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Varrone, una colonna dello "storico"
(07.09.16) La visita del 23-24 agosto scorso in alta val Varrone all'unico alpeggio lecchese che produce lo "storico", ovvero il prestigioso e secolare formaggio d'alpe a latte intero con aggiunta di latte di capra orobica.

Varrone e Biandino cuore di ferro e formaggi 
(28.08.16) Nei giorni cruciali in cui l'ex bitto storico cambia nome approfondiamo alcuni aspetti sinora poco messi a fuoco della storia e della geografia di questo mitocaseario.


È ormai bittexit e fa paura ai nemici del bitto storico (17.07.16)

I nemici del bitto storico non potranno più utilizzarlo come "traino" di una dop massificata . Non sarà più possibile giocare sull'equivoco di due produzioni "simili". E con la fuga del vero bitto dalla dopsi profila una figuraccia di grandi proporzioni per la Valtellina


(13.06.16) Commercianti si spacciano per l'ex bitto storico
Se si danneggiano i ribelli del bitto si può usare del tutto impropriamente la denominazione "Bitto storico" e illegittimanente quella "Bitto". La storia di  una degustazione organizzata in Umbria  da un'incolpevole Ais  con il "bitto storico" ... senza  che vi fosse l'ormai ex bitto storico presidio Slow food


(29.04.16) Assemblea a difesa delbitto storico il 7 maggio a Gerola
Lo Storico formaggio  prodotto sugli  alpeggi delle Orobie, da secolo noto come formaggio del Bitto non può essere più chiamato con il proprio nome. Dopo vent'anni le  lobby politico-burocratico-industriali sono riuscite ad espropriare i produttori storici. Ma la società civile sta preparando la mobilitazione 


(14.04.16) Il formaggio Storico dei ribelli del bitto da Peck
Lo Storico formaggio  prodotto sugli  alpeggi delle Orobie è in vendita da Peck  . Quello dell' estate 2015)  a 92€ al kg, quello del 2009 a 26€ all'etto. Il bitto dop dei mangimi e  dei fermenti , prodotto senza latte di capra, a volte in condizioni semi-industriali, continua a calare di prezzo


Bitto storico: rivoluzione permanente (2.10.15)
A Cheese ques'anno il tema era il formaggio dei pascoli e, complice anche l'indignzione per il tentativo di imporre il formaggio senza latte, il bitto storico non poteva che essere al centro dell'attenzione in quanto "campione" della resistenza casearia. Ma l'attenzione è stata anche per la sua "rivoluzione dei prezzi"


(08.09.15) Nuovi documenti storici incoronano il formaggio Vallis Biti (bitto storico)
Cirillo Ruffoni ci ha segnalato nuovi documenti storici che consacrano già nel Cinquecento il formaggio delle Valli del Bitto. Già allora  riconoscibile rispetto ai formaggi prodotti in altre zone, tanto da costituire per loro anche un termine di paragone. Scusate se è poco


(02.09.15) Bitto storico: un autunno di decisioni e novità
La stagione d'alpeggio 2015 si sta chiudendo con un bilancio molto negativo in termini di quantità prodotta, causa della  siccità di luglio. Sul fronte dei rapporti con le istituzioni l'accordo siglatonel novembre 2014 si sta rivelando un bluff. Stimoli per i "ribelli del bitto" per rilanciare con forza l'originalità delle loro esperienza facendo leva sui  suoi punti di forza


(23.08.15) Siccità sugli alpeggi. Colpiti i pascoli più sostenibili
La grave siccità che ha colpito gli alpeggi a luglio  non è rimasta senza conseguenze. Ma chi soffre di più per il calo di produzione di latte è chi non usa i mangimi, ovvero chi rispetta il pascolo e l'ambiente. Così solo i "puristi" si sono fatti sentire


(22.08.15) Bitto storico rivoluzionario
Attraverso la creatività commerciale contadina i ribelli del bitto sono riusciti a imporre per il proprio prodotto un prezzo etico. Esso consente un equilibrio economico compensando gli elevatissimi costi di una produzione che va contro gli schemi della società industriale e consumistica (che si sono imposti anche nella produzione agroalimentare)






