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Al suono del
corno
Autore: Giovanni Mocchi
Editore: Centro studi valle Imagna
Edizione: Luglio 2016
Pagine: 144
Formato: 17 x 24 cm
Illustrazioni a colori
prezzo 15 €
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Dai
tempi del
neolitico il suono del corno attraversa la storia dell'uomo. Il suo
timbro, che spazia da toni cupi e solenni, a terribili barriti, lo ha
reso nel tempo straordinaria macchina da suono nelle mani di dei e
sacerdoti, guerrieri e cacciatori, marinai, postiglioni e pastori. La
sua versatilità lo rese uno dei principali mezzi della comunicazione
e, al contempo, strumento di espressione musicale e rituale.Il
testo, ricco di curiosità, informazioni e immagini, accompagna il
lettore alla scoperta della sua lunga storia e fornisce e istruzioni
per ricostruire i modelli della tradizione popolare italiana, per far
si che quello che oggi può sembrare soltanto un oggetto curioso
riacquisti vita e tutta la sua dignità culturale.
Arca di San Donato, Cattedrale di Arezzo, 1363
Lasciamoci
risvegliare
dal suono del Corno alpino
(introduzione
di
Michele Corti)
II mio incontro con il "Corno delle Alpi"
risale al settembre 2000. In quegli anni ho partecipato a più
edizioni della Desmontegada de le caore di Cavalese. L'occasione era
fornita da convegni sul tema della zootecnia di montagna che venivano
organizzati in coincidenza con l'evento "folklorico". Il
grande successo della Desmontegada, con tutto quello — attività
canore e musicali comprese – che allora mi pareva solo un
"contorno", mi indusse a riflettere sul significato degli
eventi rievocativi in tema di transumanza e più in generale delle
manifestazioni celebrative della vita rurale alpina del passato.
Questa riflessione è poi divenuta per me un tema di studio, oggetto
anche di alcune pubblicazioni'. A Cavalese nel settembre 2000 ero
impegnato a vendere (per cercare di rientrare nelle spese sostenute
per produrli alcuni capi di "abbigliamento pastorale"
realizzati dall'Associazione pastori camuni (ora Associazione pastori
lombardi). A pochi metri dalla mia postazione si esibivano dei
musicisti provenienti dalle valli del sud Tirolo: uno di questi
suonava il carillon di (normali) campani da pascolo,un gruppo di
tre"cornisti" della val Sarentino lunghissimi Alphorn di
foggia svizzera (che mi spiegarono ricavati da fusti di larice
naturalmente ricurvi alla base). Per me quello è stato il primo
approccio dal vivo con il"Corno delle Alpi". Trovavo come
le melodie eseguibili con lo strumento fossero molto suggestive ma
che, in definitiva, questo trio non rappresentasse altro che un modo
di"copiare la Svizzera", di esibire una"alpinità"
tutto sommato da stereotipo consolidato e che la sua presenza a
Cavalese non fosse funzionale adaltro che aportare acqua
all'"autenticità"dell'evento Desmontegada, alla tirolesità
della val di Fiemme e, in definitiva, ad attirare turisti. Ero fuori
strada. Entrando nel vivo del discorso va subito osservato che quel
rimprovero di:"copiare la Svizzera" o"copiare i
tirolesi" che viene puntualmente avanzato nei confronti di chi
ripropone espressioni tradizionali, in particolare quelle musicali, è
in realtà senza fondamento. Non avendo ancora scoperto che il Corno
fosse suonato anche dai nostri malghesi, in un saggio (2) sul sistema
d'alpeggio storico nell'area lombardofona sottolineai però con forza
- basandomi su fonti locali – come espressioni quali le
celebrazioni del ritorno dall'alpe, il suono della cornamusa e di
flauti, lo stesso jodel fossero ancora praticati dagli alpigiani
orobici nel XIX secolo. Altro che"tradizioni inventate". Se
risaliamo al XVI secolo le espressioni musicali dei pastori appaiono
anche più varie.Lo attestano le non poche raffigurazioni di pastori
che suonano flauti,cornamuse, pifferi nel contesto di scene
affrescate di"Natività" (ancor oggi ammirabili in diverse
chiese delle valli orobiche). Lo attesta una fonte interessantissima
quale la Descrizione dellaValsassina (3) Paride Cattaneo DellaTorre
che,nel 1571, scriveva che nella ubertosa val Biandino, dove
pascolava molto bestiame e si realizzava una copiosa produzione di
latticini, si trovavano molti pastori dediti a ogni tipo di gioco
atletico (identici ai"giochi svizzeri") ma anche al canto
(jodel) e all'utilizzo di diversi strumenti musicali ("fanno
risuonargli antri, caverne spelonche, li cavi sassi, li alti colli et
le basse valli da lor frequenti gridi, urli et fremiti, da rusticani
stromenti, di varie et diverse sorti"). Il canonico della chiesa
pievana di Primaluna ci ha consegnato una viva descrizione di una
vita pastorale non ancora "depotenziata" (nelle sue
espressioni rituali e culturali tradizionali) dagli effetti
repressivi del Concilio di Trento e dall'indebolimento dell'economia
agropastorale e alpina in genere (che comportò un progressivo
aumento del carico di lavoro del pastore/alpigiano con la conseguente
riduzione del tempo dedicabile allo "sport" e alla musica).
