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Politiche
A quando anche in Italia un Wolfsdebatte?
L'altro ieri il ministro dell'agricoltura leghista, Centinaio,
davanti agli allevatori trentini si è rimangiato le precedenti
posizioni lupiste
Lupi,
rewilding,
ecotasse, "rinnovabili", sono gli aspetti della stessa biopolitica, le
nuove forme della lotta di classe (oggi elite vs popolo) e del conflitto città-campagna
di Michele Corti
(14.12.18) Ieri sul Corrierone è apparso un
interessante articolo dell'inviato da Berlino: Attenti al lupo! La Germania in preda alla
sindrome di Cappuccetto rosso.
Il titolo e le prime
osservazioni, tutte centrate sulle "fobìe" tedesce e l'irrazionalità
della nuova "paura" (la prolifereazione dei branchi di lupi), non
lasciano presagire niente di nuovo, il resto dell'articolo, però,
presenta spunti interessanti e rende conto dell'importanza politica
assunta dal tema.
In
Germania di branchi ve ne sono 73 ma il punto è che, da zero che erano sino a pochi anni orsono, sono
aumentati al numero attuale in men che non si dica (erano 60 nel 2017, 47 nel
2016).
Ovviamente non è vero quello che sostiene l'articolista (dimostrando la
classica ignoranza dei
cronisti dei giornaloni che trattano spesso gli argomenti senza neppure
leggere
Wikipoedia), ovvero che il lupo in Germania aveva corso il
"rischio di estinzione". Per il motivo che in Germania il lupo si
era estinto completamente, da un secolo e mezzo. Quando il regime
nazional-socialista, nel 1935, (dopo aver organizzato l'anno
prima una conferenza internazionale sulla protezione degli animali),
si dotò di una legge (Reichsnaturschutzgesetz) per la protezione della natura, che introduceva - primo paese al mondo - la tutela del lupo, voleva affermare un
principio... e una predilezione ideologica. Ma l'oggetto della protezione non esisteva più. Da tempo.
Gli imbarazzanti (ma
illuminanti) precedenti dell'animal-ambientalismo
Ci si
potrebbe chiedere quale fosse la natura dell'animalismo
nazional-socialista e, in particolare, della lupofilia che ha
caratterizzato il nazional-socialismo, ma forse è una domanda inutile in quanto non esiste un animalismo senza
ambiguità. Fatto sta che i simboli lupeschi hanno
accompagnato il nazional-socialismo dagli esordi (la runa Wolfangel, "zanna di lupo",
precedette la Svastika quale
simbolo del movimento), poi all'apice della potenza (quando la
"zanna di lupo" divenne emblema dell'elite delle SS) e, infine, al
crollo del III Reich, (quando i Werewolf , i "lupi mannari", continuarono - dopo la resa - a combattere,con
azioni di guerriglia e attentati - sempre sotto il segno della Wolfangel - l'invasone americano. Tutti fatti
imbarazzanti per il Corrierone, organo del pensiero unico
euromondialista progressista. Infatti di questi antefatti non se ne parla per nulla nell'articolo.
Fatti imbarazzanti perché, grattando la
superficie, il "buonismo"
ecoprogressista, che auspica la proliferazione dei lupi in Europa e la
creazione di vaste aree Wilderness
in un continente sommamente
antropizzato e di antica civilizzazione, si trova l'ascendente
nazional-socialista, paganeggiante, superominista. L'elite oggi attacca
il popolo, che disprezza come non mai, con gli argomenti suadenti dell'ecologia, ma - attenzione -
argomenti ecologici "selezionati", quelli che è in grado di giocare a
suo vantaggio e contro il popolo. Così
si batte la grancassa sul riscaldamento climatico per giustificare il
sostegno alle speculazioni finanziarie in materia di "rinnovabili" e le
"ecotasse", che colpiscono le fasce a basso reddito e le aree rurali e
periferiche.
Un Wolfsdebatte che coinvolge tutti i partiti tedeschi
In Germania, nonostante il numero (ancora) relativamente esiguo di lupi
(un'inezia rispetto all'Italia) il dibattito politico
tedesco segna un forte interesse per il Wolfsdebatte
e l'articolo del Corrierone riferisce le varie posizioni,
caratterizzate, tranne ovviamente i verdi, da più o meno accentuata
preoccupazione. Un fatto importante perché in Italia, dove il problema
è più serio, non esiste un dibattito pubblico: gli unici legittimati a
parlare di lupi sono gli addetti ai lavori che, con smaccato spirito di
autoreferenzialità, liquidano sprezzantemente ogni argomentazione che
proviene dal "popolo ignorante" e si permettono di affermare come
fossero dogmi di fede delle fake pazzesche del tipo: da secoli in Italia non si registrano attacchi mortali all'ìuomo da parte di lupi o: il lupo è un animale schivo che non attacca mai l'uomo.
