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Due schiaffi alla Valchiavenna
 (21.01.17) La Igp "Pizzoccheri della Valtellina" certifica che la Valchiavenna è...in Valtellina, mentre i brasiliani della Jbs lanciano la Brisaola "antica, tradizionale" rubando alla Valchiavenna anche la "i". Agroindustria senza scrupoli falsifica storia e geografia. Perché, tranne i ribelli del bitto, di schiene diritte se ne vedono poche in giro e lorsignori fanno quello che vogliono senza pagare dazio.


Valtellina che gusto industriale
(23.11.16) La promozione istituzionale agroalimentare valtellinese continua a ricalcare i cliché del Mulino Bianco, delle favole colorate che nascondono ben altre realtà . Uno stile industriale di marketing del fasullo per promuovere un agroalimentare industrializzato, banalizzato, omologato. Sperperando i soldi di chi paga le tasse.  Ma non basta. Dopo aver espropriato il bitto storico del nome "bitto" la promozione "ufficiale", non contenta di raccontare banalità, barzellette insulse e cose ben diverse dalla realtà, continua a mimetizzare il bitto "legale" (in forza delle falsità sottoscritte dalle istituzioni in sede di istituzione della dop) ovvero quello "Nuovo omologato" con lo "Storico ribelle" (il vero bitto che si fa come secoli fa). Lo fa anche in modo sfacciato e maldestro (copiando testi e spacciando foto dello storico ribelle per quello "istituzionale")


La farsa del pizzocchero valtellinese IGP
(21.01.12) Il pizzocchero "Valtellinese" IGP è prodotto principamente fuori della Valtellina, a Chiavenna (dove il pizzocchero è da sempre di farina di frumento) con farina macinata in Brianza di origine cinese 

 

 





 
 

 


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cibo territoriale

JBS: lo scandalo globale che coinvolge l'agroalimentare  Valtellinese 


di Michele Corti

(13.12.17) La Rigamonti JBS è l'azienda leader della bresaola Valtellina, prodotto tipico IGP e vanto dell'agroalimentare sondriese. A giugno il Sole24 ore  aveva  accostato i guai della JBS alla bresaola suscitando le ire del Consorzio di tutela (vicepresidente il manager della Rigamonti-JBS, Palladi). Ma, dal momento che la storica e principale azienda produttrice della  bresaola industriale (oltre 30% di quota di mercato) è di proprietà della multinazionale brasiliana, e che quest'ultima è  coinvolta in una serie - senza precedenti nel mondo del business - di attività criminali,  c'è poco da risentirsi. L'oceano di fango dello scandalo JBS non può non schizzare sulla Valtellina. Piaccia o meno.

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(in fondo all'articolo un aggiornamento importante)

La JBS diventa padrona della Rigamonti nel 2015, dopo una serie di passaggi di mano che avevano già visto la cessione dell'azienda ai brasiliani della Bertin da parte del "re della bresaola" (il comm. Emilio Rigamonti). Le acquisizioni di aziende di bresaola mettevano in mano ai carioca l'ultimo anello mancante di una filiera già quasi completamente brasiliana (allevamento, macellazione, prima lavorazione). Va anche ricordato che la JBS non era nuova al mondo della bresaola in quanto, per anni, ha avuto una quota del 50% del gruppo Cremonini (il maggiore italiano nelle carni) che produce bresaola con il marchio "Montana". Il motivo è semplice: la bresaola industriale si fa con carne congelata di zebù sudamericano.

La fortuna della Rigamonti, sulla cui scia si misero poi altre aziende, consistette nell'intuire che un prodotto a basso costo (le cosce congelate di zebù allevato in brasile) potevano prestarsi a realizzare la bresaola. Il gusto del prodotto artigianale è ben diverso ma, alla massa dei consumatori che non lo conoscevano, la "nuova bresaola" venne presentata come un prodotto allettante, "moderno", in sintonia con le preferenze per la carne magra. Il gioco funzionò. Il business crebbe.

In assenza di possibilità di confronto con la ben più succulenta e aromatica bresaola artigianale il consumatore di massa accolse con favore un prodotto "dietetico" ma al tempo stesso "tipico" e che "sa di montagna". Il suggello all'operazione è stato conferito dall'Unione Europea che, ha inserito la bresaola della Valtellina tra i prodotti IGP (Indicazione di origine protetta).