Egli, però non ci dice se vi fosse anche il "Corno delle alpi"
tra questi "rosticani strumenti"? Noi pensiamo di si. In
ogni caso la conferma dell'uso del "Corno" da parte dei
nostri malghesi la troviamo a Berzo Inferiore nell'affresco del ciclo
della vita di San Glisente. Quando, nel 2010, mi fu donato un volume
edito dalla Banca di Valle Camonica che riportava su doppia pagina
l'affresco (4) osservando ciò che reggeva il malghese in spalla non
ebbi dubbi che fosse un corno musicale in legno. Lo presentai come
tale in alcune conferenze sulla transumanza lombarda e riportai la
cosa in un articolo sul mio sito Ruralpini (5). Di seguito è venuto
il contatto con Giovanni Mocchi al quale chiesi conferma della mia
identificazione.
La conferma arrivò e nacquero le iniziative di
"rilancio" del Corno descritte in altra parte
dell'Introduzione Il Festival del pastoralisno a Bergamo alta nel
2014 ne rappresentò il culmine. Al di là della ricerca e delle
iniziative culturali intorno al "Corno" ma anche al di là
della più generale ripresa di tradizioni "ruralpine" c'e
qualcosa di più di un vezzo intellettuale ed estetico? Tutti noi che
ci sentiamo profondamente coinvolti in questa esperienza crediamo
proprio di si. Il "revival" non è né nostalgico, né
estetizzante, né di "pronta cassa turistica". Riavvicinare
la dimensione economico-produttiva delle attività agro pastorali a
quella culturale è condizione per far sì che esse si incontrino con
nuovi bisogni sociali (materiali e simbolici) ovvero per ridare loro
un senso e una condizione di futuro. Un tempo queste due dimensioni
erano inestricabilmente congiunte e la loro scissione è opera - come
per molte altre - della modernità. Al graduale impoverimento di
espressioni musicali (il pastore silenzioso, che non canta e non
suona più) è corrisposta anche una trasformazione
nell'abbigliamento con il passaggio dall'uso colori sgargianti al
nero e all'uniformazione con l'abbigliamento di altre categorie (oggi
quello "tecnico"di escursionistico). Mentre, però, in
Svizzera e in Austria, la "cultura alpestre" veniva assunta
(anche a rischio di snaturarla) quale elemento fondante della
complessiva identità nazionale, in Italia essa appariva
"centrifuga". Questo elemento si è sommato allo stigma di
inferiorità socioculturale attribuito dalla cultura italica
(profondamente e peculiarmente urbanocentrica) a tutte le culture
rurali. Tutto ciò ha spinto i montanari ad autoalienarsi rispetto
alla propria matrice culturale (anche prima della modernizzazione
culturale televisiva degli anni Sessanta). Oggi il contesto è
profondamente cambiato e una riflessione e una riappropriazione non
strumentale sulla cultura alpina e rurale in genere può risultare
salutare (per tutti) nel contesto di grande crisi di civiltà. La
critica sempre più critica dell'industrialismo, dell'urbanesimo e
della stessa modernità oggi è opera delle stesse realtà
metropolitane più avanzate, consapevoli dell'avvicinarsi di un
puntodi rottura. La società è sempre più sciolta nell'acido del
mercato globale mentre la resilienza degli ecosistemi viene meno. Lo
"sviluppo "al di là delle catastrofi ecologiche e sociali
ha anche impoverito aspetti solo apparentemente meno vitali. Ha
degradato se non annullato tutte le manifestazioni non compulsive e/o
standardizzate di gioia, di gioco, di festa, di socializzazione. Il
"ritorno alla terra", a ritmi lenti, alla ritualità, alla
sacralità, alla convivialità si configurano sempre più come
bisogni vitali. Il suonodei corni che torna qua e là ad echeggiare
nelle valli rappresenta qualcosa di più che una "ciliegina
sulla torta": è stimolo, provocazione, evocazione, suggestione,
materializzazione di idee. Ascoltiamolo. Qualcosa si produrrà.
Note
1. M. Corti,
Le valenze turistiche ed educative del sistema delle alpi pascolive:
indagine sugli eventi turistici sul tema dell'alpeggio, Quaderni
Sozooalp, 1 (2003):53-89; 2. M. Corti, Riti del fieno e del latte, in
SM Annali di S.Michele, 22 (2009):249-284. M. Corti, Sùssura de ì
aalp. Il sistema dell'alpeggio nelle Alpi lombarde, in SM Annali di
San Michele, 17 (2004): 31-155.
2.
M. Corti, Riti del fieno e del latte, in SM Annali di S.Michele, 22
(2009):249-284. M. Corti, Sùssura de ì aalp. Il sistema
dell'alpeggio nelle Alpi lombarde, in SM Annali di San Michele, 17
(2004): 31-155.
2.
Pubblicata dopo quasi tre secoli dall'ing. Giuseppe Arri goni (G.
Arrigoni, Documenti inediti risguardanti la storia della Valsassina e
delle terre limitrofe, Milano, 1857, pp.37-38).
4
O . F r a n z o n i , G . C . Sgabussi, Terre alte di Lombardia,
Banca di Valle C a m o n i c a , Ti pogr af i a C a m u n a spa,
Breno, 2004, pp. 222-223. 5 M. C o r t i , Uno squarcio sulla vita
pastorale alpina prima della modernità, R u r a l p i n i , 3 . 1 2
. 2 0 1 3 ( h t t p : / / w w w . r u r a l p i n i . i t /
Materiali04.03.13-Pastori-XVI-secolo.html).
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