche modo i contenuti del dibattito
sulla "sagra autentica". Essi, però, hanno il solo scopo di stabilire
un diritto di priorità per le sagre che posseggono certi requisiti
qualora le richieste si sovrappongano (la sagra farlocca può comunque
essere svolta in periodo diverso). Non è molto.
In caso di
richieste di due o più sagre che si sovrappongono in
relazione ai periodi ed alle aree, la
Giunta Comunale provvederà ad accogliere le richieste attenendosi, nel
seguente ordine prioritario,
ai sotto elencati criteri:
a) finalità
primaria di valorizzazione del territorio, del turismo, dei
prodotti enogastronomici tipici (i
prodotti alimentari venduti e/o somministrati dovranno provenire in
prevalenza dall’elenco dei
prodotti agroalimentari tradizionali regionali lombardi o comunque
classificati e riconosciuti come
DOP, IGP, DOC, DOCG e IGT), della cultura e dell’artigianato
locale
b)
forte connotazione tradizionale dell’evento che giustifica la sagra
(celebrazione religiosa, festa
patronale, commemorazione di un evento importante per la
comunità);
d)
grado di coinvolgimento degli operatori commerciali locali;
e)
ordine cronologico di presentazione dell’istanza.
Commento. Tra i
criteri di "qualità" la connotazione tradizionale non è legata ad
alcuna attività culturale, tradizionale, rituale (e resta
quindi un richiamo formale). Lo stesso prodotto agroalimantare
qualificate è semplicemente "tipico". E' sagra autentica quella
organizzata nel basso lodigiano con Pizzoccheri della Valtellina IGP
(realizzati con materie prime estere e con grano duro a prevalente
sostituzione del grano saraceno)? La Sagra è per tradizione
l'espressione della specificità locale. Un prodotto può anche essere
comune a più comuni della stessa provincia, persino a aree di diverse
provincie ma se localmente è estraneo alla cultura alimentare può
essere Dop o Pat fin che si vuole ma resta estraneo.
Le linee guida regionali prevedono anche il coinvolgimento degli
operatori "in sede fissa e ambulanti":
Durante lo
svolgimento delle sagre, compatibilmente con le esigenze di
tutela
dell’ordine pubblico, il comune può concedere agli esercizi di vicinato
e ai pubblici esercizi
di vendere e somministrare i propri prodotti sull’area pubblica
antistante l’esercizio
commerciale o su quella adiacente la sagra.
Commento: La
norma è positiva ma il "coinvogimento" dovrebbe riguardare anche la
ristorazione. Uno dei criteri qualificanti dovrebbe essere indicato
nella collaborazione di filiera, premiando le sagre che, oltre che in
piazza coinvolgono ristoranti e trattorie con menù a tema e/o prevedono
spazi per la ristorazione dove effettuare dimostrazioni (show cooking)
e alternarsi alla preparazione di alcuni piatti nello spirito di
integrazione della sagra (possono essere più di una durante
l'anno) entro una complessiva proposta di turismo
enogastronomico. Va da sé che anche i produttori agricoli, con propri
spazi privilegiati, debbano avere la possibilità di essere presenti
nell'ambito dello spazio occupato dalla sagra, di vendere i
propri prodotti. Un altro aspetto qualificante la sagra, in tema di
coinvolgimento di altri soggetti dovrebbe riguardare la realizzazione
di eventi "diffusi" che, con diversi ruoli e funzioni (anche di
somministrazione di alimenti e bevande) coinvolgano, oltre agli
esercizi pubblici, spazi privati, luoghi di produzione agroalimentare
(cantine ma non solo).
Patole
di Esino Lario. La sfoglia è preparata con patata bianca locale. Sono
protagoniste della Sagra Tartifolfest
Altre norme
Alcuni comuni in assenza di indicazioni da parte delle Linee guida
regionali hanno inserito altre norme. Con riguardo agli organizzatori
della sagra si conpemplano in alcuni casi di tutti e di più: partiti,
sindacati, organizzazioni religiose, sportive, imprenditori privati. Da
questo punto di vista, specie al fine di impedire attività speculative
(come quelle di imprese "specializzate in sagre" che propongono lo
stesso format in tutta Italia), si dovrebbe mettere ordine. Solo
soggetti senza scopo di lucro che prevedono nelle proprie finalità
sociali la realizzazione di eventi culturali, gastronomici,
tradizionali devono poter organizzare le sagre. La condizione più
favorevole si raggiunge quando la Sagra è organizzata da più
associazioni locali e il comitato organizzatore comprende pro loco,
alpini, associazioni culturali, associazioni di assistenza e
volontariato, produttori agricoli, pubblici esercizi. Vuoi in modo
formale (con rappresentanti delle diverse aggregazioni e categorie),
vuoi - di fatto - attraverso una partecipazione trasversale che vede
volontari appartenenti a queste diverse realtà operare fianco a fianco.
L'effetto aggregante della Sagra autentica non potrà mai essere
sopravvalutata, essa è un potente fattore di riproduzione del capitale
sociale (bonding ma non solo). Lavorando alla Sagra (quando questa ha
alla base dei valori ed è percepità, ciù o meno consapevolmente, come
una produzione di beni comuni, si creano rapporti di fiducia, stima,
gratificazione del lavorare insieme, amicizia che - nel resto dell'anno
- restano come fattore di "salute sociale" di una comunità.
