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Capramica (da sabato 8 la mostra a Bergamo alta)
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cultura


"La capra fornì il latte con cui si salvarono la vita"

di Michele Corti

(15.05.17) La sopravvivenza di tre donne, sepolte per 37 giorni sotto la valanga che distrusse nel marzo 1755 il paese di Bergemoletto in valle Stura di Demonte conobbe una larghisima eco in ambito medico, scientifico, letterario e continua ad esercitare un forte interesse. Confinate al buio in un angusto angolo della loro stalla scampato al crollo si salvarono solo grazie al latte fornito da due "amorevoli capre"


I tragici fatti di Rigopiano, del gennaio di quest'anno, hanno richiamato da più parti l'attenzione sulla valanga di Bergemoletto del 19 marzo 1755. Un evento che, da allora, non ha cessato di colpire l'immaginario. Furono veramente estreme le condizioni in cui vissero, per più di un mese, le tre donne rimaste prigioniere sotto la valanga  (Anna Maria Bruno, maritata Rocchia di anni quaranta circa, la cognata Anna, nubile di anni 24, la figlia Margherita di 11 anni)(1). Esse rimasero nell'oscurità, sfruttando lo spazio di una mangiatoia che non consentiva si alzarsi in piedi e di distendere le gambe, nutrendosi di un po' di latte di capra e bevendo neve sciolta con il calore delle mani. Con l'avanzarsi della stagione lo scioglimento della neve le infradiciava con lo stillicidio rendendo il freddo più acuto mentre i pidocchi le tormentavano, l'aria viziata rendeva la respirazione faticosa.  Essa, inoltre, era molto umida e ammorbata dalle esalazioni degli escrementi e dei corpi di alcuni animali presenti nella stalla, morti al momento del disastro o in seguito (un'asina, morta quasi subito e delle galline, l'ultima, morta dopo due settimane). Vi era anche il cadavere di un bambino, il figlio più piccolo di Anna Maria, di cinque anni, spirato al sesto giorno di 'prigionia'.

Una tempra fortissima

Citato innumerevoli volte dalla letteratura medica, il caso mette in evidenza come lo stato fisico e nutrizionale delle donne al momento della disgrazia fosse buono, cosa che non mancò di rilevare il medico Ignazio Somis, professore di medicina a Torino. Egli  accompagnava il sovrano nella reale residenza estiva (con riserva di caccia) di Sant'Anna di Valdieri  ed ebbe modo di visitare, dopo due mesi dalla loro 'liberazione', il 24 di luglio,  le donne quando, accompagnate da Giuseppe Roccia,si recarono
da Bergemoletto nella vicina valle Gesso per implorare aiuto dal re.
La dieta dei contadini di montagna della metà del XVIII secolo era ancora buona, non ancora compromessa dall'evoluzione agricola, socio-economica e demografica
del XIX secolo che conobbe una riduzione della frequenza delle carestie rispetto ai due secoli precedenti (2) ma anche un sensibile deterioramente degli standard di vita e nutrizionali. Esso fu causato dall'aumento delle bocche da sfamare ma, soprattutto, da quello della pressione fiscale e dall'espropriazione dell'accesso alle risorse collettive (proprietà comuni, diritti d'uso) goduto in precedenza anche dai membri più poveri della comunità ed essenziale per la sopravvivenza dei contadini di montagna. Va comunque osservato che la capacità di sopravvivenza delle contadine di Bergemoletto, non si spiega solo con una buona forma fisica, con l'allenamento al lavoro e ai disagi, ma anche con un forte istinto di conservazione, un'energia vitale, un equilibrio psichico e una salda fede religiosa.
Pare ragionevole ritenere che, un secolo dopo, le condizioni fisiche e psicologiche delle montanare di quelle e altre plaghe molto difficilmente avrebbero consentito quella capacità di sopravvivenza. Basti pensare alle conseguenze dell'impoverimento della dieta, dove gli aumentati consumi di mais e patate
rimpiazzarono quelli di burro, formaggio, legumi e persino sale,  determinando negli ultimi decenni del XIX anche in provincia di Cuneo (sia pure in misura molto più ridotta rispetto ad alcune provincie della Lombardia e del Veneto) (3) la comparsa della piaga della pellagra, tanto che un quinto dei ricoveri psichiatrici era rappresentato da pellagrosi (4).
Nelle dinamiche tendenti a ridurre l'autonomia delle comunità alpine, a porre in capo la gestione delle risorse a lontani poteri e apparati tecnoburocratici (a vantaggio di interessi economici forti localizzati nelle città e nelle pianure), a  provocare immiserimento ed emigrazione (finalizzate ad ottenere mano d'opera a basso costo per le industrie nascenti), rientrava anche la "guerra alla capre". Essa  si scatenò in Francia, ma anche nelle regioni alpine italiane, sin dagli ultimi decenni del XVIII secolo. Inizialmente  in forme velleitarie, poi, nell'epoca napoleonica e nel prosieguo del XIX secolo, in forme più efficaci rese possibili con la costituzione di organismi statali sempre più centralizzati, con potere di command and control sulla società, e con il progressivo svuotamento delle forme di autogoverno delle comunità.

