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Un
progetto per fare incontrare i territori (cibo e cultura)
(08.11.16) Sono già
due gli incontri realizzati a Cà Berizzi, a Corna Imagna nell'ambito di
un itinerario attraverso le culture contadine e pastorali e le
loro espressioni culinarie. Un itinerario che ha vià toccato la val
Vibrata (Teramo) e la valle del Belice (Trapani) e che questa settimana
toccherà la montagna genovese. Questo primo ciclo, inserito nel
Festival del pastoralismo di Bergamo 2016, rappresenta solo un inizio.
Il progetto, avviato dal Centro studi valle Imagna e dal Festival del
pastoralismo prevede una prossima rassegna di "Cucina delle Alpi" e poi
ancora nuovi cicli spaziando da Nord a Sud dove esistono realtà di
continuità e rinascita delle tradizioni agroalimentari e gastronomiche
ancorate alla ruralità, alla storia del luogo, orgogliose di farne una
risorsa per un nuovo sviluppo. Iniziative
culturali - Cibo
territoriale
Al
Festival del pastoralismo 2016 la mostra "La vacca dei poveri"
(08.11.16) La mostra
approfondisce lo “strano caso” della capra, animale oggetto di cicliche
ondate di spregio e di considerazione in relazione alle vicende delle
società e culture umane. Aperta da dal 5 al 27 novembre, cerca di
trovare una spiegazione legata al ruolo della capra nei diversi
contesti rurali e agronomici, ai simbolismi di cui è stata caricata, ai
conflitti sociali e agli orientamenti ideologici che ne hanno sancito
lo status. vengono esplorati aspetti poco conosciuti della storia
sociale dell’allevamento caprino utili a comprendere il revival di
questo intrigante animale a partire dal ’68.
Capramica (da sabato 8 la mostra a
Bergamo alta)
(04.10.16)
La mostra consiste in un percorso didattico, la scoperta di una
lunga storia di simbiosi tra l’uomo e un animale. La capra ha
accompagnato e assecondato la colonizzazione umana del pianeta, ha
svolto un ruolo chiave per la sopravvivenza di molte comunità ma è
stata anche stigmatizzata quale animale “nocivo”. Questi
paradossi aiutano a riflettere sul ruolo svolto dagli animali
nell’evoluzione delle società umane guardando attraverso il passato
l’oggi (con il revival “postmoderno”della capra. Il percorso
prevede il "dialogo" tra la mostra (pannelli e oggetti) e dei
laboratori. Info all'articolo
A
Monno, in alta Valcamonica Fenfesta 7a edizione
(08.08.16) Con la settima edizione la Fenfesta
di Monno, nata nel 2008, si conferma quale esperienza di
riferimento nelle alpi lombarde. Altre località hanno organizzato
eventi analoghi ma senza continuità. L'interesse per la
falciatura a mano con la ranza/fòlc è però in crescita e si
pensa a organizzare un circuito coordinato, in collegamento con
iniziative in altre vallate lombarde
Una
cultura che si mette lo zaino in spalla (28.06.16)
Con il
"Cammino dei bergamini", grazie all'iniziativa di diversi attori
locali, si è sperimentata una formula di un evento culturale
itinerante per scoprire in profondità un territorio e la sua storia
attraverso quella di coloro che ne furono i protagonisti
Articoli per argomenti
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La capra. Una storia culturale (e sociale)ovvero un itinerario tra la simbologia, la mitologia e la'iconografia della capra
di
Michele Corti
(18.12.16)* La
simbologia e la rappresentazione della capra si prestano a
considerazioni interessanti sui rapporti tra la cultura (ideologia,
credenze), economia,
società e ambiente. La "demonizzazione" della capra appare moderna perché, nel medioevo, il diavolo
era rappresentato nelle forme più varie. Essa ha agevolato,
insieme alla supremazia del razionalismo scientista e tecnocratico, la
messa al bando delle capre nel XIX secolo. Vittima della modernità la
capra si è presa le sue rivincite con il declino della disciplina
sociale industrialista, con l'appannarsi dei miti e delle illusioni
della scienza e con la rivalorizzazione neovitalista della natura. Un
vero cerchio che unisce preistoria e postmodernità. * Aggiornamento e ampliamento 22.05.17 Indice
Cap.1 - Esiste
una connotazione chiaramente negativa della capra nella Bibbia?
Cap. 2 - La svolta del medioevo Cap. 3 Le corna: un simbolo potente oggetto di ribaltamento Cap. 4 - La connotazione positiva che emerge dal substrato culturale
Cap. 5 - La demonizzazione
Cap. 6 - La guerra alle capre
7. Conclusione - Una rivincita clamorosa su tutti i fronti e alcune lezioni
Note
1. Esiste
una connotazione chiaramente negativa della capra nella Bibbia?
All'origine
del discredito delle capre è opinione comune che vi sia la loro scarsa
"popolarità" nell'ambito della tradizione giudeo-cristiana. Ma le cose
stanno veramente così? Anche a prescindere dalla presenza di diversi
stratificazioni culturali nella sacra scrittura (i profeti, per
esempio, esprimono un contesto completamente diverso da quello più
antico) può essere interessante verificare come la famosa pericope di
Matteo sulla divisione
operata da Gesù tra "capri e
pecore" ,
in occasione del Giudizio finale, possa essere considerata una prova
sulla precoce equiparazione nel cristianesimo tra la capra e il male.
Davanti a lui verranno radunati tutti i
popoli.
Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore
dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla
sinistra (Mt 25: 32-33).
Questo famoso passo ci pone di fronte,
almeno in apparenza, ad una identificazione della capra con la
negatività che pare non lasciare molta speranza per la reputazione di
questo animale nelle società influenzate dal cristianesimo.
Katleen Weber (1) ha voluto però analizzare a fondo il significato di
questa apparente valutazione oppositiva tra i due animali. Si è posta pertanto
due domande: 1) la tradizione precedente veterotestamentaria giustifica
la "dannazione" della capra? 2) cosa intendeva veramente far
comprendere ai propri ascoltatori palestinesi Matteo?
La
Weber mette innanzitutto l'accento sul contesto culturale al quale si rivolgeva
l'evangelista, a coloro cui si rivolgeva compilando il suo vangelo. Nel
mondo siriaco-palestinese - a differenza di quello greco-romano - capre
e pecore pascolavano insieme durante il giorno. Solo di notte, quando
faceva
più freddo, venivano divisi "i capri dalle pecore", perché i caprini hanno
maggiore necessità di riparo e venivano ricoverati in modo diverso
dagli ovini. Ne consegue che il significato dei due animali non poteva
essere molto diverso, dal momento che erano parte di un unico sistema
pastorale. A conferma di ciò si osserva che la
lingua ebraica aveva un
unico termine per indicare il singolo animale appartenente al gregge.
Esso era
applicato indifferentemente alle capre e alle pecore. Una larga
intercambiabilità delle due specie (con i relatici riflessi
linguistici e di traduzione) è confermata dalla figura del profeta
Amos. Nelle
traduzioni antiche si faceva dire ad Amos: "Io non sono
profeta né figlio di profeta; io sono pastore di capre"
e nel medioevo si è spesso raffigurato il profeta con tre capre (sotto). . Nelle poetica ebraica antica
pecore e capre - sempre secondo la Weber - rappresentano, senza assumere alcun significato
oppositivo, il simbolo della prosperità pacifica. In ogni caso nella
Bibbia non c'è una identificazione della capra (o meglio caprone) con
il male. Capre e caproni erano offerti in sacrificio a Dio quindi non
potevano essere graditi esseri "negativi".
Il capro espiatorio Lev 16 :5-22 si
caricava
sì dei peccati e veniva inviato nel deserto (offerto al demone Azazel)
ma nello stesso complesso rituale un altro capro veniva offerto dai
sacerdoti a Dio (Lev. 16: 7-9). D'altra parte la capra non era l'unico
animale ad essere utilizzato come "capro espiatorio" nei rituali del
vicino oriente.
Nell'antico
testamento non vi è altro che alluda ad una opposizione tra capre e
pecore anche se Ezekiele (34: 17-22) è stato citato come precedente di
Matteo. Si tratterebbe, però, di equivoci di traduzione perché il
significato
originale non rimandava ad un giudizio tra capre e pecore (come
riportano le traduzioni moderne, specie dopo la riforma protestante) ma
tra
animali "grassi" e "magri". Semmai sono gli animali maschi ad essere
simboleggiati nell'antico
testamento come esempi di arroganza e ingiustizia, ma da questo punto
di
vista l'ariete non ha un
trattamento migliore del becco. In Daniele (8: 1-12, 20-21) l'ariete
simboleggiava l'impero persiano, il becco Alessandro il grande. Nella
cultura ebraica antica in conclusione capre e pecore condividevano una
comune connotazione positiva in quanto elementi di una stessa,
essenziale, economia pastorale.
Sant'Appollinare,
Ravenna (VI sec.). Il mosaico risale all'epoca di Teodorico, prima
della conquista bizantina
La
Weber interpreta quindi il passo di
Matteo sul piano della paradossalità (quella che porterebbe un cammello
a passare dalla cruna dell'ago). Per i suoi ascoltatori di
ambiente
palestinese questa opposizione tra pecore (i buoni salvati) e capre (i
dannati) è inaspettata, difficilmente comprensibile sulla base di
quanto precedentemente osservato. Sottolinea la
radicalità della giustificazione e la forza dell'esortazione al bene dell'evengelista. Le capre vengono distinte solo per una
differenza apparentemente poco percettibile, perché la salvezza
corrisponde ad un impegno coerente e senza cedimenti.
Del tutta diversa la percezione in contesti in cui pecore e capre
pascolano in modo separato affidati a pastori differenti. Qui (ma Matteo non poteva prevederlo), la
parabola è
stata intesa come identificazione della capra con il male. Si
tratta, però, di elaborazioni posteriori. La Bibbia quindi non condanna le
capre e la loro equiparazione al demonio deve spiegarsi al di fuori
della scrittura.
Perché in Palestina capre e pecore sono allevate insieme e non si
differenziano sistemi pastorali basati sulle singole specie?
Probabilmente per motivi legati all'orografia (non ci sono sistemi
montuosi). La morfologia del territorio non spinge a differenziare tra
spazi adatti a piccoli greggi di capre che sfruttano luoghi elevati,
rocciosi, boschivi e ampi spazi adatti a grabdi greggi ovini.
Basilica dei ss. Cosma e Damiano a Roma
(VI sec.), mosaico absidale, particolare dell'ordine inferiore
È
però indubbio che l'immagine di
Matteo, una volta estrapolata dal contesto palestinese, insieme
a quei passi del nuovo testamento che esaltano il valore
sacrificale dell'agnello identificandolo con il Salvatore (2), ha
creato le
premesse per la svalutazione della capra all'interno di un confronto
oppositivo con la pecora. La lettura letterale della Bibbia, tipica
delle sette e conventicole derivate dallo scisma protestante (e
conseguenza di una "teologia fai-da-te") contribuisce a spiegare
(insieme ai processi di trasformazione dell'agricoltura avvenuti in età
moderna in Inghilterra) la particolare svalutazione in ambito
anglosassone della capra e dei suoi prodotti (oltre alla virulenza
della caccia alle streghe ed altre espressioni di fanatismo
religioso).
Il Buon pastore. Aquileia, mosaico della basilica paleocristiana del IV sec.
Nelle sue prime espressioni, però, e poi vedremo ancora nel medioevo,
l'arte cristiana non sembra accogliere e trasmettere un giudizio netto.
Nelle più antiche raffigurazioni del Buon pastore prevale il realismo
(tanto che a volte è raffigurato anche con il flauto del "demoniaco"
Pan), per via
della preoccupazione a voler sottolineare il carattere umano di Gesù.
