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Fauna
selvatica danni
Cacciatori
scioperano, appoggiati dai contadini
Intanto
oggi a Brescia su denuncia della Lav - animalisti - sono stati inviati
a giudizio gli ex vertici della provincia di Brescia, della polizia
provinciale e dell'Ambito territoriale di caccia, per aver eseguito,
nel 2017, piani di abbattimento con l'ausilio dei selecontrollori
(cacciatori appositamente formati) applicando la legge regionale.
Domani (19.06.19) incontro tra Rolfi, cacciatorie organizzazioni agricole comasche sullo sciopero dei cacciatori
di Michele Corti
(18.06.19) Succede
in val d'Intelvi e nella zona di Porlezza in provincia di Como
(Comprensorio alpino di caccia "Prealpi"). 110 cacciatori su 125 dopo
aver pagato la quota si sono rifiutati di ritirare tesserino, fascette,
bracciali. Ci mettete in croce con la burocrazia? I cinghiali sparateli
voi. I contadini sono dalla parte dei cacciatori. Esasperati per i
danni sempre meno tollerabili, auspicano una soluzione una volta per
tutte del problema.
Dobbiamo
tornare a parlare di cinghiali. Lo facciamo da oltre 10 anni e già
allora parlavano di Como, della valle Intelvi, area "caldissima". Se
dopo dieci anni siamo ancora all'emergenza vuol dire che le istituzioni
non funzionano. Che si lasciano invischiare dalla tecnoburocrazia e
subiscono l'iniziativa delle lobby animal-ambientaliste senza avere la
forza di imporre il buon senso.
In questi
giorni nella montagna comasca (CAC prealpino), dove la presenza dei
cinghiali è cresciuta all'inverosimile e i danni sono tali da indurre i
contadini a cessare l'attività, è successo un fatto se non inedito
abbastanza nuovo: uno sciopero dei cacciatori. I cacciatori protestano,
compatti come mai, per la troppa burocrazia e, dopo aver pagato la
quota (650 €) non hanno ritirato le fascette identificative per la
caccia di selezione, il tesserino e i bracciali. I contadini,
preoccupati per i mancati abbattimenti dei cinghiali, invece di inveire
contro i cacciatori solidarizzano con loro chiedono soluzioni
complessive ai problemi faunistici mettendo sotto accusa le
istituzioni. Due segnali: l'unità dei cacciatori, in luogo delle
proverbiali divisioni, individualismo e concorrenzialità e la
solidarietà dei contadini che indicano come, di fronte all'aggravarsi
dei problemi e all'accanimento della tecnoburocrazia (con la politica
incapace di contrastarla), le categorie rurali sono in grado finalmente
di prendere coscienza del problemi, di andare oltre l'interesse
immediato, di farsi sentire, Il 20 (anticipata poi al 19, domani) riunione in regione Lombardia con
l'assessore Rolfi, che deve correre ai ripari.
Le istituzioni non sono in grado di fronteggiare le spinte animal-
ambientaliste che convergono, col pretesto della protezione degli
animali a qualunque prezzo, in una strategia finalizzata a rendere il problema faunistico
incontrollabile e i territori di montagna e interni invivibili.
Cinghiali, cervidi, lupi (in altri contesti nutrie, cornacchie grigie,
cormorani) rappresentano un esercito telecomandato e accuratamente
protetto che "lavora" per rendere impossibili le attività tradizionali
e poi, cingendo sempre più d'assedio i centri abitati, anche le
condizioni di residenza. La pressione è esercitata attraverso i danni
all'agricoltura, gli incidenti stradali (che ora diventano frequenti
anche pianura, persino sulle autostrade). Non mancano le prime
avvisaglie dei pericoli per la sicurezza stessa delle persone che hanno
già ridotto la frequentazione di determinate aree (dove si recavano per
raccoglierte legna, funghi, piccoli frutti).
I cinghiali entrano nei giardini, negli annessi delle abitazioni (presto lo faranno anche i lupi che ,in
altre regioni, sbranano impunemente i cani a guardia delle abitazioni). I bambini non possono giocare
all'aperto, non è più possibile pranzare su una terrazza all'aperto
perché c'è il rischio che piombi un cinghiale (è successo qualche
giorno fa a Grandola, nella montagna comasca, e il cane che era lì è
stato ucciso).
