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La
capra.
Una storia culturale (e sociale)
(18.12.16) La
simbologia e la rappresentazione della capra si prestano a
considerazioni interessanti sui rapporti tra la cultura (ideologia,
credenze), economia, società e ambiente. La "demonizzazione" della
capra appare moderna perché, nel medioevo, il diavolo era rappresentato
nelle forme più varie. Essa ha agevolato, insieme alla supremazia del
razionalismo scientista e tecnocratico, la messa al bando
delle
capre nel XIX secolo. Vittima della modernità la capra si è presa le
sue rivincite con il declino della disciplina sociale industrialista,
con l'appannarsi dei miti e delle illusioni della scienza e con la
rivalorizzazione neovitalista della natura. Un vero cerchio che unisce
preistoria e postmodernità.
Al
Festival del pastoralismo 2016 la mostra "La vacca dei poveri"
(08.11.16)
La mostra
approfondisce lo “strano caso” della capra, animale oggetto di cicliche
ondate di spregio e di considerazione in relazione alle vicende delle
società e culture umane. Aperta da dal 5 al 27 novembre,cerca di
trovare una spiegazione legata al ruolo della capra nei diversi
contesti rurali e agronomici, ai simbolismi di cui è stata caricata, ai
conflitti sociali e agli orientamenti ideologici che ne hanno sancito
lo status. vengono esplorati aspetti poco conosciuti della storia
sociale dell’allevamento caprino utili a comprendere il revival di
questo intrigante animale a partire dal ’68.
Capramica
(da sabato 8 la mostra a
Bergamo alta)
(04.10.16)
La mostra consiste in un percorso didattico, la scoperta di
una
lunga storia di simbiosi tra l’uomo e un animale. La capra ha
accompagnato e assecondato la colonizzazione umana del pianeta, ha
svolto un ruolo chiave per la sopravvivenza di molte comunità ma è
stata anche stigmatizzata quale animale “nocivo”. Questi
paradossi aiutano a riflettere sul ruolo svolto dagli animali
nell’evoluzione delle società umane guardando attraverso il passato
l’oggi (con il revival “postmoderno”della capra. Il percorso
prevede il "dialogo" tra la mostra (pannelli e oggetti) e dei
laboratori. Info all'articolo
Articoli per argomenti
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"La capra fornì il latte con cui si salvarono la
vita"
di
Michele Corti
(15.05.17) La
sopravvivenza di tre donne, sepolte per 37 giorni sotto la valanga che
distrusse nel marzo 1755 il paese di Bergemoletto in valle Stura di
Demonte conobbe una larghisima eco in ambito medico, scientifico,
letterario e continua ad esercitare un forte interesse. Confinate
al buio in un angusto angolo della loro stalla scampato al crollo si
salvarono solo grazie al latte fornito da due "amorevoli capre"
I
tragici fatti di Rigopiano, del gennaio di quest'anno, hanno richiamato
da più parti l'attenzione sulla valanga di Bergemoletto del 19 marzo
1755. Un evento che, da allora, non ha cessato di colpire l'immaginario.
Furono veramente estreme le condizioni in cui vissero, per più di un
mese, le tre donne rimaste prigioniere sotto la valanga (Anna Maria Bruno, maritata Rocchia di
anni quaranta circa, la cognata Anna, nubile di anni 24, la figlia
Margherita di 11 anni)(1). Esse rimasero nell'oscurità, sfruttando lo
spazio di una mangiatoia che non consentiva si alzarsi in piedi e di
distendere le gambe, nutrendosi di un po' di latte di capra e bevendo
neve sciolta con il calore delle mani. Con l'avanzarsi della stagione
lo scioglimento della neve le infradiciava con lo stillicidio rendendo
il freddo più acuto mentre i pidocchi le tormentavano, l'aria viziata
rendeva la respirazione faticosa. Essa, inoltre, era molto umida
e
ammorbata dalle esalazioni degli escrementi e dei corpi di alcuni
animali presenti nella stalla, morti al momento del disastro o in
seguito (un'asina, morta quasi subito e delle galline, l'ultima, morta
dopo due settimane). Vi era anche il cadavere di un bambino, il figlio più piccolo di Anna Maria, di cinque
anni, spirato al sesto giorno di 'prigionia'.
Una tempra fortissima
Citato
innumerevoli volte dalla letteratura medica, il caso mette in evidenza
come lo stato fisico e nutrizionale delle donne al momento della
disgrazia fosse buono, cosa che non mancò di rilevare il medico Ignazio
Somis, professore di medicina a Torino. Egli accompagnava
il
sovrano nella reale residenza estiva (con riserva di caccia) di
Sant'Anna di Valdieri ed ebbe modo di visitare, dopo due mesi dalla loro 'liberazione',
il
24 di luglio, le donne quando, accompagnate da Giuseppe Roccia,si recarono
da
Bergemoletto nella vicina valle Gesso per implorare
aiuto dal re.