Così esso è stato anche (seppur raramente) raffigurato con delle capre
(sotto) anche se questa presenza poteva assumere un preciso
significato come confermano altre raffigurazioni dell'arte
paleo-cristiana nelle quali, la capra simboleggia il fedele o il
peccatore pentito (non certo quindi il "candidato" alla dannazione
eterna) (3). Il teologo cristiano Origene (III sec.) si
spinse a un paragone ardito che si basava sull'attribuzione alla capra
non solo di una vista straordinaria (un'attribuzione comune
nell'antichità) ma anche della capacità del suo latte di dotare chi se
ne alimenta di una vista più acuta. Questa proprietà del latte di capra
era paragonate al sangue Cristo che poteva aprire gli occhi delle
anime e dotare di acuta vista spirituale (4).
Roma, catacombe di Priscilla (III sec.)
Rispetto
all'iconografia paleocristiana quella successiva presenta già delle
differenza. Nel contesto già bizantino, lo stesso Buon pastore è
raffigurato in modo regale. Nel mosaico del mausoleo di Galla Placidia
(sorella dell'imperatore Onorio) a Ravenna (V sec.), Gesù-pastore
appare come il re e le pecore rappresentano il popolo. Nel contesto di
un'ideologia imperiale risulta ovviamente conveniente far leva su
motivi di legittimazione teologica della disciplina e obbedienza dei
sudditi.La capra, emblema di un animale indipendente che predilige la vita libera sulle cime delle montagne scompare.
Mausoleo di Galla Placidia,
Ravenna, V sec. Gesù re-pastore.
L'apoteosi della pecora nell'iconografia
cristiana è raggiunta, sempre a Ravenna, nella basilica di
Sant'Apollinare. Nel catino
absidale l'affresco con al centro il santo - in qualità di
intercessore - vede la presenza di dodici pecore che non rappresentano gli
apostoli ma il popolo che si rivolge al proprio pastore. Altre pecore
rappresentano gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni. Al di sopra del
catino, nell'arco trionfale altre dodici pecore, in questo caso gli
apostoli, convergono verso il Cristo (opera più tarda del VII-IX sec.).
L'importanza
della raffigurazione della
pecora nell'arte musiva ravennate attraversa i tre periodi: imperiale,
ostrogotico e bizantino. Non influenzata da differenze etniche e
religiose (gli ostrogoti seguivano l'eresia ariana ed erano germanici).
La costante è rappresentata dall'ideologia
della regalità, di certo accentuatasi nel periodo giustinianeo.
2. La svolta del medioevo
Con
l'alto medioevo
l'influenza delle culture "barbariche" e guerriere presso le classi
dominanti si rafforza e trova espressione anche nell'arte. Accanto a
questo elemento ne va considerato uno ancora più rilevante, di
carattere socioeconomico ma anche ecologico: si assiste - già alla fine
dell'era antica - ad
un ritorno all'economia pastorale anche laddove erano già state
praticate le bonifiche e il territorio , in epoca protostorica o
storica, era stato regolarmente oggetto di pratiche agricole (l'ager). La riduzione della popolazione e delle superfici
coltivate, l'estensione del saltus
(il territorio silvopastorale) eliminava
le ragioni del conflitto tra pastoralismo e agricoltura e quindi della
rappresentazione negativa della capra quale elemento di selvaticità, di
disordine, di arcaicità, di marginalità in opposizione all'ordine della
civiltà agricola, quella delle messi e dell'olio che la cultura antica
greco-romana celebrava come espressione di civilizzazione. La capra che rende utile il saltus non può che essere considerata con favore.
Il paesaggio del saltus in un mosaico bucolico della Villa Adriana (residenza imperiale), Tivoli (II sec.)
D'altra
parte, con l'affievolirsi del potere centrale, specie in epoca
longobarda, era giocoforza che all'immagine dominante dell'agnello e
del popolo-pecora si affiancassero una selva di simboli zoologici in
cui si esprimeva la cultura della caccia e guerresca sotto tenui
riferimenti cristiani. Di qui un fiorire di aquile, pavoni, cervi,
leoni, lupi, chimere espressione di un immaginario che troverà
poi espressione nella straordinaria e fantastica fioritura di immagini
dei bestiari e nelle decorazioni delle cattedrali romaniche
e gotiche. A quale significato cristiano faranno riferimento le capre
delle formelle della basilica di Santa Maria Assunta di Aquileia? Qui
le capre sono raffigurate "rampanti", ovvero nell'atteggiamento tipico
di brucatura delle fronde arboree o arbustive (in seguito fissato
dall'araldica). Sono capre dai particolari realistici, però: le corna
anulate, la codina all'insù, la barba. Un proposito che intende far
escludere, grazie a dettagli "discriminanti", sia etologici che
morfologici, qualsiasi scambio con la pecora.
Pluteo longobardo con formelle quadrate raffiguranti
simboli della cristianita, periodo del patriarca Massenzio, basilica
patriarcale di Santa Maria Assunta. (VIII sec.).
Nel medioevo la connotazione negativa
(comunque "blanda" in epoca paleocristiana) della capra si "rilassa". Ed essa trova largo spazio nelle decorazioni,
ad alto e basso rilievo, che hanno fatto delle cattedrali non solo delle
straordinarie "bibbie dei poveri" ma anche vere e proprie enciclopedie di pietra, ricche di narrazioni laiche e civiche di
vario tipo.
Battistero di Verona, fonte battesimale (fine XII sec.):
altorilievo con pecore e capra (in alto)
Basilica di Santa Maria Maggiore a
Bergamo alta. Decorazioni con scene pastorali e di caccia. Capre
inseguite dal lupo (XIII sec.) (orizzontalizzato)
Ancora più interessanti le scene di annunciazione degli
angeli ai pastori. Sotto
quella affrescata nella basilica di Sant'Abbondio a Como (ca 1320).
Maestro di Sant'Abbondio. Basilica
di Sant'Abbondio, Como (ca 1320)
In
questa raffigurazione, come in altre dell'epoca, le pecore sono
presentate in modo emblematico con la testa in basso. Incuranti della
presenza degli angeli continuano a brucare. La capra, invece, guarda
verso l'alto. Partecipa della
visione dell'angelo insieme ai pastori e al cane. Un modello di raffigurazione che
troviamo anche in altre opere. In forma ancora più esemplare nella
miniatura sotto riportata (della fine del XIII sec.). Qui le pecore, sempre a
testa bassa e in gruppo (a sottolinerne il carattere gregario) brucano l'erba, mentre la capra non solo guarda
in alto,
verso l'angelo, ma con la zampa strattona la veste del pastore che,
avvertito dall'animale, ruota il capo verso la visione. Un
comportamento per nulla fantasioso se solo si conosce
l'etologia della capra e la sua capacità (condivisa solo con il cane e
il cavallo, almeno secondo quanto risulta dalle attuali conoscenze etologiche) di rivolgersi all'uomo con il
linguaggio del corpo o con lo sguardo (5).
Annonce aux
bergers. Livre d'images de Madame Marie Hainaut, vers 1285-1290.
Paris BnF Naf 16251
Molto
bello anche l'affresco, sempre sul tema dell'annunciazione
ai pastori. Affresco nella chiesa S. Giorgio, Rhäzüns, nel Canton
Grigioni (1400 circa). Qui, ancora una volta, il cane e le capre
guardano in alto con la bocca aperta (espessione di gioia e di stupore). Le pecore (che si distinguono per
il disegno del vella ma sono anche qui, realisticamente, cornute, in quanto appartenenti a
ceppi alpini relativamente "primitivi" (come sappiamo dell'etnologia zootecnica), guardano avanti o verso
terra.
Anonimo. Annunciazione
dei pastori. S. Giorgio, Rhäzüns, nel Canton
Grigioni (1400 circa). Qui le due capre (sempre in alto) sono presentate con la bocca aperta in segno di gioioso stupore.
Non
si può non concludere osservando che la capra, in queste raffigurazioni
dell'arte medioevale cristiana, è presentata in modo più positivo
della pecora. Tale circostanza riflette un atteggiamento culturale
complessivo che non manca di trovare riscontro sul piano del simbolismo
cristiano. Non solo la capra è o stesso Cristo viene identificato con la capra: L'amore
della capra per le alte montagne rappresenta Cristo, che ama anche alte
montagne, cioè i profeti, gli angeli e i patriarchi. Come la capra
alimenta nelle valli, così fa Cristo nella chiesa, dove le opere buone
sono il suo cibo. La vista acuta della capra mostra l'omniscienza di
Dio e la sua percezione dei trucchi del diavolo (6). A
queste valutazioni positive della capra faceva riscontro nel medioevo,
in forma più debole, l'assimilazione alla lussuria della cui
personificazione umana è compagna o cavalcatura.
The Dunois Hours, France
(Paris), c. 1339 – c. 1450, Yates Thompson MS 3, f. 172v
Questa
connotazione negativa si spiega con il ruolo della capra quale
cavalcatura di Afrodite, dea dell'amore, ma anche - come osservava
Charbonneau-Lassay - con l'attribuzione alla capra, sin
dall'antichità greca, di un'attività sessuale intensa e del suo ruolo
nei rapporti zooerastrici (7). Va precisato che l'animale coinvolto in
tali rapporti nella bibbia e nel cristianesimo era considerato comunque
colpevole, tanto da essere anch'esso condannato a morte. Una pena che
fu applicata, per impiccagione, sino all'età moderna.
A
confermare l'atteggiamento medioevale complessivamente positivo verso
la capra valgono i versi del sommo poeta Dante che, nel canto XXVII del
purgatorio, dopo aver anticipato due immagini delle capre e del pastore
di ispirazione virgiliana, paragona sé ad una capra e le sue guide
(Virgilio e Stazio) ai caprai. Quali si stanno ruminando manse [tranquille]
le capre, state rapide e proterve
[ardite]78
sovra le cime avante che sien pranse [che si siano saziate],
tacite a l’ombra, mentre che ’l sol ferve,
guardate dal pastor, che ’n su la verga
[bastone] 81
poggiato s’è e lor di posa serve [e gli concede il riposo];
e quale il mandrïan che fori alberga [che pernotta all'aperto],
lungo il pecuglio [gregge] suo queto pernotta,
84
guardando perché fiera non lo sperga [disperda];
tali eravamo tutti e tre allotta [allora],
io come capra, ed ei come pastori,
87
fasciati [chiusi] quinci e quindi [da ogni lato] d’alta grotta [da alte pareti].
Ancora
nel XIV sec. le capre sono ben presenti nell'arte sacra
cristiana. Le raffigurazioni della natività di Gesù e l'annuncio
ai pastori presentano (realisticamente) greggi misti di capre e pecore.
Non è senza
significato che quelle che diventeranno con la
modernità candide
pecorelle ("lavate con perlana"), rigorosamente acorni e senza ombra di pigmentazione (secondo
il modello tardo antico e bizantino che già abbiamo visto nell'arte
basilicale) nel medioevo sono ancora
pecore
"realistiche", di colore indifferentemente nero o bianco e provviste di
corna ritorte.
Con
il tempo questa presenza delle capre nelle scene legate alla natività
si fa rara. Se le capre sono presenti è solo in funzione "paesaggistica" e,
comunque, al margine della scena. Si distinguono le natività e le
annunciazioni ai pastori della scuola
dei Bassano (la famiglia Dal Ponte di Bassano del Grappa). Sotto una
natività di Francesco il giovane (attribuita) della fine del XVI
secolo. In questo caso, però, si tratta della sopravvivenza di una
"tradizione di famiglia" di una dinastia di pittori (attiva dal XV
sec.) specializzata nella pittura di genere (pastorale) secondo moduli che sono reiterati nel tempo. Non si può
comunque fare a meno di osservare come nell'opera qui riportata la capra osservi
con la curiosità e l'atteggiamento vigile, tipico della specie la scena.