Gli animal-ambientalisti inseguono il mito pericoloso, mistificatorio e
strumentale, del ritorno alla "natura selvaggia" (rewilding), di un
magico "riequilibrio" degli ecosistemi, solo che l'uomo (unica specie
nociva) si tolga di mezzo. L'uomo contadino, pastore, boscaiolo,
cacciatore, pescatore, si intende, non l'uomo in generale, non il
tecnocrate. Il rewilding è pretesto per l'esproprio definitivo del
contadino indipendente, padrone a casa sua, per l'esproprio definitivo
di beni comunali e degli usi civici, per la cancellazione di comunità
con un minimo di autonomia e di un territorio del quale possono ancora
vagamente sentirsi titolari. È un pretesto per il controllo del
territorio da parte dei grandi interessi del capitalismo predatorio,
del capitalismo assoluto, che vuole ai piedi dell'oligarchia
finanziaria solo una plebe totalmente sradicata e disgregata,
completamente dipendente, senza alcuna possibilità di accesso ai mezzi
per procurarsi il cibo e per produrre alcunché da sé.
La legge nazionale 157/92 è stata
approvata in un'altra era geologica, quando si avvertivano ancora le
conseguenze del boom della caccia di massa degli anni '60 e '70, ma
anche quando il territorio era ancora presidiato. In cerca di
legittimazione la caccia, per molto tempo sotto minaccia di referendum
abrogativo, ha dovuto fare una serie innumerevoli di concessioni
all'ambientalismo ideologico.
La limitazione delle forme di caccia, la "fissazione" del cacciatore a
un territorio e a una forma di specializzazione esclusiva, i limiti di
ogni tipo introdotti dalla 157, l'espansione delle aree protette (dove
le caccia è bandita senza alcuna motivazione ecologica), hanno
determinato il crollo del numero dei cacciatori. Le licenze (ma un
quarto dei cacciatori esercita solo all'estero e in riserva e quindi
non ritira il tesserino) sono scese da 1.335 mila a 800 mila tra il
1992 e il 1997 per poi stabilizzarsi. Più che la diminuzione del numero
dei cacciatori (compensata dallo spostamento delle specializzazioni
verso la caccia agli ungulati) hanno però inciso, sull'aumento
della fauna, l'abbandono del territorio (a sua volta incentivato da
politiche anticontadine, dal crollo dei prezzi agricoli, dalla
degenerazione burocratica) e i bastoni tra le ruote frapposti dagli
animalisti e dalla corte costituzionale ai tentativi delle regioni di
adeguare la normativa alla nuova situzione caratterizzata
dall'esplosione della fauna nociva (la 157 aveva epurato questo termine
sgradito dal politically correct), dei danni all'agricoltura e degli
incidenti stradali.
Le leggi faunistiche, nonostante le modifiche, nonostante provvedimenti
ad hoc per contrastare i cinghiali non serviranno a risolvere il
problema fino a che la legge quadro (la 157) non sarà ribaltata. Oggi,
nonostante gli sforzi delle regioni, i ricorsi legali dei verdi e le
restrizioni imposte nell'applicazione dei provvedimenti dalla struttura
tecnoburocratica, fanno si che il problema cinghiali sia irrisolvibile.
Così un sindaco-agricoltore a Binago, nella pedemontana comasca, con
una ordinanza sindacale di qualche giorno fa "liberalizza" il controllo
del cinghiale, seguito subito da un collega di un comune vicino. Il WWF
diffida ma ogni azione animal-ambientalista in queste aree calde è
accolta come un incitamento a trovare da sé le soluzioni, nella solita
semiparalisi delle istituzioni.
Da qualche anno, da quando gli incidenti stradali si sono moltiplicati,
implicando anche un tributo di morti e feriti, è cresciuto un allarme
sociale e, a partire dalle zome rurali, si sta giustamente diffondendo
un aspro risentimento contro le lobby ambiental-animaliste ritenute, a
ragione, responsabili dei bastoni tra le ruote frapposti a risolutive
azioni di controllo e colpevoli di aver creato una rete di aree
protette che per molto tempo ha funzionato come "fabbrica di
cinghiali".
