convivere (con
il lupo), allevatene sempre di più”
Condividi
Un
giallo engadinese
di 200 anni fa
di Michele
Corti
(07.10.20)
Il
modo con il quale il lupismo (istituzionalizzato e d'assalto)
propone/impone l'uso dei cani mastini da difesa dei greggi è, in
realtà, solo un alibi, un nascondersi dietro un dito. A loro interessa
distruggere il pastoralismo e stabilire la pseudo "wilderness" (che
nasconde business economico e controllo politico del territorio). Il
cane da guardiania è per loro alibi, subdola trappola. Non si sta a
guardare per il
sottile: la razza, il modo di gestirlo, i requisiti per utilizzarlo.
Tanto è solo una scusa (come i recinti), per dire: "colpa vostra non
avete (abbastanza) cani, non siete capaci di gestirli, siete voi che
non volete convivere". Per concludere: "Giusto
che vi estinguiate e se ci mettete troppo a farlo ci pensiamo noi a
eliminarvi del tutto" (questo, per ora, lo dicono apertis verbis solo i
pasdaran).
C'è persino chi
si inventa "allevatore di pecore" per vendere meglio i cani da
guardiania, approfittando della "situazione di mercato" favorevole. In
Lessinia nessun allevatore vuole i cani da difesa perché è zona
(vicinissima com'è alla città di Verona), frequentatissima da
escursionisti, bikers, turisti della domenica. Così, con il sostegno di
Wolf Alps (il lupismo istituzionalizzato e ben ingrassato dalle
milionate di denaro del contribuente), una ragazza che alleva (e vende)
i cani ha acquistato qualche pecora brogna. Poi le organizzazioni
(sorprendentemente, oltre a Wolf Alps, anche la Cia veronese che in
tutta
Italia si distingue, di solito, per una posizione critica nei confronti
del lupismo) mettono in piedi corsi di difesa dal lupo e di utilizzo
dei cani con esperti privi di ... esperienza agricola.
In ogni caso "imprintare" i cani con
quattro pecore non è la stessa cosa che farlo in un gregge vero, in un
contesto dove lavorano diversi cani (anche quelli da conduzione) con
1000 pecore.
Ci si è chiesti
poi se il mastino abruzzese sia il cane più adatto per l'ambiente
alpino? O lo si spinge perché c'è dietro un business importante? Se
guardiamo all'ambiente (orografia, vegetazione) e al modo di impiego
(con maggiori contatti con le persone) un pastore silano,
probabilmente, si può dimostrare più ideoneo sulle Alpi dove il primo
requisito deve essere la ridotta aggressività nei confronti dell'uomo e
la capacità di operare anche nell'ambito di superfici a copertura
arboreo-arbustiva.
Cani
pastore della Sila
In tema di
razze avremo modo di tornare. Di sicuro conta il fatto che una razza
sia stata selezionata anche per contrastare l'abigeato, nel contesto di
un tipo di impiego che limita il contatto con l'uomo a quello con il
pastore.
Sulle Alpi il
turismo escursionistico è molto diffuso e non si
può non tenerne conto. Non si potranno mai impiegare mute di numerosità
comparabile con quella dell'Abruzzo. Ma forse, così come
l'animal-ambientalismo, cavallo di troia del turbo-capitalismo più
spietato, tende a eliminare l'allevamento ecologico pastorale (in
favore delle multinazionali della soia, della carne artificiale e,
intanto, di MacDonald e della sua filiera che ha distrutto le foreste
tropicali), così esso vuole anche eliminare il turismo sostenibile e
fare
delle Alpi, tolte isole di turismo consumistico e fortemente impattante
sull'ambiennte, un grande Parco
nazionale dove la finanza globale si possa ingrassare con il controllo
e lo sfruttamento dell'acqua e di altre risorse naturali, il business
dei derivati basari sui crediti di carbonio, i titoli di
biodiversità e altre delizie della green economy truffaldina).
Tanti
anni fa in Engadina un innocente è accusato di un feroce omicidio, ma...