Francesco Dal Ponte il giovane
(attribuita) Natività. (fine XVI sec.). Brescia, Musei
Civici di Arte e Storia. Pinacoteca Tosio Martinengo
3. Le corna: un simbolo potente oggetto di ribaltamento Le
corna raffigurate senza problemi nel medioevo e prima età moderna anche
nel contesto di scene sacre, sono "scandalosamente" simili a quelle
delle divinità
cornute demonizzate (ispirate
tanto al toro quanto all'ariete e al becco). La stessa considerazione
vale per la distinzione tra il bianco (fragilità/ debolezza/
purezza) e il nero (robustezza/ forza/ fecondità/ malvagità), che
presenta evidenti parallelismi con il simbolo delle corna.
L'opposizione tra il bianco e il nero si ritrova
in tante culture, spesso, però, con simbologia invertita tanto che il
nero e il bianco appaiono alternativamente - persino nelle nostre
stesse culture etnografiche - quale simbolo della morte. La cultura
occidentale (ma non a livello popolare) è sicuramente stata influenzata
dalla fondamentale
distinzione praticata nella Grecia classica, tra animali bianchi, da
offrire in sacrificio agli dei celesti (olimpici) e animali neri, da
sacrificare agli dei inferi (8). Il cristianesimo da parte sua ha poi
assegnato agli inferi un connotato
demoniaco associato invariabilmente alla presenza di demoni
cornuti.
Grotta di Lascaux (Francia). 13.000 anni fa.
Il
corno
rappresenta un simbolo di grande importanza associato al toro,
alla capra, all'ariete; un simbolismo antico che risale alla fase
della pre-domesticazione di questi animali simile ma che si ricollega
al paleolitico quando s esprimeva attraverso figure dotate di
palchi del cervo (il cui rinnovo annuale - a divverenza del corno dei
bovidi - rimanda
ad ulteriori significati). Rimandiamo però ad altra sede la trattazione
del
simbolismo del corno (che ha così importanza nella storia culturale
della capra) limitandoci qui a ricordare come le corna a partire dai
Signori degli animali paleolitici, per passare agli dei e sovrani, sono
simbolo di forza e fertilità e di
protezione dagli influssi
maligni che trova larghissimo riscontro
presso vari popoli e in varie epoche. L'uso di elmi da guerra ornati
di corna trova riscontro presso etruschi, greci, romani (9).
Elmo
di Casaselvatica in bronzo (Museo archeologico nazionale di
Parma) di tipo Montefortino, tipo C secondo la
classificazione proposta da Filippo Coarelli nel 1976 (secolo IV-III
a.C.).
Un altro
elmo di tipo Montefortino C con grandi corna. Era portato da un
cavaliere ed è affigurato in un affresco tombale campano (III sec. a.C.). Significativamente l'uso degli elmi cornuti è stato identificato con i "barbari"(maxime
con i vichinghi). In Italia l'elemo cornuto è stato considerato tipico
dei galli mentre, nello stesso periodo era utilizzato dagli italici
(con esempi anche al sud della penisola).
L'equivalenza corna-barbarie nel caso degli elmi da guerra nel contesto di un complessivo ribaltamento culturale che ha anche
portato. Si tratta di un processo complesso che ha portato fin dai tempi della Grecia classica a ridimensionare il ruolo
del dio cornuto a divinità "specializzate" (Pan, i satiri), relegate
nell'ambiente silvano, poi - ma siamo già alla fine del medioevo - a
fissare, nel contesto cristiano, l'associazione tra le corna e il
diavolo e quindi, specie
in ambiente mediterraneo (nel Nord Europa il marito tradito è
identificato con il cucolo), a identificare le corna con un simbolo di
disonore (10).
Si tratta di una lunga parabola. Tanto che non deve meravigliare che, ancora nella più celebre natività
giottesca (sotto), quella della cappella degli Scrovegni di Padova (ca
1305), si nota chiaramente una capra di colore bruno con corna e barba a
breve distanza dalla sacra famiglia. Insieme a pecore dalle vistose corna.
Giotto, Cappella degli Scrovegni, Padova
(ca 1305)
Giotto e bottega. Chiesa inferiore
di San Francesco d'Assisi. Natività (ca 1310)
Anche
nella natività di Giotto e bottega della chiesa inferiore di
Assisi (ca 1310) l'artista ritrae un gregge misto di pecore e capre.
Alcune pecore sono nere e cornute (come l'attuale pecora massese). La
capra è raffigurata in modo molto preciso e realistico, con pelo corto,
senza bioccoli,
e la testa chiaramente conformata. Si nota anche una capretta (vicino
al cane). Ancora
più emblematica della gradualità del processo di svalorizzazione e
stigmatizzazione delle corna è la rappresentazione di Mosé da parte di
Michelangelo. In pieno rinascimento non risultava sconveniente
rappresentare colui al quale Dio consegnò le tavole della legge con le
corna... e collocare la statua nella basilica di San Pietro.
4. Una connotazione positiva che emerge dal substrato culturale
A
margine della nostra breve rassegna sulla presenza della capra
nell'arte cristiana è
utile citare un esempio di arte minore, tratto da quella ricca e
stimolante fonte
di documentazione iconografica rappresentato dagli ex-voto. L'esempio
proviene da un santuario alpestre dell'alta Valcamonica - area di
radicata tradizione di allevamento caprino poco influenzata dalle
politiche anticapre della modernità - ma anche da un contesto al di
fuori di un rigido controllo sulla congruità dei contenuti
con l'ortodossia della dottrina che caratterizza le opere "ufficiali"
destinate ad essere esposte nei luoghi di culto (specie nei centri
importanti o comunque nelle chiese parrocchiali).
Ex. voto. Santuario alpestre (quasi 1800
m slm) di San Vito e Sant'Anna Incudine (Valcamonica) XVIII sec.
Emerge così alla superficie una "teologia
popolare" che esprime i livelli più profondi delle credenze di "lungo
periodo" e che sopravvive a livello etnografico attraverso riti ed
espressioni "minori". Se nelle
raffigurazioni dell'annuncio ai pastori da parte degli angeli
l'apparizione dei messaggeri celesti è concepita come reale (le pecore
non si accorgono perché nella loro insensibilità, preoccupate di
continuare a brucare) qui la visione dei santi martiri, intercessori
presso la Vergine, è immateriale, spirituale (ce lo ricordano le
nuvolette). Risulta pertanto del tutto eterodosso
il farne partecipi le capre. Eppure si nota chiaramente nel dipinto
come
le capre, compagne di quella che giace a terra ammalata, e per la quale
è
stata richiesta la grazia della guarigione, sollevano anch'esse - come
i
pastori - gli occhi al cielo quasi a supplicare anch'essi le potenze
celesti. La capra viene qui rappresentata come non solo capace di
sentimenti nei confronti dei conspecifici ma anche in qualche modo
partecipe di una sfera soprannaturale coerentemente con una visione
animista che ha continuato a permeare la cultura occidentale e
cristiana sino al XVII sec. (11)
In
queste espressioni popolari di un simbolismo della capra a connotazione
positiva,
non è difficile scorgere l'influsso, a livello di substrato culturale,
delle mitologie più antiche mediato,
con buona probabilità da quella germanica, che largo spazio assegnava
alla capra (12) e che larga eco ha lasciato nel folklore. Anche in
questo caso rimandiamo ad un successivo approfondimento il tema della
capra nella mitologia (nordica, ma non solo) e in questa sede ci
limitiamo ad alcune considerazioni.
Tanngnjóstr e
Tanngrisnir. Spilla in bronzo dell'età del ferro da uno scavo a
Tissø presso Kalundborg. Museo nazionale danese.
La
mitologia nordica assegna alla capra un ruolo importante. Un fatto
che può essere interpretato con una considerazione positiva "senza se e
senza ma" del ruolo dell'animale in un contesto ben diverso da quello
del Meditterraneo. Un contesto con agricoltura poco estesa e
sviluppata, con una popolazione molto poco densa immersa in un ambiente
coperto da foreste dove la cultura pastorale mantiene un peso
significativo rispetto a quella agricola fortemente limitata dalle
condizioni climatiche. La
capra, in ambiente nordico, è la provvidenziale alleata dell'uomo
nell'opera di sottrazione alla foresta e di mantenimento di spazi
agropastorali.
Due capre (Tanngnjóstr e
Tanngrisnir)
trainano il cocchio di Thor, divinità di primo piano (dopo Odino) che riunisce il ruolo di
divinità celeste del tuono e della fertilità (quest'ultimo
come riflesso sincretico che assorbe il
livello religioso arcaico neolitico). L'arcaicità delle
rappresentazione più antiche di Thor, in grado di spiegare appieno il
nesso con la capra,
simbolo pr eccellenza di fertilità, emerge dalle incisioni rupestri di
Bohuslän nella
Svezia meridionale e risalenti all'età del bronzo (sotto). Il dio, che
si
riconosce dal martello, è raffigurato in forma itifallica, con lunghe
corna a luna, una testa animale molto allungata: una sommatoria di
elementi comresenti che definiscono la grande potenza del dio.
Il carro di Thor.
Incisione rupestre (ca 1000 a.C.). Bohuslän. Svezia.
Un'altra capra, nel wahalla, fa sgorgare di continuo
idromele
per dissetare i guerrieri, brucando continuamente l'albero cosmico Læraðr. Un modello che fa della
capra un simbolo di prosperità, fertilità e abbondanza e
che trova un riscontro emblematico nella Cornucopia, il corno
dell'abbondanza originato da un corno della capra Amaltea, l'animale che aveva
allattato Zeus nascosto dalla madre in una caverna del monte Ida, nell'isola di Creta.
La capra Heiðrún.
Manoscritto islandese del XVIII sec.
Nonostante
il ruolo della capra nella mitologia nordica la cristianizzazione ha
comportato anche qui una demonizzazione della capra (e
del cavallo) e l'identificazione della
capra con il diavolo ha permeato, come da noi, le leggende popolari. La
forte presenza della
capra nella mitologia (a differenza della pecora che è assente dai
racconti mitologici
e dalle rappresentazioni figurative), ha lasciato tracce ben visibili
nell'immaginario popolare.
La
capra di Yule (Yule è la festività sulla quale si è innestato il Natale
nei paesi scandinavi) nella sua funzione di dispensatrice dei regali ai
bambini rappresenta la sopravvivenza del ruolo simbolico
di dispensatrice di abbondanza e fertilità. Anche se spodestata da
Babbo Natale (diventandone l'animale che traina il carro dei doni), la
capra di Yule, in forma di bambola da donare o appendere all'albero di
Natale o come
enorme fantoccio di paglia eretto nelle piazze, rappresenta ancora una
tradizione viva (o tornata viva) in Svezia. Essa rappresenta un esempio
dei nessi
tra fertilità animale e quella vegetale e appare come un riflesso dei
riti
legati allo
“spirito del grano”, identificato anche nel
folklore europeo - ancora vivo ai tempi di Frazer - con un
animale, spesso la capra, di cui veniva realizzato un simulacro (una
bambola, come la capra di Yule) utilizzando l'ultimo mannello, o del
legno, o ponendo delle corna
o dei fiori sull'ultimo covone, o identificando anche con la capra
l'ultimo mietitore (13).
Echi di un ruolo benefico della capra sopravvivono, però, anche nelle
nostre tradizioni folkloriche, nonostante che esse,
dopo la controriforma e l'epoca della caccia alle streghe, siano
state fortemente pervase dalla equiparazione della capra con il
demonio. Vi
sono però sopravvivenze dell' aspetto benefico dei caproni fatati così "screditati" nei racconti del sabbah delle streghe.
In Carnia una leggenda narra di un merciaio ambulante (un cramar)
che, trovandosi in Baviera desiderando tornare a casa monta in groppa
a un caprone che lo fa volare sopra le Alpi (14).
