Ruralpini  resistenza rurale

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Al tempo del dopo contagio

È inutile portare in montagna
 i fallimenti della città

di Anna Arneodo

Approfittando del clima del post contagio l'Uncem torna a proporre le sue ricette di montagna "da bere". L'Uncem (Unione dei comuni e delle comunità montane) è in realtà un'agenzia di professionisti della politica e di tecnocrati, pronti a farsi promotori e mediatori di interessi rampanti. Articolazione della borghesia svendidora urbana, ha l'impudicizia di rappresentare la montagna. Lo si è visto nel caso delle biomasse e della promozione di speculazioni immobiliari sulle borgate abbandonate. Ora vuole proporre un'operazione più vasta. Prima si costringe a fa scappare la gente (via i servizi, via i negozi, strade a pezzi, lupi, cinghiali, tasse, burocrazia) e si lascia che il patrimonio edilizio diventi fatiscente (anche grazie all'IMU), poi si acquistano per nulla gli immobili e se ne promuove la ristrutturazione come seconde case o abitazioni di ricchi cittadini che in montagna vanno a fare smart working  ma che non contribuiscono a pulire un metro quadro di bosco o a sistemare un metro lineare di sentiero. Sarebbe più logico e più economico togliere un po' di tasse e di bastoni tra le ruote ai montanari e dare loro incentivi a continuare a vivere in montagna. No, questo non va bene all'Uncem e alle sue teste d'uovo che vogliono (anche per finalità politico-ideologiche) "ripopolare" con "nuovi montanari" isole di montagna (in mezzo alla "natura tornata incontaminata") azzerandole l'identità sociale e culturale. I bisogni dei "vecchi montanari", però sono ben altri come ricorda Anna Arnodo

 

 






(16.06.20) L’UNCEM si sta rivelando – anche in questa nuova imprevista emergenza – l’ennesimo ente inutile preposto a occuparsi della montagna, che specula offensivamente sulla montagna.
Leggo sul comunicato del suo presidente Bussone (montanaro di città), datato
12/5/2020: Ecobonus: importantissimo anche per le seconde case nei borghi alpini; e ancora concedere contributi sulle spese di acquisto e ristrutturazione di immobili da destinare a prime abitazioni a favore di color
o che trasferiscono la propria residenza.
Noi montanari, che già viviamo quassù e presidiamo da sempre queste “terre alte” (come va di moda oggi chiamare la montagna) non meritiamo niente: abbiamo già la residenza, la casa, prati, campi, mucche e pecore, ricoveri per i “poveri vecchi”, pulmini per le deportazioni scolastiche a fondovalle…, baite cadenti e vecchie borgate in surplus da svendere ai mecenati
che – bontà loro – verranno dalla città a investire in montagna, anche grazie alla funzione di agenzia immobiliare rivestita dall’UNCEM (v. il caso della borgata Batouira… di cui abbiamo parlato qui su ruralpini.it).


Questa è la considerazione in cui l’UNCEM tiene i montanari che già vivono in montagna!
Non riesce ad immaginare, il Pres. Bussone, che tenere in piedi una casa, una stalla, un’azienda, una piccola attività costa, costa tanto, costa ancor di più quassù, dove le ore di lavoro sono infinite e continui a lavorare solo “malato” di passione.
Noi montanari potremmo andarcene tutti (in fondo siamo da sempre figli di emigranti, abituati a partire) e lasciare il posto a chi – con gli incentivi statali perorati dall’UNCEM – verrà in montagna diventata luogo in cui vivere e lavorare grazie allo smart-working in condizioni più favorevoli rispetto alle aree urbane (v. comunicato UNCEM del 12/05/2020).
L’UNCEM prevedesse almeno per noi, “vecchi” montanari, uno stipendio come giardinieri!
Invece di darsi da fare per ecobonus a seconde case, premi per chi trasferisce da fuori la residenza, investimenti per creare parcheggi a pagamento (v. comunicato UNCEM del 28/05/2020) l’UNCEM in maniera molto più concreta, dovrebbe adoperarsi per chi in questo momento fatica per mantenere un presidio sulla montagna:

  • Pensiamo alle strade (per le quali la Provincia in questo ultimo anno sostiene di non avere più soldi, nemmeno per la manutenzione ordinaria, pensiamo alla strada del Vallone di Elva in Val Maira, interrotta da anni, con aziende agricole giovani stabili a monte a 1500 m. di altezza);

  • Pensiamo al problema dei registratori di cassa obbligatori dal 31/12/2020 per i piccoli negozi e le aziende agricole;
  • Pensiamo all’assurdo di tanta burocrazia per i piccoli coltivatori, che obbliga - per esempio – ad avere un mezzo apposito autorizzato al trasporto animali per trasportare un agnello al macello;
  • Pensiamo ai servizi veterinari ASL che stanno chiudendo ovunque nei paesi di fondovalle;

  • Pensiamo ai piccoli negozi, agli uffici postali, alle scuole che hanno già chiuso o stanno chiudendo ovunque…
  • Pensiamo ai lupi che hanno ricolonizzato le nostre valli e uccidono, assieme a pecore e mucche, anche la passione di chi ancora resiste ad ogni costo: ormai in montagna ci sono più lupi che bambini, come ha scritto qualcuno.


Questi sono i bisogni della montagna vera, della montagna che scommette ogni giorno per vivere:

NON la montagna degli ecobonus per la seconda casa,
NON la montagna di parcheggi a pagamento,
NON la montagna dello smart-working da un villaggio turistico, restaurato con fondi pubblici, dotato di tutti i servizi più moderni, perfetto ma finto, senz’anima, perso in deserto di abbandono tra rovi e cespugli, boschi che avanzano, prati e campi che scompaiono, senza più montanari veri.
Ripensiamo le terre alte: ma ripensiamo davvero la montagna con gli occhi e il cuore, la storia, la cultura, la passione dei montanari.
È inutile riportare in montagna i fallimenti della città. 






AL TEMPO DEL CONTAGIO

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