La dieta dei contadini di montagna della metà del XVIII secolo era
ancora buona, non ancora compromessa dall'evoluzione agricola,
socio-economica e demografica del
XIX secolo che conobbe una riduzione della frequenza delle carestie
rispetto ai due secoli precedenti (2) ma anche un sensibile
deterioramente degli standard
di vita e nutrizionali. Esso fu causato dall'aumento delle bocche da
sfamare
ma, soprattutto, da quello della pressione fiscale e
dall'espropriazione dell'accesso alle risorse collettive (proprietà
comuni, diritti d'uso) goduto in precedenza anche dai membri
più poveri della comunità ed essenziale per la sopravvivenza dei
contadini di montagna. Va comunque osservato che la capacità di
sopravvivenza delle contadine di
Bergemoletto, non si spiega solo con una buona forma fisica, con
l'allenamento al lavoro e ai disagi, ma anche con un forte istinto di
conservazione, un'energia vitale, un equilibrio psichico e una salda
fede religiosa.
Pare ragionevole ritenere che, un secolo dopo, le condizioni fisiche e
psicologiche delle montanare di quelle e altre plaghe molto
difficilmente
avrebbero consentito quella capacità di sopravvivenza. Basti pensare
alle conseguenze dell'impoverimento della dieta, dove gli aumentati
consumi di mais e patate rimpiazzarono quelli
di burro, formaggio, legumi e persino sale, determinando negli
ultimi decenni del XIX anche
in
provincia di Cuneo (sia pure in misura molto più ridotta rispetto ad
alcune provincie della Lombardia e del Veneto) (3) la comparsa della piaga della pellagra, tanto che un quinto
dei ricoveri psichiatrici era rappresentato da pellagrosi (4).
Nelle dinamiche tendenti a ridurre l'autonomia delle comunità alpine, a
porre in capo la gestione delle risorse a lontani poteri e
apparati tecnoburocratici (a vantaggio di interessi
economici forti localizzati nelle città e nelle pianure), a
provocare immiserimento ed emigrazione (finalizzate ad ottenere
mano d'opera a basso costo per le industrie nascenti), rientrava anche
la "guerra
alla capre". Essa si scatenò in Francia, ma anche nelle
regioni
alpine italiane, sin dagli ultimi decenni del XVIII secolo.
Inizialmente in forme velleitarie, poi,
nell'epoca napoleonica e nel prosieguo del XIX secolo, in forme più
efficaci rese possibili con la costituzione di organismi statali
sempre più centralizzati, con potere di command and control sulla
società, e con il progressivo svuotamento delle forme di autogoverno
delle comunità.
Una storia
scomoda
La storia di Bergemoletto rappresenta
l'esaltazione del ruolo della capra quale elemento importante e spesso
cruciale dell'equilibrio alimentare delle genti alpine. Appare
significativo che questa vicenda, che ebbe un'enorme risonanza, venne
ignorata nel trattato apparentemente 'bipartisan' sui "vantaggi e gli
svantaggi delle capre in confronto alle pecore" (5) (in realtà
ferocemente anti-capre), dell'Ispettore capo ai boschi del Regno italico
napoleonico e poi del Regno Lombardo-Veneto. Quel Giuseppe Gautieri
(6), persona molto dotta, laureato in medicina e filosofia,
naturalista, agronomo, forestale, politico, super-burocrate che non solo era
originario di una terra sabauda (Novara) ma che si laureò nel 1791
presso l'Università di Torino, dove il prof. Somis, autore del
puntiglioso resoconto scientifico sulla vicenda di Bergemoletto, rappresentava ancora un'importante
autorità accademica (morì nel 1793). Difficile
che il Gautieri non conoscesse la storia di Bergemoletto. Anche perché il suo
trattato è zeppo di riferimenti eruditi.
A noi piace sottolineare come la vicenda delle tre donne e delle loro due capre
rappresenti la conferma di quella straordinaria capacità di legame
zooantropologico e, nella fattispecie, di comunicazione interspecifica,
che ricerche recenti hanno messo in evidenza attraverso indagini
etologiche sperimentali (7). Leggendo
il
resoconto di Somis
si ricavano preziose indicazioni in tal senso, che permettono di
concludere che, al di là della capacità della capra di sopportare la
permanenza in spazi angusti (caratteristica che l'ha resa compagna
dell'uomo in svariate circostanze: lavoro in miniera,
compagna di
marinai), della sua attitudine lattifera, della sua proverbiale all'agilità, ciò che ha giocato a
favore della sopravvivenza di quelle donne e quelle capre che si trovaronono segregate in condizioni
così estreme, è stato la capacità di comunicazione e di cooperazione
reciproca. Se nella stalla vi fosse
stata una bovina o delle pecore le donne non si sarebbero salvate (e
neppure gli animali).