Un'altra leggenda, in cui la capra ha un
ruolo benefico, è collocata in Valcamonica: un
orso terribile aveva la sua tana sotto la rupe di Castel
òrset
(Angolo). Uno scoiattolo, in cui si era incarnata l'anima di una
vittima, suggerì di preparare una pozione da far bere alla belva
preparata con sangue di falco e latte di capra rossa. Ma i pastori
non avevano capre rosse. In una notte insonne un vecchio pastore ode
un belato. Lo segue ai piedi della Presolana e appare una capra rossa
su una parete rocciosa. Il vecchio faticosamente la raggiunge e
munge. Tutto va bene e l'orso non si fa più vedere (15). L'uso
di applicare sopra stalle e fienili corna e teschi di capra, con
significato protettivo (dal malocchio) e propiziatorio (della
fertilità), è ben vivo ancora ai nostri giorni.
Ardesio (Valseriana). Sopra la porta di una stalla (foto Ruralpini)
5. La demonizzazione
Pan insegna al pastore Dafni come suonare
il flauto. Copia romana rinvenuta a Pompei di statua greca del II sec.
a.C.
Pan è stato spesso
indicato come il calco del diavolo cristiano. Ma questa non può
rappresentare la sola o principale spiegazione della corrispondenza
demonio-capra per il semplice fatto che, nonostante l'indubbio influsso
della cultura ellenistica (che termina con la nascita dell'impero
romano) sul cristianesino nascente, quest'ultimo, per secoli, non ha
utilizzato l'immagine del dio-capra come simbolo del demonio. È anche verosimile che diverse
divinità dell'antichità abbiano contribuito a costruire l'immagine del
diavolo nella religione cristiana: l'egizio Bes, l'etrusco Charun, dio
dei morti oltre a divinità e demoni del vicino oriente.
Breviario, Rouen, XV
sec. Biblioteca di
Besançon,
bibliothèque municipale, ms. 69, p. 269
Affermatasi
solo in epoca ellenistica, la raffigurazione di Pan (e dei
satiri) con zampe e altri attributi caprini (in epoca classica il dio e
i semidei ricalcati sulla sua immagine erano raffigurati in forma
antropomorfa o anche con attributi equini), non ha influenzato l'arte
paleocristiana (che tende a rappresentare il diavolo in forma
antropomorfa) e nemmeno quello medioevale.
Bodleian Library, MS.
Douce 134, f. 100r (i diavoli torturano i dannati). Livre de la Vigne
nostre Seigneur. France, c. 1450-1470
Il diavolo medioevale assume sembianze teriomorfe e ibride dagli
effetti mostruosi e orripilanti anche se, al di là delle corna,
l'aspetto animale rimanda più frequentemente agli uccelli, non tanto
per le ali da pipistrello o da uccell - che richiamano antiche divinità e
gli angeli decaduti - quanto per le zampe, sia che siano palmate o
artigliate. Pedocca (piede d'oca) era una delle più comuni allusioni al diavolo lella parlata
milanese.
Afrodite,
bassorilievo, periodo classico (ca 450 a.C.)
È solo con la caccia alle
streghe, che inizia nel 1330 - dopo la peste che sconvolse l'Europa - ma
che ha il suo apice in piena modernità, che
il diavolo del sabbah è identificato con il caprone. Un'identificazione
favorita dalla tradizione iconografica dei demoni cornuti e dalla
qualificazione della capra quale animale lascivo. La personificazione
di Satana, però, ha rappresentato un salto di qualità, una
discontinuità.
Satana-caprone è protagonista nei racconti del sabbah oggetto di
venerazione, in particolare attraverso l’obsculatio ani,
il bacio all’ano, che viene documentato nelle xilografie dell' epoca
come stigma satanico, omaggio delle donne al caprone-demonio e comunque
al cosiddetto signore del "zuogo" (16), colui il quale sovrintende agli
incontri di sesso e dissoluzione, che si tengono - secondo le
deposizioni degli inquisiti - nelle radure discoste dai centri abitati.
Dove e quando nasce questa identificazione tra capra e Satana? Il rito dell'obculatio ani di caproni-diavoli appare nel XV secolo, nell'ambito di processi per stregoneria in Francia (17).
Streghe
con una capra. Hans Baldung Gien (1515).
Tra le varie associazioni della capra alla stregoneria e al demonio va
ricordato che una delle "specialità" delle streghe (come emergeva dalle
confessioni estorte con la tortura) consisteva nella trasformazione in
animali. Dopo il gatto era la capra l'animale in cui più frequantemente
si trasformavano le streghe. Evidentemente vi era uno scambio e
sovrapposizione di immagini tra le streghe, il diavolo e le antiche
divinità pagane.
Le descrizioni delle streghe e del sabbah, che tanto influsso
hanno avuto sull'arte e la letteratura furono largamente influenzate
dall'opera dei domenicani Heinrich Institor (Krämer) e Jakob Sprenger:
il Malleus Malleficarum (18).
Edita per la prima volta a Strasburgo nel 1486, l'opera ebbe un grande
numero di edizioni, non solo nei primi decenni ma anche nei secoli successivi (ebbe 28 edizioni fino al 1669).
Era il manuale degli inquisitori cattolici e protestanti, per quanto -
va sottoineato - la chiesa cattolica (molto più prudente e
moderata in fatto di persecuzione delle streghe dei protestanti e delle
autorità laiche) non l'abbia mai ufficializzato.
Nelle
numerose opere sulla stregoneria e nell'iconografia che ne derivò il
povero caprone (con l'aggravante di essere nero) diventa in modo
indiscutibile la personificazione di Satana. Salvo rappresentare anche
"demoni minori" nelle scene più complesse e con vari personaggi
diabolici (19).
Frontispiece from Johannes Praetorius,
Blockes-Berges Verrichtung, 2nd ed. (Leipzig: J. Scheibe, 1669).
(University of Chicago Library, Special Collections Research Center.)
La capra è veicolo delle streghe verso il sabbah, circostanza che riprende, in forma
demonizzata, il ruolo della capra quale veicolo delle divinità (lo
abbiamo visto nel caso di Thor, ma ciò vale anche per Afrodite e le
baccanti e Agni, la divinità indù del fuoco).
La Strega di Albrecht Dürer. Incisione su
rame, ca 1500
L'identificazione
della capra con il demonio è ampiamente presente in opere di artisti
rinascimentali famosi come Dürer
e del suo allievo Hans Baldug Grien (che fu molto prolifico in
rappresentazioni del sabbah). Secondo la Davidson (20) questi artisti
raffiguravano le streghe non come realtà immaginarie ma, in sintonia
con il loro secolo, ben reali, circostanza che sconcerta le idee
"moderne" sul rinascimento ma che non fa altro che confermare come la
visione imposta dalla modernità (tutt'ora, almeno in parte, ancora
accettata) del medioevo e rinascimento sia smentita dalla storia (e in
larga misura ribaltata). È anche interessante constatare come l'arte
rinascimentale recuperando l'immaginario della mitologia classica metta
a disposizione delle forme artistiche più popolari il materiale
iconografico per la rappresentazione del diavolo in forma caprina.
Quella rappresentazione che tenderà a consolidarsi nella successiva e
più acuta fase della caccia alle streghe nel tardo XVI e nel XVII secolo e diventa "standard" nel XVIII secolo.
Un satiro in una incisione su rame di Albrecht Dürer (ca 1505)
Annibale Carracci, Pan e Diana,
Palazzo Farnese, Roma (fine XVI sec.). Mentre l'èlite aristocratica si
dilettava di mitologia greca il caprone, Pan, Diana (protagonista delle
demoniace "cacce selvagge") diventavano materiali per alimentare la caccia alle streghe e la paura nei ceti popolari
Più tardi si impegnò nel genere del sabbah e del "caprone" anche Goya
con due opere famose. Questi artisti, sia che raffigurassero personaggi
mitologici per i ricchi committenti appassionati dell'arte classica, o
che ricreassero con la fantasia artistica le scene del sabba descritte
dagli inquisitori, contribuiranno
a creare un immaginario di "paure". Esso si diffuse attraverso un arte sacra "controriformistica" finalizzata alla devozione,
fortemente teatralizzata e e ad un grande impatto sulla religiosità
popolare come quella del Fiammenghino che operò a Milano, presso i
Sacri Monti e in alto Lario occidentale.
Inferno,affresco, Giovanni Mauro della Rovere detto Fiammenghino, Chiesa di Sant'Eusebio, Peglio, Como (1614).
Fuori
dall'ambito cattolico la divulgazione dell'immagine del diavolo-capra
fu affidata alla tecnica "popolare" della xilografia (da non
confondersi con l'incisione
su metallo), in grado di
raggiungere ampi strati di popolazione
influenzando il folklore.
Una xilografia ispirata ai processi alle streghe del Lancashire (XVII sec.)
Da qui una fioritura di leggende (che originano con tutta probabilità
tra Sette e Ottocento) dove il demonio assume sembianze
caprine, ma in cui è spesso protagonista anche la capra. In un filone
di leggende, diffuse su tutte le Alpi, una donna tentatrice rivela la
propria natura demoniaca lasciando intravedere zampe e pelo di capra
sotto le vesti muliebri, in in altro filone il demonio si rivela
lasciando
impresse nella roccia le impronte degli unghielli caprini, in un altro
ancora un cacciatore (o un pastore) si carica un caprone (ferito o
ucciso) sulle spalle. Quest'ultimo diventa sempre più pesante e l'uomo
lo deve posare a terra e resta terrorizzato nel vedere il caprone
risanato fuggire lontano sghignazzando. Vi sono poi numerose leggende
che raccontano di un essere mostruoso, in parte o in toto con aspetto
di capra, protagonista di imprese malvagie. A queste "paure" che
dovevano indurre i frequentatori della montagna (pastori e cacciatori)
a non abbandonare le pratiche di pietà o a cadere in tentazioni quando
si trovavano in montagna, si aggiungeva quella del suono di campanelle
di capra che, udito in assenza di capre che le portassero,
rappresentava un sinistro
avvertimento della presenza di anime "confinate", morti che non
riuscivano a trovare posto neppure all'inferno e che quindi tornavano
sulla terra. Quanto alone di sospetto attorno alle povere capre.
Francisco Goya, Il
grande caprone (Sabba) (1795). Museo Lázaro Galdiano, Madrid
6. La guerra alle capre: quei fanatici degli illuministi
A cavallo tra XVIII e XIX sec.,
la modernità
illuministica e tecnocratica lancia la
"guerra alle capre", palesemente motivata dalla volontà di favorire gli
interessi economici delle élites e di annullare "ammortizzatori
sociali" e potere decisionale sull' utilizzo delle risorse locali. Un
fenomeno che si registra sia in Francia (21) che in Italia (22) e che interessa
soprattutto le comunità di montagna che erano riuscite a mantenere sino
all'ora ampi spazi di autogoverno (e l'allevamento caprino già in larga
misura bandito dalle pianure).
In Lombardia ad interessarsi della questione dei boschi e delle capre
troviamo un noto esponente dell'illuminismo: Cesare Beccaria. Egli, nel
1783, espresse in seno al governo milanese (il Magistrato camerale) una
posizione in materia di boschi nettamente a favore degli "interessi
forti" dell'epoca. Suggeriva di obbligare i comuni a vendere i boschi
ai proprietari delle fucine (i grandi consumatori di legna) e di
limitare drasticamente l’allevamento caprino (23). Le “riforme”
proposte da Beccaria furono approvate, anche se solo in parte. L’editto
del 9.5.1784 proibiva il pascolo delle capre “in qualunque altro sito,
fuorché nella porzione di fondo che verrà destinato dal comune” e
assegnava al governo
la decisione sul numero di capre allevabili in un comune. Definita la
quota di boschi indispensabili ai bisogni dei residenti, il resto
doveva essere periodicamente tagliato, con diritto di prelazione da
parte da parte dei proprietari delle miniere e delle fucine. L’editto cadde nel nulla, come
tante grida precedenti. Lo stato non aveva ancora strumenti coercitivi
e di controllo abbastanza forti e le comunità erano ancora agguerrite e
decise a difendere i loro diritti e le loro autonomie (24). Ma ancora per poco.
