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Ribellarsi
è giusto e paga
(17.11.16) Lo storico ribelle, liberatosi del nome "bitto"
che ormai procurava
solo grane (ed esponeva alla minaccia permanente di denuncia per "lesa
dop") va meglio di prima. Chi ragiona restando nelle coordinate della
vecchia politica pensava che fosse un salto nel buio. Invece i
sostenitori aumentano e lo storico ribelle sbarca in nuovi prestigiosi
templi del gusto.
Varrone,
una colonna dello "storico"
(07.09.16) La visita del 23-24 agosto scorso in alta val Varrone
all'unico alpeggio lecchese che produce lo "storico", ovvero il
prestigioso e secolare formaggio d'alpe a latte intero con aggiunta di
latte di capra orobica.
Varrone
e Biandino cuore di ferro e formaggi
(28.08.16) Nei giorni
cruciali in cui l'ex bitto storico cambia nome approfondiamo alcuni
aspetti sinora poco messi a fuoco della storia e della geografia di
questo mitocaseario.
È ormai bittexit e fa paura ai nemici del bitto storico (17.07.16)
I nemici del bitto storico
non potranno più utilizzarlo come "traino" di una dop
massificata . Non sarà più possibile giocare sull'equivoco di
due produzioni "simili".
E con la fuga del vero bitto dalla dopsi
profila una figuraccia di grandi proporzioni
per la Valtellina
(13.06.16)
Commercianti si spacciano per l'ex bitto storico
Se si danneggiano i ribelli del bitto si può usare del
tutto impropriamente la denominazione "Bitto storico" e
illegittimanente quella "Bitto".
La storia di una degustazione organizzata in
Umbria da un'incolpevole Ais con il "bitto storico" ...
senza che vi fosse l'ormai ex bitto storico presidio Slow food
(29.04.16)
Assemblea a difesa delbitto storico il 7 maggio a Gerola
Lo Storico formaggio prodotto sugli alpeggi delle
Orobie, da secolo noto come formaggio del Bitto non può essere più
chiamato con il proprio nome. Dopo vent'anni le lobby
politico-burocratico-industriali sono riuscite ad espropriare i
produttori storici. Ma la società civile sta preparando la
mobilitazione
(14.04.16)
Il formaggio Storico dei ribelli del bitto da Peck
Lo Storico formaggio prodotto sugli alpeggi delle
Orobie è in vendita da Peck . Quello dell' estate
2015) a 92€ al kg, quello del 2009 a 26€ all'etto. Il bitto dop
dei mangimi e dei fermenti , prodotto senza latte di capra, a
volte in condizioni semi-industriali, continua a calare di prezzo
Bitto
storico: rivoluzione permanente (2.10.15)
A Cheese ques'anno il tema era il formaggio dei pascoli e, complice
anche l'indignzione per il tentativo di imporre il formaggio senza
latte, il bitto storico non poteva che essere al centro dell'attenzione
in quanto "campione" della resistenza casearia. Ma l'attenzione è stata
anche per la sua "rivoluzione dei prezzi"
(08.09.15)
Nuovi documenti storici incoronano il formaggio Vallis Biti (bitto
storico)
Cirillo Ruffoni ci ha segnalato nuovi documenti storici che consacrano
già nel Cinquecento il formaggio delle Valli del Bitto. Già
allora riconoscibile rispetto ai formaggi prodotti in altre
zone, tanto da costituire per loro anche un termine di paragone.
Scusate se è poco
(02.09.15)
Bitto storico: un autunno di decisioni e novità
La stagione d'alpeggio 2015 si sta chiudendo con un bilancio molto
negativo in termini di quantità prodotta, causa della
siccità di luglio. Sul fronte dei rapporti con le istituzioni
l'accordo siglatonel novembre 2014 si sta rivelando un bluff.
