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Valcamonica,
terra di transumanze
(12.12.19)
L'associazione Festival del
pastoralismo di Bergamo (che da pochi giorni ha deciso di
chiamarsi Pastorialismo alpino
ASP (associazione di promozione sociale) ha deciso, insieme
all'associazione Codadilana di Malonno, con la quale è in atto da
diversi anni una collaborazione, di celebrare proprio a Malonno, in
Valcamonica, l'attesa proclamazione dell'Unesco che assegna alla
transumanza il riconoscimento di "patrimonio immateriale dell'umanità".
La Valcamonica è una
valle alpina associata con la transumanza in modo particolarmente
stretto. Non abbiamo, a differenza del Veneto, prove di una transumanza
ovina in epoca romana o pre-romana. La presenza di centri di produzione
laniera a Brescia e Piacenza potrebbe avere avuto alle spalle il
rifornimento da forme di allevamento sia stanziali che
transumanti (entrambe attestate in Veneto). Di certo la
transumanza tra la Val Camonica e il Po è attestata nell'alto medioevo.
A gestirla era il potente monastero di San Salvatore di Brescia.

Nel medioevo abbiamo numerose
attestazioni della presenta di transumanti camuni nella bassa pianura
lombarda. Ma, a partire dal XIV secolo scendono in pianura anche le
vacche. Gradualmente la transumanza bovina si differenzia da
quella ovina ed emerge qualla dei "bergamini", gli allevatori-casari
che hanno continuato la loro attività transumante sino a XX secolo. Che
questi "bergamini" venissero, oltre che dalle valli bergamasche, anche
dalla Valcamonica lo attestano i decumenti dell'epoca. Nel 1461 un
certo Antonio de Valcamonica, bergamino, stipula un contratto di
soccida con Francesco Maletta proprietario di un fondo a Galgagnano
(nei pressi di Lodi).
Il fenomeno dei bergamini si è esaurito nel XX secolo. Quelli della Val
Saviore sono stati descritti dall'etnografo Don Morandini che fu a
curato a Saviore dal 1918 al 1932. Così come quelli bergamaschi
descritti dal Volpi negli stessi anni, i bergamini camuni ci appaiono
portatori di una cultura ancora fortemente differenziata da quella
dell'elemento contadino locale stanziale, legata (come nel caso dei
"pecorai") a tratti "ancestrali". Il rito del salto nelle fiamme,
l'abbigliamento di tono maschile delle donne, l'uso - comune ai
"bovari" svizzeri, degli orecchini d'oro da parte degli uomini (sino a
Novecento inoltrato), dipingono un quadro di cultura
bergamina-pastorale, radicata nelle alte valli, quale deposito di
stratificazioni culturali. Un vero patrimonio da studiare prima che
vada disperso.
Bergamino camuno (da A.
Morandini, Folklore di Valcamonica.
Leggende, tipi, usi, costumi,
Breno, 1927)
I bergamini non provenivano solo da
Savione ma anche da Borno, dalle frazioni alte di Artogne, da alcuni
centri della media valle. Non vi erano bergamini in alta valle. L'alta
valle era regno esclusivo dei "pecorai". Pezzo, Precasagio ma anche
Vione e alte frazioni erano "paesi di pastori". Sarebbe un errore,
però, associare questa "specializzazione" a un'economia povera. Certo,
la vita del pastore era più dura di quella del bergamino che , in
inverno, disponeva - all'interno delle cascine della Bassa - di qualche
locale, di un focolare. Il bergamino si trasferiva in pianura quasi
sempre con la famiglia, quantomeno con una parte della famiglia, il
pecoraio, invece, più vicino al modello del "nomade" perennemente
vagante, in inverno non aveva spesso dei punti di appoggio fissi e si
muoveva alla ricerca di pascolo quasi senza soste, dormendo spesso
all'adiaccio e comunque in tuguri di fortuna. Non tutti i pastori,
però, seguivano questo modello che appare tipico dei pastori dell'alta
valle (M.