Una storia scomoda

La storia di Bergemoletto rappresenta l'esaltazione del ruolo della capra quale elemento importante e spesso cruciale dell'equilibrio alimentare delle genti alpine. Appare significativo che questa vicenda, che ebbe un'enorme risonanza, venne ignorata nel trattato apparentemente 'bipartisan' sui "vantaggi e gli svantaggi delle capre in confronto alle pecore" (5) (in realtà ferocemente anti-capre), dell'Ispettore capo ai boschi del Regno italico napoleonico e poi del Regno Lombardo-Veneto. Quel Giuseppe Gautieri (6), persona molto dotta, laureato in medicina e filosofia, naturalista, agronomo, forestale, politico, super-burocrate che non solo era originario di una terra sabauda (Novara) ma che si laureò nel 1791 presso l'Università di Torino, dove il prof. Somis, autore del puntiglioso resoconto scientifico sulla vicenda di Bergemoletto, rappresentava ancora un'importante autorità  accademica (morì nel 1793). Difficile che il Gautieri non conoscesse la storia di Bergemoletto. Anche perché il suo trattato è zeppo di riferimenti eruditi.
A noi piace sottolineare come la vicenda delle tre donne e delle loro due capre rappresenti la conferma di quella straordinaria capacità di legame zooantropologico e, nella fattispecie, di comunicazione interspecifica, che ricerche recenti hanno messo in evidenza attraverso indagini etologiche sperimentali (7).
Leggendo il resoconto di Somis si ricavano preziose indicazioni in tal senso, che permettono di concludere che, al di là della capacità della capra di sopportare la permanenza in spazi angusti (caratteristica che l'ha resa compagna dell'uomo in svariate circostanze:  lavoro in miniera, compagna di marinai), della sua attitudine lattifera,
della sua proverbiale all'agilità, ciò che ha giocato a favore della sopravvivenza di quelle donne e quelle capre che si trovaronono segregate in condizioni così estreme, è stato la capacità di comunicazione e di cooperazione reciproca. Se nella stalla vi fosse stata una bovina o delle pecore le donne non si sarebbero salvate (e neppure gli animali).


I fatti

Il 19 marzo 1755, dopo copiosissime nevicate, si lamentarono  in tutto il cuneese una serie di valanghe che uccisero 200 persone  (8). Una terribile valanga (per la precisione tre valanghe in rapida successione che, scaricate da tre valloni, conversero sul paese) distrusse  Bergemoletto (provenzale Bergemoulét), una frazione montana (1200 m di altitudine) di Demonte, in valle Stura, provincia di Cuneo. Furono venti (su trenta) le case sepolte da una spessa coltre di circa 20 m di neve. uel giorno Giuseppe Roccia, di 50 anni, con il figliolo Giacomo di 15, stava facendo cadere la neve dal tetto di casa per alleggerirlo del carico ormai preoccupante. Erano le 9 del mattino e la gente si preparava ad andare a messa. Il rombo della valanga consentì a Giuseppe e al figlio di fuggire e salvarsi. La moglie, la sorella e due figli, che erano sulla soglia della stalla, si rifugiarono all'interno sprangando l'uscio. Giuseppe vide crollare l'edificio dove si trovavano i suoi cari e svenne.


