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Varrone
e Biandino cuore di ferro e formaggi (28.08.16)
28.08.16 Nei giorni cruciali in cui l'ex bitto storico cambia nome
approfondiamo alcuni aspetti sinora poco messi a fuoco della storia e
della geografia di questo mito caseario
È
ormai bittexit e fa paura ai nemici del bitto storico (17.07.16)
I nemici del bitto storico
non potranno più utilizzarlo come "traino" di una dop
massificata . Non sarà più possibile giocare sull'equivoco di
due produzioni "simili".
E con la fuga del vero bitto dalla dopsi
profila una figuraccia di grandi proporzioni
per la Valtellina
(13.06.16)
Commercianti si spacciano per l'ex bitto storico
Se
si danneggiano i ribelli
del bitto si può usare del tutto impropriamente
la denominazione "Bitto storico" e illegittimanente
quella "Bitto". La storia di una degustazione
organizzata
in Umbria da un'incolpevole Ais con il "bitto
storico" ... senza che vi fosse l'ormai ex bitto storico
presidio Slow food
(29.04.16)
Assemblea a difesa delbitto storico il 7 maggio a Gerola
Lo Storico formaggio
prodotto sugli alpeggi delle Orobie, da secolo noto come
formaggio del Bitto non può essere più chiamato con il
proprio nome. Dopo vent'anni le lobby
politico-burocratico-industriali sono riuscite ad espropriare i
produttori storici. Ma la società civile sta preparando la
mobilitazione
(14.04.16)
Il
formaggio Storico dei ribelli del bitto da Peck
Lo Storico formaggio
prodotto sugli alpeggi delle Orobie è in vendita
da Peck .
Quello dell' estate 2015) a 92€ al kg, quello del 2009 a 26€
all'etto. Il bitto dop dei mangimi e dei fermenti , prodotto
senza latte di capra, a volte in condizioni semi-industriali,
continua a calare di prezzo
Bitto
storico: rivoluzione permanente (2.10.15)
A
Cheese ques'anno il tema era il formaggio dei pascoli e, complice
anche l'indignzione per il tentativo di imporre il formaggio senza
latte, il bitto storico non poteva che essere al centro
dell'attenzione in quanto "campione" della resistenza
casearia. Ma l'attenzione è stata anche per la sua "rivoluzione
dei prezzi"
(08.09.15)
Nuovi documenti storici incoronano il formaggio Vallis Biti
(bitto storico)
Cirillo
Ruffoni ci ha segnalato nuovi documenti storici che consacrano già
nel Cinquecento il formaggio delle Valli del Bitto. Già
allora riconoscibile
rispetto ai formaggi prodotti in altre zone, tanto da costituire per
loro anche un termine di paragone. Scusate se è poco
(02.09.15)
Bitto storico: un autunno di decisioni e novità
La
stagione d'alpeggio 2015 si sta chiudendo con un bilancio molto
negativo in termini di quantità prodotta, causa della
siccità
di luglio. Sul fronte dei rapporti con le istituzioni l'accordo
siglatonel novembre 2014 si sta rivelando un bluff. Stimoli per
i "ribelli del bitto" per rilanciare con forza
l'originalità delle loro esperienza facendo leva
sui suoi
punti di forza
(23.08.15)
Siccità sugli alpeggi. Colpiti i pascoli più sostenibili
La
grave siccità che ha colpito gli alpeggi a luglio non è
rimasta senza conseguenze. Ma chi soffre di più per il calo di
produzione di latte è chi non usa i mangimi, ovvero chi rispetta il
pascolo e l'ambiente. Così solo i "puristi" si sono fatti
sentire
(22.08.15)
Bitto storico rivoluzionario
Attraverso
la creatività commerciale contadina i ribelli del bitto sono
riusciti a imporre per il proprio prodotto un prezzo etico. Esso
consente un equilibrio economico compensando gli elevatissimi
costi di una produzione che va contro gli schemi della società
industriale e consumistica (che si sono imposti anche
nella produzione agroalimentare)
|
(ex) Bitto storico
- Alpeggi
Varrone,
una
colonna
dello
"storico"
La
visita del 23-24 agosto scorso in alta val Varrone all'unico alpeggio
lecchese che produce lo "storico", ovvero il prestigioso e secolare
formaggio d'alpe a latte intero con aggiunta di latte di capra orobica.