Berruti, G. Maculotti, Pastori di
Valcamonica, Brescia, 2001; F. Bertolli, D.M. Tognali, La transumanza invernale delle greggi
dall'Alta Valcamonica alle rive del Ticino, Lonate Pozzolo,
2008; M. Berruti, G. Maculotti, Pastorizia
nelle Alpi, Pontedilegno, 2019).
Quelli di Cevo, detti barólcc,
come ci informa Andrea Belotti (A.Belotti, I Barólcc de Séf, Breno, 2009), scendevano spesso in pianura
con la famiglia viaggiando con un carretto trainato dall'asino (i
bergamini, utilizzavano cavalli e muli). Il pastore alloggiava in
qualche cascinetta o casa rurale e praticava il pascolo in un raggio
tale da consentirgli di non allontanarsi troppo dall'alloggio.
casa rurale e praticava il pascolo in un
raggio tale da consentirgli di non allontanarsi troppo dall'alloggio. A
completare il panorama delle transumanze camune si deve ricordare anche
la transumanza specializzata con le capre. Va distinta da quella dei
"pecorai" (che tutt'oggi mantengono non poche capre per fungere da
"balie" per agnelli orfani o di parto gemellare o figli di madri con
scarso istinto materno , poco latte, mastiti ecc.). I caprai
transumanti avevano solo capre. Non si trattava di greggi numerosi
(data la difficoltà di tenere "disciplinate" e intruppatre le capre),
da di poche decine di capi. Essi si trasferivano intorno a Brescia
(analogamente come facevano i caprai transumanti dell'alta val Brembana
che raggiungevano Bergamo e Milano) nel periodo primaverile, quando le
capre erano "fresche" e gli abitanti delle città o dei centri ad essa
vicini, desideravano consumare latte di capra quale "medicinale".
Il latte di capra era munto e venduto fresco in mezzo alle strade o
anche a domicilio, davanti alle case dei più abbienti. Della
transumanza caprina camuna non si è ancora scritto ma varrebbe la pena
farlo. Conosciamo alcuni
cognomi di famiglie di caprai transumanti: Casarotti, Spavetti che -
come altri transumanti - si sono poi stabilite definitivamente in
pianura.
Una storia di lungo periodo
La
Valcamonica, non va dimenticato parlando di Unesco, è stata, con le sue
incisioni rupestri, il primo sito Unesco italiano. Le incisioni
comprendono molte suggestive scene pastorali. Ausilio Priuli, però,
l'archeologo esperto di incisioni rupestri camune al convegno di
Malonno parlerà di aspetti che consentono di ricostruire, in modo
indiretto, i primordi delle attività pastorali e dell'uso del
territorio in epoca preistorica. Tra l'altro parlerà anche di un
villaggio scomparso in quel di Malonno. Particolarmente interessanti,
perché sfatano l'idea di una montagna popolata solo in epoche molto
recenti,
le recenti ricerche
archeologiche di superficie condotte dal Priuli in alta valle
Camonica. Esse hanno permesso di confermare come, nella preistoria, la
montagna fosse assiduamente frequentata e, soprattutto dall’età del
bronzo in poi, densamente antropizzata. Attività
venatoria, estrattiva di minerali, di raccolta e attività pastorale
hanno lasciato segni indelebili della presenza umana e soprattutto
numerose tracce di insediamenti umani permanenti e stagionali, dalle
basse quote di fondovalle fino alle alte quote delle praterie
alpine. L’individuazione di tracce di villaggi sui terrazzi
pensili di mezza costa permette di capire che in quegli spazi veniva
monticato il bestiame.
