Ruralpini Resistenza rurale
 

Condividi                        

storia alpina



La strada Priùla: un bluff politico-diplomatico del XVII secolo



Il successo delle "vie storiche" è un fatto positivo. Aiuta a camminare in modo intelligente. A capire la storia leggendo nel paesaggio - oltre che nei libri - le relazioni spaziali, temporali, economiche, ecologiche che hanno costruito la storia. La Priùla ha stimolato una nuova stagione di studi e pubblicazioni divulgative sulle vie storiche suscitando un interesse si è allargato alla più antica Mercatorum e mettendo in evidenza come il concetto di strada contemporaneo, moderno, medievale rimandi a qualcosa di molto diverso. Ha anche stimolato il recupero di manufatti, segmenti di tracciato, frutto di un interesse concreto e partecipato per la storia, la memoria storica, il patrimonio locale. Tutto bene. Però vi è il rischio di focalizzare eccessivamente l'interesse su un'unica via (favorita dalla documentazione storica), "spettacolarizzando" un po' la storia. Al di là della divulgazione, che rischia di cadere nei luoghi comuni, ecco allora che ci pare opportuno, anche per non cadere in tendenze modaiole un po' effimere riconsiderare in modo critico la storia della Priùla. La "smitizzazione" di un singolo percorso storico può anche aiutare a riconsiderare nel suo insieme l'importanza storica degli itinerari trans-orobici che sono ancora pochissimo conosciuti. Basti pensare alla "strada del Bitto", un percorso che ha rappresentato una via commerciale e militare per quasi due millenni (a differenza dei due secoli della Priùla) ma che è pochissimo conosciuto


La cantoniera con le lapidi storiche celebrative della strada


di Michele Corti



Della via Priula si è detto molto. Se ne è fatto anche un po' un mito. La via Priula è una strada moderna. Non ha origini remote o comunque incerte. Di essa sappiamo molto perché oggetto di accurata documentazione. Eppure la si è mitizzata. Perché? Forse perché le fonti non sono state valutate con sufficiente spirito critico.
Realizzata, a fine XVI sec., dal capitano e podestà di Bergamo, il veneziano Alvise Priuli - che ci ha lasciato puntigliose relazioni - la strada è stata oggetto di numerosi studi,1. Di essa conosciamo dettagli economici e tecnici. Tanto per cominciare fu realizzata in rapidissimi, tra il 1592 e il 1593. Giovanni da Lezze Da Lezze, capitano di Bergamo dal 17 aprile 1595 al 13 ottobre 1596, la cui relazione di fine mandato2 è diventata una fonte importante – sempre molto citata - per la storia del territorio bergamasco, succedendo (dopo qualche anno) ad Alvise Priuli, con i suoi giudizi apologetici sulla strada e sul suo predecessore, ha contribuito non poco a creare il mito della Priùla. Da Lezze definisce la strada tutta facile e comoda [...] opera del Sig.r Alvise Priuli, Podestà di Bergamo l'anno 1592 al quale dall'Ecc.mo Senato fu commessa con molta laude et gloria sua, poi che ha fatto fare la detta strada con mirabile industria, celerità et destrezza non solo superando le difficoltà infinite, si per l'asprezza dei monti, come per altre occasioni: riducendola nei monti piana che prima era difficilissima per le ascese, et le discese. Il Da Lezze manifesta in modo ancor più palese la scarsa obiettività dei suoi giudizi quando definisce la via di Como (quella del lago) più longa, et più pericolosa così de naufraggii, come di svaliggiamenti. Un'assurdità. Da Lezze, che spingeva perché Venezia togliesse i dazi e provvedesse a mantenere, costantemente, estate e inverno, due custodi presso la nuova costruzione realizzata presso il passo, evidentemente, nel redigere la sua relazione mirava a fini politici in una contingenza politico-diplomatico-militare complessa e delicata. Non era certo vincolato all'esigenza di oggettività di uno studioso. Il "buon governo veneziano" è stato molto mitizzato (è rimasta la memoria degli ultimi tempi, quando la sua debolezza estrema lo costrigeva ad agire con polso debole). Così ci si dimentica che i suoi emissari, per quanto di valore, alla fine erano dei politici. E da politici non potevano contarla sempre giusta e dovevano anche fare un po' di propaganda.  Evidentemente queste considerazioni non hanno indotto la necessaria prudenza. Nel 1599, in ogni caso, il senato veneziano approvava la nomina due custodi che dovevano tenere aperta la strada in inverno e per ricevere le merci; essi furono retribuiti sulla base dei colli di merci ricevuti3 .

Il trionfalismo del Da Lezze, fu però subito smentito dai fatti. Uno dei suoi successori, Stefano Trevisan, che aveva voluto ispezionare la strada, verifica che non vi è traffico commerciale attraverso il passo e riferisce (nella sua relazione del 1601) che la casa cantoniera (oggi rifugio Cà San Marco) era andata in rovina per difetto di costruzione tanto da dover essere ripristinata a spese dei costruttori4. I lavori sul versante valtellinese, che il Priùli aveva avviato e curato direttamente, non erano conclusi. Per di più i costi della realizzazione del tracciato nel territorio grigione gravarono quasi interamente sulle tasche bergamasche (da Morbegno arrivò molto meno di quanto promesso). Aveva ragione il Da Lezze o il meno celebrato Trevisan? I fatti ci dicono che era nel vero il Trevisan.