I fatti
Il
19 marzo 1755, dopo copiosissime nevicate, si lamentarono
in tutto il cuneese una serie di valanghe che uccisero 200
persone (8). Una terribile valanga (per la precisione tre valanghe in rapida
successione che, scaricate da tre valloni, conversero sul paese)
distrusse Bergemoletto (provenzale Bergemoulét),
una frazione montana (1200 m di altitudine) di Demonte, in valle Stura,
provincia di Cuneo. Furono venti (su trenta) le case sepolte da
una spessa coltre di circa 20 m di neve. uel giorno Giuseppe Roccia, di
50
anni, con il figliolo Giacomo di 15, stava facendo cadere la neve
dal tetto di casa per alleggerirlo del carico ormai preoccupante. Erano
le 9 del mattino e la gente si preparava ad andare a messa. Il rombo
della valanga consentì a Giuseppe e al figlio di fuggire e salvarsi. La
moglie, la sorella e due figli, che erano sulla soglia della stalla, si
rifugiarono all'interno sprangando l'uscio. Giuseppe vide crollare
l'edificio dove si
trovavano i suoi cari e svenne.
Incisione
tratta dal 'Ragionamento' di Ignazio Somis che
mostra il villaggio di Bergemoletto prima che su di esso si abbattesse
la valanga.
La
valanga provocò 22
morti. Nei giorni successivi
alla tregedia i superstiti, e i numerosi
volenterosi accorsi, cercarono invano di recuperare gli eventuali
sopravissuti. Continuò a nevicare, quindi la neve si indurì tanto da
costituire una massa di difficile escavazione. I soccorritori dovettero
desistere. Quella di Bergemoletto, come molto sovente avviene, fu una
catastrofe solo
in parte 'naturale'. Verso il 1740 il governo sabaudo stava
fortificando, per la seconda volta, il Forte della Consolata di Demonte
in previsione della guerra con i Gallispani (future battaglie di
Demonte e di Madonna dell’Olmo del 1744). Serviva molto legname e
pertanto erano state completamente disboscate molte montagne, tra cui
tutte le alture sopra Bergemoletto (9). Al di là delle esigenze
belliche la carenza di legname, le speculazioni sui tagli boschi
stavano per diventare erano comuni in Europa occidentale e la
storiografia ha discusso a lungo della 'crisi del legno' che avrebbe
condizionato diverse economie europee a partire dall'Inghilterra ma con
significative ripercussioni anche sull'Italia settentrionale
(10). Personaggi come il già citato Gautieri (ma con
lui schiere di 'scrittori' e 'illuministi') attribuirono alle capre,
tra le altre calamità, la responsabilità delle valanghe:
Danno
assoluto diretto apportano le capre a col guastare le fabbriche, i
campi, le siepi: b) col facilitare il cominciamento ed i progressi
delle lavine e delle frane, e far cadere de sassi dalla montagna (11)
'Capro
espiatorio' per i guasti provocati da uno 'sviluppo non
sostenibile', che non era certo diretto dai montanari e dai contadini, le capre furono vittime di una crudele forma, non
solo di irriconoscenza, ma anche di demonizzazione che 'capitalizzava'
l'accostamento di questo animale al demonio sviluppatosi, dopo il XIV secolo - e con tanta più forza in età moderna - con la caccia alle
streghe (12).
Le capre salvatrici
Le due autorevoli fonti contemporanee che riferirono dei fatti di
Bergemoletto non ebbero esitazione nell'attribuire alle capre che
condivisero la 'sepoltura' con le tre donne, il ruolo di
salvatrici. La fonte più importante, straordinariamente minuziosa, è rappresentata dal
'Ragionamento' del Somis. Però, prima di lui, il 16 maggio, visitò le donne scampate alla sciagura il
conte Nicolis di Brandizzo,
intendente della città e provincia di Cuneo che, sulla base delle
testimonianza raccolte in loco stese un resoconto. Esso fu poi trascritto dal professor
Giuseppe Bruni dell'Università di Torino che lo trasmise a un
corrispondente inglese, Henry Baker. Quest'ultimo provvide a tradurlo ed esso, con rapidità fulminea, fu
pubblicato già nel 1755 nei Philosophical
transaction della Royal
Society (13). Un aspetto straordinario della vicenda è che essa venne documentata lo stesso anno da una pubblicazione scientifica.