Ribellarsi è giusto... e paga


di Michele Corti

Lo storico ribelle, liberatosi del nome "bitto" che ormai procurava solo grane (ed esponeva alla minaccia permanente di denuncia per "lesa dop") va meglio di prima. Chi ragiona restando nelle coordinate della vecchia politica pensava che fosse un salto nel buio. Invece i sostenitori aumentano e lo storico ribelle sbarca in nuovi prestigiosi templi del gusto. Una storia eccentrica che non indica soluzioni riproducibili? Tutt'altro. Di fronte a un mercato che umilia i produttori la strada tracciata dallo storico ribelle diventa un modello. Non è necessario produrre capolavori, quello che conta nell'esperienza dello storico ribelle è un messaggio di qualità che deriva in primo luogo dalla credibilità, dal rispetto di principi etici. Così il formaggio ribelle (ma non più fuorilegge) si è chiamato fuori dalle logiche senza speranza del mercato globale.

... il giorno radioso di settembre in cui scese le scale della cantina di Cavergno con il formaggio in spalla buono da vendere, quello stesso formaggio che aveva trasportato per ore durante l'estate, e che suo padre aveva scaldato con la legna che avevano tagliato, seccato, portato in cascina, con il latte degli animali che avevano pascolato e cercato e munto due volte al giorno, sotto la pioggia e tra i nevischi di agosto, alzandosi alle quattro di mattina, a volte stremata lavando la caldaia e le conche, cucinando polenta che non aveva quasi la forza di mangiare, tutto quel lavoro dentro quel formaggio, quel giorno di settembre dunque, quando posò la forma sul tavolo al prezzo di due e ottanta al chilo e Gelso il commerciante, che ci sapeva fare con la bilancia ad alleggerire il valore della loro fatica, davanti ai loro occhi, senza vergogna, senza un complimento, senza neanche toccarlo per vedere com'era bella la crosta, lavata e raschiata e spazzolata ogni giorno,  e la consistenza della pasta morbida al tocco (e che bontà se avesse assaggiato), lo propose ai compratori 'Sette e quaranta', quel giorno Emma sbottò in un esplosivo 'LADRO!' 

D.Femminis Chiara cantante e le altre capraie. Saga di donne strette tra le montagne e il cielo. Romanzo, Pentagora edizioni, Savona, 2016, pp. 74-75.


(17.11.16) La lettura del bellissimo romanzo ruralpino da cui proviene le lunga citazione, letto in questi giorni, ha coinciso con notizie sconfortanti sul mercato caseario. Anche le produzioni d'alpeggio e dei piccoli produttori di montagna sono state travolte da un'ondata ribassista delle quotazioni, trascinati dalla caduta del prezzo mondiale del latte nella scorsa primavera.

L'impressione è che letteratura sia spesso in grado  di penetrare la realtà delle cose in modo molto più scientifico della scienza (economica ma non solo), scienza che spesso non è altro che un modo sofisticato per legittimare lo sfruttamento. E l'ex bitto, ora orgogliosamente e con piena soddisfazione "storico ribelle", cosa c'entra? C'entra moltissimo perché se oggi non ci sono più Gelsi che frodano con la bilancia, c'è un "mercato globale" che è ancora più spietato. C'è il disaccoppiamento (per usare un termine in assonanza con le infauste politiche agrarie della UE) ormai abissale tra economia ed etica. L'ex bitto storico si è fatto conoscere e resiste, e si ribella, e resta in piedi in forza della sua temeraria affermazione di un principio etico. A dispetto di una politica, di una tecnocrazia, di un'economia corrotte.

Reincarnazione subito (come per il Dalai Lama)

Il bitto storico (pace all'anima sua) è stato seppellito a Torino il 24 settembre scorso. Nessuna lacrima però sul metaforico feretro perché c'è stata subito la sua reincarnazione nello storico ribelle, sempre più storico, sempre più a ragionar di secoli, di analisi di un lungo percorso da cui trarre insegnamenti per l'oggi e il domani, ma giovane e pimpante. Con gran scorno di tutto l'establishment politico-imprenditoriale valtellinese che da anni, con minacce, pressioni, inganni (i finti accordi) persegue l'obiettivo di cancellare la scomoda ribellione del bitto. Uno scandalo di insubordinazione ai poteri forti locali in violazione delle regole della costituzione non scritta che impongono ai sudditi di chinare la testa e accettare le scelte delle cupole.