Italia primo importatore di carne brasilera....

Nel 2016 il Brasile ha esportato in Italia  30 mila tonnellate di carne.  Francia, Polonia, Olanda e Germania forniscono i banchi del fresco dei supermercati, il Brasile... la Valtellina per produrre un prodotto gratificato dal marchio europeo Igp, incensato come una delle eccellenze dell'agroalimentare lombardo e considerato tra i fiori all’occhiello del Made in Italy.

Meriti che andrebbero riconsiderati alla luce di considerazioni etiche tenendo conto del ruolo che ha avuto e che ha la produzione di carne sulla distruzione della foresta pluviale amazzonica (ma anche di foreste tropicali e subtropicali) e quindi delle alterazioni del clima, ma anche nell'esproprio di comunità rurali e di forme di sfruttamento dei lavoratori che arrivano allo schiavismo, senza considerare gli effetti sociali e politici della corruzione legata al ruolo delle multinazionali che controllano i business del legno, della carne, della soia (purtroppo non c'è solo la JBS).


Bresaola e pizzoccheri: la tipicità industriale premiata da un sistema autoreferenziale

Il business della bresaola (arrivata a 18 mila tonnellate annue di prodotto) cresce ormai da anni, inarrestabile, e i produttori artigianali (o comunque più piccoli) che usano carni comunitarie bovine, preferiscono far buon viso. Finché la bresaola "tira" meglio restare legati al carro degli industriali, non sollevare eccezioni e distinguo, non disturbare i "manovratori" (aziende più grosse, camera di commercio, distretto agroalimentare, e altre istituzioni). Il Consorzio raggruppa 14 ditte che producono il 70% delle 18 mila tonellate di bresaola. Per lungo tempo fu capeggiato dal "re della bresaola", il sciur cumenda Emilio Rigamonti, oggi esso è presieduto da Franco Moro è Claudio Palladi che dirige la Rigamonti-JBS.  I Moro sono noti per la Moro pasta, società della Valchiavenna, leader del pizzocchero industriale "valtellinese", che nel 2014 ha ottenuto una discutibile IGP (vedi su ruralpini: "La farsa del pizzocchero IGP". Franco Moro detiene il marchio della bresaola Del Zoppo (la famiglia  controlla Moro pasta controllata da un fondo di investimenti).

Fuori ci sono piccoli operatori artigianali che preferiscono stare coperti e allineati per non perdere le briciole (fuori dalla IGP non ci sono altri riconoscimenti pubblici e quindi le misure a favore del "prodotto tipico" vanno solo agli industriali). Gli artigiani fuori dalla IGP che usano carne km 0 (o comunque comunitaria) preferiscono non correre i rischi di mettersi contro l'establishment politico, burocratico, bancario. Al massimo mugugnano ("sarebbe bello differenziarsi"). Ma la cupola rintuzza ogni velleità perché dietro ogni pur timido dissenso essa teme un'altra ribellione come quella del bitto. La scusa è "non vogliamo altre guerre fratricide". Ma così vince lo status quo industriale. Una politica di cui qualcuno si pentirà perché la facciata di cartapesta del "prodotto tipico di montagna" non può nascondere in eterno la realtà .

Scandali gravissimi a ripetizione

Ma torniamo alla JBS. La bolla, o meglio il verminaio JBS, deflagra nella primavera di quest'anno ma in estate (dopo l'articolo "incriminato" per "lesa bresaola" del Sole 24 ore) si aggiungono altri gravissimi capitoli. La JBS, è bene ricordarlo, è la più grossa multinazionale della carne del mondo e tra le cinque dell'agroalimentare globale. Ha 70 mila fornitori (40 mila in Amazzonia) e 54 miliardi di dollari di fatturato. Ha molte società ad essa collegate ed è controllata dalla famiglia Batista, macellai che hanno fatto strada. Contro di essa sono sinora state formulate le accuse di:

  • deforestazione illegale in Amazzonia
  • controlli taroccati sulla qualità della carne
  • schiavismo
  • corruzione di 1900 politici
  • frode nell'ottenimento di finanziamenti bancari
  • insider trading in operazioni borsistiche

