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[I Signori del latte]

 


La vicenda che ha avuto per protagonista Roberto Rubino può quantomeno servire ad aprire un dibattito pubblico sul ruolo della ricerca in campo zootecnico. La posizione dei Signori del latte (i grossi allevatori rappresentati da Unalat e di Assolatte, gli industriali) è fin troppo chiara. Parimenti chiara è la posizione del fronte costituito da Slow Food, Anfosc e da una pattuglia di ricercatori.

Questo fronte, che si basa su considerazioni che nel discorso scientifico hanno da anni  altrettanto diritto di cittadinanza di quelle produttivistiche, ritengono che la politica (e la ricerca) non possono assecondare solo le esigenze di "competitività" (derivanti dagli scenari dei mercati internazionali e della prossima abolizione delle quote latte).  Giusto tenere conto dell'esigenza di mantenere la competitività di un settore strategico dell'agroalimentare ma tenendo presente che - oltre a questa esigenza - si devono tenere in conto gli impatti sociali, ambientali, territoriali del "superproduttivismo" e mettere in atto misure di attenzione e compensazione. Per Unalat, che fa il suo mestiere di lobby (e che spetta a qualcun altro arginare) conta difendere il profitto dei sempre meno numerosi e sempre più grossi allevatori industriali (nella campagna 1988/89 c'erano 182 mila aziende che venbdevano latte, calate a 82 mila in quella 1998/99 e 44 mila in quella 2007/08).

 

Nessuno è così ingenuo di pensare che Unalat voglia tutelare la massa degli associati alle associazioni provinciali dei produttori latte: i piccoli della montagna, collina e zone svantaggiate. Per Unalat questi sono destinati a chiudere per concentrare la produzione e garantire competitività ai grossi.

Ma gli altri attori devono tenere in conto due ordini di esigenze: da una parte quelle dei produttori in grado di sostenere la competitività, dall'altra quelle del consumatore e dei sistemi agroterritoriali (nella loro componente socio-economica ed ecologica). Gli attori cui facciamo riferimento sono le organizzazioni professionali, il Ministero, le Regioni, gli enti locali responsabili dello sviluppo socio-economico dei rispettivi territori (pensiamo alle Comunità Montane).

 

La mentalità dei Signori del latte è ferma ad una società industriale corporativa, dove il latte è affare di chi lo produce e basta, dove esiste solo la dimensione  economica-produttiva, dove il fatto produttivo è un fatto aziendale e, a livello macro, una somma di aziende e di filiere.

Sta alla politica tenere conto della pluralità di attori di una sociatà complessa e delle implicazioni che le politiche della produzione comportano, a lungo termine, sulle strutture sociali, sulla salute degli ecosistemi .

Un sistema con poche migliaia di aziende "competitive" è un sistema dove la produzione di latte è circoscritta a poche aree della Padania e a micro-isolotti di realtà "privilegiate" nelle poche pianure del resto d'Italia. Questo in un contesto dove ovunque, con non si sa quanta coerenza, ci si appella al km0 (vedi la Regione Veneto da cui proviene Zaia) e alla "sostenibilità".

 

Roberto Rubino non è uno snobistico sostenitore di una "visione bucolica ed agreste della zootecnia e del settore lattiero-caseario" (parole utilizzate nell' "anatema" di Ernesto Folli, presidente di Unalat rivolto al . ministro dell'agricoltura). Rubino, però, non è d'accordo che il compito della istituzione di ricerca pubblica dove opera (il CRA) sia, come vorrebbe Unalat, solo quello di "effettuare attività di ricerca e sperimentazione, da mettere a disposizione degli operatori economici per qualificare e aumentare la competitività dell'intera filiera".   Se la ricerca e la sperimentazione pubblica si occupassero solo di quello che vorrebbe Unalat non renderebbero un buon servizio alla stessa maggioranza degli attuali soci delle associazioni che sono raccolte nell'Unalat, né al 90% dei sistemi agricoli territoriali italiani dove lo spazio per le aziende di migliaia di Frisone non c'è. Non è un mistero che la montagna e le "aree svantaggiate" con le quote liberalizzate soffriranno parecchio in assenza di altre misure.

 

Folli sa benissimo che l'esigenza di competitività va contemperata con altre esigenze, quella di rispetto dell'ambiente (la Direttiva Nitrati rappresenta un vincolo molto concreto), della bioetica (non crede il nostro che l'auspicato aumento all'infinito della produzione per vacca non finirà per scontrarsi con limiti etici oltre che anatomo-fisiologici?). Gli allevatori industrializzati possono benissimo desiderare di avere vacche ancora più "macchine da latte" ma, per fortuna, c'è una sensibilità sociale (in Europa ma non solo) che non è indifferente a questi temi. Ma che è ancora poco informata. E dal punto di vista di lorsignoii è bene che tale rimanga.

 

Già oggi in Israele e in Olanda una vacca da latte, nel corso della sua "carriera,  non è più in grado di generare  una vitella in grado di rimpiazzarla. In Italia ci arriveremo presto in forza dell'aumento senza freno di produttività che auspica Unalat . Sono cose che andrebbero dette, attraverso i media, ai consumatori/contribuenti . Quando qualcuno osa farlo i Signori del latte si adombrano.

Era già successo con Carlin Petrini, sbeffeggiato dall' Associazione Italiana Allevatori e da Assolattette (si vede che nella "filiera", si danno un po' il cambio). Ma Petrini è un laico, un sociologo, e non si può scomunicare, solo dileggiare. A Rubino non si poteva farla passare liscia; passi finché si discetta di certi principi "bucolici" in convegni accademici o in riviste specializzate (Rubino è direttore di Caseus, rivista che della "eresia" zootecnica e lattiero-casearia ha fatto una bandiera), ma lui è andato a "Uno mattina" ...

 

Portare nello spazio pubblico, nell'arena politica certe questioni "tecniche" non si deve fare. Si violano  ferree leggi che non sono scritte da nessuna parte ma che valgono più delle leggi scritte e dei principi un po' vacui della democrazia formale. I "poteri forti" zootecnici pretendono, in modo un tantino arrogante, che lo stato paghi al 100%- senza obiettare - un "miglioramento genetico" che peggiora non solo la fertilità ma la resistenza degli animali a parecchie "malattie professionali" da alta produzione, che paghi il ritiro dalla produzione di centinaia di migliaia di forme di formaggio, che paghi una ricerca e una sperimentazione unilateralmente devote ad un produttivismo che la politica agricola europea (almeno quella di facciata) e il dibattito scientifico hanno da tempo messo in discussione.

Un round è stato vinto. Rubino è tornato a Bella (Potenza) ad occuparsi dell' Unità di ricerca sui sistemi estensivi. Ad occuparsi cioè di realtà "marginali" come sostengono i Signori del latte. C'è solo da auspicare che le voci "eretiche" si moltiplichino e diventino tante da non poter essere "marginalizzate" come vorrebbe l'establishment.

 

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