Spostiamoci in
un epoca storica non molto lontana. Abbastanza lontana però sa
precedere l'esordio dell'industria turistica, che ha cambiato la realtà
delle
Alpi (specie di alcune valli). A Sankt Moritz (non è la Costa
azzurra, non si dice Saint Morìtz alla francese), il primo albergo
sorge
nel 1856. La vicenda che ci ha incuriosito, e che qui vi propongo,
risale
a poco meno di trent'anni prima (1827-1828). A raccontarla è Tullio
Dandolo, figlio del ben più noto Vincenzo, personaggio moolto
importante di
età napoleonica, che si era trasferito da Venezia a Varese facendo
mambassa (il "patriota") di grandi proprietà terriere
confiscate agli enti ecclesiastici grazie alla sua
posizione politica.
Vincenzo
Dandolo (Venezia 1758 - Varese 1819)
Figlio di un
chimico ebreo
(Abram Uxiel), accumulò grosse ricchezze gestendo a Venezia dei
laboratori chimici. Entusiasta sostenitore di Napoleone, fu esule a
Milano dopo il trattato di Campoformio, con il quale, nel 1797,
Napoleone cedeva il Veneto all'Austria. Ebbe un ruolo di spicco nella
prima Repubblica Cisalpina). Grazie ad acquisti spregiudicati di
“beni nazionali” (frutto delle soppressione dei conventi), il
Dandolo che da politico e legislatore sosteneva la vendita, ma non
certo la
divisione (“polverizzazione”) tra i contadini, dei beni nazionali,
riuscì
in pochi mesi (non esisteva il “conflitto di interesse, anzi) ad
acquisire una grande tenuta presso Varese dove eresse una villa
padronale.
Qui si dedicò ad esperimenti agrari a partire dal 1802
quando, con la Repubblica
Italiana guidata da Francesco Melzi d'Eril,
uscì quasi del tutto dalla scena politica. La sua più famosa
iniziativa fu l'introduzione delle pecore merinos (l'opera più
importante sul tema Del
governo delle pecore spagnuole e italiane e dei vantaggi che ne
derivano, Veladini,
Milano
1804).
Fu il primo ad occuparsi dal punto di vista agronomico della
patata in Lombardia (Sulla
coltivazione dei pomi di terra,
Pirotta e Maspero, Milano 1806)
. A differenza della patata, che i contadini dovettero rassegnarsi a
consumare dopo l'ultima carestia del 1816), l'operazione
merinos
si rivelò una “bolla” vantaggiosa solo per il Dandolo
stesso e pochi altri grossi proprietari che, grazie al forte appoggio
delle autorità e degli esperti del tempo, gli “scrittori” di
cose agrarie ed economiche - sempre pronti, oggi come ieri, a
sostenere gli interessi forti, anche speculativi - riuscirono a vendere
riproduttori ad
altri allevatori allettati dalle prospettive di guadagno.
Gli scritti
sulle pecore merinos,
la patata, i beni comunali (di cui ovviamente
perorava la privatizzazione) furono raccolti nei Discorsi
sulla pastorizia, sull'agricoltura
e su vari oggetti di pubblica economia (Pirotta
e Maspero, Milano
1806). Fu richiamato sulla scena politica da Napoleone in persona
(per il quale in Italia, su diciotto milioni di persone gli unici due
uomini degni di questo nome erano il Melzi d'Eril e il Dandolo) che lo
nominò governatore della Dalmazia. Nel 1809, dopo avere
acquisito altre proprietà, sempre da demanio e sempre a spese di
conventi, riprese ad occuparsi di pecore ma anche di patate (Nuovi
cenni sulla coltivazione dei pomi di terra e applicazioni a vantaggio
sì delle famiglie che dello Stato (Ostinelli,
Como, 1810)
ma anche di enologia, zucchero. Non ebbe conseguenze dal crollo del
regime napoleonico (a parte il tentativo di assalto alla sua villa)
e, sempre considerato dalle autorità, alla
vigilia della carestia degli anni 1816-1817 rilanciò la sua campagna
a favore della patata Grido
della ragione per la più estesa
coltivazione dei pomi di
terra
(Sonzogno,
Milano 1815) dimostrandone i vantaggi per l'alimentazione umana e
animale (La
coltivazione
dei pomi di terra considerata nei suoi rapporti colla nostra
agricoltura, col
benessere delle famiglie coloniche, dei
possidentie dello stato.