Stimoli per i "ribelli del bitto" per rilanciare con forza
l'originalità delle loro esperienza facendo leva
sui suoi punti di forza
(23.08.15)
Siccità sugli alpeggi. Colpiti i pascoli più sostenibili
La grave siccità che ha colpito gli alpeggi a luglio non è
rimasta senza conseguenze. Ma chi soffre di più per il calo di
produzione di latte è chi non usa i mangimi, ovvero chi rispetta il
pascolo e l'ambiente. Così solo i "puristi" si sono fatti sentire
(22.08.15)
Bitto storico rivoluzionario
Attraverso la creatività commerciale contadina i ribelli del bitto sono
riusciti a imporre per il proprio prodotto un prezzo etico. Esso
consente un equilibrio economico compensando gli elevatissimi
costi di una produzione che va contro gli schemi della società
industriale e consumistica (che si sono imposti anche
nella produzione agroalimentare)
|
Valtellina che gusto... industriale
di
Michele Corti
La promozione istituzionale
agroalimentare valtellinese continua a ricalcare i cliché del Mulino
Bianco, delle favole colorate che nascondono ben altre realtà . Uno
stile industriale di marketing del fasullo per promuovere un
agroalimentare industrializzato, banalizzato, omologato. Sperperando i
soldi di chi paga le
tasse. Ma non basta. Dopo aver espropriato il bitto storico del
nome
"bitto" la promozione "ufficiale", non contenta di raccontare banalità,
barzellette insulse e cose ben diverse dalla realtà, continua a
mimetizzare il bitto "legale" (in forza delle falsità sottoscritte
dalle istituzioni in sede di istituzione della dop) ovvero quello
"Nuovo omologato" con lo "Storico ribelle" (il vero bitto che si fa
come secoli fa). Lo fa
anche in modo sfacciato e maldestro (copiando testi e spacciando foto
dello storico ribelle per quello "istituzionale").
(23.11.16) Il sito Valtellina che gusto (e
la relativa pagina facebook), pur di natura istituzionale (il distretto
agroalimentare, sostenuto da risorse pubbliche) si distinguono per la
partigianeria contro un gruppo di produttori e un'impresa non
sovvenzionata dalla mano pubblica: i "ribelli del bitto". A chi
lo scorso giugno ha partecipato a una discussione sul bitto
esprimendo pareri negativi sulla dop il moderatore rispondeva che erano
"slogan preconcetti" e che "la querelle è autoreferenziale e
specialistica e non si risolve sui social". Ma se fosse
autoreferenziale
e "specialistica" perché suscita tanta passione e tanti semplici
cittadini intervengono? A Valtellina che gusto, che deve fare il lavoro
(non bellissimo) per cui è pagata andrebbe bene che la questione fosse
trattata a Roma, a Milano o al massimo a Sondrio ma al chiuso delle
stanze della Camera di commercio, della Coldiretti, del Consorzio di
tutela, con gli "esperti" (ovvero i funzionari e quelli comunque pagati
dalle istituzioni e dalle para istituzioni).
I saggi di discussione sopra riportati non tengono
conto delle opinioni più "accese" di altri intervenuti che sono stati
bannati (poi lo sono stati anche alcuni di quelli qui riportati
,"salvati" a suo tempo con lo screen-shot). E' bene che il contribuente
valtellinese e italico sappi tutto ciò.
Il lupo non perde il
vizio
Dalla primavera scorsa è però passato del tempo. Il 24 settembre il
bitto storico ha celebrato il proprio funerale al salone del gusto di
Torino annunciando che da quel momento diventava "storico ribelle". Una
decisione sofferta ma resasi indispensabile dopo che anche l'assessore
regionale Giovanni Fava aveva consigliato i ribelli a rinunciare al
nome bitto dal momento che si rischiava la denuncia per frode in
commercio.
Ognuno per la sua strada e nemici come prima? No. Il braccio
comunicativo del "distretto agroalimentare" non rinuncia alla solita
strategia di confondere il bitto dop con lo storico ribelle. Non gli è
bastato rubare il nome a chi più di ogni altro aveva il diritto
naturale di fregiarsene. No. L'agroindustria deve continuare a rubare
l'immagine ai ribelli del bitto. Anche in senso letterale perché la
foto qui sotto ritrae forme di storico ribelle nel Centro del bitto di
Gerola alta. Una vecchia consuetudine che si sperava interrotta dopo
che le strade del Nuovo omologato e
dello Storico ribelle si sono
completamente separate.
sopra: screen-shot (le pagine web si
ritoccano e volano gli screen-shot testano)
Quella
foto rubata, ma c'è di peggio...
Ancora
più grave della foto rubata sono certe asserzioni contenute nel testo.
Lasciamo perdere la stupidata del titolo: "Solo qui il latte ha il
profumo dei pascoli" perché si commenta da sola visto che in altre
valli e realtà fanno pascolo più che in Valtellina. Si commenta da
sola, espressione com'è del marketing dello "sparala grossa basta che
suoni bene". Se nel bitto dop il pascolo è "integrato" con non poco
mangime nel casera dop il pascolo è limitato a qualche giornata in
autunno, ma più per far prendere aria alle bestie prima dell'inverno
che per farle mangiare.
Questo
è storico ribelle. Non è il nuovo omologato.