Ovviamente tutto ciò funziona perché i media, all'unisono, danno spazio
solo agli "esperti" pro lupo liquidando come "isteria", "populismo",
"ossessione" ogni considerazione critica.
Tornando alla Germania è interessante osservare come la questione lupo
venga collegata ad altri temi fondamentali temi. Il partito più critico
in tema di "libera proliferazione" dei lupi è l'AFD (Alternative
für Deutchland) che accusa il governo tedesco di lasciare il
popolo alla
mercè dei lupi. Secondo il Corrierone (impegnato in
prima linea nel sostegno delle
oppressive istituzioni della UE), questo partito populista (ovviamente qualificato come "estremista" dal giornalone), userebbe - nel trattare della
diffusione dei lupi - la stessa retorica apocalittica
usata per gli immigrati. Non viene a questi "intelligenti" e "illuminati" il sospetto
che le politiche immigrazioniste e di rewilding
(a colpi di grandi carnivori) non siano che due aspetti, coerenti,
dello
stesso progetto di disgregazione sociale, marginalizzazione delle aree
"periferiche" e quindi di controllo totalitario su una società
apatride, meticcia, senza coesione forzatamente concentrata nelle più
facilmente controllabili aree urbane (dove la vita delle persone: cibo,
informazione, energia, denaro dipende al 100% da sistemi esperti e reti
tecnologiche controllabili da chi gestisce il potere reale)? L'inviato a Berlino del Corrierone, dopo aver riproposto - in omaggio alla linea politica
del giornale - i classici cliché della "paura irrazionale", dei
"tedeschi che si fanno ossessionare dalle paure" (ma non sono gli
italiani gli psicotici ossessionati dalle "paure" secondo la sociologia
progressista del Censis?) si riscatta però in chiusura cogliendo lucidamente nel segno
la questione
sociale sottesa al Wolfsdebatte che:
fotografa anche [non sono solo fobie, quindi!] la rabbia del mondo agricolo
e rurale, che si sente abbandonato da un establishment elitario,
urbano, ecologista e benestante pronto a schierarsi con gli animali,
dimenticando le sue paure e rimanendo sordo al suo «al lupo, al lupo».
Le stesse, identiche, parole che nei giorni scorsi abbiamo sentito
ripetere alla nausea a proposito della rivolta sociale rurale dei gilet jaunes. Che caso!
La resistenza rurale dei gilet jaunes
In Francia il popolo si è sollevato contro le ecotasse che scaricano
sulle aree rurali e periferiche il costo di quella che viene
pomposamente definita "transizione energetica". I ricchi nelle aree
urbane non hanno più l'automobile, usano diversi mezzi di trasporto e,
quando serve, se non hanno l'autista e l'auto blu, prendono l'auto a
nolo o in car sharing. Se proprio acquistano ancora l'auto la prendono
elettrica. Così la società (il popolo contribuente) gli regala un bel
bonus e deve poi pagare lo smaltimento delle inquinanti batterie. Tutta
la faccenda delle "energie pulite" è stato un pretesto per trasferire
reddito dai poveri (gravati da sovraprezzi dell'energia) ai ricchi
(gratificati di lussuosi incentivi). Come si dimostra facilmente nel
caso delle biomasse e dell'eolico (senza o con troppo poco vento), il
bilancio degli inquinanti è in rosso (per non parlare delle
deturpazioni del territorio di pale e centrali). Ma intanto gli
speculatori (legati alle caste della grande imprenditoria e della
politica) lucrano.
La coscienza di classe (oggi elite euromondialista vs popolo) e di luogo (le aree "rurali" citate nel caso dei
gilet jaunes in realtà sono anche aree deindustrializzate o comunque
marginalizzate) è abbastanza matura in Francia per ribellarsi a
queste truffe. Una coscienza abbastanza avanzata per inserire - con
sommo sdegno dei progressisti "antipopulisti" - il tema
dell'immigrazione/invasione nell'elenco dei cahiers de doléhance dei
rivoltosi. Di qui la durezza e la fermezza della rivolta e il calare di braghe del novello Re
sole (costruito in laboratorio in collaborazione tra finanza e vertici della burocrazia transalpina).
In Italia cosa succede?