Nel valutare il significato della Priula va comunque tenuto separato il ruolo di percorso commerciale a lungo raggio (che non si affermò mai - nonostante quanto proclamato da Priùli e dal Da Lezze) e quello di arteria di collegamento locale e a medio raggio (tra la Valtellina e Bergamo e, soprattutto, tra l'alta val Brembana e la pianura). La seconda funzione venne assolta in modo eccellente.
In effetti, pur continuando per buona parte del tracciato a non essere niente di più che una buona mulattiera, essa venne concepita e realizzata con criteri moderni, non tenendo conto, in molti tratti, di vecchi tracciati e cercando di seguire l’asta del Brembo.


Cartografia settecentesca con la Priùla (in bleu) e la Mercatorum (in rosso)

La strada, a differenza della Mercatorum, lasciata Porta San Lorenzo a Città alta, puntava direttamente verso la val Brembana superando, con opere ardite la gola di ingresso della val Brembana che aveva scoraggiato sino ad allora l’itinerario diretto da Bergamo. Come? Ce lo racconta Maironi da Ponte (non abbiamo altre informazioni in proposito): Al dissotto di quest'ultima era l'orrido passo detto delle chiavi della Botta. Quivi la sponda del Brembo è una eccelsa roccia tagliata a picco; e la strada poco, ampia era sostenuta da piccole arcate legate alla roccia da grandi chiavi di ferro5. La forra della Sedrina era invece superata con un nuovo ponte (ne era stato gettato uno un secolo prima). La strada proseguiva poi lungo l’asta del Brembo. Paesi come Zogno (che divenne importante centro di mercato) e San Pellegrino (che prima era un modesto villaggio) ne furono enormemente avvantaggiati, mentre centri come Serina, che aveva già raggiunto 1400 abitanti verso 15006 e, soprattutto, Cornello (da dove presero le mosse i Tasso/Taxis), furono tagliati fuori dal nuovo tracciato commerciale, e subirono una grave decadenza7. Da Olmo al Brembo, invece che dirigersi, come la Mercatorum, verso Averara (anch’essa “tagliata fuori”) essa puntava a Mezzoldo e da qui al vecchio passo di Albarino, che prese il nome di San Marco. Essa venne concepita e realizzata con criteri moderni, non tenendo conti, in molti tratti, di vecchi tracciati e cercando di seguire l’asta del Brembo. Questa decisione non fu presa subito dal Priùli che, inizialmente, pensava solo di “restaurare” il vecchio tracciato di quella che ci siamo abituati a chiamare “via Mercatorum”. Merita a questo punto ricordare a sommi capi cos'era la Mercatorum.



Le direttrici del passo di San Marco (detto anticamente "di Albarino") e del passo del Verrobbio (detto anticamente "di Morbegno" in quanto itinerario principale. La Priùla e la strada provinciale attuale scendo per la val d'Orta verso Albaredo. La strada del Verrobbio scende lungo la val Vomino sino a Nasconcio (frazione di Gerola) e si innesta sul solco della valle del Bitto di Gerola (mappa Ruralpini)