La Sagra come fattore di
costruzione del legame comunitario e di capitale sociale
da "Comunità
vive. Costano" Ruralpini 02/03/2012
[Costano,
un comune dell'Umbria di poco più di mille abitanti è] una
comunità
altamente strutturata in cui molte persone e intere famiglie
partecipano a una pluralità di iniziative creando una densa trama di
relazioni e facendo della comunità qualcosa di veramente degno di
questo nome, un organismo vivo non la somma di individui e famiglie che
condividono spazi e servizi ma nulla più. Alla forte realtà di
associazioni fa riscontro un altro elemento: il senso di appartenenza e
di orgoglio. Se non vi fosse quest'ultimo "motore" probavilmente la
vita associativa e il legame comunitario non sarebbero così forti. Il
senso di appartenenza è mantenuto vivo da diverse tradizioni tra le
quali quella che spicca è la lavorazione della porchetta. I membri del
comitato sono i primi a riconoscere che la fama di Costano e l'orgoglio
locale sono alimentati in misura significativa da questo emblema
gastronomico-territoriale che risale al XVI secolo (almeno per quanto
riguarda la documentazione scritta). La Sagra della porchetta
attira
moltissimi appassionati e alimenta la fama di Costano. È arrivata alla
quarantesima edizione qualificandola come sagra tradizionale (www.sagradellaporchettadicostano).
[...] La Sagra a Costano è organizzata dal Gruppo giovanile ma
coinvolge molti costanesi che dedicano sino a dieci giorni di
lavoro
volontario per il buon esito dell'evento. Con il ricavato vengono
finanziate moltissime attività sociali, culturali, assistenziali tanto
che la Sagra - specie in tempi di magra di finanza pubblica - si
configura come una istituzione comunitaria parallela al comune. Il
gruppo giovanile, collaudato, dalla organizzaizone della Sagra si è
mosso immediatamente appena si è profilata la minaccia della nuova
centrale [a biogas]. Giovani, membri della banda (altra istituzione
comunitaria molto sentita), famigliari e amici hannno costituito un
gruppo affiatato e ben organizzato. In poco tempo sono state raccolte
numerose firme (più della metà degli abitanti), ci si è informati sugli
aspetti tecnici e legali, si sono inziati incontri con le autorità. I
costanesi sono già andati dal vescovo, dal presidente della provincia e
agiorni si recheranno anche da quello della regione.
Per tutti gli altri soggetti che intendono organizzare eventi festivi
c'è sempre la possibilità di organizzare la Festa di strada o
altro genere di eventi che andrebbero tenuti distini dalla
Sagra. La Festa di strada ha prevalente finalità di socialità
e intrattenimento e, per queste ragioni, può accedere a facilitazioni e
sostegno pubblico. la Sagra è però qualcosa di più e di diverso. La
Festa di strada può anche essere Festa della birra industriale, dei
funghi di importazione e della salamella congelata con
contorno di balli sudamericani. La Sagra no.
Conclusione
La Sagra autentica è una risorsa preziosa. Per le piccole comunità
minacciate dallo spopolamento è occasione per tenere in vita legami
sociali, motivazioni per proseguire attività e strutture associative
senza le quali i paesi si ridurebbero a dormitori per poi morire. Per i
piccoli produttori agricoli e artigianali rappresenta una "domanda
aggregata" spesso capace di giustificare il mantenimento in attività.
Per la ristorazione locale (e il settore ospitalità) è occasione per
far conoscere a potenziali turisti prodotti e piatti che caratterizzano
una località e un territorio e possono motivare un'escursione fuori
porta o persino un viaggio. La Sagra autentica è occasione non solo di
generica socializzazione ma di creazione, mantenimento, rafforzamento
di legame sociale, senso di appartenenza a un luogo e alla sua a una
comunità viva che non sia l'aggregazione di individualismi e l'abitare
casualmente entro un certo raggio. La sagra è
occasione per richiamare le memorie locali, per rivisitare tradizioni
che, dentro il contesto dinamico della Sagra, hanno la possibilità di
riattualizzarsi. Nel clima della Sagra vi è lo stimolo, senza cadere
nel folklore deleterio, di sfoggiare abiti tradizionali, musiche
tradizionali. Tutto quello è attiene alla specificità culturale del
luogo conferisce credibilità alla Sagra ed è vissuto in modo spontaneo
e con orgoglio. La Sagra richiede rigore e impegno ma restituisce molti
doni a una comunità.
Il percorso per il riconoscimento della Sagra non può non pervenire a
una definizione normativa che, in modo molto più coraggioso di quanto
sin qu avvenuto, consenta solo a manifestazioni con determinati
requisiti di fregiarsi del titolo di Sagra. Se non si vuole togliere a
eventi organizzati da lungo tempo, ma che hanno perduto il carattere di
sagra autentica, la loro denominazione consolidata, si deve optare per
distinguere la Sagra tradizionale ta Sagre generiche e Feste di vario
tipo. Nell'ambito di queste ultime, gli eventi di pregio, ma che non
hanno il connotato della Sagra (ovvero la focalizzazione sull'aspetto
agroalimentare/gastronomico) devono poter fregiarsi della denominazione
di Festa tradizionale (rievocativa, legata ai riti agrari, religiosa).
Tenendo conto delle resistenze demagogiche, i soggetti che hanno a
cuore la tutela, valorizzazione, riconoscimento delle Sagre e Feste
tradizionali devono, di necessità, dar vita a una rete della tradizione
rurale. Un modo non solo per dare rappresentanza a un ambito senza voce
ma anche per supportare con iniziative, risorse e servizi comuni (senza
minimamente compromettere la spontaneità e autonomia delle singole
realtà), sostenendo le realtà più fragili (che rischiano di soccombere a fronte dei
crescenti adempimenti burocratici) e che, in positivo, possono essere
supportate a stabilire relazioni utili, ricevere forme di consulenza su
aspetti tecnici e culturali.