Sonzogno, Milano, 1817). In ultimo si dedicò alla nuova e
promettente problematica dell'economia rurale lombarda: il baco da
seta.
Tullio
fu personaggio ben diverso dal padre, per certi versi all'opposto (come
spesso capita).
Da ragazzo -
trascurato dal genitore troppo impegnato nella politica, negli studi e
nelle sue proprietà - passò da un collegio all'altro,
pur riuscendo a laurearsi in legge a Pavia. Da giovane, morto il padre,
si diede alla bella vita e ai viaggi, quindi fu letterato senza
successo.
Tullio Dandolo
(Varese 1801- Urbino 1870)
Sostenitore, per idealismo, della causa risorgimentale, ma fervente
cattolico (neoguelfo), partecipò alle cinque
giornate con
i figli di secondo letto. Nella difesa della
repubblica romana
mazziniana (1849), uno di questi morì, l'altro fu ferito gravemente e
morì di lì a poco. Il brano che ci interessa lo scrisse nel 1827 (o
1828) ed è tratto dal Saggio
di
lettere sulla Svizzera: il Cantone de'
Grigioni, Milano, Stella Antonio Fortunato e figli, 1829,
pp.
202-203.
L'opera si inserisce nella "letteratura di viaggio" che fu molto in
auge tra Sette e Ottocento.
Bever oggi
Descrivendo i
costumi dei Grigioni, il
Dandolo presenta la materia come se fosse frutto di sue osservazioni
dirette o della raccolta di testimonianze dalla viva voce degli
informatori. Però c'è da sospettare che l'autore, che indulgeva al
vezzo di romanzare la materia trattata, abbia riferito come elementi di
prima mano, fatti ricavati da fonti scritte.
In un paese engadinese, il
Dandolo riferisce di aver assistito a una strana cerimonia: una ragazza
offriva una rosa a un anziano che veniva scarcerato, una sorte di
risarcimento offerto dalla comunità per un'accusa grave (un brutale
omiciio) e una detenzione
ingiusta. Proseguendo verso un altro villaggio, il nostro si accompagna
con un magistrato che aveva partecipato alla scarcerazione
dell'innocente e si fa raccontare i retroscena di quella strana
circostanza (poi si fa descrivere i costumi locali e
il carattere degli engadinesi).
Il magistrato spiega
innanzitutto chi
era la persona scarcerata per provata innocenza e di quale delitto
fosse
stata accusata. E' la narrazione di un piccolo giallo, che ha
per protagonista un sospetto omicida, colpevole "perfetto" (c'era il
movente, c'era l'arma del delitto), poi sgagionato a seguito della
scoperta del cadavere e
dei veri colpevoli. Che non sono esseri umani ma... Ma
leggiamo il racconto:
A
Bevers [...]
il capitano Schukan, uomo ragguardevole
per virtù e
per
ricchezze, era scomparso improvvisamente, lasciando nella desolazione
la sua numerosa famiglia ; ne s'avea potuto raccogliere alcun indizio
intorno a lui, se non che essendosi recato a cacciare sui vicini
monti, ve lo avea seguitato alcune ore dopo, armato di
scure, Augusto Fugger, che per antica
discrepanza di
opinioni politiche era tenuto in conto di suo
nemico. Schukąn non s'era più visto tornare; e
l'altro,
allorchè și ricondusse la sera a casa , s'avea lordo il vestito di
sangue; ed anche l'accetta n'era macchiata. Un grido terribile
d'accusa s' alzò dopo alcuni giorni contro Fugger; e
i
magistraţi, per sottrarlo al furore de numerosi amici e clienti del
Capitano, furon costretti di mandarlo prigione sinché non si
chiarissero le cose. Egli vi si trovava già rinserrato con immenso
dolore del suoi figli, e di tutti quelli che, conoscendolo davvicino
, credendolo incapace di ciò che gli și imputava, allorché un
taglialegne, veduti sul monte indizii di fossą recentemente coperta,
spinto dalla curiosità si fe' ad aprirla, e vi trovò entro il
corpo dell'infelice Schukan che portava ancora le
impronte
evidenti dell'atroce genere di morte che terminato aveva i suoi
giorni.