La vecchia Mercatorum

Di origine medievale, la via risulterebbe indicata con questo nome in antiche carte e documenti dell’archivio comunale di Serina8, era detta anche “dei trafficanti”. La via, in anni recenti, è tornata ad essere oggetto di interesse, come testimoniano gli studi e le guide9 poi la valle del Brembo, toccando Oneta, Cornello, Piazza, Olmo, Averara e da qui si inerpicava, ma anche diverse iniziative di tutela e valorizzazione di enti pubblici e privati. Non si deve pensare alla Mercatorum come a un tracciato definito, ma come a un insieme di percorsi che potevano variare nel tempo e nelle circostanze. Da questo punto di vista la differenza tra Priula e Mercatorum non potrebbe essere più netta: la Priula è opera concepita, progettata e realizzata dall’autorità statale, con una prospettiva unitaria, la Mercatorum, invece, riflette una realizzazione e un mantenimento per opera di una pluralità di soggetti del territorio che operano attraverso accordi (e disaccordi) locali e che sfrutta, ove possibile, tracciati tradizionali preesistenti. Bisogna sempre considerare che la mobilità premoderna si avvaleva di strade che potevano essere percorse solo a piedi o dai muli ma che costituivano una rete in grado di offrire sempre alternative in caso di interruzioni (come il sistema circolatorio degli animali). Si conoscono almeno due varianti principali di questa via. Da Bergamo essa raggiungeva Nembro, in bassa val Seriana, di qui saliva a Selvino, ridiscendeva a Rigosa (dove si teneva un mercato settimanale) e Ambriola e risaliva la val Serina passando per Pagliaro e Frerola. Raggiunta Serina, attraverso il passo della Crocetta, proseguiva per Dossena, quindi scendeva sino all’asta del Brembo lungo la valle dell’Aquaduro e raggiungeva San Giovanni Bianco. Un percorso come si vede molto contorto, tutto su e giù. Risaliva per l’erta val Moresca raggiungendo la conca di Parissolo. Da qui un ramo (più frequentato) valicava il passo del Verrobbio10, detto anche di Morbegno (2022 m). Per superarlo, ce lo rammenta con legittimo orgoglio lo stesso Priùli, era necessario che i muli non fossero a pieno carico, non solo ma - in un tratto - essi dovevano essere persino scaricati per l’impossibilità di proseguire con il carico e i conduttori dovevano caricarsi in spalla la mercanzia11. Quindi la discesa avveniva per la laterale val Bomino e il solco principale della valle del Bitto di Gerola. Un altro ramo saliva al passo di Albarino, l’attuale passo di San Marco (1985 m), per scendere quindi ad Albaredo e a Morbegno lungo l’altro ramo della valle del Bitto. La direttrice Averara – Verrobbio – Bomino – Morbegno continuò a rivestire importanza per gli scambi, scambi locali ma importanti per Bergamo sul piano annonario e fiscale. E questo appare già di per sé Nel 1693 il Podestà di Morbegno reclama il diritto di libero transito attraverso il passo, sottolineandone il valore commerciale, e mette in evidenza - oltre le importazioni dalla bergamasca in Valtellina - anche la quantità grande di bestiami e tutta la grassina [formaggi] che si fabbrica ne monti vicini a quei paesi12 e che si dirigeva verso la bergamasca. Tale circostanza era confermata, nel 1701, dal podestà e  capitano di Bergamo che, dopo un secolo, è ancora un Alvise Priuli. Egli, nella sua disposizione del 15 giugno 1693  ribadisce che non intendemo che restino vessati li sudditi, né travagliati li forestieri per il transito stesso con li loro animali e mercantie, che riuscirebbe anco di pubblico pregiuditio.13 L'interesse per il Verrobbio dopo un secolo dalla realizzazione della Priùla sembrerebbe andare oltre la questione dell'accesso a un alpeggio ma coinvolgere un traffico di greggi e mandrie di una certa rilevanza. Una circostanza che induce a porsi qualche interrogativo.


Dimora storica di Dossena sul percorso della Mercatorum

Per quanto riguarda il percorso tra la bassa val Seriana e la media val Brembana un nuovo percorso della Mercatorum, tra Selvino e Serina, sostituì quello più antico: da Selvino esso si dirigeva ad Aviatico, di qui a Cornalba e quindi a Serina. Tra Aviatico e Cornalba sorse, per opera dei mercanti, il villaggio di Trafficanti, originariamente con la finalità di sosta delle merci e mercato. Serina, già florido centro dell’industria laniera, ma vi erano anche fabbriche di armi, sede di un importante mercato settimanale. Dopo l’apertura della rotabile che percorreva l’asta del Brembo (la Priula) Serina ebbe un grave contraccolpo. […] quelli di Oltre la Goggia seguirono tosto la medesima per recarsi a Bergamo, e Serina rimase d'un tratto sola, priva di tutto e lontana, in un romito angolo di vallata14. Per non restare tagliati fuori del tutto dalle correnti commerciali, alcuni privati di Serina realizzarono a loro spese un nuovo collegamento “strada nuova” verso Zogno.


Il più antico dei ponti di Sedrina. Preesistente alla Priùla.


Anche se la Mercatorum rimane associata al suo ruolo nei traffici tra l’alta val Brembana, la media valle e la città, non va dimenticato il suo ruolo nei commerci a lunga distanza e a anche nelle vicende militari. Meno frequentata dagli eserciti della strada del Bitto, la Mercatorum vide il passaggio, nel 1432, delle truppe veneziane superstiti della sconfitta subita a Delebio.


Un po' di autocelebrazione

Torniamo ora alla Priùla. In diversi tratti la strada dovette essere tagliata nella roccia come il Priùli, che doveva anche giustificare la lievitazione dei costi, volle ben sottolineare cedendo anche alla tentazione dell'autoglorificazione. Quando prometteva che la strada sarebbe stata tutta transitabile dai carretti egli non si discostava da certe promesse in materia di opere pubbliche dei politici contemporanei. Era poi certamente eccessivo vantare una larghezza costante “per lo meno” di cinque braccia (2,5 m) perché in corrispondenza delle strettoie essa doveva essere inferiore. Così si autocelebrava il nostro nella sue relazione di fine mandato: ... In torno alla restaurazione della strada di Val Brembana, ed al modo che si deve tenere per introdurvi un importantissimo transito di mercanzie che da oltremonti passano per Italia, dirò per ora […] che ho fatto tagliare una strada di larghezza nel sasso vivo di cinque braccia per lo meno, dove mi è convenuto passar per lunghezza; e per il resto delli 36 miglia che da Bergamo alla colma della montagna e confine di Valtellina ella cammina, secondo i siti e la comodità dei terreni, di molto maggiore e più conveniente larghezza; sicché così come al tempo dell’estate solamente si poteva per aspissime balze cavalcarla con fatica con il peso de mezza soma solo, e ben spesso bisognava che le robbe fossero portate dalli uomini sopra le spalle, al presente ella può essere adoperata non solo dalli mulattieri con le some intiere, ma appresso ella potrà (introdotto il negozio delle mercanzie) adoperar per tutto con li birocci, e per la maggior parte li carri ordinarj.
La strada, a differenza della Mercatorum, lasciata Porta San Lorenzo a Città alta, puntava direttamente verso la val Brembana superando, con opere ardite la gola di ingresso della val Brembana che aveva scoraggiato sino ad allora l’itinerario diretto da Bergamo. Come? Ce lo racconta Maironi da Ponte (non abbiamo altre informazioni in proposito): Al dissotto di quest'ultima era l'orrido passo detto delle chiavi della Botta. Quivi la sponda del Brembo è una eccelsa roccia tagliata a picco; e la strada poco, ampia era sostenuta da piccole arcate legate alla roccia da grandi chiavi di ferro15. La forra della Sedrina era invece superata con un nuovo ponte (ne era stato gettato uno un secolo prima). La strada proseguiva poi lungo l’asta del Brembo. Paesi come Zogno (che divenne importante centro di mercato) e San Pellegrino (che prima era un modesto villaggio) 16