JBS colpevole di distruggere la foresta amazzonica

 Iniziamo dalla deforestazione. L'industria delle carni è la prima responsabile della deforestazione in Sud America. Tra il 2010 e il 2015 si sono persi ogni anno quasi un milione di ettari di foresta. Tra il 1990 e il 2015 la produzione di carne è stata responsabile per l'80% della deforestazione. Si stima che meno dell'1% della produzione di carne sudametricana risponda a criteri di sostenibilità. Va quindi precisato che, al di là delle pratiche illegali, la quasi totalità della carne importata dal Sudamerica è prodotta non rispettando l'ambiente.  Una volta disboscato il terreno viene utilizzato a pascolo per l'allevamento estensivo del bestiame. Dopo un periodo di diversi annigli stessi terreni vengono adibiti alla coltivazione di soia. Questa soia, nella maggior parte dei casi OGM finisce nei mangimi utilizzati anche per i nostri formaggi dop. 

La JBS è stata messa sotto accusa dall'agenzia brasiliana per la protezione dell'ambiente per aver acquistato, a partire dal 2013 e fino al 2016, la multinazionale avrebbe acquistato 49,438 capi "illegali", per la metà provenienti da aree di recente deforestazione e per il rimanente "riciclati" attraverso diversi passaggi finalizzati a nasconderne l'origine.  Dal 2009 la JBS dispone dello stesso sistema di monitoraggio satellitare del disboscamento del governo e risulta difficile per essa sostenere di non conoscere la provenienza illegale del bestiame. Questo scandalo, emerso nel marzo 2017, riguarda una superficie di oltre 500 kmq (la provincia di Lecco, è estesa su 800 kmq, tanto per dare un'idea). Chissà cosa avranno da dire i sepolcri imbiancati che, anche dalle parti di Sondrio, si stracciano le vesti per il riscaldamento climatico (salvo poi avallare le logiche agroindustriali)?


Corruzione su scala industriale

Sempre a marzo Joesley e Wesley Batista confessano di aver corrotto 1893 politici brasiliani versando 185 milioni di dollari di bustarelle. Lo fanno per evitare la galera, ma non confessano tutto e approfittano dello scandalo per ricadere nell'insider trading. Per questi due motivi finiranno poi in galera. Poi salterà fuori, sempre a settembre, che le bustarelle erano solo la punta dell'iceberg di finanziamenti miliardari alla politica con meccanismi di sovrafatturazione e giri in paradisi fiscali.Un vero e proprio sistema criminale.

Ispezioni delle carni con gli occhi chiusi

Non è finita. Ancora a marzo emerge un vasto scandalo di corruzione a vari livelli per indurre i responsabili dell'ispezione sanitaria delle carni a "chiudere gli occhi" su partite avariate. Usa, Cina, Europa fermano le importazioni. La JBS utilizzava additivi e acidificanti per migliorare l'aspetto, il gusto e l'odore delle carni avariate e mescolava carni fresche a carni avariate. Chi doveva controllare non vedeva perché era stato comprato. La Rigamonti JBS ha dichiarato di non essere coinvolta nelle forniture di partite avariate in quanto, a sua detta, opera con autonomia nei rapporti di fornitura. Il problema non è relativo ai rischi igienico-sanitari della carne utilizzata della bresaola Rigamonti-JBS ma all'appartenenza stessa della ditta a una multinazionale che calpesta le leggi, corrompe le autorità pubbliche e ogni principioetico.


Finanziamenti "agevolati"

A maggio esplode lo scandalo dei finanziamenti di favore da parte della BNDES (la banca brasiliana per lo sviluppo). Le accusa risalgono al 2007 quando la JBS iniziò una politica aggressiva di acquisizioni che l'ha portata a fagogitare società grosse e piccole in Sud America, Usa, Europa, Australia. Il caso venuto a galla riguarda l'operazione di acquisizione del grosso gruppo Swift & Company nel 2007. Le azioni della JBS vennero sopravvalutate causando alla banca una perdita di 69,7 milioni di dollari. Ma la BNDES sotto i governi di sinistra ha continuato a pompare miliardi di dollari alla JBS consetendogli di proseguire con la sua politica di acquisizioni che, a un certo puinto, ha cominciato a dirigersi anche fuori dell'agroalimentare coinvolgendo marchi di abbigliamento e altri generi.