Non solo ricordo
L'Unesco,
riconoscendo il valore della transumanza, ha inteso
tutelare un patrimonio culturale vivo. La transumanza verso la pianura
e l'alpeggio sono ancora praticati in Valcamonica. Conoscere e
comprendere la storia significa assegnare valore alle realtà tradizionali di pastoralismo
e agricoltura, apprezzarne specificità e logiche per favorire il loro
contributo alla vitalità della montagna. Le voci che parlano di
attualità sono voci ambivalenti: le difficoltà sono tante e ne sorgono
di nuove, anche se qualche elemento positivo non manca. La capacità di
resistenza di pastori, contadini, abitanti della montagna non è venuta
meno e, quando si aprono spiragli positivi, si cerca di
approfittarne. A rappresentare i pastori transumanti sarà Tino
Zililiani che conosce molto bene soprattutto i problemi della lana,
oggi diventati particolarmente gravi per gli stessi pastori come
per le realtà stanziali di allevamento ovino. Due allevatori conosciuti
in valle: Valentino Bonomi (allevatore di capre e gestore di un
agriturismo) e Andrea Bezzi (produttore di formaggi artigianali,
alpeggiatore e presidente del consorzio del Siltet dop) esporranno la
realtà dell'alpeggio e delle produzioni casearie artigianali. Non
mancano, a questo proposito, elementi di negatività. Le vicende dei
pascoli di Cimbergo e Paspardo, di cui ci siamo ampiamente occupati qui
su ruralpini, vai a vedere qui),
hanno fatto emergere, grazie alle indafini dei carabinieri forestali,
un sistema di speculazioni che sconfina spesso nell'illegalità e che
sottrae risorse destinate agli allevatori di montagna che, oltretutto,
restano senza pascoli o devono piegarsi a patti iniqui con gli
speculatori. Sul piano della produzione casearia, invece, il recupero
della dimensione artigianale, delle filiera veramente "corta", della
commercializzazione diretta (o comunque con "la faccia del produttore")
può rappresentare una chance (o una via obbligata?) per far fronte agli
scandali, anche recentissimi, che scuotono la fiducia del consumatore.
E, rispetto al prodotto anonimo, sia pure garantito sulla carta da
certificazioni e marchi di diverso tipo, quello di montagna, da
caseificio aziendale, può legittimamente ambire a un migliore
riconoscimento di mercato.
La lana
Pastoralismo e agricoltura
non significano solo alimentazione ma anche materie prime per vestirsi.
Da materia prima preziosa, che ogni famiglia cercava di ottenere
allevando qualche pecora, oggi la lana è diventata un "rifiuto
speciale", un peso per i pastori e i piccoli allevatori ovini che non
sanno più come gestire le quantità che si vengono ammassando, specie
dopo la chiusura per fallimento dello storico lanificio Ariete di
Gandino che lavava le lane succide dei pastori transumanti ma anche di
tanti allevatori che riuscivano
ad "ammassare" il prodotto e a trasportarlo al lavaggio.
L’Associazione Coda
di
Lana-Terra Camuna - al convegno presentata da Marina Morandi -
negli
anni scorsi raccoglieva la lana ma non sapendo più dove farla lavare ha
dovuto interrompere la meritoria iniziativa. Smaltire la lana
“legalmente” come rifiuto costae 100-200 euro al quintale, cifra
piuttosto alta per un "rifiuto" che, se potesse essere trattato allo
stadio di materia prima, diventerebbe imbottiture per materassi,
cuscini, cappelli, coperte, trapunte e tanti altri oggetti (pantofole,
borse). Gli utilizzi della lana sono innumerevoli come dimostra una
bellissima realizzazione di Coda di lana: il lettino “Montessori”.
Intanto le fibre artificiali contribuiscono all'inquinamento del
pianeta e delle catene alimentari rilasciando microplastiche
microscopiche che - l'atra faccia del "progresso" - penetrano in tutti
gli organismi viventi.