Cornello (oggi Cornello dei Tasso) bypassato dalla Priùla ha conservato l'aspetto medievale

Oneta e Cornello (da dove presero le mosse i Tasso/Taxis), dal momento che la nuova strada transitava più in basso, vicino al Brembo, furono tagliati fuori dal traffico commerciale e subirono una grave decadenza17. Da Olmo al Brembo, invece che dirigersi, come la Mercatorum, verso Averara (anch’essa “tagliata fuori”) la Priùla puntava a Mezzoldo e da qui al vecchio passo di Albarino, che prese il nome di San Marco).




Ma a cosa serviva la costosa Priula?

Paradossalmente non lo sappiamo ancora. Gli scopi dichiarati, di carattere commerciale a lungo raggio, rappresentavano una facciata di comodo, come poi si rivelò in seguito. L’idea di creare di un collegamento per i traffici a lunga distanza verso la Svizzera, la Germania, l’Olanda non era credibile e Venezia, teneva più alle corporazioni mercantili veronesi e alla via del Brennero che a Bergamo (che con l’apertura della via atesina, diveniva il più periferico ed emarginato dei territori della Serenissima). Quest’ultima, infatti, approvò il progetto solo perché esso non impensieriva affatto gli interessi legati alla direttrice della val d’Adige18. Per quanto non conosciamo le reali intenzioni di Priuli e del senato veneziano19, sappiamo però che la strada si colloca nella particolare situazione venutasi a creare tra la fine del XVI e l’inizio del XVII sec., quando la Valtellina divenne il teatro del conflitto tra gli Asburgo, di Spagna, Lombardia e Austria da una parte e la Francia e Venezia dall’altra. Nel mezzo i Grigioni, che avevano il protettorato della Valtellina e che oscillarono tra i due schieramenti. Ciascuno di essi cercava di impedire al nemico di crearsi un corridoio attraverso la valle dividendo i territori nemici. Di certo i mercanti bergamaschi e, ancor più, quelli brembani desideravano una strada più moderna e meno disagevole della Mercatorum, una strada il più possibile percorribile da carretti a due ruote di montagna, quantomeno da carovane di muli a (quasi) pieno carico20. Suppliche a Venezia furono inoltrate dagli abitanti di oltre la Goggia (alta val Brembana) nel 1552-155421. Le suppliche furono accolte ma per il miglioramento della strada si dovette attendere mezzo secolo, quando la contingenza politica fece decidere Venezia a dar mano alla strada. La via Priula, nel tratto tra Mezzoldo e Albaredo, restò una mulattiera22. Ma era comunque infinitamente meglio della vecchia Mercatorum.


La Priùla sul versante valtellinese, poco al di sotto del passo

I bergamaschi e la val Brembana in particolare, ebbero in ogni consistenti vantaggi dalla Priula (anche se ne dovevano pagare la manutenzione) e approfittarono della complicata situazione politico-diplomatica, dei timori e delle mire della potenza lagunare. Che a Venezia interessassero gli aspetti politico-diplomatici e militari e che la proclamata “nuova via commerciale” fosse solo un bluff è del resto evidente anche dall’accento che lo stesso Priuli pone all’interesse militare. Ma quel che più importa questa via aperta è unica per soccorso in ogni caso di gente non solo grisona ma svizzera, francese ed allemana con qualsivoglia monitione ed in strumenti da guerra sempre in pochi giorni senza poter essere impedito da Principe alcuno, così per servizio dell'importantissima fortezza di Bergamo come di tutto il resto dello Stato della Ser.ma23. Quanto al pericolo di calata degli spagnoli, la possibilità di distruggere rapidamente e facilmente i numerosi ponti appariva una garanzia.
In realtà anche il ruolo militare fu modesto. La Priula costituì più che altro un argomento di trattative diplomatiche, un’opportunità di un itinerario alternativo da utilizzare in casi di emergenza (date le difficoltà e i costi). I veneziani, però, non avevano fatto i conti con i Grigioni, montanari forse un po’ rozzi ma dal cervello fino. Essi usarono a loro volta la strada come argomento di persuasione nelle trattative diplomatiche facendo credere che l’avrebbero sistemata. Non lo fecero mai. In realtà i veneziani non fecero i conti neppure con la Spagna della quale una tradizione storiografica, dura a morire (nonostante un sostanziale revisionismo), ha costruito un'immagine di potenza ottusa e intollerante, tutta basata sulla forza militare e la prepotenza, agli antipodi della "tollerante" (nei confronti degli eretici e degli ebrei) oligarchia mercantile lagunare.