Incisione tratta dal 'Ragionamento' di Ignazio Somis che mostra il villaggio di Bergemoletto prima che su di esso si abbattesse la valanga

La valanga provocò 22 morti. Nei giorni successivi alla tregedia i superstiti, e i numerosi volenterosi accorsi, cercarono invano di recuperare gli eventuali sopravissuti. Continuò a nevicare, quindi la neve si indurì tanto da costituire una massa di difficile escavazione. I soccorritori dovettero desistere. Quella di Bergemoletto, come molto sovente avviene, fu una catastrofe solo in parte 'naturale'. Verso il 1740 il governo sabaudo stava fortificando, per la seconda volta, il Forte della Consolata di Demonte in previsione della guerra con i Gallispani (future battaglie di Demonte e di Madonna dell’Olmo del 1744). Serviva molto legname e pertanto erano state completamente disboscate molte montagne, tra cui tutte le alture sopra Bergemoletto (9). Al di là delle esigenze belliche la carenza di legname, le speculazioni sui tagli boschi stavano per diventare erano comuni in Europa occidentale e la storiografia ha discusso a lungo della 'crisi del legno' che avrebbe condizionato diverse economie europee a partire dall'Inghilterra ma con significative ripercussioni anche sull'Italia settentrionale (10).  Personaggi come il già citato Gautieri (ma con lui schiere di 'scrittori' e 'illuministi') attribuirono alle capre, tra le altre calamità, la responsabilità delle valanghe:

Danno assoluto diretto apportano le capre a col guastare le fabbriche, i campi, le siepi: b) col facilitare il cominciamento ed i progressi delle lavine e delle frane, e far cadere de sassi dalla montagna (11)

'Capro espiatorio' per i guasti provocati da uno 'sviluppo non sostenibile', che non era certo diretto dai montanari e dai contadini, le capre furono vittime di una crudele forma, non solo di irriconoscenza, ma anche di demonizzazione che 'capitalizzava' l'accostamento di questo animale al demonio sviluppatosi, dopo il XIV secolo - e con tanta più forza in età moderna  - con la caccia alle streghe (12).
 

Le capre salvatrici

Le due autorevoli fonti contemporanee che riferirono dei fatti di Bergemoletto non ebbero esitazione nell'attribuire alle  capre che condivisero la 'sepoltura' con le tre donne, il ruolo di salvatrici.  La fonte più importante, straordinariamente minuziosa, è rappresentata dal 'Ragionamento' del Somis. Però, prima di lui, il 16 maggio, visitò le donne scampate alla sciagura il conte Nicolis di Brandizzo, intendente della città e provincia di Cuneo che, sulla base delle testimonianza raccolte in loco stese un resoconto. Esso fu poi trascritto dal professor Giuseppe Bruni dell'Università di Torino che lo  trasmise a un corrispondente inglese, Henry Baker. Quest'ultimo provvide a tradurlo ed esso, con rapidità fulminea,  fu pubblicato già nel 1755 nei Philosophical transaction della Royal Society (13). Un aspetto straordinario della vicenda è che essa venne documentata lo stesso anno da una pubblicazione scientifica.
Il resoconto dell'intentende, molto più succinto di quello che redigerà più tardi il Somis, ha il valore di una testimonianza ancora 'a caldo', raccolta dopo solo poche settimane dai fatti, per di più da un rappresentante dello stato tenuto per dovere d'ufficio a valutare con cautela le informazioni raccolte. Le concordanze tra i due resoconti sono molto strette tranne, in parte, in alcuni punti (la quantità di sonno, di feci prodotte).  Brandizzo attribuisce alle sfortunate donne età più elevate (Anna Maria 45, Anna 35 - ben 11 anni di più, Margherita 13) e scambia la cognata Anna per la sorella di Anna Maria.  Pur in un resoconto di poche pagine emerge con chiarezza dal racconto dell'intendente il ruolo delle capre e la relazione stabilitesi con le sfortunate donne. Delle sei capre che erano presenti nella stalla quattro perirono subito sotto il crollo ma i loro corpi restarono sepolti in una zona diversa rispetto a quella dove erano rimaste intrappolate le donne e le capre superstiti.  Subito il resoconto lascia intravedere come le donne prestarono grande attenzione alle capre, riponenso su di esse le loro speranze di salvezza.