Il resoconto dell'intentende, molto più succinto di quello che redigerà
più tardi il Somis, ha il valore di una testimonianza ancora 'a caldo',
raccolta dopo solo poche
settimane dai fatti, per di più da un rappresentante dello stato tenuto
per dovere d'ufficio a valutare con cautela le informazioni raccolte.
Le concordanze
tra i due resoconti sono molto strette tranne, in parte, in alcuni
punti (la quantità di sonno, di feci prodotte). Brandizzo
attribuisce
alle sfortunate donne età più elevate (Anna Maria 45, Anna 35 - ben 11
anni di più, Margherita 13) e scambia la cognata Anna per la sorella di
Anna Maria. Pur in un resoconto di poche
pagine
emerge con chiarezza dal racconto dell'intendente il ruolo delle capre
e la relazione
stabilitesi con le sfortunate donne. Delle sei capre che erano presenti
nella stalla quattro perirono subito sotto il crollo ma i loro corpi
restarono sepolti in
una zona diversa rispetto a quella dove erano rimaste intrappolate le
donne e le capre superstiti. Subito il resoconto lascia
intravedere come le donne prestarono grande attenzione alle capre,
riponenso su di esse le loro speranze di salvezza.
Due
delle capre, però, erano rimaste vive, e stavano presso la mangiatoia;
le tastarono accuratamente e si accorsero così che una di esse era
gravida , e che avrebbe partorito verso la metà di Aprile; l'altra
fornì il latte, con il quale esse si salvarono la vita
L'intendente spiega anche come fu possibile che le capre (dandosi la
staffetta durante il periodo) riuscissero ad alimentarsi e produrre
latte.
Al
terzo giorno, patendo molto la fame, si sforzarono di trovare il locale
accanto alla stalla dove erano stati riposti i pani, ma a causa della
neve non riuscirono ad entrarvi. Così decisero di dedicare ogni cura
possibile ad alimentare le capre dal momento che, circostanza molto
fortunata, al di sopra della stalla vi era il fienile e, proprio sopra
la mangiatoia, vi era la botola per far scendere il fieno nella
greppia. Questa apertura era vicina alla sorella (14) la quale, sino a
quando potè raggiungerlo, tirava giù il fieno e lo dava alle capre e,
quando non riuscì più a farlo, esse salivano sulle sue spalle e
arrivavano da sole a prenderlo.
Riferendosi
alla
capra che partorì durante la prigionia (mentre la prima ormai produceva
molto poco latte) , alla metà di aprile, egli riferisce che:
Ogni qualvolta chiamavano
questa capra essa si avvicinava e leccava
loro la faccia e le mani e forniva due libbre di latte, ragione
per cui esse nutrono ancora un grande affetto per questa capra medesima
L'intendente
nel suo rapporto fornisce gli elementi fondamentali che
caratterizzarono la permanenza delle donne in quello che rimaneva della
loro stalla. Indica che lo spazio da loro occupato era lungo 3,7 m,
largo 2,5 e alto solo 1,5.
Il 'ragionamento' di Somis
Molto
più dettagliato il 'ragionamento' di Somis che fu dato alle stampe solo
nel 1758. Il ritardo nella pubblicazione fu dovuto allo scrupolo di
scienziato del Somis che eseguì una serie di sperimentazioni
finalizzate alla verifica delle circostanze vissute dalle donne. Il
medico intendeva riuscire a calcolare quanta aria potesse essere
rimasta
intrappolata nella massa nevosa rendensosi disponibile con la
liquefazione. Così si concentrò su questo problema. Egli riteneva
infatti che il latte somministrato dalle "amorevoli
capre" e l'acqua di fusione della neve potevano spiegare senza
difficoltà la sopravvivenza delle donne sul piano nutrizionale e
dell'idratazione. Va precisato che l'unico
alimento, oltre al latte di capra ,di cui disposero furono 15
castagne che Anna Maria teneva in tasca. La scorta di pane nella stanza
annessa alla stalla, come già visto, non potè mai essere raggiunta perché la neve
bloccava l'entrata.
Al medico riusciva difficile
comprendere come avessero potuto disporre di aria a sufficienza. Va
precisato che Somis non poteva ancora conoscere l'ossigeno la cui
'scoperta' data alla fine del secolo ed è attribuita a Lavoisier (che
se l'attribuì utilizzando le esperienze di altri). Tantomeno
poteva conoscere il ruolo dell'ossigeno e del biossido di carbonio
nella respirazione e discettava di "elasticità dell'aria" quale
proprietà necessaria alla "dilatazione dei polmoni". Le sue
sperimentazioni giunsero alla conclusione che la massa di neve poteva
contenere aria a sufficienza. Ma il nostro non
eseguì solo accurati esperimenti sulla quantità di aria
contenuta nella neve (ostacolati da inverni caratterizzati da scarse precipitazioni nevose su Torino). Egli volle indagare anche
la funzione di 'orologio' delle galline, che- con il loro chiocciare
- per le prime due settimane consentirono alle safortunate donne
di non perdere la cognizione dello scorrere dei giorni. Collocò
delle galline in condizioni di
buio totale e di mancanza di stimoli esterni ma, in questo caso, i
risultati, furono negativi: le galline di Somis restavano silenti
(forse perché collocate in un luogo non famigliare?).