Egli era mezzo dilaniato, e i
denti di animal feroce aveano
lasciato orme profonde nelle sue carni. Accorsero que'
di Bevers a
visitare il cadavere; é fu palese essere il Capitano perito vittima
dei mastini che allevavano a difesa de' loro greggi i pastori
bergamaschi, a cui s'affittavan le pasture; ed aver questi
indubbiamente seppellito là quel corpo per occultare l'orribil
fatto, ed evitare gli sdegni pericolosi che l'appalesarlo avrebbe
attirati sovra di essi. Gli è appunto di uno di que' feroci animali
che la scure di Fugger era tinta, essendo a lui
riuscito
con vigorosa difesa di scansare la tremenda sciagura ch'era piombata
sul Capitano. Appena in così strana guisa riconobbesi
l'innocenza dell'accusato, gli si aprirono colla pompa consueta le
porte del carcere; ed alla figlia di lui era
toccato in sorte
la consolazione di porgere al padre la rosa simbolica..
Il cane da guardiania bergamasco (estinto)
Albert
de Meuron, pittore romantico svizzero, ritrasse in più occasioni i
pastori bergamaschi. Grazie a lui possiamo conoscere anche l'aspetto
del cane da guardiania bergamasco. Le opere sono degli anni '60
dell'Ottocento
Come
si nota dai dipinti, il cane da difesa bergamasco era di tipo
molossoide con pezzatura rossa. La struttura richiama quella dei bovari
svizzeri ma che la razza fosse allevata da secoli dai pastori
bergamasco-camuni lo indicherebbe il celebre affresco del ciclo di San
Glisente a Berzo inferiore. Il cane, munito di collare con le punte di
ferro anti-lupo appare chiaramente di pelo corto e pezzato rosso.
Anche se le circostanze
possono essere state romanzate dal Dandolo, il nucleo del racconto pare
rimandare a un fatto reale, accaduto magari anni prima o in altra
località. Dal momento che i pastori bergamaschi da secoli frequantavano
l'Engadina con le loro greggi ed erano considerati validissimi
professionisti nonché puntuali e precisi pagatori degli affitti dei
pascoli. Essi disponevano di norma di efficaci cani anti-lupo ed erano
quindi abituati a gestirli I
forti e fidi cani che custodiscono i greggi bergamaschi nelle Alpi
dell' Engadina lottano spesso da soli coi lupi e rimangono sovente
vincitori (Nuova Enciclopedia Italiana, vol. I, Utet,
Torino, 1875, s.v. "Alpi"). Delle caratteristiche di questi cani non
sappiamo molto. Di certo erano di grossa taglia, come conferma la
seguente notazione sui greggi dei pastori
bergamaschi in Engadina, quando ormai il pastore bergamasco è diventato un elemento "romantico" delle guide turistiche : Molto
interessanti a vedere sono queste mandre in viaggio; alcune
vacche, alcune capre,
parecchi asini carichi d'utensili da cucina, ed
in autunno anche di prodotti campestri, le accompagnano, mentre dei
grossi cani formano la retroguardia. (W.
Kaden I bagni di St. Moritz : la stazione climatica per eccellenza
nella Alta Engadina, Top. Tanner, Samaden, 1887, p. 17).
E'
da ritenere quindi, considerando che i greggi bergamaschi in Engadina
erano normalmente difese da questi grossi e gagliardi cani (che,
comunque, il pastore era abituato a saper gestire) che
l'episodio non possa che spiegarsi con
qualche circostanza particolare, con i rischi
imponderabili che il contatto con i cani da guardiania può comportare.
Ieri come oggi.