Il Forte di Fuentes

Abbiamo lasciato le vicende della Piùla all'anno 1601, con la relazione disfattista di Stefano Trevisan. Ben presto la situazione si ribaltò e la Priùla, che sembarva una grande opera inutile ante litteram, ebbe un (primo) momento di gloria. Il 13 luglio 1603, venne siglato il trattato di amicizia e di assistenza militare tra Venezia e i Grigioni. La Priùla, pronta da dieci anni sul versante bergamasco, iniziò a funzionare anche sul versante valtellinese. Cosa era cambiato per sbloccare la situazione? Un fatto nuovo di grande rilevanza strategica. L’energico, per quanto anziano, conte di Fuentes, governatore dello stato di Milano, intraprese la costruzione, al confine con il territorio valtellinese e valchiavennasco, del poderoso forte che prese il suo nome e che venne completato nel 160824.


Le imponenti rovine del Forte di Fuentes a Colico. Fu raso al suolo con accanimento dai guastatori di Napoleone nel 1796. Nonostante lo zelo non riuscirono a cancellare del tutto le strutture.

Gli spagnoli, anche come ritorsione per l’apertura della Priula, non solo iniziarono la costruzione del forte ma , utilizzando le truppe tenute in loco per proteggere i lavori, fortemente osteggiati dai Grigioni, sigillarono la via del Lario.    Il blocco rappresentava un avvertimento per i Grigioni perché non era neppure nell'interesse della Spagna chiudere la via del Lario e dello Spluga. Appena, nel 1604, il blocco spagnolo venne rimosso, le merci cessarono di passare per la faticosa via alpestre orobica e tornarono a veleggiare sulle acque lariane. I costi di trasporto lungo la Priùla erano doppi rispetto alla via del Lario ed è evidente che l’argomento delle “gabelle milanesi” era pura propaganda. I motivi sono palesi: le merci avrebbero dovuto trasbordare dai carri (che arrivavano sino a Camerata) sui muli. Questi ultimi, inoltre, per affrontare la ripidissima discesa verso Albaredo, non potevano neppure procedere a pieno carico. In più, tutto il percorso... scarseggia di foraggio e rare sono le albergarie per ricevere le merci, le persone, gli animali da tiraglio25. La presenza del forte, con la sua grossa guarnigione e le sue batterie, costrinse i Grigioni a cambiare alleanze. Il timore di essere invasi, di vedere bloccati i passi alpini, che rendevano loro molte entrate, i mancati ingaggi dei mercenari (determinati dalla necessità di tenere truppe in Valtellina), indebolirono i Grigioni e ne ammorbidirono la posizione verso la Spagna.