Imputando agli animal-ambientalisti la responsabilità della
proliferazione e dei danni della fauna nociva, non si deve dimenticare
che la responsabilità resta intestata alla struttura tecnoburocratica
dell' Ispra e delle amministrazioni centrali e regionali (e provinciali
dove sopravvivono le provincie), largamente permeata di ambientalismo
ideologico e di quella presunzione tecnocratica contrabbandata
per "gestione scientifica ecologica" che pretende di poter
controllare e gestire i fenomeni biologici e sociali a colpi di
prescrizioni tecniche, di strumenti amministrativi, piani, imposizione di metodologie presunte
scientifiche, pareri vincolanti, massiva produzione di dati di cui non si
conosce bene l'utilità.
Di fronte alla crescita della voce in capitolo della struttura
tecnoburocratica venatoria, eredità della 157 e dell'errore di
valutazione della politica e del mondo venatorio che hanno consentito
all'espertocrazia di assumere un ruolo cruciale, il mondo
animal-ambientalista, da parte sua, non ha desistito dalle azioni di
guerriglia legale.
Le
associazioni animaliste, che
ricevono per legge sostanziosi contributi pubblici, sono da sempre
impegnate in una lotta senza quartiere alle regioni che cercano di
forzare il quadro legislativo, pesantemente ingessato e ormai inadeguato e dannoso, della 157 del 1992. Ne è
derivata un'azione di deterrenza efficacissima: in parlamento tutti i
tentativi di revisione e aggiornamento della 157 (legge che mette al
primo posto anacronisticamente la protezione della fauna) sono stati
frustrati dalle efficaci pressioni del lobbysmo verde, che trova facile
gioco in una classe politica ignava, timorosa delle ben orchestrate
campagne propagandistiche animal-ambientaliste. Così le regioni, in
assenza di modifiche della legge quadro, hanno dovuto operare in un
contesto di forte esposizione ai rischi della guerriglia legale condotta a colpi
di ricordi alla Corte costituzionale e ai TAR. Ovunque possibile
gli animalisti si sono opposti con ogni cavillo ai piani di controllo,
denunciando i criteri e i metodi di attuazione. E ottenendo spesso
soddisfazione dai tribunali.
Di
particolare interesse alcuni aspetti della motivazione della sentenza
del TAR di Brescia che bocciava il piano provinciale di controllo del
cinghiale 2018. Essi sono illuminanti per capire come gli animalisti
conducano la loro guerriglia sapendo che nella magistratura trovano
spesso una sponda. Il TAR ha contrestato che il piano non indicasse
parametri precisi per valutare la soglia di "tollerabilità" del
territorio. Il che equivale a dire che in attesa di parametri
precisissimi e scientificissimi (che è vano ricercare per le variabili
in gioco) la gente deve nel frattempo andare al cimitero per le
collisioni con i cinghiale e le aziende agricole si devono veder
devastati i campi e i vigneti e compromesso il reddito. Grave che poi
la corte abbia rigettato la sussistenza di un allarme sociale. Cosa
deve succedere perché i signori giudici ammettano che l'eccessiva
numerosità del cinghiale è una piaga sociale? Forse l'immissione di
qualche esemplare nelle sede del TAR durante le sedute potrebbe aiutare
a capire.
Ha pesantemente inciso, su un aspetto chiave del controllo della fauna,
l'azione contraria all'istituzione e all'impiego dei selecontrollori.
Per far fronte alle crescenti necessità di controllo della fauna
selvatica la Regione Lombardia istituiva, nel 2002, con un
emendamento all art. 41 delle Legge Regionale 26/93 (recepimento della
157), la figura del selecontrollore come ausiliario, un volontario (con
licenza di caccia), formato, mediante appositi corsi, per operare a
supporto e sotto la direzione e la tutela delle guardie venatorie delle
provincie che ne approvavano gli elenchi degli idonei.