È da qualche
anno che
l’associazione organizza punti di raccolta in vari comuni della
Valcamonica in occasione della tosatura primaverile. L’associazione ha
un progetto ben chiaro: raccogliere la lana che i pastori camuni sono
costretti a considerare e a trattare come un rifiuto e farne materia
prima che le mani esperte di Maria, le due Silvia e Marina
trasformeranno in cappelli, mantelline, trapunte, guanti, contenitori
vari. Si infeltrisce, si tesse, si fila e si realizza. La lana torna ad
essere un prodotto da utilizzare e non più un rifiuto di cui disfarsi.
Riparte una filiera, piccola, ancora iniziale ma che potrebbe
svilupparsi riconnettendosi a quella cultura e tradizione che tanta
parte hanno avuto anche in Valcamonica.
Non solo pastoralismo
Nelle valli alpine il
pastoralismo stanziale, legato a forme di "piccola transumanza" (verso
l'alta valle, o una valle vicina o, semplicemente, quale salita ai
pascoli alti della comunità) era anche strettamente connesso alle
attività di coltivazione. Oggi il rilancio di attività di allevamento e
di coltivazione diventa vitale per il mantenimento dei centri di
montagna, specie quelli più piccoli che non ospitano attività terziarie
e che possono contare, per non diventare solo dormitori, solo su
attività artigianali ed agricole. Tornare alla piccola scala di
produzione, ad attività miste (allevamento, utilizzazione dei boschi,
coltivazioni) è condizione di sostenibilità ambientale ed economica. Le
piccole produzioni consentono di ottenere prodotti con caratteristiche
e qualità tali da differenziarsi dai prodotti "di massa" e di
bilanciare con un elevato valore aggiunto i modesti volumi di
produizione e lìelevato assorbimento di lavoro umano.
Il mulino di Doverio
In Valcamonica si è tornati a coltivare (un po') di segale e di patate.
Esempio di villaggio rurale alpino camuno è Doverio, in comune di
Corteno Golgi. Solo 93 abitanti oggi, per lo più ultranovantenni,
quando il paese contava ben 40 bambini frequentanti la materna. C'è
comunque voglia di rilanciare antiche
tradizioni e di tenere vivo il paese. Al convegno di Malonno sarà il
presidente della Vicinia, l'antica istituzione comunitativa soppressa
da Napoleone, ma qua e là
fortunosamente sopravvissuta. La vicìnia di Doverio era proprietaria di
molti campi. Il presidente racconterà della riaccensione dei
forni per il pane (di segale), del rilancio della coltivazione del
cereale, del recupero dei filò serali (a Doverio stremadess). Sembra
quasi un miracolo ma a Doverio continua a funzionare la latteria
turnaria e il mulino; pecore (del tipo di Corteno) e capre sono
tutt'ora allevate. Palesemente non sono fattori economici ma
"istituzionali": la vicinia, la trama di relazioni e il mantenimento
del senso di appartenenza al luogo che hanno esorcizzato la deriva
individialista e modernista che hanno salvaguardato la ruralità a
Doverio come fatto vivo. Cose che i tecnocrati non possono capire.
Nel
paesino si prepara come un tempo il cuz,
cioè la carne di pecora cucinata nel grasso a
basse temperature. Fino a non molti anni fà le famiglie si trovavano
7/8 volte all’ anno in compagnia a mangiare il cuz, che si conservava
nel coviol, contenitore
in legno con coperchio, veniva ben
salato,veniva cotto a ottobre-novembre. Poi si conservava anche fino a
aprile/maggio nel coviol, e
lo si utilizzava nelle minestre, un piatto
tipico è la minestra di riso con cuz e latte. La tradizionale festa
del cuz si celebra tutti gli
anni il 20 gennaio, San Sebastiano, si
festeggia il primo sabato successivo, per l’ occasione si preparano
circa
400 porzioni di cuz.