Bergamo, sul sentierone  una mostra fotografica (a fine ottobre scorso)  celebra il formaggio d'alpeggio delle Orobie. Ciapparelli, l'icona vivente che guasta la digestione all'establishment valtellinese campeggia con le sue forme ribelli. Il guerriero del bitto è lì e non molla. Si rassegnino le vestali politicamente corrette (o corrotte?) dell'establishment

Nuova vitalità

È prematuro rivelare cosa si sta preparando per lo storico ribelle nei prossimi mesi ed anni. Presto, però, ci saranno grossissime novità, ancora più grosse di quelle che nei suoi dieci anni di storia del bitto storico hanno allietato i suoi supporter e fatto masticare amaro il "nemico", la folta schiera di sindaci, presidenti, direttori, amministratori, funzionari della Coldiretti, Camera di commercio,  Latteria sociale Valtellina , Associazione allevatori, Comunità montana,  comuni (Albaredo e  Gerola che hanno tradito il bitto storico - inizialmente sostenuto a spada sguainata - quando hanno capito che non si lasciava strumentalizzare dai piccoli feudatari locali).

Intanto, però, possiamo dire che non sta venendo meno (anzi...) il sostegno economico da parte di vecchi e nuovi supporter economici. Persone per bene, che non osano sfidare apertamente la cupola, ma che sostengono con convinzione chi lo fa. Nel frattempo le prospettive commerciali si aprono verso nuovi prestigiosi sbocchi. Nella foto (sotto) vediamo schierate delle forme di storico ribelle pronte per essere spedite a Milano, Roma e Parigi. Altro che Eataly che voleva lo "storico" a un prezzo da strozzini, sotto costo! I nuovi Gelso politicamente corretti!

Il cambio di nome sta aprendo le porte a primari operatori della distribuzione (quelli più seri di Farinetti e della sua progenie, forse si intuisce chi) che, in precedenza, temevano che un "bitto storico" - notoriamente non in regola con la dop - potesse fare da parafulmine... e attirare grosse grane.  Il tutto in un contesto in cui la realtà della produzione e del commercio caseario appare tristissima, come la storia del romanzo in apertura (ambientata per inciso  in valle Maggia, aspra valle alpina del canton Ticino nell'anteguerra).

In questi anni il bitto storico ha continuato a ritoccare all'insù  i listini mentre le quotazioni del formaggio calavano. Quest'anno si è toccato il fondo con svendite di formaggi di montagna (compresi quelli di buona qualità, artigianali) a tre euro il chilo.

I produttori umiliati

Il momento peggiore del mercato ha coinciso con il mese di giugno,  quando il prezzo europeo dei formaggi più industriali è sceso sotto i 2,2€/kg (ora è tornato sopra i 3). Temendo il peggio chi,  vedendo i prezzi continuavano a scendere, aveva tenuto il formaggio a stagionare (scontando calo peso e non solo)  condizionato e spaventato dai commercianti  coalizzati (non ruberanno sulla bilancia come il Gelso ma...) , ha poi svenduto intere partite prima che il mecato riprendesse un po' fiato. In perdita secca, tanto che alcune coop non pagavano più il latte.

Purtroppo in un mercato di vasi comunicanti chi non si sottrae (ma radicalmente, non con i pannicelli caldi dei mercatini)  alla dittatura del mercato globale paga lo scotto della perdita di valore di latte e derivati. Anche se è un piccolo produttore, anche se vende direttamente al consumatore, anche se  vende in alpeggio. Temendo di restare con scorte invendute e di dover svendere poi a prezzi irrisori preso per la gola. Anche in alpeggio. Qui si sono vendute formaggelle e stracchini a 6€ al kg. Quando sappiamo che insulsi latticini tecnologici prodotti con latte in polvere vengono venduti a prezzi ben superiori anche nella Gdo. Si può reggere così? Un figlio che deve decidere se proseguire nell'attività avita di fronte a questo avvilimento cosa può fare? Resiste solo perché i settori extra-agricoli espellono manodopera. Ma fino a quando? Il fatto è che con questi prezzi non si coprono neppure le spese, non solo i costi impliciti (che il contadino non calcola ma in qualche modo ci sono), anche quelli espliciti. Oggi si può cercare di aumentare i reimpieghi aziendali ma l'autarchia del passato (quando c'erano da pagare solo un po' di tasse, il sale, qualche oggetto di ferrarezza) è lontana. L'azienda è caricata di costi fissi, astutamente irretita in una rete di sudditanza industriale (e dal sapere tecnoscientifico e dai sistemi regolativi che sono solo comparti di un unico sistema).  Se poi ci sono dipendenti...