Nello spirito della 157 che assegna agli agenti venatori (oltre
che ai contadini, limitatamente ai loro fondi), il compito di
controllo faunistico. Lo spirito della legge era rispettato in quanto
le azioni di controllo erano attuate dagli agenti senza possibilità per
i selecontrollori di operare autonomamente. Ma gli animalisti hanno
impugnato le leggi di alcune regioni che istituivano i selecontrollori
ottendo sentenze favorevoli da parte della Corte costituzionale con il
risultato di "congelare" in tutta Italia l'attività dei selecontrollori
in attesa di una modifica legislativa a livello nazionale. La Corte,
ignorando il contesto ormai drammatico provocato dalla proliferazione
della fauna nociva, si attaccava alla lettera della legge. Ultima in
ordine di tempo la sentenza del
13 marzo 2019 con la quale
la Corte costituzionale dichiarava incostituzionale l'art 44 della
legge regionale dell'Abruzzo (n.10 del 2004) che abilitava i
selecontrollori a prendere parte al controllo faunistico. In
precedenza con sentenza del 23 maggio 2017.era
stata cassata per illegittimità analoga norma contenuta inella legge
regionale ligure n. 29 del 30.12.2015, con la motivazione che l’elenco
contenuto nell’art. 19, comma 2, della legge
n. 157 del 1992 con riguardo alle persone abilitate all’attività di
realizzazione dei piani di abbattimento della fauna selvatica è da
considerarsi tassativo: una sua integrazione da parte della legge
regionale riduce il livello minimo e uniforme di tutela dell’ambiente
imposto dalla citata norma statale. Un bel coraggio a parlare di
"livello minimo di tutela dell'ambiente" quando la sentenza favoriusce,
al contrario, la devastazione dell'ambiente da parte del cinghiale. Il
controllo faunistico, infatti, come da 157, si attua per proteggere
l'ambiente da squilibri nelle popolazioni e nell'evidenza di danni non
sostenibili e non contrastabili con "metodi ecologici". I cinghiali che
a Genova rovesciano i cassonetti dell'immondizia e devastano i giardini
pubblici sono "ambiente da tutelare". Solo l'ideologia verde... e della
Corte costituzionale può decretare questa follia.
Rinviati a giudizio per aver applicato la legge sul controllo del cinghiale
È notizia di
oggi che il gup del tribunale di Brescia ha rinviato a giudizio
l'ex presidente della Provincia di Brescia, Pierluigi Mottinelli, l'ex
comandante della Polizia Provinciale, Carlo Caromani, gli agenti
Dario Saleri e Gianluca Cominini, il funzionario dell'ex ufficio
Caccia della Provincia di Brescia Raffaele Gareri, l'ex numero uno
dell'Ambito territoriale di caccia Oscar Lombardi e i direttori
dell'Ufficio territoriale della Regione Giulio Del Monte e Alberto
Cigliati. Canta vittoria la Lav (Lega anti vivisezione), una delle
tante sigle della galassia animalista (il piatto di contributi pubblici
e donazioni è ricco e ci si ficcano in molti). La colpa degli accusati?
Aver applicato la legge (regionale). I piani contestati perché
"illegali" prevedevano infatti l'impiego dei selecontrollori, non
"cacciatori" dal grilletto facile, ma operatori volontari formati in
appositi corsi e abilitati dalla provincia a fungere da ausiliari alle
azioni di controllo. Essendo tali azioni svolte fuori dalla stagione di
caccia (la differenza tra controllo e prelievo venatorio è proprio la
sua attuazione in tempi, in orari, con metodi differenti perché
differente è lo scopo).
I suddetti vertici non hanno tenuto conto dei pareri non vincolanti dell'Ispra,
ritenendo di rispettare la legge vigente. Ed ecco che contro di loro
sono arrivate, di conseguenza e a cascata, una serie di accuse
violazioni di legge. Se
l'abbattimento non era legale ne è conseguito il reato di inquinamento
ambientale, peculato, uccisione ingiustificata di animali e
macellazione abusiva. Quattro
ipotesi di reato, per aver applicato la legge, come aveva
precedentemente riconosciuto il gip che aveva respinto le richieste di
sospensione dall'incarico di 7 dipendenti pubblici.
Il
giudice Cesare Bonamartini non aveva infatti accolto le
richieste avanzate dal pm Ambrogio Cassiani, ritenendo valida - a
differenza di quest'ultimo - la norma della legge regionale (non
cassata dalla Consulta come quella della regione Liguria).