Se i cani fossero sfuggiti al controllo dei pastori (a causa della
rabbia silvestre o di altri motivi), i pastori non si sarebbero
probabilmente neppure accorti del fattaccio e non avrebbero provveduto
a sotterrare la vittima. Da escludere anche da parte delle persone
attaccate dai cani comportamenti "sbagliati", dal momento che la
montagna la conoscevano bene. Per quanto sfortunate, le corcostanze
erano state tali da lasciar suppore una responsabilità dei pastori.
Che, del resto, viene anche oggi chiamata in causa a fronte di
attacchi, fortunatamente sinora senza gravi conseguenze, ai
turisti.
Trovarsi all'improvviso a tu
per tu (la nebbia che si solleva per esmpio) con i
cani da guardiania in vicinanza del gregge può essere pericoloso anche
oggi, meno con certe razze di cani, di più con altre, meno con cani ben
gestiti da pastori esperti, di più con cani introdotti nei greggi sulla
spinta dei "programmi di convivenza" con il lupo.
Come non
pensare così che la propaganda a favore dei cani non miri, in modo
subdolo ad acuire il conflitto tra
pastori e turismo, tra pastori e amministrazioni? Non vi sono già
abbondanti segni della tendenza a legare le mani ai pastori? A metterli
nella trappola: Prima: "Dovete tenere i cani. Dovete tenerne di più".
Poi: "Non potete tenerli. Dovete tenerli legati. Non dovete lasciarli
liberi se non siete presenti" (vedi l'articolo qui
su ruralpini: Cani
da difesa vietati).
Articoli
recenti in tema lupo e lupismo, resistenza rurale alla proliferazione
dei grandi predatori
Si
allarga in Valsesia il movimento NO LUPI (29.07.20)
"O noi o i lupi". WolfAlps - sempre più autority
del lupo
istituzionalizzata - e Regione Piemonte sono stati contestati anche in
Valsesia in nome della resistenza rurale (dopo la protesta in Ossola di
un mese fa). Nessuna fiducia nell'opportunismo della politica e delle
istituzioni. Va intensificata la protesta per rompere la cappa di
piombo di censura e manipolazione
In
Ossola tanti no alla convivenza con i lupi
(28.06.20)Gli allevatori ossolani:
"O noi o l lupi". La Regione Piemonte "Vi siamo vicini ... ma stiamo
con WolfAlps". Ampio resoconto dell'incontro sull'emergenza lupo
nell'Ossola e Vco di venerdì scorso 26 giugno a Villadossola. La
protesta - civilissima - degli allevatori e dei sindaci ha accompagnato
l'evento. Molte le critiche ma anche le proposte da parte degli
allevatori e delle istituzioni rappresentative del territorio,
schierate decisamente contro i lupi. Utile lettura per tutte le realtà
alle prese con il problema.
Impongono
i cani da difesa, poi vietano di usarli (22.06.20)
Quando un comune turistico come quello di Alagna Valsesia prevede
pesanti limiti all'uso dei cani da difesa, scaricando sui pastori gli
oneri della gestione del conflitto cani-turisti, non possiamo non fare
a meno di riflettere che la "coabitazione" tra lupo e pastoralismo è
solo l'ipocrita formula per togliere di mezzo uno dei due "coabitanti":
il pastore e i suoi animali. Così come vuole il piano capitalistico di
esproprio della montagna.
Lupi
in Ossola e Cusio. Allevatori e sindaci: situazione insostenibile (31.05.20)
La clamorosa protesta dell'allevatore di Quarna, che ha portato le sue
capre in prefettura a Verbania (27 maggio). Un incontro dei sindaci
della valle Anzasca (30 maggio) con la partecipazione di rappresentanti
politici ed esperti (non i soliti pro lupo), unanimi nel dichiarare la
situazione insostenibile.
Exorcizo
vos pestiferos lupos (13.03.20)
In una piccola valle della provincia di Verbania è stata ripristimata
la messo contro i lupi che si celebrava, il giorno di San Valentino,
dal 1762. L'evento ha raccolto un forte consenso da parte
della popolazione e ha trasmesso anche all'esterno il senso della
gravità della minaccia legata alla proliferazione del lupo che minaccia
il completo abbandono della montagna.