Qui con Daniele Colli si perpetua la tradizione della scuola di casari
di Gerola
testo e foto (copyfree) di
Michele Corti
(07.09.16) L'altaValvarrone, di cui ci siamo occupati di
recente (Varrone
e Biandino cuore di ferro e formaggi),
è tutt'oggi un caposaldo della produzione dello "storico", capolavoro
caseario di latte intero a munta calda degli alpeggi dislocati nelle
valli che convergono in corrispondenza del pizzo dei Tre signori. Tale
formaggio era chiamatobitto in Valtellina ma che era prodotto e
commercializzato anche sul versante bergamasco (con il nome di branzi)
e su quello lecchese. Oggi non solo il branzi (prodotto anche in
inverno, con latte parzialmente scremato)
ma anche il bitto dop (per quanto quest'ultimo prodotto in alpe con
latte intero)
dell'antico formaggio conservano la forma con il caratteristico scalzo
concavo ma non molto di più. I "ribelli del bitto", che non hanno mai
accettato la "modernizzazione" del bitto dop avevano cercato, prima con
il bitto "valli del bitto" e, successivamente, con il bitto
"storico", di mantenere la tradizione dell'antico formaggio
operando conflittualmente nell'ambito della dop. Risultando la cosa
impossibile - e non potendo, a termini di legge, continuare ad
utilizzare il nome "bitto" - si è deciso, prima dell'avvio della
stagione d'alpeggio in corso, di rinunciare ad esso e di
utilizzare semplicemente la denominazione "storico" (anche se il nome
registrato definitivo verrà svelato solo all'imminente Salone del gusto
a Torino tra qualche giorno).
Lo "storico" ha
resistito meglio sul versante bergamasco e lecchese dove i produttori
sono meno esposti a ricatti
Nelle valli del bitto, le pressioni dei comuni proprietari degli
alpeggi (Albaredo e Gerola) e degli altri enti a sostegno del
sistema agroindustriale valtellinese hanno indotto diversi produttori a
"rientrare all'ovile" abbandonando la compagine dei ribelli e finendo
per allinearsi all'uso di abbondanti quantità di mangime.
Al di là dei confini della provincia di Sondrio, invece, le pressioni sono state
minori (non assenti perché anche i produttori "storici" che caricano in
provincia di Bergamo e Lecco hanno aziende invernali in Valtellina).
L'alpe Varrone è di proprietà del comune di Premana che vede con favore
il proseguimento di una produzione storica prestigiosa che, come visto
nel precedente articolo, ha svariati secoli all'attivo e - prima
dell'arrivo di casari e caricatori dalla Valgerola - era realizzata da
valsassinesi. Va precisato a tale riguardo che l'alta
Valvarrone, attraversata dalla "via del bitto", ovvero dallo storico
collegamento tra Introbio in Valsassina e Morbegno in Valtellina, fa
parte del territorio comunale (il "censuario") di Introbio pur non essendo in Valsassina
ma, per l'appunto, in Valvarrone, la valle di Premana.
L'alpe Varrone oggi
L'alpe
è caricata dall'azienda Enrico Colli di Delebio. I Colli sono originari
di Gerola ma, come diverse altre famiglie, si sono trasferiti al
fondovalle dove hanno avviato aziende zootecniche dotate di buone
superfici foraggere. Enrico Colli esercita anche la funzione di casaro
(solo in alpe, perché in inverno il latte viene venduto). Il fratello
Daniele (laureato in veterinaria) è il capo-pastore. In alpe lavorano
come pastori anche Ronny Taddeo, di Pagnona (Valvarrone) con 5 vacche
proprie, Daniele Tagliaferri, anche lui di Pagnona, con 15
vacche, Marco Svanella di Cosio con 3 vacche. Completano lo
staff Giovanni Manni e Piero Acquistapace, senza animali propri.
L'alpe, già di per sé estesa (in passato gli ettari pascolati
superavano i 300) oggi comprende anche Lareggio, un tempo alpe
autonoma. Pur disponendo di buoni pascoli (seppure con una pendenza
media piuttosto elevata) Lareggio non dispone di fabbricati, così è
pascolata solo dagli ovini.
All'
alpe Varrone esistono ancora numerosi calecc',
le piccole capanne casearie distribuite sui pascoli dove il latte viene
lavorato appena munto senza subire soste o danni da trasporto.