Nell'ordinanza del giudice si precisava anche che al personale della
Provincia è inibita la disapplicazione delle norme regolamentari
adottate dal consiglio Provinciale. Questa prima sentenza
smontava come un castello di carte le richieste dell'accusa che, oggi,
invece, la procura ha ritenuto valide. Come si può chiamare se non
"terrorismo giudiziario" un'azione che mette sul banco degli imputati,
per una serie di reati, politici, funzionari e semplici esecutori che
hanno avuto la sola colpa di applicare una legge?
Lo smantellamento della polizia provinciale
Nel frapporre mille
cavilli e mille limitazioni alle attività di controllo della fauna (gli
animalisti difendono anche una specie invasiva e dannosissima come le
nutrie) i nostri eroi (che esultano quando un cacciatore muore e - se
va bene - ostentano indifferenza se un "umano criminale" muore a causa
di ncidenti stradali per collisione con selvatici) hanno trovato un
potente alleato nel ministro Graziano Del Rio (ai tempi renziano di
ferro) con la sua sciagurata legge n.56 del 7 aprile 2014 “Disposizioni
sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di
comuni”)
mobilità. Questa legge, con la solita scusa degli sprechi (chiamata in
causa a sproposito anche quando si tratta di eliminare servizi e
funzioni pubbliche utili in nome della pseudo efficienza
neoliberale) ha creato il caos in molte polizie locali. Al centro
e al sud molte sono state semplicemente abolite perché rimaste senza
personale allocato, come dalla legge Del Rio, ad altre amministrazioni.
Non si è mai sentito i verdi, che strepitano ogni giorno contro
l'accorpamento del CFS nei CC, proferire una sola parola
sull'abolizione di corpi che svolgevano funzioni indispensabili in materia di
vigilanza ambientale, forestale, ittica, venatoria. Erede dei vecchi
guardia caccia delle provincie, la polizia provinciale venatoria
contrastava il tanto vituperato bracconaggio.
La bestialità è stata in parte corretta con il decreto legge 19 giugno 2015, n.78, che
ha stabilito che una
parte degli organici della PP poteva restare in relazione alle funzioni
di cui sopra. Ma intanto gli organici sono stati ridotti in molte
provincie. La provincia di Come, che ci interessa in modo particolare
in relazione ai fatti di questi giorni, aveva messo improvvidamente in
mobilità le 29 guardie. Oggi ne sono rimaste 5. Il comandante (Marco
Testa), era stato assegnato al comune di Milano, gli altri a fare i
vigili urbani nei comuni. Che del personale specializzato in materia
faunistica, ittica, ambientale sia costretto ad andare a regolare il
traffico ai verdi (e tutti gli altri del resto) non importava nulla. La
PP non va in televisione, la sua difesa non porta voti. Oggi, in
provincia di Como, il controllo di turbe di cinghiali è affidato a 5
guardie ma, tenendo conto che devono assolvere parecchi altri compiti
istituzionali il loro impiego per il controllo della fauna è di fatto
impossibile. Così spiega lo stesso Testa da noi intervistato. Il buon
senso spingerebbe per reintrodurre i guardiacaccia volontari.
La caccia di
selezione da
appostamento fisso o temporaneo (ma anche alla cerca) consente di
effettuare un prelievo mirato in grado di consentire il raggiungimento
degli obiettivi dei piani (struttura della popolazione). A differenza
dei metodi di caccia in gruppo della braccata (con più cani), della
girata (un solo cane) e della battuta (senza cani) che non consentono a
chi spara di valutare con precisione età, genere e altre
caratteristiche dell'animale.
Selecontrollori fuori
gioco, guardie ridotte al lumicino ... togliamo di mezzo anche i
cacciatori ... e il cinghiale
trionferà
Nella realtà della montagna comasca il controllo del cinghiale è
stato di fatto affidato alla caccia di selezione (tranne nel CAC
triangolo larian,o dove sono utilizzate anche le cacce collettive, che
sono popolari anche nei comprensori prealpini delle provincie di
bergamo e brescia, per non parlare di altre regioni di storica caccia
al cinghiale). La caccia di selezione è del resto l'unica ammessa nelle
aree non idonee alla presenza del cinghiale (definite dall'attuale
regolamento regionale del prelievo venatorio della specie). Affermare
che la caccia di selezione serve a ridurre a zero l'impatto del
cinghiale evidenzia come tra caccia e controllo le differenze siano in
realtà solo formali, imposte da una normativa quadro obsoleta che
costringe le regioni a destreggiarsi tra margini strettissimi.