I mercenari rappresentavano la prima industria dei Grigioni nel XVI-XVII secolo

L’insurrezione valtellinese del 1620 (con l’uccisione di 600 protestanti) era motivata anche dall'insofferenza, oltre che per i ricchi protestanti privilegiati in vari modi rispetto ai cattolici (divenuti sudditi di serie B), per le spese di mantenimento delle truppe che fronteggiavano il Forte di Fuentes e che i dominatori grigioni scaricavano sui valtellinesi. La guerra che seguì, episodio italiano della guerra dei Trent’anni, vide la Valtellina – come Venezia paventava - cadere in mani spagnole. La guerra terminò con il ritorno del protettorato grigione, ma, questa volta, con il consenso e nel quadro di un'alleanza con la Spagna (contro la Francia e Venezia). La Spagna si faceva garante dei cattolici ed era vietato il soggiorno di protestanti (eccettuati i funzionari governativi grigioni) per più di tre mesi. Riacquistando la Valtellina, grazie al “ribaltone”, i grigioni si impegnarono non solo a escludere il culto protestante ma anche a limitare l’importanza della Priùla (e dell'Aprica). Per il resto del XVII sec. la Priùla conobbe una grave decadenza.
Si rianimò, ma sempre in modo effimero solo tra il 1706 e il 1716 in conseguenza della ritrovata alleanza tra Grigioni e Venezia mentre era in atto la guerra di successione spagnola. Il trattato del 1706 (cui ne corrispondeva uno analogo coin Zurigo e Berna) prevedeva una sorta di “area di libero scambio” tra Venezia e i Grigioni. Ben presto, però, calata la tensione internazionale, i Grigioni persero ancora una volta ogni interesse per la strada che vivacchiò per i successivi 50 anni. Nel 1762, invece di rinnovare il trattato con Venezia, i Grigioni  ne siglarono uno con l’Austria pronta a sacrificare
gli interessi economici per la ragion di stato (a differenza di Venezia che, ormai in grave declino, accerchiata dall'Austria e senza più il controllo dell'Adriatico, vedeva ormai prevalere la logica di corto respiro dei dazieri). L'Austria fece inserire nel trattato una clausola che impegnava i Grigioni a non favorire direttrici di traffico diverse da quelle “naturali”. Venezia, nel 1766, espulse, per ritorsione, settemila artigiani e commercianti grigionesi, per lo più protestanti (la "tolleranza" veneziana era molto condizionata). 
Ancora una volta la Priùla finì sul piatto della bilancia di una trattativa, ma  fu l'ultima e l'esito fu la sua definitiva liquidazione come itinerario commerciale a lungo raggio (anche solo potenziale e d'emergenza). A questo punto ebbero poca importanza i nuovi fattori che ne minarono ulteriormente l'importanza. Poco importò, l’apertura, nel 1777, del naviglio di Paderno, che stabiliva una navigazione continua tra Milano e il Lario rafforzando questa via di traffico. Lo stesso dicasi per l'avvento di Napoleone e poi per il Congresso di Vienna che, unificando quanto rimaneva dello Stato di Milano con i territori lombardi precedentemente sotto dominio veneziano e grigione, svuotarono di significato geopolitico la Priùla. La costruzione della nuova via di terra tra Lecco e Colico (anni '20 del XIX sec.) non poteva modificare una situazione che aveva visto la Priùla tornare a rappresentare un collegamento strettamente locale, utile per il trasporto dei formaggi e gli altri generi dello scambio tra la montagna e la pianura.
Al di là delle vicende politiche, l’importanza per i commerci a lungo raggio della Priula fu irrisoria. Notevoli volume di merci transitarono solo per periodi ridottissimi: nel biennio 1603-4, dopo l’apertura della strada e per dieci anni dopo la stipula di un trattato di amicizia tra Venezia e i Grigioni del 1706. Dodici anni di gloria. Poco per giustificarne il mito. Dopo il 1604 (il primo, effimero, periodo di intenso transito), percorreva la Priùla solo un quarto del volume di merci tra Bergamo e Chiavenna. Nel XVIII sec. le cose andarono ancora peggio: tra tutte le merci dirette dal territorio lombardo, soggetto al governo veneto, verso i Grigioni e il Nord Europa e viceversa, il 60% passava per Brivio26, il 30% per l’Aprica e il 10% per il Passo di San Marco ma la maggior parte di queste ultime avevano comunque come meta finale la Valtellina27.


Barche lariane

Le merci bergamasche dirette a Nord dovevano, in definitiva, continuare a passare dallo stato di Milano28. A testimonianza dello scarso traffico commerciale attraverso il Passo di San Marco va osservato che la “dogana” di Mezzoldo, realizzata all'inizio del XVIII sec., serviva solo a riscuotere un modesto pedaggio per la manutenzione della strada. La valle Brembana poi aveva scarse risorse per il mantenimento della strada (cui era obbligata da Venezia), motivi anche l’irrazionale distribuzione degli oneri di manutenzione29che metteva a capo di un comune tratti di strada lontani dal proprio territorio ed era causa di liti e inefficienze (il tratto più impervio, che raggiungeva Cà San Marco, era di pertinenza di Averara che dalla strada era stata tagliata fuori).


A Tarda primavera il solito spettacolo: sul versante valtellinese la neve (pochissima) impedisce il transito.

Negli anni '60 del secolo scorso, la realizzazione della nuova strada carrozzabile del Passo di San Marco ha ridato una certa importanza (sul piano turistico) al collegamento tra la val Brembana e la valle del Bitto, mentre della Priùla si perdevano persino le tracce (poi, fortunatamente, riscoperte e valorizzate).  Le liti di un tempo non sono peraltro del tutto cessate: ogni anno la provincia di Sondrio  è accusata da parte bergamasca di voler ritardare di proposito lo sgombero della neve  in quanto poco interessata all'itinerario.



Il turismo non è un fenomeno solo recente. Inizio XX sec: "skiatori" della Belle époque a Cà San Marco

La Priula, al di là del bluff della “strada internazionale”, offrì, come visto, qualche vantaggio come arma nel gioco politico-diplomatico e qualche limitato vantaggio pratico (passavano i corrieri segreti tra Parigi e Venezia e un po' di mercenari)30. Essa, in ogni caso, facilitò, dopo il trattato del 1706 (che diede facoltà di residenza ai grigionesi e agli svizzeri), le relazioni con questi due paesi. Vi fu una forte corrente di immigrazione di famiglie di artigiani e piccoli imprenditori. Da Zurigo, in particolare, si stabilì nel XVII sec. a Bergamo una prima colonia svizzera, avanguardia della forte corrente di immigrazione dei secoli successivi. Il fatto che gli zurighesi (e gli altri svizzeri) fossero protestanti, alcuni di loro espatriati dalla Lombardia, inquietava ovviamente San Carlo che non vedeva certo di buon occhio la potenza lagunare.
La Priùla collegò la val Brembana alla città e alla pianura. Facilitò lo scambio oltre che di formaggi, anche di legna, lana, carbone, ferro (i prodotti della montagna) con cereali e sale (di cui la montagna aveva bisogno). Per alcuni paesi un tempo fiorenti rappresentò un fattore di grave decadenza. Serina, già florido centro dell’industria laniera, ma vi erano anche fabbriche di armi, sede di un importante mercato settimanale, subì, come già osservato, un grave contraccolpo.