Due delle capre, però, erano rimaste vive, e stavano presso la mangiatoia; le tastarono accuratamente e si accorsero così che una di esse era gravida , e che avrebbe partorito verso la metà di Aprile; l'altra fornì il latte, con il quale esse si salvarono la vita
 
L'intendente spiega anche come fu possibile che le capre (dandosi la staffetta durante il periodo) riuscissero ad alimentarsi e produrre latte.

Al terzo giorno, patendo molto la fame, si sforzarono di trovare il locale accanto alla stalla dove erano stati riposti i pani, ma a causa della neve non riuscirono ad entrarvi. Così decisero di dedicare ogni cura possibile ad alimentare le capre dal momento che, circostanza molto fortunata, al di sopra della stalla vi era il fienile e, proprio sopra la mangiatoia, vi era la botola per far scendere il fieno nella greppia. Questa apertura era vicina alla sorella (14) la quale, sino a quando potè raggiungerlo, tirava giù il fieno e lo dava alle capre e, quando non riuscì più a farlo, esse salivano sulle sue spalle e arrivavano da sole a prenderlo.

Riferendosi alla capra che partorì durante la prigionia (mentre la prima ormai produceva molto poco latte) , alla metà di aprile, egli riferisce che:

Ogni qualvolta chiamavano questa capra essa si avvicinava e leccava loro la faccia e le mani e forniva due libbre di latte, ragione per cui esse nutrono ancora un grande affetto per questa capra medesima

L'intendente nel suo rapporto fornisce gli elementi fondamentali che caratterizzarono la permanenza delle donne in quello che rimaneva della loro stalla. Indica che lo spazio da loro occupato era lungo 3,7 m, largo 2,5  e alto solo 1,5.

Il 'ragionamento' di Somis

 Molto più dettagliato il 'ragionamento' di Somis che fu dato alle stampe solo nel 1758. Il ritardo nella pubblicazione fu dovuto allo scrupolo di scienziato del Somis che eseguì una serie di sperimentazioni finalizzate alla verifica delle circostanze vissute dalle donne. Il medico intendeva riuscire a calcolare quanta aria potesse essere rimasta intrappolata nella massa nevosa rendensosi disponibile con la liquefazione. Così si concentrò su questo problema. Egli riteneva infatti che il latte somministrato dalle "amorevoli capre" e l'acqua di fusione della neve potevano spiegare senza difficoltà la sopravvivenza delle donne sul piano nutrizionale e dell'idratazione. Va precisato che l'unico alimento, oltre al latte di capra ,di cui disposero furono 15 castagne che Anna Maria teneva in tasca. La scorta di pane nella stanza annessa alla stalla, come già visto, non potè mai essere raggiunta perché la neve bloccava l'entrata.
Al medico riusciva difficile comprendere come avessero potuto disporre di aria a sufficienza. Va precisato che Somis non poteva ancora conoscere l'ossigeno la cui 'scoperta' data alla fine del secolo ed è attribuita a Lavoisier (che se l'attribuì utilizzando le esperienze di altri).  Tantomeno poteva conoscere il ruolo dell'ossigeno e del biossido di carbonio nella respirazione e discettava di "elasticità dell'aria" quale proprietà necessaria alla "dilatazione dei polmoni". Le sue sperimentazioni giunsero alla conclusione che la massa di neve poteva contenere aria a sufficienza.
Ma il nostro non eseguì solo accurati esperimenti  sulla quantità di aria contenuta nella neve (ostacolati da inverni caratterizzati da scarse precipitazioni nevose su Torino). Egli volle indagare
anche la funzione di 'orologio' delle galline, che- con il loro chiocciare -  per le prime due settimane consentirono alle safortunate donne di non perdere la cognizione dello scorrere dei giorni. Collocò delle galline  in condizioni di buio totale e di mancanza di stimoli esterni ma, in questo caso, i risultati, furono negativi: le galline di Somis restavano silenti (forse perché collocate in un luogo non famigliare?).
Nel mentre che Somis eseguiva gli esperimenti e redigeva il suo 'ragionamento', la narrazione del fatto di Bergemoletto prese a circolare non solo in Inghilterra ma anche in Francia, dove,  nel 1757, furono pubblicati resoconti basati sulla relazione del Brandizzo (15).