Si
spacciano per lo storico ribelle
Ma
veniamo a certe asserzioni letteralmente rubate dal disciplinare dello
storico ribelle. "Lavorato sul posto subito dopo la mungitura" è lo
storico ribelle (che aggiunge "entro mezz'ora"). Il bitto dop dovrebbe
essere lavorato "in loco" entro un'ora (nel disciplinare del 1995 si
diceva "immediatamente") ma viaggia in serbatoi o bidoni per
chilometri. Altro che "sul posto"! Ci sono anche caseifici che
producono bitto (sic) dop ricevendo latte da più alpeggi e
da parecchi produttori. Quando arriva in latteria quel latte non è
ovviamente lavorato subito. Si insiste poi che le "forme possono
essere lasciate a maturare fino a 10 anni". Ma questa "proprietà" è
dello storico ribelle tanto è vero che nel testo dell'accordo bidone
siglato nel novembre 2014 (con la firma della Camera di commercio e del Consorzio casera e bitto dop)
... si asserisce che
in linea
generale, gli associati al Consorzio per la Tutela dei formaggi
Valtellina Casera e Bitto finalizzeranno la loro attività alla
commercializzazione del Bitto DOP entro l’anno di stagionatura;
l’attività degli aderenti al Consorzio Salvaguardia Bitto storico
sarà prioritariamente rivolta, invece, alla
commercializzazione del
prodotto con stagionatura oltre l’anno.
Ogni tanto si vedono
delle forme "antiche" di bitto dop. Ma queste
rarissime forme non sono maturate per tutti gli anni dalla loro
produzione all'apertura. Sono state tenute in celle a 7°C . Che è cosa
diversa dal
maturare in una cantina naturale come quella del Centro del bitto.
L'ignoranza e l'arroganza autoreferenziali al potere
Vale la pena esaminare anche altre
barzellette contenute nel testo, espressione di superficialità quando
non di completa ignoranza della storia rurale del territorio. Si vede
che per fare la "promozione agroalimentare istituzionale" la
cultura è un optional, basta essere allineati ai desiderata dei
poterini forti, e vendere un po' di fumo. All'inizio del testo si
sostiene che bitto dop e casera dop originano dalla "tipica azienda di
montagna", transumante d'estate e stanziale in inverno. Nulla di più
falso. Il formaggio "della valle del Bitto", chiamato così (e non
"Bitto") sino a tutto l'Ottocento non origina da "aziende agricole" per
il semplice motivo che le aziende agricole non esistevano.
L'allevamento (e il caseificio) era praticato secondo due modalità ben
distinte: l'economia di sussistenza (che non presupponendo commercio
non definisce un'azienda) e l'economia dei caricatori d'alpe. Questi
ultimi erano imprenditori che pagavano gli affitti dell'alpeggio,
pagavano i pastori (quando non erano dei "soci" con bestie proprie),
pagavano i tanti piccoli proprietari delle vacche che in estate
restavano a casa a svolgere i lavori agricoli e affidavano le loro
bestie - in cambio di denaro, tanto in base al latte prodotto - ai
caricatori (i cargamuunt).
Il formaggio "della valle del bitto" origina
da questa economia imprenditoriale e commerciale. Era un vero prodotto
di eccellenza che arrivava a Morbegno, Branzi, Bergamo, Lecco, Como,
Milano, Venezia, Roma. Nulla a che vedere con formaggelle, formaggi
magri e con gli stessi formaggi grassi (di minor pezzatura peraltro)
prodotti fuori della zona storica (Val Lesina, valli del Bitto, val
Tartano e, sporadicamente, anche ad Est sino ad Albosaggia). Parimenti
falsa la seconda asserzione relativa al Casera dop. Questo formaggio è
stato inventato letteralmente con la dop. Esistevamo tanti formaggi "di
latteria", diversi per gusto, occhiatura, pezzatura. Da quando? Da
quando si è iniziato a lavorare il latte in inverno il che equivale a
dire dalla fine dell'Ottocento quando sono nate, come vera e propria
istituzione sociale, le latterie turnarie o
sociali. Non fanno testo le eccezioni come Bormio (a cui si riferiscono
probabilmente le "tracce") perché qui vi era una situazione particolare
con una grande piana che consentiva di dedicare una parte del terreno
ai prati, quindi di avere più fieno delle altre e di produrre un po' di
latte anche in inverno (ma più che altro in autunno e primavera).