Cesare
Beccaria. Uno dei fautori dell'eliminazione delle capre con il chiaro
intendimento di favorire l'industria dell'estrazione e della prima
lavorazione del ferro, forte utilizzatrice dell'energia delle biomasse
legnose
La tempistica della "guerra alle capre" è soprendentemente parallela in
Francia e negli stati italiani di antico regime e della restaurazione.
Il XVII secolo è
caratterizzato, sia in Francia che in Italia, da bandi contro capre e
pecore senza distinzione (più
"tollerante" il Ducato di Milano). Tra XVIII e XIX secolo avviene
qualcosa di simile al giudizio universale di Matteo: le pecore - cui
sono interessati grossi proprietari terrieri e che possono alimentare
l'industria laniera - sono dichiarate utili alla nazione e da
incoraggiate, le
capre andavano eradicate. In realtà, fatto più evidente nel sud della
Francia, l'affermazione dell'orientamento
commerciale dell'allevamento ovino, legato alla produzione di lana e
l'affermazione di un capitalismo mercantile risale alla fine del
medioevo e con essa quella della competizione per i pascoli tra le
capre e i greggi ovini commerciali (25). Non dobbiamo, però, pensare che
nell'Italia settentrionale le cose fossero molto diverse. A
perorare la causa dell'allevamento ovino nel XVI-XVII secolo nello
Stato di Milano sono personaggi di rilievo, non solo proprietari
aristocratici che intendono allevare ovini sulle loro terre ma anche
imprenditori della transumanza come Ognibene Grassello, Cremonese (che
spingeva le proprie greggi sino all'astigiano) definito "persona
benemerita di sua Maestà" che ottiene una "patente" in grado di
proteggerlo dai "fastidi" procurategli dalle comunità (26). Nel corso
del periodo tra XVI e XVIII sec., in ogni caso le pecore transumanti
lombarde furono costrette - sotto la pressione dell'mpliamento
dell'allevamento bovino da latte, ad utilizzare pascoli alpini sempre
più marginali e a dirigersi per l'alpeggio in Piemonte, Svizzera e
Tirolo e fu solo nei primi anni del XIX secolo, con il tentativo
dell'introduzione delle pecore merino in Piemonte e in Lombardia che
l'atteggiamento delle autorità governative verso la pecora si fece
favorevole differenziandosi da quello, sempre più negativo verso la
capra (27). In Francia, invece (dove nelle Alpi e prealpi del Sud
secche non vi poteva essere concorrenza con i bovini da latte, i greggi
espandendosi e spostandosi verso aree
marginali, entravano direttamente in conflitto con le capre. Qui,
inoltre, veniva innescato un conflitto anche con l'aristocrazia
interessata all'uso dello
spazio silvopastorale per scopi venatori (28).
Rudere di un antico forno fusorio a Fiumenero (Valseriana)
Da noi, invece, il conflitto era legato alla forte richiesta di
biomassa legnosa per i processi industriali, a partire da quelli dei
forni di fusione del minerale di ferro. La competizione con altre
industrie che, alla fine del XVIII sec. caratterizzavano il panorama di
una prima timida industrializzazione (vetro, ceramiche, seta) spingeva
ad uno sfruttamento intensivo dei boschi cedui che venivano sottoposti
al taglio con turni di pochi anni. In queste condizioni il conflitto
con la capra (che poteva effettivamente provocare danni gravi ai
polloni di ridotto diametro) era acuto (29).
L'economia, però, non è che una spiegazione. La componente culturale è
indissociabile da quella sociale ed economica in tutto questo processo
e non è possibile separare cause ed effetti.
La caccia alle streghe, la riforma protestante e quella cattolica sono
alla base dello sradicamento (e folklorizzazione) delle manifestazioni
di religiosità cosmica, della desacralizzazione della natura, della
svalutazione di ogni sapere contestuale che sfugge al controllo delle
strutture di potere. Esse sono da intendere come la componente
ideologica di un grande processo di disciplinamento sociale
finalizzato all'imposizione delle strutture della modernità: la
centralizzazione politica, l'istituzionalizzazione della cura della
salute e dell'assistenza, il dominio del mercato, il peso crescente
della fiscalità, la fabbrica. La perdita di capacità di controllo sulle
risorse locali e quindi la compressione dell'autonomia delle comunità
rurali è passata attraverso l'usurpazione delle terre comuni,
l'abolizione degli usi civici, dei diritti di pascolo, la
trasformazione della gestione forestale da criteri di di utilizzo
multifunzionale da parte delle comunità a criteri di ricerca del
massimo profitto, la perdita di controllo sul territorio in forza dello
svuotamento degli istituti dell'autonomia locale e della crescita di
potere delle agenzie tecnico-amministrative dello stato.
Il ruolo dell'allevamento caprino nella società preindustriale era
troppo importante per non essere oggetto di attacco da parte della
modernità e delle sue istituzioni (politiche, scientifiche, religiose).
La capra era strumento di sussistenza prezioso all'interno di
un'economia integrata di piccolo allevamento. "Va detto che le capre,
in generale, esistono per il vantaggio di coloro che non hanno
proprietà a spese di coloro che le hanno" osservò un prefetto francese
del periodo successivo alla rivoluzione (30). Un concetto
analogo era espresso anel 1820 dalla Delegazione provinciale di Brescia
(organo con funzioni simile alle prefetture): “tutta l’utilità
delle capre deriva dal non costar nulla il loro mantenimento, vivendo
a spese altrui” (31).
Una guardia forestale del Regno di Sardegna
Nella Francia pre-rivoluzionaria, così come negli
stati italiani di antico regime, le misure anti-capre erano come le
grida manzoniane. Dovevano essere continuamente reiterate, erano
oggetto di deroghe e negoziazioni. Il
trionfo della
borghesia non però poteva ammettere questi metodi. Rispetto alle
antiche
classi dirigenti le nuove non erano influenzate dal sentimento
religioso e da concezioni "organicistiche" del corpo sociale, per esse
valeva solo un freddo interesse di classe senza troppi scrupoli.
La borghesia al potere poteva contare non solo sui rafforzati strumenti
coercitivi dello stato ma anche sull'indebolimento
delle strutture di solidarietà e sugli ammortizzatori sociali che
avevano
condizionato i rapporti di classe nell'ancient régime.
Le
capre
rappresentavano non solo una risorsa per la sussistenza, e quindi una
condizione da eliminare per forzare l'entrata delle comunità rurali nel
mercato, ma anche un simbolo di disordine opposto al progresso
razionalizzatore. Simboleggiavano
tutto quello che la borghesia e la razionalità amministrativa e
tecnocratica volevano spazzare via in nome della potenza della nazione:
l'arretratezza contadina, i confusi diritti sui beni comuni che
condizionavano il diritto di proprietà privata, la resistenza
all'autorità statale. Lo stato post-rivoluzionario disponeva anche di
strumenti ideologici decisamente superiori a quello di antico
regime che furono messe in atti anche per dimostrare
che i nuovi credi basati sullo stato-nazione, sul mercato, sul progresso,
sulla scienza erano in grado di spezzare la resistenza popolare.
Oggi
sappiamo che la
deforestazione, argomento utilizzato per la "criminalizzazione
ecologica" della capra nel contesto delle nuove ideologie laiche, era
da attibuire ai processi di industrializzazione e urbanizzazione che
inducevano una
forte nuova domanda di legname da opera e legna da ardere. La capra era
un
ottimo "capro espiatorio". Ancora nell'epoca dei "lumi" venivano
messe in campo
contro le capre - siamo già nel XIX secolo - non solo
argomenti catastrofisti (tra cui il cambiamento climatico) (32) ma
erano riciclate accuse
"medioevali". Il morso della capra fu a lungo considerato "velenoso".
J.M.W. Turner. Una
valanga nei Grigioni (1810). Questo dipinto romantico esprime bene il
quadro drammatico che il Gautieri nel suo trattato anti-capre
attribuiva alle conseguenze del pascolo caprino: "Franati i monti,
intisichiti pel freddo alle loro falde gli
alberi, alzato il letto de’ fiumi e reso incapace a contenere le
loro acque che già traboccano e inondano le sottostanti campagne,
aumentati ed abbassati i nevali ed i ghiacciaj, fulminati i tuguri
degli alpigiani, inaridite alla pianura le messi, mal sicure le case".
Una vera Apocalisse.
Giuseppe Gautieri, Ispettore capo ai boschi sotto il Regno d'Italia e
il Regno Lombardo-Veneto, nel suo trattato (ferocemente ) anticapre, ma
che si sforza di apparire bipartisan e ragionevole, rigetta come
credenze diffuse ma non dimostrate quelle relative alla velenosità del
morso della capra salvo poi riferire che: "L'ispettore Spini osa
asseverare che il morso della capra è tanto fatale all agricoltura
quanto è velenoso all'umano genere quello dell aspide" e concludere con
una considerazione che, se da scienziato non può avvalorare la tesi
della "saliva velenosa" di fatto conferma l'opinione sugli effetti
esiziali del solo "tocco": "Il guasto che recasi dalle capre alle
piante è tanto grande che, tocche appena dal loro morso se ne risenton
moltissimo, spesso rimangono mostruose e soventi muoiono" (33).
La capra dell'età dei
lumi: esclusa, bandita, condannata, sottoposta a "strumenti di
contenimento". Una proposta di "educatore" per capre del 1788.
Non sfugge l'analogia con i "poveri" e i "marginali" ai renitenti della
disciplina industriale, anch'essi oggetto di esclusione, confinamento
in istituzioni concentrazionarie (manicomi, case di lavoro, case dei poveri).
Il
successo delle
politiche anti-capre (che non fu mai ovunque totale ma che conseguì
l'eliminazione delle capre anche da alcune aree montane) non può però
spiegarsi solo con la forza delle
strutture statali (l'affermarsi delle strutture di command and control)
e dell'ideologia progressista che rappresentava una legittimazione di
fronte alla stessa opinione publbica borghese ma che non aveva certo
presa sul popololo. Esso ha potuto essere conseguito grazie alla
svalutazione simbolica e alla demonizzazione operata nei secoli precedenti e quindi
dal ruolo di "modernizzazione" esercitato dalla chiesa con - e non deve affatto apparire paradossale - le "paure", le mitologie
infernali, le superstizioni. Questa la tesi avanzata da Siddle (34) per spiegare,
attraverso meccanismi psicologici di lungo periodo, la quasi
inspiegabile "docilità" con la quale le popolazioni rurali (non tutte) hanno
accettato di disfarsi delle capre.
L'ideologia anticapre presenta quindi uno strano connotato: da una
parte invoca la razionalità scientifica, dall'altra sfrutta un retaggio
di superstizione. Sino in tempi recenti era ancora avvertibile l'eco
che, in forma più o meno
consapevole, metteva in relazione le "devastazioni", il
comportamento dispettoso della capra, ad un che di "demoniaco" .
La capra spizzica tutto, tocca tutto, germogli di piante legnose o
erbacee. Chi non ha visto questo animale dall'occhio strano, demomiaco
secondo alcuni - ricordo della assimilazione poiù o meno cosciente al
Maestro cornuto - disdegnare l'erba grassa di un prato per cercare di
raggiungere le fronde più basse di un melo o di un gelso rizzatasi
sulle zampe posteriori? (35)
L'agilità della capra, la possibilità di
usare gli arti anteriori per afferrare, spostare, quelli posteriori per
ergersi in posizione bipedale fanno della capra uno degli animali,
insieme all'orso, più simili all'uomo nell'immaginario tradizionale.