In
alpe il "bel tempo" crea spesso più difficoltà del "brutto"
Quando
ho visitato l'alpe (23 e 24 agosto) la malga delle bovine pascolava il
"Piano dell'acqua" un pascolo che si incontra, dopo brevissimo cammino,
scendendo dal rifugio Santa Rita lungo l'antica via del ferro. A
causa del rialzo termico (dopo un agosto piuttosto mite) gli animali in
attesa della mungitura si erano radunati in uno spazio ridotto
mantenendosi a contatto di groppa. Un comportamento legato al caldo
che, rendendo le mosche più attive e fastidiose, spinge gli animali ad
addossarsi gli uni agli altri per ostacolarne il volo. Questo
ammassamento non avveniva tradizionalmente quando le bovine non erano
decornificate.
Daniele
Colli (sotto) spiega come le vacche con le corna sono solite, in circostanze come queste, raggrupparsi in
piccoli gruppi di 3-4 soggetti (tra loro legati da reciproca simpatia)
per difendersi dal caldo e dalle mosche. In assenza di corna (e quindi
di rischio di prendersi una cornata), invece, le vacche
dell'intera malga formano un gruppone a ranghi serrati. Il problema è
riuscire a mungere in queste condizioni. La difficoltà aumenta non
poco.
Se
le
bovine brune senza corna non sono molto pittoresche ci pensa la malga
delle capre a riportarci indietro nel tempo e a creare un
paesaggio unico di corna e lungo pelo varipinto svolazzante. Le capre
qui sono
in buon numero e tutte orobiche (in parte dei Colli in parte di diversi
proprietari della zona che le affidano loro di buon grado).
Le
capre
sono preziose per la diversa qualità del loro latte che, miscelato a
quello
vaccino, contribuisce
a conferire al formaggio "storico" le caratteristiche che ne fanno un
prodotto di grandissimo pregio, un frutto della combinazione
sapiente e non casuale di elementi che si sono adattati ed evoluti
reciprocamente: la qualità del pascolo
e del latte, la tecnica accurata che solo casari con passione e
"buona mano" sanno padroneggiare.
Le
capre, però, richiedono una "gestione". Sono animali che tendono a
comportamenti non sempre prevedibili e che hanno una notevole
propensione a coprire lunghe distanze e salire, salire sulle cime e le
creste (il senso dlel'equilibrio e la capacità arrampicatrice sono
proverbiali). Se non ci
sa fare il capraio ha un compito duro. All'alpe Varrone il capraio è
Ronny, un giovane allevatore per vocazione di Pagnona. Possiede trenta
capre orobiche ( alpeggiate, però, altrove).
Ronny, generosamente, non lesina elogi al suo cane riconoscendo come
senza un buon cane
anche il migliore dei caprai ha vita dura. Se il cane è capace di agire
in relativa autonomia e di recuperare le capre inerpicatisi su sponde
scoscese evita al capraio molta fatica.
La
mungitura delle capre è molto più rapida e meno problematica. va detto
cheiamo anche verso la fine della stagione e il latte è calato. Le
capre
vengono confinate in un recinto elettrico presso la baita e un giovane
pastore provvede a "rifornire" di capre non ancora munte la batteria
dei mungitori che operano affiancati (sopra). Una foto simile l'avevo
fatta all'alpe Culino negli anni '80. Ne è passata di acqua nel
Varrone. Anche Enrico, il casaro,
partecipa alla mungitura (è il primo a destra nella foto). Terminata
la mungitura, mentre il casaro - dopo l'aggiunta del latte di
capra - inizia a lavorare il latte, Daniele va a "dare l'erba",
ovvero a stendere il filo elettrico a delimitare la nuova parcella di
pascolo. Le bovine, che parevano impigrite e stressate per il caldo,
appena il nuovo recinto è
pronto, si rianimano e si rimettono a
pascolare di buona lena l'erba nuova e quindi golosa.
Le
capre, invece, sostano più a lungo presso la baita (sopra in un
aprospettiva curiosa dall'apertura per il fumo della baita). Partiranno
dopo per
le loro scorribande serali. Daniele mi
spiega che anche questa baita era un calecc'.
È stato in occasione della recente ristrutturazione della casera da
parte del comune di Premana (comune industriale ma attento a mantenere
in buone condizioni strade forestali e alpeggi impegnandovi una quota
significativa del bilancio) che è stata realizzata questa baita.