Dove, ed era la stragrande maggioranza delle comunità, le superfici
coltivabili erano insufficienti il foraggio invernale era ottenuto da
risorse marginali e quindi di scarsa qualità, tale da non sostenere la
lattazione. In generale nella montagna lombarda, prevalgono
le situazioni in cui la superficie agraria utilizzata è capace di produrre cereali solo per
garantire il consumo della popolazione per tre mesi all'anno (di qui
l'emigrazione stagionale). La
prova provata della mancanza di significativa produzione invernale di
latte sino a fine Ottocento è data dalla pratica della fecondazione in
alpeggio. I tori allevati erano pochissimi e gli statuti d'alpeggio
(ancora agli inizi del Novecento) prevedono la presenza di un toro (più
di uno negli alpeggi più grandi). Se le bovine erano fecondate in alpe
(tra giugno e i primi di settembre) i parti dovevano cadere in
primavera, prima di salire ai maggenghi.
I formaggi antichi erano altri
Prima dell'istituzione delle latterie sociali i piccoli
proprietari delle bovine facevano in modo di farle partorire in
primavera per avere latte sul maggengo (e produrre dei formaggi casalinghi come il
matüsc, la feta, la magnuca, la scimuda per autoconsumo) e poi in
alpe dove, come abbiamo visto, tanto latte produceva la vacca tanti più
soldini (e allora erano bei soldini) incassava il padrone. In inverno
la vacca era tenuta a stecchetto perché non c'erano abbondanti scorte
di fieno ma doveva contentarsi di fronde di frassino essiccate, di
fieno selvatico (di monte e di bosco). Nelle annate peggiori si tritava
la vriga
(brugo) tanto per
calmare la fame delle bestie. Non c'erano le condizioni per produrre
latte. La qualità del burro sarebbe stata scadente e non sarebbe
risultato commerciabile. Figuriamoci se c'era latte per produrre un
formaggio da 10 kg come il casera (con vacche che producevano5 kg al giorno).
Significativa di questa situazione la produzione del burro chiarificato
che consentiva la sua conservazione in inverno (quando comunque i
grassi alimentari principali erano il lardo e lo strutto) Il
fieno prodotto sui maggenghi era consumato sul posto, non
nelle stalle di fondovalle o mezza costa (dove peraltro la famiglia
contadina-allevatrice risiedeva per pochi mesi).
Quelli che oggi sono prati, ancora
nell'Ottocento, erano incolti, soggetti alle esondazioni dell'Adda (non
arginato) o - sui versanti e nelle convalli - erano campi coltivati per
produrre orzo, segale, grano saraceno, fagioli ecc. La gente doveva
prima mangiare. Verso la fine dell'Ottocento tutto cambia in seguito al
miglioramento dei trasporti, alla disponibilità di derrate alimentari
sul mercato (farina di mais), alla necessità di inserirsi in
un'economia monetaria. Bisognava fare più burro e vendere più vitelli
per pagare le tasse e quei beni di consumo (tela di cotone, farina) che
non erano più autarchici. Aumentando i prati e le vacche in inverno si
ha a disposzione più latte per produrre formaggi (ancora per
autoconsumo per lo più) e burro (in prevalenza per la vendita).
L'economia del burro è stata il cardine dell'economia famigliare per
molto tempo e spiega perché molti formaggi erano magrissimi (verdi, da
rompere con il martello). In intere valli come la Valchiavenna il
formaggio grasso (ma anche semigrasso) era sconosciuto. Il burro ha
perso importanza gradualmente, poi ha avuto un colpo di grazia con la
margarina e le "norme igienico-sanitarie".
Il Casera dop attuale è, in ogni caso, molto più grasso dei vecchi
formaggi invernali "di latteria". Certo si può sempre vantare delle
(vaghe) ascendenze. Formaggi si sono fatti da migliaia di anni, così come tutti
noi discendiamo da qualche Eva. Così,
per non smentire questo tipo di approccio, si cita ancora la vecchia
tititera del "bitto legato ai celti". Un modo per ricacciarne le
origini in un passato indistinto e sorvolare su fatti storici e
sull'origine geografica precisa.