Una circostanza che ha favorito un immaginario di "ibridi" e credenze
che non potevano che ingenerare sospetti e... puzza di zolfo (foto
Ruralpini)
Con la crescente
differenziazione nell'ambito delle stesse comunità rurali di montagna
(che nell'ancient régime
avevano conservato margini di egualitarismo sulla base dell'uso dei
beni comuni) lo strato superiore, i proprietari dei boschi e di più
significative superfici di terreno coltivato tendono ad associarsi alle
élite tecnocratiche, agli scrittore di cose d'agricoltura, ai
forestali, alle società d'agricoltura nell'invocare e sostenere misure
restrittive dell'allevamento caprino. Oltre all'interesse economico
saranno elementi culturali a condizionare la ricusazione delle capre da
parte di intere comunità che, nel farlo, si sentono gratificate di uno
status superiore rispetto alle comunità più povere, quelle delle valli
più impervie cui restava impresso lo stigma di inferiorità. Si dimentica che la capra è stata la balia di una
ininterrrotta serie di generazioni e i contadini più benestanti e le comunità più fortunate ci si sentono partecipi di una
società "ordinata", "per bene" che impone di non confondersi con le capre puzzolenti, e i
loro "miserabili" proprietari (nel XIX secolo viene concesso solo alle "famiglie miserabili" di tenere 1-2 capre per
famiglia) (36).
Il Delegato Provinciale di Bergamo (figura analoga al prefetto) nei primi anni del Lombardo Veneto auspicava che le
amministrazioni locali collabossero ad una politica restrittiva
dell’allevamento caprino temperata dal “concedere eccezionalmente
1 o 2 capre e sotto opportune cautele” previo vaglio delle
“situazioni delle singole famiglie”. Queste concessioni
erano suggerite da motivi di ordine pubblico:
imponenti motivi di
convenienza non potendosi agevolmente prevedere fino a quali eccessi
possa giungere lo spirito di malcontento di quelle rozze e povere
popolazioni ove con tutto il rigore e sull’istante si mandasse ad
effetto un generale ed assoluto bando alle capre (37)
L'associazione tra capre, marginalità
sociale (e territoriale) con quanto di irregolare e disordinato
comporta, non fece che agire da rinforzo del pregiudizio anche con riguardo all'equiparazione della
capra (e dei suoi allevatori) con comportamenti "antisociali", devianti, peccaminosi, in definitiva "diabolici". La
polemica con i caprai si colora degli stessi argomenti utilizzati in
clima di rivoluzione industriale contro i "poveri", ritenuti colpevoli
della loro condizione, oziosi, parassitari, potenzialmente socialmente
pericolosi. Una polemica che nell'ambiente dei paesi protestanti
trovava sicuramente terreno più fertile, ma che interessava anche i
paesi cattolici. Come è noto la svolta nella policy sulla povertà ebbe luogo, in piena rivoluzione industriale, con la riforma della Poor law nel 1834 (38). I poveri "incapaci" (malati, anziani, invalidi) vennero distinti dagli "oziosi" per i quali le istituzioni "assistenziali" le poor houses dovevano
divenire strumenti di pena, tali da costringere i poveri ad accettare
condizioni di lavoro abominevoli e bassi salari pur di evitare di
finirvi reclusi. Ma
se il dibattito inglese ebbe eco continentale giova ricordare come una
nuova politica dei poveri era già stata avviata sulla base delle nuove
idee dell'illuminismo e nel clima "riformistico" anche il Lombardia in
epoca giuseppina (39) mentre nel periodo del Regno d'Italia, in piena
guerra alle capre (il tentativo di bando generale è del 1806, il
regolamento generale dei boschi che esclude il pascolo delle capre del
1811) viene attivata da parte delle autorità la realizzazione di "case
di lavoro" (40)
. Non va dimenticato che il problema della povertà era acuito dalla
soppressione delle istituzioni benefiche di antico regime ad opera dei
regimi filofrancesi (41). Ai caprai quindi si applica la nuova
"ideologia del povero" di ispirazione borghese.Il La Delegazione
provinciale di Brescia nel 1820 assimila in blocco, senza mezzi
termini, i caprai agli oziosi:
Si nelle montagne,
che nella pianura vi è travaglio sufficiente per procurar mezzo di
sussistenza a ciascuno che non voglia essere ozioso come sono tutti i
capraj, questa Provincia, anzi in alcune stagioni dell’anno ha
bisogno di braccia straniere (42).
Di
il giudizio moralistico (ma è solo uno dei tanti esempi) del relatore
per il corcondario di Breno, Valcamonica, della Inchiesta agraria (siamo
Né possono dirsi
veramente miserabili le famiglie de'caprai e meritevoli di
compassione chè pur troppo invece 1'apparente miseria é quasi
sempre il risultato dell'essere avversi ad ogni fatica, incalliti
nella poltroneria, rozzi ed immorali. Col sopprimere le capre,
insomma non solamente si gioverebbe alla condizioni dell`agricoltura,
della selvicoltura e d e l l a pastorizia ma, si contribuirebba
anche al miglioramento delle condizioni morali della popolazione, ed
a quelle della sicurezza della proprietà, col fare scomparire, anche
il ceto dei caprai; ceto che, dedito dapprima unicamente ai furti
campestri, a poco a poco si abbandona , poi al ladroneggio in genere
e senza limiti (43)
La
letteratura dei primi decenni del XIX che conosce anche altre opere
anticapre oltre al più celebre trattato del Gautieri, è ricca di echi
della guerra alle capre "razza malefica". Così si esprimeva il De
Ambrosya, scrittore di cose agricole nonchè segretario della prefettura
del dipartimento (ligure) degli Appennini in una sua memoria anticapre:
I proprietarj di
queste bestie inquieta per un inveterata impunità hanno contratta
l'infelice abitudine di nuocere senza riflessione, e quasi senza
interesse: privo di direzione. e di guida le lasciano vagare e
pascolare a discrezione intanto scorticano le piante rodono i germoglj
d' frutti degli alberi, e de vegetabìli, troncano e fanno perire le
viti, distruggono li boschi, devastano le proprieta ed in mille altri
modi sono perniciose al pubblico ed inquietano, e danneggiano il
privato. Se l'opinione generale si consulta, si troverà che è ben
pronunciata contro di esse, e che soltanto l'interesse privato, di
coloro che nulla possiedono, trova il suo conto di trattenere questa
razza malefica a scapito grande dell'agricoltura e delle
proprietà. (44)
Il
ridimensionamento dell'allevamento della capra, ottenuto con le tasse,
la concessione del mantenimento di pochissimi capi solo ai
'miserabili', i divieti di pascolo sulla maggior parte delle superfici
un tempo utilizzate con le capre dalle comunità, contribuì fortemente
alla svalutazione sociale, culturale, simbolica della capra,
disprezzata ormai dagli stessi contadini.
Druogno, Verbania. Monumento alla gente di montagna, in realtà alla donna di montagna e alla sua fedele capra
Mantenuta
da anziani e vedove o nubili (contro le quali non era morto il
pregiudizio innescato nei tempi della caccia alle straghe) o - qualora
era ancora possibile mantenerne un greggie, da membri marginali della
comunità (a volte tali anche per la dislocazione fuori dall'abitato
delle proprie abitazioni), la capra tra Ottocento e Novecento è stata
oggetto di un rafforzato stigma culturale.
La
spirale di stigmatizzazione ha raggiunto il suo culmine con la
diffusione del consumo del latte bovino pastorizzato, la proibizione
della vendita ambulante del latte e le restrizioni al consumo del latte
crudo (a partire dagli anni Trenta) (45) e con il "miracolo economico"
dopo la fine degli anni Cinquanta (quando tutto ciò che richiamava il
passato contadino era oggetto di rimozione, di furia iconoclasta).
Ancora
una volta si deve osservare la difficoltà a districare l'interesse
economico da un conflitto che non è neppure solo sociale ma anche di
tipo culturale e che rimanda a uno "scontro di civiltà", di visioni
(sia pure implicite) della vita e del mondo. L'accanimento del
perseguire capre e caprai trovava alimento nella resistenza sorda (e
non sempre passiva) dei proprietari delle capre costretti dalla
privatizzazione dei beni comuni (da parte di rapaci speculatori che si
impossessavano dei beni dei comuni e delle terre confiscate al clero) a
immettere le loro bestie in una proprietà privata che percepivano
frutto non solo di ingiustizia sociale ma di vero e proprio abuso e
illegalità. D'altra parte il pascolo abusivo interessava anche le
residue superfici comunali, non solo perché non rimanev altro ma anche
perché il comune. che era subentrato in molti casi alle proprietà
collettive dell'ancient régime
(vicìnie ecc.) era diventato un organo politico, articolazione del
potere centrale e da esso controllato, percepito quindi non più come
"cosa nostra" ma come "cosa loro". Si trattava quindi anche di
una forma di protesta e di resistenza sociale nelle uniche forme
possibili. Il pascolo
abusivo assumeva le forme di una resistenza sociale di massa (46)
presupponendo, in analogia con il furto campestre e alle palese
violazione delle norme sulla raccolta di materiali nel bosco (47),
forme
di solidarietà e di resistenza passiva collettive (il “muro di omertà”
nei confronti dei rappresentanti dello stato a protezione
dei membri del villaggio che regge sin quando non prevalgono spinte
disgregatrici). Queste manifestazioni possono essere
interpretate,
analogamente al contrabbando, come una forma di sfida e di vaga
resistenza politica (48) che si manterrà, attraversando il periodo dei
regimi filofrancesi e la restaurazione, anche nei regimi post-unitari,
per tutto il XIX secolo. Si tratterà, però, di una "guerriglia
di disturbo", non in grado di invertire i processi messi in moto dalla
modernità che potevano contare su un complesso forte di strumenti
politici, amministrativi, economici, sociali, ideologici, e culturali.
7. Una rivincita clamorosa su tutti i fronti e alcune lezioni
Gli
intellettuali e tecnocrati borghesi hanno contribuito non poco, insieme
alle
norme che
restrigevano l'autorizzazione ad allevare le capre alle famiglie
miserabili a creare la stigmatizzazione dei prodotti della capra, in
precedenza considerati favorevolmente anche dagli scrittori. Così
Giuseppe Gauteri, Ispettore capo ai boschi restato al suo posto
dopo la Restaurazione, che insinuava che il formaggio di capra fosse
cibo da
"miserabili", che così "rispamiano sul sale", "pizzica ed è per palati
rozzi" (49). Se è vero che il pregiudizio sociale (rafforzato da tutti
gli elementi culturali sopra discussi) è riuscito a disincentivare il
consumo di prodotti caprini in forza dello stigma attribuito alla capra
e ai caprai, va anche detto che la contestazione dell'utilità e persino
della superiorità del latte e dei prodotti caprini ha rappresentato
l'elemento più debole del "partito anticapre".
Il noto economista e statistico dell'epoca napoleonica, Melchiorre
Gioia, coevo del Gautieri e partecipe della stessa ideologia
tecnocratica, a proposito del pregio dei formaggi di capra si
esprimeva nei seguenti termini “Quello che è [il formaggio]
formato dal latte caprino è preziosissimo allorché non riceve
qualche battesimo d’acqua, o d’altro latte straniero” (50).
Opinione confermata dal celebre storico Cesare Cantù che, nota, a
proposito della Valsassina che: “I valligiani preparano nelle loro
baite (cascine) le robiole e gli stracchini caprini di cui fanno
grande esportazione” (51).
Oggi i formaggi di capra li troviamo al centro del "banco gastronomia" dei supermercati (foto Ruralpini)
La
sua riabilitazione in Francia risale al periodo tra di
anni Venti e Trenta del secolo scorso quando, grazie alla
valorizzazione dei formaggi caprini tipici, l'ufficialità agricola si è
convinta a riservare alla capra un trattamento non più da paria ma da
animale suscettibile di contribuire al reddito agricolo eall'economia
agroalimentare dell'Exagon (52). Nello stesso periodo (1927) in Italia
si imponeva una supertassa progressiva sulle capre (R.dl del 16.1.1927
n.100) (53)
Per la riabilitazione in Italia (e in altri paesi) si è dovuto aspettare
il '68 o meglio i movimenti di "ritorno alla terra" che già negli ann
Settanta vedevano protagonisti reduci e delusi di quel movimento.