In Italia una rivolta alla gilet
jaunes
non avrebbe senso in questa fase politico-sociale. La
rabbia - nonostante l'impegno dei giornaloni nel creare una frattura
tra popolo e governo - è rivolta contro la Ue, i giornaloni, le grandi
imprese che
hanno slegato i loro interessi dall'Italia, le caste, la gerarchia
cattolica (protestantizzata) schierata contro il popolo. Forse è lo
schierarsi senza se e senza ma con l'elite della gerarchia (ex)
cattolica che, più di ogni altro fenomeno dei nostri giorni, ha segnato
la svolta populista che nasce anche dalla consapevolezza che il popolo
non può fare affidamento che su sé stesso. La chiesa (ex)
cattolica, sotto la guida autoritaria di Bergoglio, ha messo in
soffitta l'ecologia sociale di Benedetto XVI (coerente con la dottrina
sociale della Chiesa), per abbracciare la deep ecology che
si focalizza sul riscaldamento climatico e apre la porta a derive
panteiste e sincretiche, ben simboleggiate dallo "spettacolo" del
dicembre 2015 sulla facciata della basilica di San Pietro, finalizzato
a inculcare il convincimento che la Natura è solo quella "selvaggia" e
a mettere il "buon" lupo al posto dell'agnello.
Quanto il Vaticano di Bergoglio, nella sua convergenza con l'elite
euromondialista, condivida l'ideologia della Natura/Wilderness -
lo si è visto anche nel giugno 2016. In quella occasione ha fornito il
proprio assenso (e la propria immagine) a una demagogica campagna pro
lupo del Parco della Maiella. Mentre la specie in estinzione, specie
sull'Appennino, è l'uomo montanaro, pastore, contadino, e i lupi
aumentano e dilagano, il suddetto Parco, ripropone i toni francescani
delle prime campagne pro lupo del WWF, oggi del tutto anacrononistiche,
ma rilanciate grazie a un papa regnante di nome Francesco I, che,
oltretutto, potrebbe benissimo fare il presidente mondiale del WWF.
In questo contesto in cui le istituzioni tradizionali, a partire dalla
Chiesa, vengono percepite come ostili al popolo, al governo eletto
(dopo diverse esperienze di commissariamento internazionale) si
concede ancora tempo. Ma come risponderà il governo Lega-M5S su fronti
sociali come quelli del
lupo, dell'abbandono della montagna? Per cercare di prevedere cosa
succederà sul piano politico va considerato che, come abbiamo scritto
qualche mese fa, (17.03.18 Dal
Südtirol una forte iniziativa politica contro il lupo ) la
colonizzazione delle Alpi orientali (grazie al progetto Wolf Alp) ha segnato un salto di
qualità nel peraltro ancora sottotraccia Wolsfsdebatte all'italiana).
Nelle
Alpi orientali nessuno può sostenere che il lupo prolifichi perché "c'è
l'abbandono". Le malghe e i prati (specie a Bolzano) sono coltivati, le
aziende zootecniche e pastorali non sono al collasso. Vi sono giovani
famiglie insediate nei masi e nei villaggi di montagna. L'economia
rurale e alpestre regge, grazie al turismo e alle politiche di sostegno
(a Bolzano decisamente più efficaci e attente). Qui è finalmente
lampante che il
lupo si diffonde perché si vuole diffonderlo e che l'abbandono non è
causa
della presenza del lupo ma suo effetto, elemento di una strategia di
aggressione alla montagna ancora popolata per preparare, anche qui, la
"pulizia etnica" delle popolazioni autoctone attuata "senza sporcarsi
le mani" (questa la formula utilizzata da Anna Arneodo il cui j'accuse su Ruralpini ha totalizzato oltre 18 mila condivisioni su facebook e 68 mila visualizzazioni) . La maggiore densità antropica e
la maggior robustezza della struttura economico-sociale delle Alpi
orientali ha fatto si che qui scoppiasse una reazione popolare contro
la diffusione dei grandi carnivori, che la
politica non può più ignorare. Il Piemonte, una regione Torinocentrica,
ancora in mano alla sinistra buonista, lascia ai suoi allevatori e
pastori l'alternativa tra abbandonare la loro attività (cosa che i
verdi auspicano sommamante per impadronirsi della gestione del
territorio) o
ricorrere all'autodifesa, a colpi di fucile e di bocconi avvelenati
(a proprio rischio e pericolo). Nel Nord-Est le cose non vanno così "lisce" per il partito del lupo (articolazione dell'elite di potere).