La famosa strada coperta di Averara

La realizzazione della Priula, “tagliando fuori” in modo più o meno grave diversi centri ha favorito la conservazione di molti edifici e manufatti storici. Oltre alle famose strade coperte di Cornello dei Tasso e di Averara, si sono conservate dimore storiche e ambienti urbani in altre località toccate dalla Mercatorum. Così a Cornalba (dove una via è stata intitolata alla Mercatorum), a Dossena e a Oneta.

La Priula rappresentò anche una comoda “autostrada” per le mandrie che si spostavano ogni anno tra la pianura lombarda e l'alta val Brembana che, in precedenza, da Zogno dovevano salire verso i Canti e discendere a Sorisole, favorendo la transumanza e il commercio caseario. Gli accordi con i grigioni del 1706, aprendo gli alpeggi al bestiame bergamasco consentivano di alpeggiare nei Grigioni 40 mila capi (di cui 5 mila bovini). Non è detto, però, che attraversassero il Passo di San Marco dal momento che, sino in tempi recenti i greggi valicano agevolmente le Orobie attraverso diversi passi.

.

Tra Ponte dell'Acqua (località del comune di Mezzoldo) e Albaredo il percorso della Priùla non si sovrappone alle strade provinciali asfaltate. In diversi tratti si cammina sul selciato originale. Ponte dell'Acqua 1272 - Passo di San Marco 1992 m - Albaredo 950 m. Lungo il percorso si incontrano diversi alpeggi con produzione del formaggio storico ribelle (bitto storico) e rifugi. Oltre alla ben nota Cantoniera di Cà San Marco, lungol la discesa per Albaredo si incontra la cosiddetta "Dogana veneta" in località Dosso Chierico. Il percorso transita anche per il santuario della Madonna delle Grazie (mappa Ruralpini)


1 G. Rinaldi, La strada Priula, Bergamo, Edizioni orobiche, 1945; B. Belotti, Storia di Bergamo e dei bergamaschi, Bergamo, Banca Popolare di Bergamo, 1959 (vol. III, p. 357 ssg., vol. IV, p. 295 ssg.); G. Cozzi, La strada di S. Marco e un progetto di canale navigabile tra Adige e Adda, Archivio storico lombardo, s. VIII, vol. VII, 1957, pp.114-148; G. Mussio, Aspetti geografici della strada Priula. I nuovi apporti di documenti inediti dell'archivio di Stato di Venezia, in Atti del XIX Congresso Geografico Italiano, Como, Noseda, 1965, vol. III, pp. 475-511; G. Pesenti, F. Carminati, Una strada, una valle, una storia. Quattro secoli di viabilità in valle d'urbana e dintorni, archivio storico San Lorenzo, Zogno, 1988; P. Cappellini, E. Guglielmi, La Strada Priula, Clusone, Ferrari, 1987, [S. l. : s. n., s. d.]; G. Scaramellini, La Strada Priula: un nuovo itinerario nella viabilità transalpina nell’età moderna, in M. Boriani (a cura di), Le strade storiche : un patrimonio da salvare, Milano, Guerini, 1993, pp.219-228; F. Monteforte, La Strada Priula tra commerci, politica e religione, in M. Boriani (a cura di), Le strade storiche : un patrimonio da salvare, Milano, Guerini, 1993, pp.229-248; Ricerche storiche e contributi sulla via Priula, [S. l.], Associazione socio culturale Priula, 1997; Da Bergamo a Coira : lungo le vie storiche : Via Priula, Spluga, Septimer, Campodolcino , Museo della Val S. Giacomo e della Via Spluga, 2008; T. Bottani, W. Taufer, Bergamo, Corponove, 2007.

2 Giovanni da Lezze, Descrizione di Bergamo e suo territorio (1596), a cura di Vincenzo Marchetti e Lelio Pagani, Bergamo 1988 (Provincia di Bergamo, Assessorato Istruzione e Cultura, Centro documentazione Beni Culturali)

3 Ibidem.

4 Relazione del Capitano di Bergamo Trevisan del 1600 (Rinaldi, op. cit. p. 18).

5 G. Mairone da Ponte, Dizionario odeporico, o sia, Storico-politico-naturale della provincia bergamasca, Mazzoleni, Bergamo, 1819-20, Vol. 1, p. 187.

6 L. Carrara Zanotti, Studi e osservazioni su Serina, Bergamo, C. Colombo, 1874, p. 76.

7 Nel caso di Cornello, località sopraelevata rispetto al fondovalle, dove transitava la nuova via, la decadenza ha consentito di far giungere intatto l’abitato così come era nel medioevo, circostanza rara in Lombardia ma comune nell’Italia centrale. La bella via porticata e le case signorili ricordano, però, che questo era un centro di tutto rilievo quando attraversato dalla via Mercatorum. Diversamente da Cornello, Serina - sede di attività industriali oltre che commerciali – ha potuto mantenere un suo dinamismo.