I suoi prodotti sono oggi ricercati e spuntano buoni prezzi. I prodotti alimentari e i cosmetici che
contengono latte di capra sono di moda e possiamo tranquillamente concludere che
il pregiudizio negativo si è ribaltato in positivo. Questa tendenza
è comune all'insieme dei paesi occidentali. Persino dove l'allevamento
caprino era pressoché scomparso, come nel paesi anglosassoni e
scandinavi (con l'eccezione della Norvegia che ha sempre mantenuto una
radicata tradizione di allevamento) oggi la capra gioca un ruolo chiave
nel rilancio di produzioni agroalimentari artigianali e di filiere
corte. Un fenomeno che si osserva al giorno d'oggi in paesi come gli
Stati Uniti e la Svezia (54) dove la produzione casearia artigianale
era stata spazzata via.
La vacca da latte ha subito un ribaltamento di immagine speculare che
ne ha fortemente eroso il presitigio sociale. Nel XIX e XX sec.
essa
era stata associata all'emancipazione da sistemi agricoli
pre-industriali, allo sviluppo della moderna industria casearia (in
grado di fornire prodotti igienici, nutrienti e poco costosi a larghi
strati di popolazione) ma che oggi subisce un appannamento di immagine
in quanto degradata a "macchina da latte" senza contare il grave
scandalo alimentare della "vacca pazza", le polemiche sulla
somministrazione dell'ormone della crescita (vietata in Europa ma
lecita altrove). Così, mentre per un lungo periodo storico dall'età
antica a quella contemporanea (industriale), con l'intensificazione
agricola, la crescita della popolazione, la diminuzione dei boschi,
l'aumento di peso dell'economia commerciale e delle città,
l'apprezzamento della capra è andato diminuendo (salvo risalire
nell'alto medioevo con la regressione dell'agricoltura, delle città,
del mercato), oggi assistiamo ad un fatto nuovo: l'ulteriore
urbanizzazione, intensificazione agricola, artificializzazione degli
spazi di vita, mercatificazione della società, l'eccesso di modernità,
la saturazione dei fenomeni che l'hanno accompagnata sino alla tarda
era industriale, porta ad una reazione che si traduce in un rinnovato
apprezzamento per il selvatico e il "naturale" che va al di là dei
movimenti di natura sentimentale ed estetica dell'Arcadia e del
Romanticismo per investire più nel profondo la società e il costume.
Oggi la capra, cadute le
accuse "scientifiche" di flagello dei boschi, è divenuta
il simbolo positivo di un'agricoltura più "naturale" e meno
industriale, mentre dalla California alla Francia alla Spagna le si
riconosce il ruolo di "guardiana dell'ambiente" in forza dell'impiego
del pascolo caprino per la prevenzione degli incendi boschivi (55).
Una pubblicazione del Dipartimento dell'agricoltura - Servizio foreste - degli Stati Uniti.
La stessa natura poco
disciplinata, ma anche curiosa e intraprendente è considerata con
favore in un'epoca di crescente omologazione, assoggettamento al
mercato globale, alla tecnoscienza, alle multinazionali di quello che
rimane delle "campagne" del mondo.
Simbolo di resistenza contadina,
autosufficienza, la capra - animale intelligente e capace di
relazionarsi all'uomo - è anche il veicolo della riaffermazione di una
visione neovitalista che, superato il meccanicismo razionalista e materialista,
riassegna valore alla vita, rifiuta di considerare gli animali oggetti,
cose, prive di quell'anima naturale (soffio vitale divino) che la
religione, ma anche la scienza ufficiale, continuavano a riconoscere loro sino
al XVII secolo. Il
movimento a favore del "ritorno alla natura" si carica però di
fortissime ambiguità e, nei suoi aspetti più ideologizzati
(animalismo), riprende paradossalmente - in forma grottesca ma non per
questo meno radicale e tendenzialmente violenta - i materiali del
passato, compresi quelli della demonizzazione della capra nello spirito
di una nuova caccia alle streghe. Accompagnata da un'immagine
oleografica di Cristo verso cui si dirigono candide pecorelle e dal
quale si allontanano, scacciate, le capre (cornute e scure) in un sito
animalista è possibile leggere quanto segue. A prima vista un testo
parodistico, invece no. Beleranno come capri ottusi,
chiedendosi forse cosa avessero fatto di male mungendo una mucca e
bevendo il suo latte. E a quei belati increduli risponderanno quelli
delle pecore nell’altro recinto, che diranno loro quanto siano stati
stupidi e cattivi, insensibili ed egoisti. Su tutto farà da regista
nostro Signore, che con il bastone del Buon Pastore terrà separati i
due gruppi e non si chiederà come mai in quello dei malvagi capri ci
saranno il 999 per mille degli umani, perché a lui è sempre interessato
di più la qualità della quantità. Per i capri, relegati all’inferno che
si sono meritati, ci sarà pianto e stridor di denti. Per le pecorelle
del Buon Pastore ci sarà la soddisfazione di vedere che giustizia è
stata finalmente fatta. E magari anche qualche delizia paradisiaca con
gelati e yoghurt della Valsoya (55). |
Come
non è difficile constatare riemerge in queste rozze espressioni il
fiume carsico del manicheismo, della settaria autoqualificazione dei
"puri" rispetto all'umanità corrotta. Dopo
questo turbine qualche considerazione: è ormai noto che gli animali
hanno rappresentato dall'inizio della storia umana dei materiali
potenti di costruzione di immagini utili ad esprimere e comunicareidee
tra gli umani. Non sorprende che molti animali (domestici e selvatici)
siano associati ad una selva di simboli, di materiali archetipici
variamente utilizzati, combinati, riutilizzati, ricombinati. Vi
sono però animali che entrano più di altri all'interno delle dinamiche
delle società umane. La capra è uno di questi. Domesticata dopo il cane
è, insieme a quest'ultimo e al cavallo, l'animale che ha sviluppato una
capacità di comunicazione interspecifica con l'uomo maggiore di altri
animali domestici. Gli animali domestici, quelli agricoli in
particolare, hanno svolto un ruolo più o meno importante all'interno di
formazioni sociali diverse e, all'interno della stessa formazione
sociale, si sono caratterizzati per ruoli specializzati tra strati
sociali. Se l'asino è il cavallo dei poveri, la capra è la vacca dei
poveri (almeno in certe società). Il simbolismo associato agli
animali rappresenta una costruzione sociale complessa che va
ricostruita, decifrata attraverso le epoche, la storia delle credenze,
le mitologie, le simbologie. Al di fuori di questa ricostruzione il
rischio di interèretazioni che cadono nella banalità e prive di valore
euristico è notevole. Consapevoli delle insidie della generalizzazione
(e della teorizzazione) ci sentiamo di poter sostenere che la capra
rappresenta il modello idale di uno studio che connette tra loro
strutture ecosociali e sovrastrutture ideologico-culturali (senza
ovviamente trascurare il piano della materia archetipica,
dell'inconscio collettivo junghiano). Attraverso le epoche della storia
umana, almeno nella scansione propria della storia europea, la capra si
presenta come la specie che, nel bene e nel male, riflette sul piano
della cultura, am anche su quello della concrete strutture della
produzione agroalimentare e dell'uso del territorio
"agrosilvopastorale" l'indice più sensibile ai cambiamenti sociali
nella loro dimensione strutturale e sovrastrutturale. Dall' excursus
che abbiamo tracciato possiamo ricavare un'indicazione generale:
l'apprezzamento della capra è molto variabile nello spazio e nel tempo
e dipendedall'importanza relativa tra pastoralismo e agricoltura, dalla
polarizzazione sociale
(che favorisce l'erosione degli usi collettivi dello spazio
agro-silvo-pastorale a favore di usi privatistici, commerciali,
capitalistici, possibili attraverso l'utilizzo con grandi greggi ovini
di grandi spazi pascolivi), dallo sviluppo delle città e dei mercati di
consumo (che favorisce l'industria laniera e quindi la preferenza per
la pecora a scapito della capra). Nella cultura anglosassone la capra è
svilita sia attraverso una lettura letterale della Bibbia (come esito
della diffusione delle sette e conventicole pietistiche e puritane) sia
per la scomparsa delle terre comuni e delle comunità rurali come
conseguenza delle enclosures secondo un modello che sarà applicato su scala ancora più ampia nelle colonie extra-europee. Queste osservazioni ci inducono
a considerare che è l'interazione tra determinanti ecologiche e sociali
(secondo combinazioni variabili) che condiziona lo status della capra in una determinata cultura. Pecora | Capra | gregaria si sposta e si mantiene anche in enormi greggi | comportamento individualistico, è allevata slitamente in piccoli greggi | la lana divenne materia prima commerciale dall'antichità | economia di sussistenza: latte, carne, pelle, grasso | valorizza grandi pascoli (enclosures inglesi / paesi
colonizzati) | si mantiene bene in ambienti boschivi marginali e utilizza terreni scoscesi e rocciosi | entra in sinergia con le attività industriali
(industria laniera) | entra in conflitto con le attività industriali (uso
legna per combustibile) |
Pare
che vi siano sufficienti elementi per poter concludere che la pecora è
stata considerata "buona" e la capra "cattiva" perchégli interessi
degli strati sociali dominanti (dall'antichità a oggi) hanno avuto
interesse a promuovere l'allevamento ovino e a disincentivare quello
caprino.
Lo
schema sopra riportato presuppone molte semplificazioni. Nelle società
stratificate i valori culturali possono risultare divergenti. Alla
lunga, però, anche se questo è forse più vero per le società moderne,
la cultura degli strati sociali dominanti tende a influenzare, sia pure
con un certo lag, quella degli strati subalterni. Il fatto stesso che
il ruolo della capra, quale indicatore sensibile di conflitti e
trasformazioni sociali, sia stato sino pochissimo esplorato va
interpretato alla luce di una sistematica sottovalutazione del ruolo di
questo animale nella storia dell'uomo che appare culturalemente e
socialmente condizionato. In ogni caso emerge un interessante analogia
tra l'era attuale (post-moderna) e i neolitico. In
entrambe l'intensità dell'agricoltura aumenta e le foreste
diminuiscono e l'apprezzamento della capra cresce. Nell'intervallo tra
le due ere, invece, tra questi due parametri vi è una correlazione
negativa. Forse un cerchio si è chiuso. Questo e molto altro rappresenta la "lezione
della capra", una lezione di saggezza e di umiltà che induce a
diffidare degli stereotipi e del valore delle ragioni di chi ha, dalla
sua, il potere.
Note
1. K.
Weblen "The Image of Sheep and Goats in Matthew" in The
Catholic Biblical Quarterly, 59, 4
(1997):657-678
2.
Giovanni
il Battezzatore aveva indicato con "Ecce Agnus Dei qui tollit
peccata mundi" (Gv 1, 29). Inoltre vediamo il Cristo come
nell'Apocalisse quando afferma "Et vidi et ecce Agnus stabat
super montem Sion" (Ap 14,9)
3. L. Charbonneau-Lassay,
Il bestiario del Cristo : la misteriosa emblematica di Gesù Cristo, vol. I, Roma, Archeios, 1995 (ed or. Bruges, 1940), p. 2944. Ivi, p. 2925. Nawroth,
C., Brett, J. M., & McElligott, A. G. "Goats display
audience-dependent human-directed gazing behaviour in a problem-solving
task". Biology Letters, 12,
7 (2016) 20160283.6. C. Baker (a cura di) Le Bestiaire. Version longue attribuée à Pierre de Beauvais, Paris, Champion, 20107. L. Charbonneau-Lassay, op. cit. pp.296-297
8. Mircea Eliade, Storia delle credenze e delle idee
religiose, Rizzoli, Milano, 2016 (ed or. Paris, 1975), p. 313
9. J. H. Turnurer
"Etruscan Ritual Armor :
Two Examples in Bronze", in American Journal of
Archaeology, 69, 1
(1965):39-48.