Preparazione del cuz a Doverio
I furegn del pa di Doer (i forni da pane di Doverio)
A Doverio, ,
attraverso la collaborazione con la Vicinia sono stati individuati
forni privati e un mulino. Ogni casa aveva il proprio forno in cui
cuocere il pane e numerosi sono ancora i forni esistenti; da una
prima ricognizione ne sono stati censiti diciotto costruiti sino al secondo dopoguerra. La struttura del forno si trova
esternamente all’abitazione, mentre l’apertura del forno sbocca
nel camino all’interno della cucina.
Per le popolazioni di montagna la
segale ha svolto, nei tempi passati, un ruolo fondamentale perché è
stata alla base della loro alimentazione e della gestione del
territorio. La riscoperta di questo cereale minore e della sua farina
non è semplicemente un omaggio al passato ma anche uno degli aspetti
di un percorso che, dopo decenni di vero e proprio oblio, sta
portando nuove generazioni di agricoltori e produttori al recupero
consapevole delle tradizioni e delle identità locali, ispirato a
valori di sostenibilità ambientale, rispetto del territorio,
valorizzazione dei saperi antichi e della dimensione artigianale.

La Festa de Lo Pan Ner rende omaggio a
tutto questo, coinvolgendo attivamente le piccole realtà agricole
che hanno scelto di recuperare la coltura della segale e di altri
cereali minori quasi scomparsi, i piccoli produttori di farine
antiche e i fornai che tengono viva la tradizione del pane nero,
ancora molto amata in questi territori.
Segale e pan ner sono oggetto di interessanti programmi di
rilancio di una filiera km zero del pane di segale che, sia in
Valtellina che in Valcamonica è sempre rimasto nella tradizione
alimentare locale e nel "paniere turistico". La cosa interessante è che
oggi si cerca di produrlo anche con farine coltivate in loco. Oltre a
Doverio sono anche altre le piccole realtà agricole che hanno scelto di
recuperare la coltura della segale e di altri cereali minori quasi
scomparsi, i piccoli produttori di farine antiche e i fornai che
tengono viva la tradizione del pane nero, ancora molto amata in questi
territori. Di segale e di altre iniziative agricole
capaci di (ri)costruire paesaggi resilienti tratterà l'intervento del
Biodistretto valcamonica.
DOMENICA 15 DICEMBRE VISITE GUIDATE (GRATUITE) IN APPENDICE AL CONVEGNO (a cura geom. Santo Spavetti)
1) MASSI DI CEMMO - 2) BORGO RURALE di MONTE
Domenica 15, ore 9:30 - Visita ai Massi di Cemmo con la
presenza di ILARIA ZONTA, presidente della PRO LOCO- CAPO DI PONTE
che illustrerà i luoghi visitati
PARCO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DEI MASSI DI CEMMO


Il Parco archeologico Nazionale dei
Massi di Cemmo, aperto nell'ottobre 2005, costituisce l'ampliamento
di una piccola area demaniale, esistente fin dal 1964 ed estesa negli
anni successivi. Con la denominazione "Massi di Cemmo",
dal nome dell'omonima frazione sita poco a Nord del comune di
Capodiponte, a circa 400 m s.l.m., sono indicati 2 grandi massi
staccatisi a seguito di una frana dall'alta parete rocciosa che
chiude lungo il lato Nord-Ovest la piccola valle di origine glaciale
chiamata Pian delle Greppe.
Così li trovarono gli antichi uomini
della Valle Camonica, quando decisero di inciderli nel corso dell'età
del Rame (III millennio a.C.). Già noti alla popolazione locale, i
massi furono segnalati al pubblico nel 1914 dal geografo Gualtiero
Laeng: fu la prima segnalazione dello straordinario patrimonio d'arte
rupestre , che si è venuto poi disvelando in Valle Camonica nel
corso di questo secolo.