I
lavori della casera avevano consentito di risparmiare qualcosa e così
il calecc' del
Piano dell'acqua è diventato baita. All'interno (vedi
sotto) le condizioni non sono molto diverse da quelle di un calecc',
c'è solo un po' più di spazio e le murature sono più altre e legate
invece che a secco. Ovviamente non c'è il tendone ma una copertura
fissa di lamiera grecata sostenuta da travetti. Il fumo è allontanato
facilmente nello spazio libero tra muratura e copertura (che scarica il
peso, peraltro limitato, solo in alcuni punti lungo il perimetro
murario).
La
lavorazione dello "storico" presuppone l'assenza fretta. Fatta di soste
e di
lunghi periodi di mantenimento in agitazione della massa contenuta
nella vecchia caldaia di rame (operazione che anche in diversi alpeggi
con grosse quantità di latte è oggi assolta da agitatori meccanici).
C'è tempo per pensare e, se si ha compagnia, per conversare. I Colli ci
tengono a mettere in rilievo la loro appartenenza alla "scuola di
Gerola". Da ragazzini hanno iniziato a fare i cascin
sotto la guida di casari
storici. I risultati si vedono. Questa primavera lo storico di Varrone
era in vetrina in uno dei templi della gastronomia mondiali: Peck
(sotto si legge "Varrone" impresso sullo scalzo).
Casaro del bitto a tredici
anni
Enrico vanta una specie di record in quanto ha iniziato a
portare a conclusione una lavorazione di bitto a soli tredici anni (di
solito l'iniziazione dei casati avviene a quindici). Il
motivo di tanta precocità va ricercato nell'abitudine di alcuni casari
di ingannare i "tempi morti" della lunga lavorazione con dei
"cicchetti". Racconta Enrico: "Il casaro che aiutavo era ubriaco e così
mi ha chiesto di
tenere su la grana" (durante la cottura la cagliata ormai frammentata
deve essere mantenuta in agitazione per evitare che depositandosi si
"scotti" sul fondo molto caldo della caldaia riscaldata con la fiamma
di legna diretta). È una fase un po' tediosa all'inizio, poi, invece,
la
grana deve essere ripetutamente controllata per verificare che sia
asciogata al punto giusto controllandone la lucentezza e l'elesticità
(con le dita). Quella provvisoria sostituzione di un casaro, che aveva
alzato troppo il gomito, fu l'inizio della carriera di Enrico. "Il
casaro vide che avevo la mano e mi disse di andare avanti, ogni tanto
mi dava dei consigli del tipo: «tira su di un grado» e mi fece portare
a termine la lavorazion da solo, a tredici anni". Anche intuire
che un ragazzino possegga "la mano" fa
parte di quella capacità di visione, di intuizione, di sensibilità a
pelle che non viene e non
verrà mai sopravvalutata abbastanza e che non si troverà esposta su
nessun manuale tecnico. Erano, però, le doti che facevano la
differerenza tra i
bravi casari e i mediocri. Enrico, ma anche il fratello, manifestano
grande considerazione e rispetto per i casari storici, per la "scuola
di Gerola" della quale si sentono - con merito - i continuatori pur in
un contesto profondamente cambiato. "Facciamo ancora tanti calecc', questa è l'unica baita... e
abbiamo veramente tante capre orobiche" tiene a ribadire Daniele che,
d'accordo il fratello, auspica che nello "storico" venga introdotto un
sistema di premi atti ad incentivare in massimo grado il rispetto delle
rigide prescrizioni.
Reperire ragazzi capaci è uno dei problemi dell'alpeggio tradizionale
Tra i
problemi richiamati dai Colli al primo posto vi è quello del
reperimento della manodopera. I due fratelli, insieme ai pastori con
vacche proprie e muniti di esperienza, costituiscono una buona "base";
però servono anche dei giovani "apprendisti" per completare l'organico
e
coprire tutte le mansioni e il carico di manodopera complessivo. "Non
si può dire che non ci siano ragazzi che si offrano, ma troppo spesso
non hanno il minimo di esperienza e di capacità; a volte li vedi che
non sanno neppure camminare in montagna, non sanno portare un secchio,
dovresti insegnar loro tutto".