.
In verde le zone "idonee" alla presenza del cinghiale, non però
nei numeri attuali
In provincia di Como, anche dopo l'istituzione dei selecontrollori,
pochissimi erano peraltro quelli attivati e poche decine i capi
abbattuti attraverso le procedure di controllo. Perché? Per una
sostanziale diffidenza della tecnostruttura nei confronti dei
cacciatori o anche per equilibri interni al mondo venatorio.
Le fascinazioni
statistiche dell'Ispra
Il regolamento partorito quest'anno dalla regione Lombardia, in
applicazione alla legge 17
luglio 2017, n. 19 (Gestione faunistica-venatoria del cinghiale e
recupero degli ungUlati
feriti) sotto la pressione degli agricoltori, della crescita degli
indennizzi, ma anche di interi territori esasperati per l'eccessiva
presenza dei cinghiali, amplia la possibilità del proprietario
conduttore del fondo di attuare azioni di controllo, prevede che per i
prati in pendenza siano considerati ai fini dell'indennizzo anche i costi per il
ripristino della cotica erbosa e, soprattutto, toglie l'assurdo limite
di 55 giorni del periodo di caccia. Da segnalare anche la
valorizzazione della carne, la cui commercializzazione può essere
utilizzata per coprire le spese degli indennizzi. Novità positive
contro le quali insorgeva con toni isterici l'animalismo nostrano
arrivando a parlare di legge "ammazzatutto".
Ma il regolamento approvato a dicembre 2018 dalla regione
Lombardia (vai
a vedere) è una complessa raccolta di adempimenti e specificazioni
suggerite o dettate dall'Ispra. I cui esperti puntano ad avere sempre più voce in
capitolo, a sentirsi i
deus ex machina della realtà faunistica. La tecnocrazia cui
appartengono a pieno diritto, soffre, si dalle sue origini
napoleoniche, di gravi limiti: uno dei più gravi consiste nel voler
ridurre la realtà a modelli e a quadri statistici e, a fronte
dell'evidenza di una mancata o molto parziale corrispondenza tra le due
cose, a moltiplicare la produzione di numeri, a complicare i
regolamenti.
Già ai tempi del Regno d'Italia napoleonico, i medici lamentavano che
le richieste di compilazioni delle famigerate tabelle statistiche li
impegnavano per più tempo che quello dedicato ai malati.. Basti pensare che nella gestione
venatoria del cinghiale intervengono dieci diverse figure ufficiali
(dall'operatore abilitato ai controlli biometrici sulla preda al
conduttore e relativo cane limiere abilitato Enci) come sotto riportato:
4.1.
FIGURE FAUNISTICO-VENATORIE DI RIFERIMENTO PER LA
GESTIONE
a) Tecnico faunistico provvisto di laurea in discipline inerenti le
scienze della
natura e la gestione delle risorse naturali e/o di curriculum vitae che
dimostri una specifica competenza nella gestione degli Ungulati e, in
particolare, del cinghiale.
b) Cacciatore abilitato all’accompagnamento in prelievo selettivo agli
Ungulati (Accompagnatore).
c) Cacciatore abilitato al censimento e al prelievo selettivo degli
Ungulati
(compreso il cinghiale).
d) Conduttore di cani da traccia abilitato ENCI (conduttore e
ausiliario).
e) Operatore abilitato ai rilevamenti biometrici.
f) Operatore abilitato al controllo selettivo degli Ungulati, ai sensi
dell’articolo 41, comma 2 della L.R. 26/93.
g) Operatore abilitato al controllo (mediante cattura e/o abbattimento
selettivo) del cinghiale
(Coadiuvante ai piani di controllo) ai sensi
dell’Articolo 22, comma 6, della Legge 394/91.