10.
Una prolifica
serie di contributi è stata suscitata da un articolo di Anton
Blok "Rams and billy-goats: A key to the Mediterranean code of
honour". Man,
16, 3
(1981):427-440. Blok ha ricevuto molte smentite circa la non
generalizzabilità alla "cultura pastorale meditterranea) delle sue
osservazioni in Sicilia. Le sue considerazioni sul minor vigore
sessuale dei becchi rispetto agli arieti e sul comportamente dei becchi
che "lascerebbero fare" ai rivali trovano smentita non solo nella
pratica zootecnica ma anche in studi etologici sperimentali che
mostrano come in presenza di "rivali" i becchi copulano con più
intensità, a differenza degli arieti. E.O. Price, R.E. Borgwardt, M.R.
Dally, "Male-male competitions fails to sexually stimulate
domestic rams", Applied animal behaviour science,
74 (2001):217-222. Vero che questi lavori sono successivi al tempo di
Blok ma sarebbe stato sufficiente consultare qualche testo di zootecnia
per constatare che il numero di femmine "servite" da un becco è
indicato come pari o superiore a quello delle pecore "servite" da un
ariete. L'ipotesi "fisiologico-etologica"
delle corna è quindi senza fondamento e rappresenta un nuovo capitolo
del pregiudizio anticapre (normale in pastori di ovini, meno in un
antropologo che assegna valore cognitivo a questi pregiudizi).
Torneremo sul tema in un ulteriore contributo in materia di simbolismo
delle corna. Qui osserviamo che sono state sin qui avanzate quindici
diverse ipotesi per spiegare il perché il mariti tradito vengono
definiti "becchi" (o cabrones)
in apparente contraddizione con le accuse di lascivia ed eccessiva
esuberanza genesica dei maschi della specie caprina.
11. R.Sheldrake. Le illusioni della
scienza, Urra, Milano, 2013,
p.4, ssg.
12. K. Jennbert "Sheep and
goat in Norse Paganism." Pecus: man and
animal in antiquity: proceedings of the conference at the Swedish
institute in Rome. Vol. 1. The Swedish Institute in Rome, 2004
13. J.G.
Frazer, Il ramo d'oro. Studio sulla
magia e la religione, Bollati-Boringhieri,
Torino,
1990 8ed. or. London 1922), pp. 544-548
14. A. Delbosco, C.Brughi, Entità
fatate della Padania, Edizioni terra di mezzo, Milano, 1993
15. G. Gaioni, Leggende di Val
Camonica e Val di Scalve, Quetti, Artogne, 1990
16. La "donna del gioco" (sabbah)è un personaggio molto diffuso nel
folklore. Trattasi di una strega spesso terrificante ma la leggenda,
come spesso avviene, sovrappone il tema del sabbah con quello della
"caccia selvatica" dove appare come trasposizione delle divinità della
caccia e della fertilità delle antiche religioni. A Pontedilegno esiste
una località "Case del gioco".
17. C.H. Lea, Material Toward a History of Witchcraft, Vol I, Thomas Yoseloff, New York, 1957, pp.231-232, cit. da J.P. Davidson, "Great Black Goats", in Journal of Rocky Mountain and Medieval and Renaissance Association, 6 (1985):141-158.
18. H. Institoris (Krämer), I. Sprengero, Malleus Malleficarum, riproduzione dell'originale, Gruppo editoriale Castel Negrino, Aicurzio, 2006
19. J.P. Davidson, op. cit.
20. J.P. Davidson, op. cit. Su questi temi si veda anche: L. Roper,
‘‘Witchcraft and the Western Imagination,’’ in Transactions of
the Royal Historical Society,
16 (2006): 117–141
21. D. Solokian "De la
question des chevres en France au XVIIIe siecle", in Ethnozootechnie, 41 (1988)
pp.33-46; C. K.
Matteson "Bad
citizens" with "murderous teeth": Goats into
Frenchmen, 1789-1827 in: Proceedings of the Western Society for French
History, 34 (2006) : 147-161
22. M. Corti.,
"Risorse silvo-pastorali, conflitto sociale e sistema alimentare: il
ruolo della
capra nelle comunità alpine della Lombardia e delle aree limitrofe in
età
moderna e contemporanea" in: SM Annali di S.
Michele, 19 (2006): 235-340
23. G.Coppola,
“Equilibri economici e trasformazioni nell’area alpina età moderna», in: G.Coppola e P.Sciera, Lo spazio alpino: area di civiltà, regione cerniera, Quaderni di Europa Mediterranea, 5, Gisem /Liguori Editore, Napoli, 1991 pp. 203-222.
24. Ivi.
25. D.Siddle,
"Goat, marginality and the 'Dangerous Other'"
Environment and History, 15
(2009):
221-236
26. M. Corti, G.Foppa, La pecora bergamasca, Provincia di Bergamo. Settore agricoltura, Bergamo, 1999, cap. 7.
27.Ivi.
28. D. Siddle, op. cit.
29. M. Corti, op. cit.
30. D. Solokian, op. cit. 31. Archivio di stato di Milano, agricoltura p.m. c. 79
32. "Le capre difese da
guardiani accorti e possenti minacciano di scacciare le vacche e le
pecore dalla montagna. Distrutti dalle capre i boschi, le miniere
giacciono inutilizzate nel seno della terra, i forni e le fucine non
fuman più e i seminatori, gli scavatori, i carbonai, i fonditori ed
altri operai, esausti dalla fame, sono astretti ad emigrare dalle
montagne. Franati i monti, intisichiti pel freddo alle loro falde gli
alberi, alzato il letto de’ fiumi e reso incapace a contenere le
loro acque che già traboccano e inondano le sottostanti campagne,
aumentati ed abbassati i nevali ed i ghiacciaj, fulminati i tuguri
degli alpigiani, inaridite alla pianura le messi, mal sicure le case.
[…]”
G.
Gautieri. Dei
vantaggi e dei danni derivanti dalle capre in confronto alle pecore,
Milano, Tipi di Gio. Giuseppe Destefanis, 1816
33. Ivi, p. 75
34. D. Siddle, op. cit.
35. P. Lieutaghi,
L'environnement végétal, Flore, végétation, civilisation, Neuchâtel,
1972, cit. da Solokian, op. cit.
36. M. Corti., op. cit.
37. Archivio di Stato di Milano, agricoltura
p.m. c. 81
38. D. Englander, Poverty and Poor Law Reform in Nineteenth-Century Britain, 1834-1914: From Chadwick to Booth, Routledge, London, 2015. Vedi anche
R.G. Fuchs, "Beneficenza privata e assistenza pubblica" in A. M.Barbagli e D.I.
Kertzer (cura di) Storia della
famiglia in Europa. Il lungo ottocento, Laterza, Roma-Bari, 2002, pp. 232-283
39.
Una grida del 1784
prevedeva che i "poveri nazionali" sorpresi a mendicare fossero
arrestati e carcerati per tre giorni a pane e acqua e quindi il
rilascio con
diffida di dedicarsi al lavori, in caso di recidiva la detenzione per
più lunghi periodi nella casa di forza di Pizzighettone (C.Capra, La Lombardia austriaca nell’età delle riforme, Torino, 1987 pp. 393-395
40. La Prefettura di
Bergamo intendeva aprire case di lavoro ovunque e nel 1810 vennero
interrogate le municipalità circa la presenza di mendicanti. Ne
furono segnalati molto pochi dal momento che “Il problema non era
legato a una vera marginalità sociale, quanto alla fine, per così
dire, degli ammortizzatori della società tradizionale. I sindaci non
a caso notavano come non vi fossero, in molti casi, mendicanti ma
famiglie intere «semiquestuanti» e «ridotte alla vera miseria»,
nell’impossibilità di sostenere l’onere della tassa personale
[…] Testimonianza del genere provenivano in particolare dalla
montagna, una realtà che di lì a poco sarebbe stata colpita dalla
carestia del 1811.”. E. Bressan ,
"La Lombardia
veneta", in G.Rumi (a cura di): La formazione della Lombardia
contemporanea, Cariplo- Laterza, Milano/Roma-Bari, 1998, pp.15-58
41. Ivi
42. Archivio di Stato di Milano, agricoltura
p.m. c. 79
43. Giunta per
l’inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola
"Relazione sul
Circondario di Breno", in Atti,
Vol. VI, Forzani, Roma 1883 , p. 292
44. De Ambrosya, Memoria
sui danni dei pascoli delle capre e sulla migliorazione dell arte
pastorizia presentata alla società dì economia, Per i tipi di Giuseppe Pilla, Chiavari, 1809, p. 3 45. R.D.L. 9 maggio 1929
46. " Il pascolo abusivo
delle capre sui fondi comunali, nonostante i divieti, era una realtà
continuamente sottolineata dalle deputazioni censuarie del distretto
di Piazza [brembana]" A.Moioli, "I
sistemi agricoli della Lombardia orientale durante la prima metà
dell’Ottocento. Il caso delle zone ex-venete (Provincie di Bergamo,
Brescia e Cremasco)" in: Rivista di Storia dell’Agricoltura, 18
(1978), pp. 15-70, p.21.
47. “Il furto
campestre del resto assumeva i contorni del fenomeno di
insubordinazione di massa”. (M.Meriggi , Il Regno
Lombardo-Veneto, Utet, Torino, 1987 p.202); “[…] i
comunisti [da intendersi "residenti nel comune"] in gran parte poveri corrono insieme nei boschi comunali ad
estirpar il brugo, gli sterpi e le radici […] invece di accusatori
e testimoni si trovano dei difensori e dei complici “ (M.Gioia, Discussione
economica sul dipartimento del Lario, Lugano (CH), 1837, p. 14).
48. H.G. Rosenberg, Un
mondo negoziato. Tre secoli di trasformazioni in una comunità alpina
del Queyras, Carrocci editore/MUCGT, Roma/San Michele all’Adige
(Tn), 2000, p.167
49. G. Gautieri, Dei vantaggi e dei danni derivanti dalle capre in confronto alle pecore, Milano, Tipi di Gio.
Giuseppe Destefanis, 1816., pp.8 e ssg.
50. M. Gioia, op. cit., p. 81
51. C.Cantù, (a cura di), Grande
illustrazione del Lombardo-Veneto, ossia Storia delle città, dei
borghi, comuni, castelli, ecc. fino
ai tempi moderni, Vol. III, Corona & Caimi, Milano, 1858, p. 990
52. R. Lovreglio, O. Meddour-Sahar, V. Leone, "Goat grazing as a wildfire prevention tool: a basic review" in iForest -Biogeosciences and Forestry, 7 (2014): 260-268
53.
L’art. 1 fissava la tasa in ragione di L. 10 (fino a 3 capi), L. 15,
(da 3 a 10 capi) e L. e 20 (oltre 10 capi). Questi importi vanno
confrontati con quelli delle tasse di pascolo riscosse dai comuni (1-2
L. per capra). Il provento della tassa era devoluto per i tre quarti
allo Stato e solo per un quarto al Comune (art. 2).
54. C. Delfosse, C.
Chèvre des champs ou chèvre des villes? Sélection et élevage
caprins dans l’entre-deux-guerres. Ruralia. Sciences
sociales et mondes ruraux contemporains, 20 (2007)
55. P.
Rytkönen , M. Bonow , M. J. , Y.Persson "Goat cheese production
in Sweden – a pioneering experience in the re-emergence of
local food", in Acta Agriculturae Scandinavica, Section B - Soil & Plant Science, 63, sup1 (2013): 38-46
56. R. Lovreglio, O. Meddour-Sahar, V.Leone "Goat grazing as a wildfire prevention tool: a basic review", in iForest – Biogeosciences and Forestry, 7 (2014): 260-268 57. http://guardforangels.altervista.org/blog/io-separero-le-pecore-dai-capri/ [consultato il 22.05.2017]
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