Schiavismo

A giugno viene a galla come nello stato di Parà (lo stesso della deforestazione) i lavoratori delle fazende della JBS iano costretti a vivere in condizioni disumane e degradanti tali da configurarsi in une proprio schiavismo (qui ne parla il Guardian). La JBS si è difesa sostenendo che i suoi fornitori sono esclusi dalla "lista nera" che include le aziende coinvolte in pratiche schiavistiche.

Insider trading

A luglio la commissione brasiliana di controllo sui movimenti borsistici mette mette sotto accusa la JBS e parecchie società controllate per insider trading ovvero abuso di informazioni  non di dominio pubblico per effettuare operazioni sul mercato finanziario traendo illecito vantaggio dalla loro conoscenza anticipata.


 

La carne di queste bestie, con tutto quello che c'è dietro in termini ambientali e sociali (anche al di là delle violazioni di legge) diventerà bresaola tipica, eccellenza valtellinese. Tutto bene?

Arrestati restano in galera

A Settembre i fratelli Batista vengono arrestati: Joesley per reticenza nella sua veste di collaboratore di giustizia" (corruttore "pentito"), Wesley per aver sfruttato lo scandalo e le sue conseguenze finazniarie attraverso nuove pratiche di insider trading. Sono tutt'ora in galera. Nello scandalo è coinvolto il presidente del brasile Michel Temer incastrato dai Batista che avevano registrato una conversazione in cui il presidente autorizzava il pagamento di una mazzetta per comprare il silenzio di unsuo ex alleato politico in carcere per tangenti, l'ex presidente del parlamento Eduardo Cunha. Ma Temer, il cui mandato scade a gennaio 2019, si è salvato dall'impeachment (anche grazie all'emergere di altri filoni di corruzione) e la posizione dei Batista è peggiorata.

Un vaso di pandora che continua ad eruttare fango, tanto è vero che pochi giorni fa, nell'ambito dei processi sulla corruzione JBS sarebbe emerso che persino il massimo magistrato anti-corruzione brasiliano Sergio Moro (ironia della sorte un nome che ci riporta alla bresaola valtellinese) sarebbe stato corrotto da alcuni politici destinatari di mazzette milionarie della JBS e stranemente sfuggiti a condanne.



Wesley Batista

La moralità del business

Ci si poteva attendere un tracollo della JBS dopo questa raffica di scandali dalle proporzioni inaudite, con 3,2 miliardi di multe inflitte in Brasile, con i boss in galera. Invece niente, o quasi. Il titolo ha perso parecchio ma si è in buona misura ripreso. Gli azionisti di minoranza si sono agitati, qualche cliente ha disertato (ma non certo i gorssi tipo McDonald e Walmart). Sceso da 11,30 $ a 5,8 è oggi a 8.60. E dalle parti della Rigamonti-JBS festeggiano un anno di ulteriore crescita del fatturato. Di certo i media italiani e locali hanno parlato pochissimo di uno scandalo dalle dimensioni inaudite (che getta una luce negativa sul capitalismo rampante dei "paesi emergenti"e sul capitalismo neoliberista globale in generale).


Cosa concludere? Che il business premia la spregiudicatezza e l'aggressività espansiva della JBS e non sta a guardare tanto per il sottile. Deforestazione illegale dell'Amazzonia, schiavismo, corruzione su scala industriale? Quisquiglie per una società neoliberale che è assorbita dal mercato e per la quale la sensibilità sociale ed ambientale sono solo una commedia ipocrita.

Quello che più lascia perplessi, però, è l'inossidabile sostegno pubblico che la Rigamonti JBS riceve in quanto azienda leader di un "prodotto tipico". Per politici e burocrati la "certificazione di qualità" istituzionale, rappresentata dalla IGP, conta più dell'etica. Le istituzioni, la Camera di commercio, il Distretto agroalimentare, la Regione Lombardia, attraverso gli oliati meccanismi di sostegno alle produzioni "di eccellenza", continueranno a fornire sostegno pubblico alla JBS.  Si sono affannati a dichiarare che gli scandali brasiliani non hanno coinvolto direttamente la bresaola. E noi vogliamo crederci.