ALTRE COSE DA VISITARE NELLA ZONA
PARCO ARCHEOLOGICO COMUNALE DI
SERADINA-BEDOLINA
Il Parco Archeologico Comunale di
Seradina - Bedolina racchiude al proprio interno le località
"storiche" di Seradina I, II, III, Corno di Seradina e
Bedolina…. L'area è infatti contigua sia al Parco Archeologico
Nazionale dei Massi di Cemmo (con cui condivide la prima parte del
percorso), luogo di antichissima ritualità preistorica sia ai siti
cultuali medioevali quale il complesso della Pieve di S.Siro.
A
Bedolina è rappresentata la mappa
catastale dei terreni di fondovalle incisa su roccia con indicate le
abitazioni rurali alpine preistoriche, bellissima sia la mappa sia la
vista sulla valle. L’
accesso avviene da sentiero facile a piedi, dal parcheggio vicino ai
massi, circa 20/30 minuti, per chi non vuole salire a piedi puo’
salire in macchina la localita’ e’ lungo la strada Cemmo/Pescarzo,
previo accordo alla biglietteria del Parco di Seradina (100
mt dopo il Cimitero).
Da visitare anche la PIEVE DI SAN SIRO, a
5 min. dai MASSI DI CEMMO, del XII sec.
PIEVE DI SAN SIRO
Pietra miliare del romanico lombardo,
risale al sec. XI / XII. E' ubicata in Cemmo di Capo di Ponte , a
strapiombo sul fiume Oglio. La semplice pianta basilicale tipicamente
romanica, è arricchita dalle tre absidi cilindriche realizzate con
blocchi di arenaria. Sul lato meridionale si apre uno straordinario
portale strombato, interamente decorato a rilievo. Nel periodo che va
dal 1 Luglio al 31 Agosto, dalle ore 15.00 alle 18.00, la Pro Loco
organizza e promuove l'apertura custodita gratuita.
Vicino ai massi c’è anche il
MUSEO del prof. Ausilio PRIULI, noto archeologo locale.
Infornazioni e guide: Associazione Pro
Loco Capo di Ponte c/o BOTTEGA di BATTISTA MAFFESSOLI - centro
storico - 25044 Capo di Ponte (BS) distanze: da Sondrio: Aprica - Edolo -
Capo di Ponte Km 70 2h - da Trento: P.Tonale - Edolo - Capo di Ponte
Km 130 3h- da Milano: Seriate - Darfo B.T. - C. di Ponte Km 135 2h-
da Bergamo: Lovere - Darfo B.T. - C. di Ponte Km 80 1,5 h- da
Brescia: Iseo - Pisogne - Capo di Ponte Km 80 1,5 h.
In TRENINO: TRENORD –ferrovia
BRESCIA/ISEO/EDOLO, bellissimi paesaggi sul lago d’ ISEO e Val
Camonica (consigliato).
Alle 10:30 visita a Monte di Berzo Demo - Mut de Bèrs...
La contrada rurale, conserva tipiche costruzioni, in legno (anche strutturale) e pietra, con interessanti involcc , locali a volta utilizzati come cantine e stalle , da vedere l'interessante collezione di attrezzi e utensili della cultura rurale tradizionale di Giacomo Rino Parolari e Augusto Parolari.
La contrada presenta anche altre interessanti tipicità che verranno
illustrate. Ritrovo per gli interessati alla chiesa. Dal momento che le
costruzioni in legno sono poco diffuse in questa parte della
Valcamonica (a differenza dell'alta valle) qualcuno suppone che le
tecniche della costruzione in legno siano state acquisite na maister
(mastri muratori) che emigravano in Svizzera. Possono però
rappresentare verosimilmente anche un esempio di conservazione di un
uso del legno per le costruzioni anticamente più diffuso sopra l' abitato a quota circa 1100 m, l' archeologo Ausilio
Priuli ha confermato la presenza dell' antico mut (villaggio
scomparso), che poi è stato abbandonato. Nei pressi della località
Loa sono state scoperte incisioni rupestri (per le quali si rimanda alle
ricerche dell’ archeologa Serena Solano).
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