Nel mentre che
Somis eseguiva gli esperimenti e redigeva il suo 'ragionamento', la
narrazione del fatto di Bergemoletto prese a circolare non solo in Inghilterra
ma anche in Francia, dove, nel 1757, furono pubblicati resoconti basati sulla
relazione del Brandizzo (15).
Somis,
che evidentemente interrogò accuratamente le sopravvissute, spiega come
le donne, senza perdersi d'animo, seppero affontare la situazione in quelle condizioni disperate. Di grande utilità risultarono non solo una scodella (che si trovava normalmente sotto la mangiatoia) ma anche un paiolo,
ritrovato inciampandovi nel buio. Esso si trovava in stalla perché utilizzato la sera precedente per
somministrare un beverone alla capra che aveva partorito e che il
marito di Anna Maria, credendola ammalata, aveva provveduto a preparare e a somministrarle.
Nella
stalla ritrovavasi questo paiuolo, perché la sera antecedente aveva una
capra quivi figliato due capretti morti: per la qual cosa credendola
Giuseppe ammalata, e volendola risanare (per l'amore grande, che tutti
i contadini hanno per le proprie bestie, da cui ricavano molto
profitto, e in gran parte sostentamento) aveva fatto fare un intriso di
farina di segola per darle da mangiare, e ristorarla, e nel paiuolo
medesimo l'avevano bella e fatta portata nella stalla).
Verrebbe
da dire che grazie alla sollecitudine per la capra (di
ordine pratico, come sottolinea Somis, ma pur sempre 'amorevole') le
sventurate donne ebbero la
fortuna di disporre di un utensile che si rivelò utilissimo, non solo
per raccogliere la neve ma come 'ombrello' atto a proteggere dallo
stillicidio della neve che si fece sempre più molesto
quanto più la primavera avanzava. Fortunatamente non solo la
mangiatoia era colma di fieno (che però presto finì) ma, come abbiamo
già visto dalla relazione dell'intendente, le donne poterono disporre
anche di quello conservato nel soprastante fienile. Significativa
appare l'esortazione di Anna Maria alla giovane cognata circa la
necessità di manifestare alle capre riconoscenza accarezzandole a
dovere:
Pensiamo,
ripigliò Anna Maria a far carezze alle capre nostre provveditrici, e
conservarcele, dando loro del fieno. Ve n'ha in non poca quantità nella
mangiatoia, e quando sarà finito, già mi sono accorta, alzando le mani
per sentire ciò, che mi sta al di sopra, che il foro, il quale mette
nel fienile, è aperto, e che v'è del fieno: ne andremo tirando giù
colle mani quanto potremo, e continuando le capre a nutrirsi, e a
vivere, ci daranno del latte, finché piacerà a Dio di tenerci in
vita.
Le
'carezze' non erano espressione sdolcinata ma, nella logica dell'amore
della contadina per le bestie che stavano salvandole la vita, vi era anche una
finalità pratica. Consapevoli della capacità delle capra di interagire
con l'uomo (attraverso una comunicazione interspecifica efficace, come
solo il cane e il cavallo sanno instaurare con la nostra specie) le
donne prigioniere nella mangiatoia riuscirono a stabilire una
collaborazione con le loro capre che consentì ad entrambe di nutrirsi e
di sopravvivere. Quando la quantità di fieno, che le donne
riuscivano ad afferrare con le mani, si fece scarsa anche la quantità di
latte diminuì. La relazione tra le capre e le donne, le carezze e le
leccate di viso e mani, consentrono di stabilire e mantenere una cooperazione che risolse il
problema del nutrimento. Anche questo aspetto è delineato con chiarezza
dal medico che, nelle sue osservazioni, mostra capacità di messa a
fuoco di aspetti psicologici e persino etologici.
Eransi
esse dal sentirsi accarezzate rese dimestiche tanto, che subito si
accostavano a chi le allettava, leccando loro il viso, e le mani.