L'irresponsabilità sociale di un
establishment elitario,
urbano, ecologista e benestante pronto a schierarsi con gli animali (formula che calza a pennello per Chiamparino), non si
registra nelle Alpi orientali dove, pur con tutti i tatticismi e le
ambiguità del caso, non solo la Lega (a partire
dal Doge, che ha manifestato più volte una "sensibilità animalista") ma anche la stessa SVP, non
sono schierate all'unisono dalla parte del popolo. Oggi, però, i margini dei giochetti
sono ridotti, annullati. La Lega governa in tutto il Nord-est, anche a
Bolzano, dove la SVP con il crollo della sinistra è stata costretta
alla nuova alleanza. Grossa responsabilità, necessità di visione strategica, di sintonia con gli umori sociali profondi.
La vittoria di Fugatti in Trentino ha determinato una
svolta. Fugatti, da oppositore delle giunte Dellai e Rossi a Trento, ha sostenuto sempre una coerente posizione in tema di orsi
(ovvero contro il famigerato progetto Life Ursus, che
li importò dalla Slovenia) e, di recente, anche di lupi (arrivati con
il progetto Life Wolf Alp).
Con l'elezione di Fugatti a presidente del Trentino, la Lega, al
governo a Roma, non può permettersi di andare contro un suo esponente
che ha sconfitto un sistema di potere, apparentemente granitico, che
durava dal primo dopoguerra (e che aveva le sue radici nel forte potere
secolare dei principi vescovi).
Sulla questione lupo, il leghista Centinaio, nominato ministro dell'agricoltura, ancora a luglio di
quest'anno poteva permettersi di schierarsi con il partito del
lupo, dichiarandosi contrario a ogni controllo della specie di
qualsivoglia entità e facendo gioire il
WWF che,
in una nota del 12 luglio, commentava così le sue dichiarazioni
a sostegno
delle posizioni del ministro dell’ambiente Sergio Costa contro
l’abbattimento di orsi e lupi, previsto dalle leggi approvate dalle
province di Trento e Bolzano: sono estremamente positive e fanno bene
sperare per la difesa di due specie simbolo per la natura d’Italia.
Sarebbe stato bello vedere la faccia degli ambientalisti l'altro ieri, di
fronte al retro-marcia di Centinaio che, a Trento, di fronte agli allevatori, per non
sputtanare Fugatti, passato alla guida della provincia autonoma e deciso a operar con più fermezza e coerenza dei predecessori in materia di contenimento di orsi e lupi, ha auspicato un piano lupo alla francese. Per chi
non lo sapesse in Francia ogni anno viene controllato il 10% della popolazione lupesca. Un piano del genere,
ancora insufficiente a fermare l'espansione e l'aumento dei lupi
(servirebbe il 20% di abbattimenti
annui) in Italia comporterebbe 300-400 lupi eliminati legalmente.
Perché Centinaio si è preso coraggio? Non solo perché Trento (e
Bolzano) sono strategici, ma anche perché il M5S si è nel frattempo
indebolito e non può certo permettersi di aprire con la
Lega un contenzioso, più di ordine ideologico che ecologico, sul principio dell'inviolabilità del lupo. La resistenza rurale paga, non solo in
Francia. Bisogna abbandonare la sfiducia nelle proprie forze e la
sopravalutazione delle forze del sistema.
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Articoli
ruralpini su temi connessi
Le radici storiche e ideologiche del beceroanimalismo
(09.12.18)
L'Italia le circostanze storico-sociali hanno prodotto una cultura
fortemente antirurale lontana anche dalla dimensione naturale concreta.