8 L. Carrara Zanotti, op. cit., p. 77.

9 La Via Mercatorum, Zogno, G.A.L. Valle Brembana, [200-?]; A. Marcarini, La Strada Priula e la Via Mercatorum : a piedi, da Bergamo a Morbegno lungo l'antica strada veneta , Sondrio, Lyasis, 2009; P. Cappellini, La Via Mercatorum, Foto di Tito Terzi], Clusone, Ferrari, [199-?]; La Via Mercatorum : tra Serina, Dossena, Cornello dei Tasso e San Giovanni Bianco [S.l. : s.n., 2019?].

10 Chiamato anche degli "zapelli di Verrobio" (zapèi de Verobi), dal termine lombardo utilizzato per definire un passaggio stretto e obbligato con gradoni (c'erano anche i zapèi de la vriga, per arrivare all'Aprica.

11 Lo riferisce lo stesso Alvise Priuli nella sua relazione di fine mandato.

12 C. Ruffoni, La storia degli alpeggi e del formaggio bitto. La grande svolta - l'età moderna, in M. Corti, C. Ruffoni (a cura di), Il formaggio val del Bitt, la storia, gli uomini gli alpeggi. Come nasce un mito caseario. Ersaf, Milano, 1999, pp.21-72 (32-41).

13Egli sottolineava come l'itinerario attraverso il passo del Verrobio servisse a racoglier le carni et grassine per beneficio della città di Bergamo et de pubblici datii. Ivi.

14 L. Carrara Zanotti, op. cit. p. 77.
15 G. Mairone da Ponte, Dizionario odeporico, o sia, Storico-politico-naturale della provincia bergamasca, Mazzoleni, Bergamo, 1819-20, Vol. 1, p. 187

16
17 Nel caso di Cornello, località sopraelevata rispetto al fondovalle, dove transitava la nuova via, la decadenza ha consentito di far giungere intatto l’abitato così come era nel medioevo, circostanza rara in Lombardia ma comune nell’Italia centrale. La bella via porticata e le case signorili ricordano, però, che questo era un centro di tutto rilievo quando attraversato dalla via Mercatorum. Diversamente da Cornello, Serina - sede di attività industriali oltre che commerciali – ha potuto mantenere un suo dinamismo.

18Come riferirono i rettori di Verona. Mussio, op. cit.

19 Le mire sulla Valtellina erano note e, quello che conta, di esse temevano i Grigioni. Questo fu uno dei motivi, insieme ai giochi di alleanze internazionali, per cui la strada non decollò mai.

20Il Pesenti calcolava che un carro potesse trasportare 40 q.li, un “birozzo” a due ruote 4-6,5 q.li, un mulo 1,75 q.li. Pesenti e Carminati, op. cit., p. 204.

21 Belotti, op. cit. 1959, vol. III, p. 357.

22 I tratti di percorso ancor oggi visibili nei pressi del passo mettono in evidenza le pendenze elevate per gli standard moderni del tracciato e la presenza di gradini. Si trattava di una buona e larga mulattiera quindi. Alvise Priuli non solo esagerava nell’ottimismo nel considerare il tracciato percorribile da birocci ma vantava anche un calibro (5 cubici, ovvero circa 2,5 m) che in realtà esso non era sempre effettivo, a causa di strettoie.

23 Dispaccio del Senato del 3 agosto 1592. Pesenti e Carminati, op. cit., p. 326.

24 A. Giussani, Il Forte di Fuentes : episodi e documenti di una lotta secolare per il dominio della Valtellina, Como, Ostinelli, 1905. Vale la pena osservare che la Spagna, un tempo biasimata dagli storici come causa della crisi economica Seicentesca a causa dell'esosa tassazione e della corruzione (il cattoliberale Manzoni echeggia lo spirito anti spagnolo), investì in Lombardia per esigenze militari ingenti risorse. Esse furono coperte, oltre che dal prelievo fiscale dello stato di Milano, da alienazioni di rendite della corona e da entrate derivanti dalla concessione onerosa di feudi. Queste spese  erano iniettate nell'economia locale (approvvigionamenti di armi, vettovagliamento e opere di edilizia militare). In diverse occasioni ingenti somme di denaro furono inviate dalla Spagna e da Napoli per far fronte alle esigenze della guerra.

25 Pesenti e Carminati, op. cit., p. 204.

26 Le merci da Bergamo si dovevano dirigersi verso Brivio, sul fiume Adda, dove venivano imbarcate per proseguire per la via d’acqua del Lario sino a Samolaco in bassa Valchiavenna e quindi per la “strada dei cavalli” verso lo Spluga. La comoda e diretta via d'acqua, sottostava però alla tassazione milanese e delle comunità che continuavano a mantenere diritti di pedaggio.

27 Monteforte, op. cit.

28 B. Belotti, Storia di Zogno e di alcune terre vicine, Bergamo, Ed. orobiche, 1942, prefazione.

29 Rinaldi, op. cit., p. 23.

30 Monteforte, op. cit.




Serie storia alpina





contatti:redazione@ruralpini.it

 

 

counter customizable
View My Stats

 Creazione/Webmaster Michele Corti