In forza di questa situazione durante le
prime settimane la mungitura viene eseguita meccanicamente. Considerato
che i Colli sotto altri profili (Varrone è alpe modello sia per i
calecc' per la
buona malga di capre orobiche, per l'ottima qualità della lavorazione)
la "casera" (il centro dell'ex bitto storico) ha consentito di buon
grado ad accettare - in deroga alla regola della mungitura a mano -
questa situazione, consapevole delle difficoltà incontrate e della
buona volontà dei Colli. Giova ripetere che la regola della mungitura a
mano non è dettata da una forma di purismo e primitivismo a tutti i
costi ma dalla constatazione che 1) se in condizioni stalline la
qualità del latte e lo stress della mammella possono anche essere
migliori con la mungitura meccanica, in alpeggio le condizioni cambiano
e la non perfetta funzionalità e pulizia degli apparati di mungitura
porta ad avere un latte con cariche totali e cellule somatiche anche
superiori di quello ottenuto mungendo a macchina; 2) ancora più
importanti e cariche di conseguenze sono gli effetti di un non oculato
utilizzo dei "carri di mungitura" che determinano forti rischi di
cattivo utilizzo del pascolo con quello che ne consegue in termini di
alterazione della qualità floristica del pabulum e, in definitiva, di
qualità del latte e del formaggio.
La soluzione ai problemi dell'apprendistato, l'ho espresso anche ai
Colli, va cercata in una "scuola pratica d'alpeggio" che insegni prima
di tutto a gestire i pascoli e a mungere a mano. Questo è da anni un
programma del Centro dell'ex bitto storico che si spera possa presto
decollare (c'è in cantiere un progetto in collaborazione con il FAI). A
conferma dell'adesione alla "vecchia scuola" di casari di Gerola i
Colli sottolineano come "non serve imparare a fare il formaggio se
prima non si è imparato a gestire il pascolo, a mantenerne e
migliorarne la qualità dlel'erba". Dietro questo concetto (conoscere
l'erba e l'animale e come farli interagine al meglio) c'è tutta la
sapienza che ha fatto del bitto (oggi dello "storico") un formaggio
diverso dagli altri.
Il cavallo non c'è più,
peccato
Mentre la lunga lavorazione prosegue vado con
Ronny a portare le mascherpe e le forme di bitto fresco in casera.
Scendiamo con un piccolo (e non troppo ben in arnese) Daihatsu d'annata
che, però, in montagna, fa il suo servizio (come tutti i mezzi spartani
concepiti decenni fa).
Daniele
spiega che: "fino a quattro anni fa c'era il cavallo, poi
considerando che le piste raggiungono tutte le porzioni del
pascolo abbiamo preferito usare la jeep" . Una scelta dettata dalla
capacità di carico e non tanto dalla velocità ("Il cavallo era più
veloce"). Così si porta il formaggio in casera una volta al giorno. Con
il cavallo bisognava fare due viaggi. Confesso che il "pensionamento"
del cavallo, un elemento non secondario dell'alpeggio mi ha lasciato un
po' di amaro in bocca. La casera, però, è stata sistemata come si deve
(non è scontato). C'è la mascherpera (foto sopra) come una volta e la
cantina non ha subito alterazioni con la ristrutturazione. La tendenza
all'aumento delle estati calde ha però consigliato di installare un
sistema di serpentine di raffreddamento (l'edificio disponde di
parrecchi pannelli fotovoltaici). "Quest'anno, però, hanno funzionato
2-3 giorni" mi dice Ronny. Ed io: "Ma fa molto freddo nonostante il
caldo fuori". "Oggi sta andando". Disporre di una bella casera
tradizionale ma con la sicurezza di un impianto in grado di abbassare
quel tanto la temperatura in periodi critici è una gran bella cosa.
Ancora una volta va reso merito al comune di Premana, proprietario
attento e consapevole del suo patrimonio d'alpeggi (sono ben dodici
anche se questo è quello più importante). Il confronto con certe
pessime sistemazioni sul versante valtellinese ma anche bergamasco
(eseguire da comuni o altri enti pubblici, leggi Ersaf -Regione
Lombardia) è impietoso.
Va detto chiaro: se l'erba è buona, il latte anche, il casaro è bravo
ma la cantina non è all'altezza si rovina un risultato che avrebbe
potuto essere ottimo.
L'orgoglio di fare il pastore a Varrone
Anche se
le prime partite hanno già lasciato la casera (alcune dirette al Centro
dell'ex bitto storico cui ne sono destinate un centinaio) quest'ultima
si presenta ancora ben fornita offrendo gioia agli occhi e
all'olfatto. Ronny mi spiega che vuole farsi pagare in formaggio.