h) Cacciatore abilitato a coordinare le attività legate alla caccia al
cinghiale
in forma collettiva (Caposquadra e Vice Caposquadra).
i) Cacciatore abilitato alla caccia al cinghiale in forma collettiva
(Cacciatore
di cinghiale in caccia collettiva).
j) Conduttore di cane limiere abilitato ENCI (conduttore e ausiliario).
k) Cacciatore formato, per il quale è previsto un albo presso le
diverse ATS
regionali e una formazione secondo quanto indicato della DGR
2612/2014. Tale formazione è complementare alla formazione delle figure
b), c), e), f), g), h), i).
|
Non meno complessa la
struttura dei piani di gestione e, per arrivare al singolo cacciatore
di selezione, degli adempimenti da osservare prima e dopo il prelievo.
Comp rensorioalpino di caccia "Prealpino" della provincia di Como.
Il Comprensorio alpino di
caccia "Prealpino" comprende la montagna comasca a ovest del Lario e a
Sud del Ceresio e della linea Porlezza-Menaggio
Tra gli adempimenti contestati la registrazione delle coordinate
gps del sito del prelievo. Questo adempimento, voluto dall'Ispra, sulla
carta consentirebbe di confrontare geostatisticamente la localizzazione
dei danni con quella del prelievo. Disporre di strumenti tecnologici
sofisticati e di potenti sotware Gis è una cosa, attribuire valore a
questa montagna di informazioni un'altra. Di sicuro con i dati si
possono fare dei bei giochini eleganti ma che senso ha appliacare
metodologie sofisticate quando si è in una situazione di emergenza e,
se ci fosse buon senso si cercherebbe di abbattere più cinghiali
possibile?
Sempre con riguardo al gps di fatto il cinghiale può essere prelevato
in luoghi che non corrispondono a quelli dove esso ha prodotto i danni.
Quindi la validità del dato è opinabile. Se poi, invece, si vuole
sottoporre a controllo il cacciatore allora si dica apertamente che
deve applicare lui stesso un gps e, già che ci siamo una telecamera
come i poliziotti, al fine di monitorare in continuo la sua attività di
caccia visto che lo si considera un sospettato di infrazioni. La
pricacy non lo consente, però.
Non è agevole, a parte ogni altra considerazione e polemica, per chi
non usa smart phone e le moderne tecnologie nella vita quotidiana,
adattarsi a queste procedure che penalizzano fortemente i cacciatori di
una certa età, magari i più esperti. Un altro punto contestato riguarda
la sicura erogazione di sanzioni in caso di pasturazione. Un punto
controverso perché non è sempre semplice stabilire cos'è
"pasturazione". Anche qui siamo alla commedia: non si riesce a
prelevare abbastanza capi da ridurre gli impatti e si gioca al
"purismo". I tecnici si vantano degli "stretti protocolli" ma ai
cacciatori i contadini, le comunità locali, chiedono di rimuovere
quanti più cinghiali e possibile. Ogni laccio e lacciuolo e complicazon
e burocratica che impedisce di completare l'obiettivo di prelievo è un
insulto a che si vede distruggere i campi e i prati e arrivare i
cinghiali nei giardini e nei cortili di casa.
Bene fanno i
cacciatori a dire basta.
Quanto alla
politica è ora cari signori di affrontare il toro per le corna. Avete
cercato di metterci dlele pezze e avete ottenuto bastonate da corte
costituzionale e TAR con conseguenze nefaste. Non ci sono scorciatoie,
va riformata la 157.
|
Articoli
sul tema
Cinghiali,
caprioli, lupi... e altri animali. L'appennino piacentino sotto assedio
(28.07.17)
Anche nel corso dell’autunno scorso si è ripetuta l’aratura dei
pascoli... e quest'anno c'è da temere la stessa cosa. Non si tratta di
una inconsueta pratica agronomica, ma di un pericoloso “fenomeno
naturale” che, inesorabilmente, si ripete sui pochi pascoli e prati
stabili rimasti sul nostro Appennino. L’aratura del cotico erboso
è causata dai numerosi branchi di cinghiali che grufolando
dissotterrano i bulbi del crocus, delle orchidee e di altre piante
evidentemente molto apprezzate da questi suidi.