Animata Anna da tal dimestichezza pensò di avvezzarle a salir sopra la
mangiatoia, e sopra le spalle sue, affinché arrivar potessero al buco
del fenile e pascolarsi col fieno: tanto la dura necessità rende gli
uomini pel proprio vantaggio indistriosi. Cominciò dalla capra, che
dava loro il latte, aiutandola, e sulle spalle adattandosela, e
s'accorse, che giugner poteva da se, dove esse non più colle mani
arrivavamo. Lo stesso fece poi coll'altra pregna, da cui nuovo aiuto
aspettavano, dopo il parto, a anche questa trovò in tal guisa di che
pascersi, onde ebbero le povere donne un po' di refrigerio a' loro
cocenti mali.
Il
parto della capra gravida fu provvidenziale perché l'altra, nonostante
l'espediente adottato per farle raggiungere il fieno, stava calando
fortemente la produzione. Esse si passarono il testimonio. Le
donne, come avevano deciso in precedenza, uccidero immediatamente il
capretto (non è chiaro se se ne cibarono, ovviamente crudo) al fine di
utilizzare tutto il latte. Oltre a consentire una ripresa della produzione di latte, il parto della capra
infuse anche speranza: esso era previsto per la metà di aprile e ciò
significava che il disgelo non poteva tardare e che le speranze di
salvezza diventavano concrete. Il parto della capra aveva liberato le sventurate da una dimensione senza tempo e senza speranza.
La 'liberazione' Lo scioglimento della neve causava
grande disagio perché, con l'intensificarsi dello stillicidio,
le donne risultavano fradice. La ragazza si copriva
con il paiolo ma le donne avevano solo i panni del bambino morto per
ripararsi (i loro erano già a brandelli). Quando, il 25 aprile, il fratello di Anna Maria, con una
sonda, riuscì a localizzare le donne (che cercavano di farsi sentire, ma
con voci flebili) esse erano allo stremo: il latte della capra stava
diminuendo perché era sempre più difficile per essa raggiungere il
fieno. Dopo
che i soccorritori riuscirono ad aprire un varco abbastanza largo le
due capre - che avevano avuto la possibilità di muoversi durante il
confinamento - furono le prime a
balzare fuori (le donne, rattrappite nella mangiatoia per così lungo
tempo, non avevano la forza di muoversi) . Secondo il racconto riferito
da Bernardo
Chiara (16), che evidentemente si basò oltre che sulle relazioni
di Brandizzo e Somis anche su fonti locali, una delle
due capre, appena uscita dalla prigionia
piegò le ginocchia a terra e morì. L'altra, invece, si mise a brucare
l'erba come se nulla di
straordinario le fosse accaduto. Questa della sorte delle capre è una
delle poche discordanze che caratterizzano i resoconti sulla vicenda di
Bergemoletto. Somis, infatti, che ebbe più occasioni di
incontrare Anna Maria e Anna a distanza di tempo, riferì che la
famiglia, con gli aiuti
concessi dal re, costruì una casetta non lontano ("forse quaranta passi") dal sito dove
si trovava la loro casa distrutta dalla valanga, e che qui passarono
l'inverno con le capre loro compagne di sventura per le quali provavano
affezione. Nel
racconto di Cesare Cantù ('La valanga')(17), pubblicato nel 1836 e
basato sul fatto di Bergemoletto si narra che i protagonisti nella
nuova 'casupola': "stettero quanto vissero con le capre salvatrici". Il
testo si basa, a detta dell'autore, su quanto riferito al mesesimo
dall'amico
medico Carlo Alfieri che, recatosi a Cuneo per portare soccorso ai
colerosi, apprese la storia da un 'ostiere' che - a sua volta - l'aveva
sentita narrare
direttamente dalla bocca dell'anziana Margherita (la ragazzina), ormai
"carica
di anni e di figli". Una circostanza 'romanzata' ma compatibile con
quanto Somis riferì circa l'immediato e completo recupero di Margherita
(a
differenza della madre che, dopo aver superato non senza
fatica i problemi di deambulazione, perse quasi del tutto la
vista). Compatibile anche con l'enorme eco dei fatti di Bergemoletto,
la cui memoria non si è mai persa in valle Stura ma che, nei primi
decenni dell'Ottocento doveva essere ancora vivissima a Cuneo e
provincia. La dieta riabilitativa... sempre latte di capra
Su quanto successe dopo la 'liberazione' delle donne ci piace
soffermarci ancora su alcuni particolari. Nei primi giorni le donne
dovettero essere tenute al buio per l'impossibilità di sopportare la
luce. Anche la funzione digestiva potè essere recuperata solo
gradualmente, con brodi leggeri di vitello e venne loro prescritto dal medico (18) il latte di capra che,
a quanto pare, continuava ad essere gradito nonostante l'associazione
con le terribili condizioni della 'prigionia'. Oggi, a conferma di una ben
diversa solidità psicologica, dopo una tale avventura, i sopravvissuti
probabilmente rifiuterebbero l'unico cibo assunto durante la brutta
avventura e, molto probabilmente, fuggirebbero anche lontano dal luogo dove essa si è
svolta. Appare anche sorprendente (nel XXI secolo) che, dopo una tale vicenda,
nella primavera successiva le due donne si rimisero al lavoro come prima
della sciagura. Dotate
di senso pratico, ma anche di intraprendenza, le due
contadine, insieme a tutta la famiglia, il 24 luglio si recarono - come
già accennato - dal re,
che soggiornava a Sant'Anna di Valdieri, per chiedergli un aiuto. Sia
all'andata che al ritorno dormirono in un alpeggio ospiti di un
margaro. Ma non è finita: nel 1756,
costruita la nuova casetta, la famiglia non aveva più di che vivere.