Ma resta il fatto che la Rigamonti è JBS e che fiducia si dovrebbe avere in questa multinazionale che ha commesso reati di ogni tipo su questioni gravissime e la cui reputazione è totalmente distrutta? Tutto come se nulla fosse allora? Tutto va bene madama la marchesa? Con quale faccia di bronzo si può contininiare a parlare della bresaola brasiliana JBS (1/3 del mercato) come "eccellenza valtellinese"? Come si fa a non vedere il fango, il tanzo di marcio (non ci riferiamo alla carne ma a tutto il rtesto) che c'è dietro?

Tutto questo mentre politica e burocrazia mettono in croce i piccoli produttori artigiani con delle vere e proprie angherie (c'è un caso sconcertane in Valtellina sul quale vogliamo prossimamente togliere il velo).

Fortunatamente il consumatore può decidere liberamente (sempre che sappia far valere uno spirito critico indipendente) se, per lui, lo standard etico della JBS sia accettabile o meno e comportarsi di conseguenza quando fa la spesa.


Aggiornamento: Quei profumi di erbe alpine che coprono il marcio brasiliano

Poco credibili, perché arrivano fuori tempo massimo, le operazioni messe in atto per tamponare gli effetti dello scandalo JBS. Vero che il consumatore di massa che compra la bresaola nella grande distribuzione di zebù e scandali brasiliani non sa nulla, ma c'è ormai una fascia di "opinione informata" (e  influente) che ha alzato le antenne. Così la Rigamonti corre ai ripari  ed ecco  l'annuncio pochi giorni fa di un accordo tra la ditta della JBS, la Fondazione Fojanini (controllata dalla provincia) e la Coldiretti (vedi l'articolo su Valtellina News casualmente lo stesso giorno dell'uscita di questo articolo). Il contenuto: "conciare" la bresaola con erbe alpine. Si vede che si vuole con i "profumi" delle erbe coprire il marcio (giudiziario e morale) che promana la JBS e, coltivando qualche fazzolettino di terreno (il grosso delle aromatiche è importato) far crede che di valtellinese, oltre all'aria, c'è un pelo d'altro. Una mossa che si commenta da sola e segue gli annunci (annunci e basta per ora) circa il graduale abbandono della carne di zebù a favore dell'uso di materia prima "nostrana".

A luglio, quando gli scandali JBS erano già venuti a galla sulla stampa nazionale,  sempre al la Rigamonti JBS e quella che (solo a chi pensa male, per carità) potrebbe apparire come la sua stampella (la Coldiretti)  lanciavano un non meglio precisato progetto di "italianizzazione" della carne da destinare a bresaola Rigamonti - JBS. Credere che una ditta al 100% brasiliana utilizzi carne italiana ha lo stesso fondamento che credere a Babbo Natale. In ogni caso come riferito da La Repubblica (vedi l'articolo)  l'uomo della JBS, Claudio Palladi, metteva le mani avanti smorzando gli entusiasmi (lasciamo giudicare al lettoree quanto possano essere sinceri) di Alberto Marsetti  presidente della coltiretti sondriese. Palladi faceva capire che la "italianizzazione" può avvenire in un fùturo lontano (un po' come la venuta del messia), che per avere la quantità di cosce necessarie servono 6 milioni di bovini (al posto di altrettanti milioni di zebuini che pascolano in Brasile). Ma nell'articolo si parla di "carne italiana al 100%" e un obiettivo di 500 mila capi da macellare all'anno per questo scopo.  Nell'intervista il manager JBS si lasciava sfuggire l'industrial-pensiero, quello che afferma che l'agroalimentare è solo industriale, che i nostalgici dei sapori tradizionali sono poveri illusi.

"La bresaola della Valtellina è nata con l’industria negli anni ’80 e si è sviluppata subito con la carne estera. Dove sono, in Italia, i territori dove un bovino può avere a disposizione un ettaro di pascolo?".

Chissà cosa ne pensano in Valchiavenna dove la bresaola è nata, un numero imprecisato di secoli fa? E i cittadini della provincia di Sondrio cosa pensano dell'istituzione che li rappresenta e che si presta a coprire il discredito di una società privata di proprietà di quei galantuomini dei brasiliani Batista?










 

 

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