La storia non consente di imbrogliare le carte (anche se nel caso del bitto ci hanno provato)
Il
bitto, come tutti i formaggi d'alpe nasce esiste nella forma che
conosciamo dal Cinquecento. Prima tutti gli antenati dei famosi
formaggi d'alpe erano più piccoli e prodotti con latte ovino. Nel
Quattrocento l'antenato del bitto (almeno a giudicare dallo scalzo
tipicamente concavo) era un formaggio di pochissimi chili. E'
raffigurato nell'affresco delle Nozze di Cana nell'Oratorio dei
Disciplini a Clusone.L'aumento delle vacche avviene prima nelle Alpi occidentali e poi gradualmente provede verso quelle orientali. Nel Cinque
cento il Bagoss è fatto ancora aggiungendo latte ovino e l'Asiago lo
sarà addirittura sino al Settecento. Non solo i celti ma anche
gli alpeggiatori medioevali avevano pecore da latte oltre a capre e
vacche. Un fatto attestato anche in una regione tipicamente da vacche
da latte come l'alta Savoia attraverso il monitoraggio del dna animale
nei sedimenti di un lago a 2000 m in mezzo ai pascoli d'alpe. Il
declino della pecora e l'avanzata delle vacche tra fine Quattrocento e
Seicento è legato ad una serie di circostanze concomitanti: il declino
del valore della lana con l'aumento dell'importazione di lane pregiate,
l'intensificazione agricola della pianura lombardacon l'estensione dell'irrigazione, della produzione di fieno, dell'edificazione di stalle e casoni (grazie ai capitali resisi disponibili in seguito alla crisi industriale e commerciale).
In montagna, parallelamente, la crisi precoce delle miniere e
dell'industria siderurgica e delle armi spingeva le ricche famiglie
orobiche a investire nell'allevamento bovino e negli alpeggi. Tutte
cose documentate che attestano come la nascita del bitto è legata
all'avvento della transumanza bovina tra le Orobie e la Bassa, ad un
preciso frangente storico, ad un preciso tornante della storia
economico-sociale (con riscontri analoghi in altre regioni alpine). Il
legame tra "formaggio della valle del Bitto" e transumanza è reso
evidente dal fatto che i bergamini valsassinesi e brembani
caricavano alpeggi nella stessa Valgerola (Trona è stata caricata
ancora per tutto il Settecento da bergamini di Barzio e Pasturo),
Bomino era caricato da brembani e per un certo periodo anche
Pescegallo. Praticavano la transumanza anche le famiglie delle
contrade alte della val Tartano (strettamente legata a Valleve).
Storia orobica quindi, legata anche a quella della pianura lombarda.
Altro che storia esclusivamente valtellinese come si è fatto credere
con la dop con la sua antistorica estensione a tavolino dell'area del
bitto a tutta la provincia di Sondrio (inizialmente la dop aveva del
tutto tagliato fuori la provincia di Lecco).
In questo contesto di commerci, di sviluppo dell'allevamento bovino e dell'economia d'alpeggio (aiutato anche dalla realizzazione della via Priula) si afferma la leggenda del caxeo vallis biti. Non di un ridicolo bitu
di celtica ascendenza. I celti erano pastori, guerrieri, casari e
minatori ma la presenza delle cesoie da tosatura nelle tombe
valsassinesi (come del resto anche quelle di altre zone) ci conferma
l'importanza delle pecore. E il "formaggio della valle del bitto" non è
un pecorino.Parlare di storia (documentata) a
proposito di formaggi è altra cosa dalle storielle e dalle fantasiose etimologie. Lo storico ribelle è il diretto e
legittimo discendente del "formaggio della valle del Bitto" documentato
dal Cinqucento (lui si). Sappiamo come veniva fatto, che peso avevano le forme
cinque secoli fa. Sappiamo che veniva ottenuto aggiungendo al latte
vaccino il 20-30% di latte di capra (altro che "è ammesso fino al 10%
come recita il disciplinare del bitto dop!). Ci sono fior di libri dei conti, di contratti a raccontarcelo.
Miseria del marketing
Casera
e bitto dop fatti
con mangimi e fermenti sono pallidi discendenti dei formaggi antichi.
Sono formaggi che recano impresse le stigmate dell'industialismo,
formaggi omologati, il primo è prodotto con moderne tecnologie di
coagulazione in
continuo. Un casera giovane è identico a un montasio, piave,
crodo
(sfido a una degustazione alla cieca), altro che "unico". Altro che "di
pascolo". Il bitto dop è figlio dei fermenti selezionati
dlal'industria e dei mangimi, quindi per quanto prodotto in alpeggio
reca anch'esso il marchio dell'industria. Però sull'etichetta si fa
vedere il calecc (un solo alpeggio su 60 del bitto dop usa i calecc). A furia di questo marketing d'accatto la produzione
agroalimentare perde di valore trascinando nel baratro di prezzi
irrisori anche i buoni prodotti artigianali. Il contribuente sottoposto
ad un'oppressione fiscale tirannica sappia che i suoi soldi continuano
ad essere sperperati per... danneggiare la vera agricoltura,
intercettati da quelle tante agenzie e soggetti che si interpongono tra
le istituzioni erogatrici della spesa pubblica e i produttori
agroalimentari. Il grosso del flusso non "tocca terra" ma viene
intercettato da apparati autoreferenziali capaci di dettare alla
regione le direttive per la spesa.
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