Nella realtà contemporanea su questo sfondo si è sviluppato un
animalismo ben poco ecologico, molto ideologico che sconfina nel culto
pagano e che reitera i cliché anticontadini
Animalismo,
biocapitalismo, ecototalitarismo
(30.06.15)
Proseguiamo
la riflessione sul biocapitalismo e le ideologie ambientaliste
allargando la riflessione all'animalismo che in modo più esplicito e
violento nega il valore della vita umana. Esso si presenta come un
perfetto strumento per legittimare i paradigmi del nuovo biocapitalismo
in cui l'uomo diventa una merce da fabbricare e la vita umana può
essere rliminata senza particolari scrupoli (come e peggio che nei
Gulag e nei Lager)
Gli
orsi sparigliano politica e istituzioni
(01.09.14) Le
destre cavalcano l'animalismo ma rischiano di scottarsi (loro e la
sinistra)
La gestione degli orsi trentini è scappata di mano. Il conflitto
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Life Ursus di valenze di ogni tipo impatta in modo imprevedibile sulla
politica
Il
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(02.04.13)
Con le
nevicate tardive i lupi in Piemonte si sono abbassati. Branchi a pochi
metri dalle case, pecore predate nei giardini al limite dei paesi. Il
sistema capitalista-industriale che sta provocando l'estinzione di
massa delle specie viventi usa come diversivo e oppio del popolo il
lupo anche per eliminare, impedendo ogni difesa, pastori, contadini e
montanari: gli unici veri resistenti
J’ACCUSE
: I lupi parte di un patto contro la montagna
(14.01.13) Pubblichiamo l'importante
contributo di Robi Ronza apparso domenica 13 gennatio su www.ilsussidiario.net
Tra
le fauci del lupo e quelle del mercato
(04.03.13) I prezzi offerti dai
commercianti sono irrisori e molti hanno ingrassato gli agnelli
che a Natale non si sono potuti vendere. Ma a Pasqua troveranno
mercato? La soluzione: spiegare ai consumatori che si tratta di carni
sicure, ottenute senza danneggiare l'ambiente, che possono
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L'imbroglio
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(09.12.13) Nella storia di
Legambiente si rispecchia un ambientalismo di regime, apparato di
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economy turbocapitalista. Con un "pensiero ecologico" debole
appiattito sulla modernità e l'ideologia scientista, tecnocratica.
Centralismo comunista accoppiato con i meccanismi delle
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L'imbroglio
ecologico (parte III)
(02.12.2013) Dalla critica al
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all'affarismo della green economy. L'ambientalismo, nel solco del
progressismo illuminista, come supporto ideologico e cosmetico al
biocapitalismo dello sfruttamento integrale
L'imbroglio
ecologico (parte II)
(16.11.2013) La nascita
dell'ambientalismo come movimento sociale negli anni '80. I
condizionamenti sulla nascita del movimento ambientalista del travaso
dell' "eccesso di militanza" dalla "sinistra rivoluzionaria" e
dell'egemonia culturale del PCI. La divaricazione tra localismo e
ambientalismo quale occasione mancata. La necessità di andare oltre la
sinistra (e la destra) per recuperare spazi di autonomia sociale
L'imbroglio
ecologico (ambientalismo, sinistra, trasformazioni sociali nell'era del
capitalismo neoliberista)
(07.11.2013) Oggi l' ambientalismo è
la proiezione della Green economy capitalista e i movimenti devono
imboccare con coraggio nuove strade, oltre la sinistra e la destra e
oltre l'ambientalismo per una nuova autonomia dei soggetti e delle
comunità popolari. L'imbroglio ecologico è finito perché il ruolo
dell'ambientalismo istituzionale è palesemente di controllo sociale.
Prima parte di un ampio contributo che ripercorre la storia dei
rapporti tra ambientalismo, sinistra, capitalismo e movimenti sociali
dai primordi del movimento ambientalista ad oggi.
Per
una gestione comunitaria delle risorse e dei problemi ambientali
(08.01.13) Attorno ai problemi, dei
rischi per la salute legati alla nocività ambientale e alla volontà di
gestire in positivo le risorse territoriali sta crescendo nel mondo un
movimento post-ambientalista.
Dalla
tecnocrazia alla scienza comunitaria
(02.01.13) La tecnocrazia ha imposto
un modello di scientificizzazione della politica che svuota la
democrazia. Si è imposta anche nella forma di "ecopotere" con il
pretesto della "tutela della natura dall'uomo". La riduzione del
rischio presuppone però una strada diversa, quella di una scienza
civica e comunitaria e più ampi spazi di democrazia
Ripensare
la relazione tra la natura e la società
(02.01.13) L'affermazione di
una gestione partecipata dei problemi ambientali e delle risorse è
indispensabile per fronteggiare crescenti rischi e la tendenza
tecnocratica a concentrare decisioni con pesanti implicazioni sociali
nelle mani di pochi e sulla base di incerti presupposti scientifici.
Per muoversi in questa direzione, però, è necessaria una profonda
revisione di alcuni fondamenti ideologici della modernità e della
"civiltà occidentale" e dello stesso ruolo della scienza.
Ritorno
alla terra: non solo cibo
(10.10.13) Il distacco dalla terra
non si esprime solo nell'indifferenza per l'origine del cibo che
mangiamo, è anche privazione di stimoli conoscitivi, emotici, psichici.
Ma, nel mentre ci si rende conto del rischio che corre un umanità
sempre più estranea alla madre terra e se ne riscopra il valore, una
folle corsa alla distruzione dei suoli agricoli e alla
industrializzazione agricola procede per forza di inerzia e di
meccanismi economici e tecnologici fuori controllo
contatti: Whatsapp 3282162812
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