"Ho i miei piccoli clienti, anche fino a Lecco". Si capisce che il
lavoro gli piace e che collaborare a fare lo "storico" e
commercializzarlo gli da soddisfazione e lo fa sentire orgoglioso
("quest'anno è stata qua la mia fidanzatina della val Camonica, anche
lei allevatrice e appassionata, l'ho conosciuta su facebook").
Rifugio e alpeggio dialogano
Tornati
alla baita si sono fatte quasi le otto. È tempo si salire al rifugio
Santa Rita per la cena. Il rifugio da quest'anno ha una nuova gestione.
La famiglia che lo ha rilevato aveva un B&B in Brianza. Sono molto
accoglienti e mantengono anche buoni rapporti con i pastori (che
vengono dopocena a fare un salto). Ronny con le capre passa alla
mattina presto. Il rifugio utilizza il formaggio dell'alpe (con una
fortuna così a portata di mano...). In realtà il Santa Rita, collocato
tra la val Biandino e l'alta Valvarrone è in una posizione casearia che
forse nessun rifugio dell'intero arco alpino puà vantare. Da una parte
lo stracchino fatto all'antica da Teresa Platti (classe 1937), famiglia
che fin oltre la metà dell'Ottocento ha caricato Varrone e poi, sino ad
oggi e dininterrottamente, Biandino. Dall'altra uno dei migliori
formaggi d'alpe in assoluto al mondo (Varrone primeggia anche tra le
alpi dello
"storico"). Non è finita: ad Artino si fa pasta di caprino con la capra
orobica, una straradicata tradizione valsassinesi di caprino a
coagulazione acida (a proposito degli ignoranti che la definiscono
"alla francese" anche quando abbiano esempi da noi). Tre prodotti che
sintetizzano l'anima casearia orobica. C'è da
pensare a qualche iniziativa in proposito. A far comprendere la
grandezza di queste tradizioni concentrate in queste valli ci sarebbe
la coda di turisti da varie parti del mondo. Però, da noi, piuttosto
che riscoprire storia e orgoglio - oggetti pericolosi per il "sistema",
che preferisce adattarsi ad un ruolo perdente, da brocchi, nella
globalizzazione piuttosto che mettere in moto processi non facilmente
controllabili - si preferisce perdere anche le migliori opportunità
economiche.
Al
mattino scendo a fare colazione con i pastori, ovviamente con latte di
capra. C'è ancora tempo per qualche conversazione con Enrico.
La consapevolezza di
appartenere a una storia, senza bisogno di ostentare superiorità
Due sono
i messaggi che mi consegna: il primo riguarda l'atteggiamento da tenere
nei confronti degli "altri" (non solodel bitto dop, ma in genere quelli
che non apprezzano la "fissa da trogloditi" dei produttori fedeli alla
tradizione del grande formaggio degli alpeggi orobici). Enrico mi dice:
"Io ho dovuto più volte sostenere le ragioni dello storico con gli
altri, nella cooperativa. Ero uno contro trenta. Allora facevo capire
loro che non pretendiamo di essere più bravi di loro; abbiamo
alle spalle una tradizione diversa, una storia diversa dalla loro,
tutto qui". La seconda considerazione riguarda le generazioni passate
di casari. C'è molto rispetto e riconoscienza nelle parole di Enrico.
Un modo per ribadire: "Sì ho la mano per lavorare il latte ma faccio
quello che faccio perché ho dietro una scuola, una storia". La
filosofia dei "ribelli" è in definitiva questa. Una riconoscenza che
porta Colli ad auspicare che: "bisognerebbe scrivere
un libro sui casari, andare a intervistare le famiglie, quelli che ci
sono ancora...". Ha ragione.
L'aria si sta già scaldando. Dal momento che ci sono 13,5 km (e non
pochi su e giù) per
tornare alla macchina (l'alpe Varrone non è proprio dietro l'angolo) è
meglio incamminarsi. La malga delle bovine va all'abbeverata e poi
inizia il ciclo di pascolo.
L'esperienza
di questa valle e di quest'alpe è troppo bella perché non sia condivisa
da più persone rispetto a quelle che la frequentano. Basterebbe come
richiamo l'opportunità di vedere come nasce uno dei formaggi migliori
al mondo. Ma ci sono anche le miniere, le vie storiche, la capra
orobica, il paesaggio.
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