Fauna
fuori controllo: ora si contano i morti (necessaria una svolta
culturale e una profonda riflessione davanti al mondo che cambia)
(24.08.15)
L'estate
2015 è stata caratterizzata da quattro vittime dei cinghiali più due
feriti (uno invalido) da aggressioni da orsi. Sinora le reazioni non
hanno colto la portata del problema. La gestione del territorio è a una
svolta epocale e non si può affrontarla con le categorie culturali del
passato (l'ideologia animal-ambientalista)
In provincia di Como contadini
e residenti si organizzano in comitati sul tema danni da ungulati
(15.02.14)
La
legge sulla fauna considera il controllo quale misura eccezionale. Ma
nelle aree problematiche il prelievo venatorioè insufficiente a
riportare le popolazioni in equilibrio. Il Comitato contro i danni da
ungulati della montragna comasca chiede più efficacia nel controllo dei
cinghiali e un piano per i cervi. Anche contadini e montanari ora
dicono la loro
Ovunque
emergenza cinghiali
(09.09.13)
Cinghiali
sulle spiagge, cinghiali che "vendemmiano", cinghiali nei giardini e a
spasso in città. Il fenomeno dell'espansione dei cinghiali ha assunto
una dimensione sociale allarmante. Non è più solo l'agricoltura ad
essere colpita ma anche il turismo la sicurezza delle
persone, la salute.
Valseriana: alpeggi devastati
dai cinghiali
(07.05.13) Giancarlo Moioli, 36 anni di
servizio in Comunità Montana Valle Seriana, accusa: "Mai prima
d'ora visti danni da cinghiali così gravi ai nostri pascoli". "Cacciano
i maschi ma sono le femmine a partorire" e conclude amaro: "Si
muoveranno solo quando una scrofa attaccherà il figlio di un onorevole"
A Como nasce un comitato Basta
cinghiali
(30.04.13) Il controllo del cinghiale in
provincia di Como è ridicolo. Solo il 9% dei prelievi sono frutto di
attività di controllo e solo 18 cacciatori sono attivati come
selecontrollori in una provincia in cui il carniere di cinghiali supera
i 2.200 capi. Evidentemente la politica ascolta solo la voce più
organizzata dei cacciatori
Anche in Trentino i cinghiali
sono un flagello per l'agricoltura
(10.01.13) Non bastano gli abbattimenti
delle guardie e nemmeno quelle dei cacciatori-"selettori". Servono
mezzi diversi da quelli venatori e la volontà politica di eradicazione.
Cinghiali: a che punto siamo?
Alcune provincie consentono ai contadini-cacciatori di abbatterli
(29.12.11)
A
ottobre la provincia di Asti con una delibera ha consentito ai
contadini (con licenza di caccia) di cacciare liberamente il
cinghiale nell'ambito dei fondi in conduzione. Sono anche autorizzati a
macellare il capo abbattuto e ad utilizzarlo per autoconsumo. La
Coldiretti, che ha sollecitato il provvedimento, ne chiede l'estesione
alla Lombardia. Dove, però, qualche provincia era arrivata già prima ad
attuare il provvedimento. Resta il limite del possesso della licenza di
caccia, poi c'è la possibilità di utilizzare i trappolaggi...
L'assedio
dei cinghiali
(11.10.10)
Tutta
la fascia prealpina lombarda è sotto assedio da parte dei cinghiali. La
provincia di Como ha deciso l'abbattimento di 1500 capi. Si
raggiungerà l'obiettivo? Intanto altre provincie non si muovono ancora
con altrettanta decisione. Il cinghiale è un vero e proprio animale
nocivo e non può essere gestito mediante la normale pratica
venatoria. Lo dicono la gravità dei danni ai prati, ai pascoli,
ai vigneti, ai campi di mais, alle recinzioni, gli incidenti stradali,
il rischio di diffusione di malattie, i pericoli per l'incolumità delle
persone (un ferito a Sondrio e uno a Como questa estate).
Valle intelvi
(Co)
(03.04.09)
Basta
riunioni e promesse. contro i danni sempre meno sostenibili di cervi e
cinghiali si preparano iniziative politiche nel comasco
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