Così Anna Maria, che soffriva ancora i postumi della vicenda e stava
perdendo la vista, ebbe l'idea di mettersi in cammino con la famiglia e
di spostarsi di paese in paese a raccontare la straordinaria avventura
vissuta. Girarono a piedi il Piemonte sino a marzo 1757 (quando
tornarono a casa per
i lavori campestri) A Gennaio si fermarono a Torino e il
prof. Somis le riesaminò. Ovunque furono ospitati e sfamati e, in
questo modo,
riuscirono a passare l'inverno. Questo 'tour' , nel quale le
donne svolsero il ruolo di 'cantastorie di sé stesse', contribuì molto
a radicare nella memoria collettiva la vicenda.
Una vicenda che continua ad essere rievocata
La vicenda
della valanga di Bergemoletto, anche senza il cinema, fu
portata a conoscenza di un larghissimo pubblico attraverso la stampa.
Non solo in Italia ma anche in Francia (19), Inghilterra (20), Germania
(21) (solo per i
citare i paesi per i quali si rintracciano facilmente riscontri nella
letteratura). In Italia, oltre a Cesare Cantù,
scrisse della valanga di Bergemoletto anche Michele Lessona (22), mentre
innumerevoli sono le citazioni in enciclopedie, monografie, periodici
di medicina, nivologia e valangologia. I racconti derivati dai primi
resoconti ebbero tanta diffusione da essere riportati nelle antologie
letterarie e persino nei libri di letture per le scuole elementari
degli Stati Uniti (23). Di recente, non solo è stato
pubblicato un nuovo libro sulla vicenda (24), ma sono state allestite
anche delle piece teatrali basate sui resoconti, documenti e racconti
sulla vicenda. Nel 2008 nell'ambito di un recital presso il Palamonti
di Bergamo ("Lo strano caso delle sopravvissute di Bergemoletto"),
nel 2009 presso l'Archivio di
stato di Torino (ad opera della compagnia teatrale Anna Bolens e l'elaborazione drammaturgica di
Piero Marcelli).
Un'ultima considerazione: tolti Brandizzo e
Somis (e quanto ripreso direttamente da loro) i racconti successivi non
esprimono un adeguato
riconoscimento per le capre, vere co-protagoniste della storia. Di
fronte alla diffusione (forte tra Settecento e Ottocento) di tanti
pregiudizi negativi contro la capra questa vicenda che, sia pure in
condizioni estreme, mette in luce la sua natura di 'amica dell'uomo',
sarebbe stata una buona occasione per gli scrittori spezzare una
lancia a favore di un animale tanto bistrattato. È ora di riparare.
Note
(1)
Le età sono quelle indicate dal medico Ignazio Somis che scrisse un
minuzioso resoconto sugli aspetti medici, ma non solo, della vicenda.
I. Somis Ragionamento
sopra il fatto avvenuto in Bergemoletto, in cui tre donne, sepolte fra
le rovine della stalla per la caduta d'una gran mole di neve, sono
state trovate vive dopo trentasette giorni, Stamperia
reale, Torino, 1758
(2)
G. Alfani, "Alcune riflesioni sulle cause delle carestie in Italia
settentrionale (XV-XVII secolo) in M. L. Ferrari,
M. Vaquero Piñeiro (a cura di) «Moia la carestia»
La scarsità alimentare in età preindustriale, Il Mulino,
Bologna, 2015, pp. 129-150
(3)
G. Genè, Necrologia di
Giuseppe Gautieri, I.R. stamperia, Milano, 1833.
(4)
P. Sitta, "La
diffusione della pellagra in italia (note di statistica tecnica e
descrittiva)", in Giornale
degli Economisti, Serie seconda, 19, (1899): 562-586
(5) G. Gautieri, Dei
vantaggi e dei danni derivanti dalle capre in confronto alle pecore,
Giuseppe Destefanis, Milano, 1816.