Viene da pensare che quello che, con una mano, il sistema offre (in cambio di riconoscenza/sudditanza politico-sindacale) alle aziende in termini di sostegno (Pac, Psr) se lo riprende con l'altra mano. A cosa è servito ingrandire, modernizzare, razionalizzare le strutture? Aumentare i volumi di produzione e le produzioni unitarie delle bovine? La risposta è sconsolante: da una parte a far guadagnare l'industria che fornisce i mezzi tecnici,  i servizi di consulenza, le burocrazie, dall'altra a far guadagnare l'industria di trasformazione e la grande distribuzione. La razionalità era dalla loro parte, evidentemente una "razionalità di parte".

Oggi, però, i profitti sono stati piallati anche per l'industria,  persino per la grande distribuzione (che, comunque, se la passano  meglio dei produttori agricoli). Chi ci guadagna allora? Viene da rispondere: quel mostro senza volto che si chiama Globalizzazione, Speculazione finanziaria, anche se poi chi maneggia con i future un nome e volto qualche volta l'ha e non si nasconde neppure, pretendendo persino di somministrare i suoi consigli o dettami ad un'umanità di sudditi (vedi quella brava persona di Soros). 

Chiamarsi fuori (ma come?)

Oggi non sono in difficoltà solo quei piccoli produttori che però restano con i loro prodotti e i loro prezzi agganciati a mercati che, come vasi comunicanti, sono collegati a quello globale. Sono in difficoltà anche le grosse aziende casearie, comprese le coop, che hanno sempre ricevuto (e continuano a ricevere) generosi sostegni pubblici. I costi di trasporto si sono ridotti, è vero, ma vendere grosse quantità impone costi elevati per l'ingresso e la permanenza (non a livello di nicchia) nelle catene della Gdo. Sono costi che si chiamano pesanti promozioni periodiche e tempi di pagamento dilazionati. Non meraviglia se quelle che un tempo era decantate come le via principe per ridurre i costi: le economie di scala, l'automazione dei processi, la produzione seriale, la standardizzazione diventano  oggi una camicia di forza nella quale le grosse aziende restano imprigionate.

Così si profilano due strade: volare basso, puntare su produzioni di piccola scala ma andanti, senza troppi rischi, presidiando con prezzi bassi un mercato di prossimità o quello degli ambulanti che si avvantaggia anche della crisi di rigetto degli ipermercati (che hanno visto crollare le vendite mentre i piccoli supermercati reggono) o ...puntare alto.  Da quest'ultimo punto di vista l'insegnamento che si ritrae dalla storia dell'ex bitto storico è esemplare. E può essere seguito (se no non si spiegherebbe l'accanimento del "sistema" contro di esso). Può essere seguito anche da chi fa un "latteria", una formaggella, uno stracchino. Il "segreto" dello storico ribelle risiede in una qualità che è fatta di fedeltà alla tradizione e di rifiuto delle sirene dalla modernizzazione e "facilitazione" produttiva. Ma questo non avrebbe consentito di creare una leggenda (e di sopravvivere) se non c'era la credibilità, una storia di moralità, di rifiuto di compromessi, di rispetto per l'erba, gli animali, i produttori, la montagna, la storia, i consumatori. Un rispetto profondamente etico, caparbio come i vecchi contadini, anacronistico forse, ma proprio per questo spiazzante e vincente .


La storia della ribellione del bitto lascia intuire, anche alle persone semplici, come essa rappresenti una cosa bellissima. Non è una strada impossibile da seguire per altri produttori. E i ribelli (che non solo solo i produttori ma, forse anche di più di loro, quelli che impegnano tempo, preoccupazioni e denaro per sostenerli) sono pronti a dare una mano a chi vuole unirsi a loro. Unirsi per sostenere l'idea e la realtà di un'agricoltura e di prodotti etici che ricostruiscono le comunità, i valori, i saperi. Laddove la produzione globalizzata e i suoi terminali subalterni (i furbetti, i politicamente corretti - o corrotti ) fa il deserto .




 

 

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