(6)
D. Bello, Introduzione
a Archivio storico dell'Ospedale psichiatrico di Racconigi,
A.S.L. 17, 2007
(7)
C. Nawroth, J.M. Brett, A.G. McElligott "Goats display
audiencedependent
human-directed gazing behaviour
in a problem-solving task." in Biol.
Lett. 12 (2016):
20160283.
(8)
P. Spirito, La
grande valanga di Bergemoletto,
Cda&Vivalda, Torino , 1995
(9)
Somis,
medico del re preferì, per comprensibili motivi, a fare cenno alla
'soldataglia spagnola' ma aggiunge anche riferimenti
credibili
alle negligenze e alla colpevole compiacenza di amministratori locali
nei confronti della speculazione sui tagli boschivi. Il
riferimento ai tagli per le esigenze militari sabaude è contenuto in P.
Spirito, op. cit. (10)
R. Sansa, "una risorsa, molti significati. L'uso del bosco nelle
regioni italiane in età preindustriale", in Guido Alfani, Matteo
Di Tullio, Luca Mocarelli (a cura di) Storia economica e ambiente italiano (ca.1400-1850), Franco Angeli, Milano, 2012, pp. 256-272
(11)
G.Gautieri, op. cit., p.67.
(12)
M. Corti, "La capra. Una storia culturale (e sociale)" (18.12.2016) http://www.ruralpini.it/Capra_storia_culturale.html
(13) J.
Bruni, H. Baker, "An Account of What Happened at
Bergemoletto, by
the Tumbling down of Vast Heaps of Snow from the Mountains There, on
March 19, 1755: As Taken by the Intendant of the Town and Province of
Cuneo. Received from Dr. Joseph Bruni, Professor of Philosophy at
Turin, and FRS Communicated by Mr. Henry Baker, FRS Translated from the
Italian." in Philosophical
Transactions, 49 (1755): 796-803 e in London Magazine,
aug., 1757, p. 395
(14) L'intendente chiama 'sorella' la cognata Anna.
(15) "Effet prodigeaux d'un éboulement de neige, arrivé dals le Piémont
vers
la fin del l'hiver de 1755", in Journ.
etranger, Oct. 1757, pp.59-68 e
in Journ. encycl.,
Oct. 1757, pp.101-107; Nouvellist,
oecon. et
litter, Sept.-oct. 1757, pp. 106-110
(16) B.
Chiara, Sessanta giorni
in montagna,
Bernardi e Falconieri , Torino 1913 (ora in: B. Chiara, Valle Stura
terra di frontiere : sessanta giorni in montagna, Boves, Primalpe,
1991).
(17)
C.
Cantù "La valanga", in Indicatore
ossia raccolta periodica di scelti articoli cosi tradotti come
originali intorno alla lcttcratura italiana e straniera, alla storia,
alle scienze fisiche ed economiche. Tomo I, Serie
V, Pirotta, Milano, 1836, pp. 428-433
(18) Anche i detrattori delle capre non esitavano ad ammettere che il latte di capra rappresentasse "una medicina". (C.Colombelli, "L’alimentazione dell’infanzia dalla seconda metà dell’800 ai primi del’900", in Il Risorgimento, n 2, 1992, pp. 399-416), Ciò
fino ai primi decenni del XX secolo quando, con la diffusione delle
'Centrali del latte' si affermò l'idea della superiorità igienica del
latte vaccino
(19) É.F.
de Lantier, "Extrait de la Relation d'un
désastre arrivé dans les montagnes du Piémont, par la chute de
avalanches" in
Oeuvres
complètes de É.F. de Lantier, Desrez & Bertrand,
Paris, 1837, pp. 522-526
(20)
"An
Account of what happened at
Bergemoletto by the tumbling down of vast Heaps of Snow from the
Mountains there on March 19 1755" in Readings in Natural Philosophy:
Or, A Popular Display of the Wonders of Nature, 1830, Whittaker Treacher & Co
, London pp.377-378; "House
overwhelmed by an avalanche", in Chambers' Edinburgh Journal, n.
332, June 9 1838; The avalanche. The old man of
the Alps, a tale, translated from the French (Account of the avalanche
of Bergemoletto, in 1755), Clapham, London, 1829
(21)
"Merkwürdige
Geschichte eines Lawinensturzes in den Gebirgen von Piemont" , in Neue Jugendzeitung,
n. 65, 1 Juni 1816;
"Ein Lawinensturz zu Bergemoletto", in Allgemeine Zeitung von und für
Bayern, 26 februar, 1840
(22)
M. Lessona, "Una valanga", in Bollettino Club alpino italiano, 1868,
n.12, pp. 338-342
(23)
S. S. Randall, "House overwhelmed by an avalanche" in The elementary school reader. Or
moral class book. Designed for the use of schools and families,
Bender, Albany, pp. 166-172
(24) P. Spirito,
op. cit. |