Somis, che evidentemente interrogò accuratamente le sopravvissute, spiega come le donne, senza perdersi d'animo, seppero affontare la situazione in quelle condizioni disperate. Di grande utilità risultarono non solo una scodella (che si trovava normalmente sotto la mangiatoia) ma anche un paiolo, ritrovato inciampandovi nel buio. Esso si trovava in stalla perché  utilizzato la sera precedente per somministrare un beverone alla capra che aveva partorito e che il marito di Anna Maria, credendola ammalata, aveva provveduto a preparare e a somministrarle.

Nella stalla ritrovavasi questo paiuolo, perché la sera antecedente aveva una capra quivi figliato due capretti morti: per la qual cosa credendola Giuseppe ammalata, e volendola risanare (per l'amore grande, che tutti i contadini hanno per le proprie bestie, da cui ricavano molto profitto, e in gran parte sostentamento) aveva fatto fare un intriso di farina di segola per darle da mangiare, e ristorarla, e nel paiuolo medesimo l'avevano bella e fatta portata nella stalla).

Verrebbe da dire che grazie alla sollecitudine per la capra (di ordine pratico, come sottolinea Somis, ma pur sempre 'amorevole') le sventurate donne ebbero la fortuna di disporre di un utensile che si rivelò utilissimo, non solo per raccogliere la neve ma come 'ombrello' atto a proteggere dallo stillicidio della neve che si fece sempre più molesto quanto più la primavera avanzava.  Fortunatamente non solo la mangiatoia era colma di fieno (che però presto finì) ma, come abbiamo già visto dalla relazione dell'intendente, le donne poterono disporre anche di quello conservato nel soprastante fienile. Significativa appare  l'esortazione di Anna Maria alla giovane cognata circa la necessità di manifestare alle capre riconoscenza accarezzandole a dovere:

Pensiamo, ripigliò Anna Maria a far carezze alle capre nostre provveditrici, e conservarcele, dando loro del fieno. Ve n'ha in non poca quantità nella mangiatoia, e quando sarà finito, già mi sono accorta, alzando le mani per sentire ciò, che mi sta al di sopra, che il foro, il quale mette nel fienile, è aperto, e che v'è del fieno: ne andremo tirando giù colle mani quanto potremo, e continuando le capre a nutrirsi, e a vivere, ci daranno del latte, finché piacerà a Dio di tenerci in vita. 

Le 'carezze' non erano espressione sdolcinata ma, nella logica dell'amore della contadina per le bestie che stavano salvandole la vita, vi era anche una finalità pratica. Consapevoli della capacità delle capra di interagire con l'uomo (attraverso una comunicazione interspecifica efficace, come solo il cane e il cavallo sanno instaurare con la nostra specie) le donne prigioniere nella mangiatoia riuscirono a stabilire una collaborazione con le loro capre che consentì ad entrambe di nutrirsi e di sopravvivere.  Quando la quantità di fieno, che le donne riuscivano ad afferrare con le mani, si fece scarsa anche la quantità di latte diminuì. La relazione tra le capre e le donne, le carezze e le leccate di viso e mani, consentrono di stabilire e mantenere una cooperazione che risolse il problema del nutrimento. Anche questo aspetto è delineato con chiarezza dal medico che, nelle sue osservazioni, mostra capacità di messa a fuoco di aspetti psicologici e persino etologici.

Eransi esse dal sentirsi accarezzate rese dimestiche tanto, che subito si accostavano a chi le allettava, leccando loro il viso, e le mani. Animata Anna da tal dimestichezza pensò di avvezzarle a salir sopra la mangiatoia, e sopra le spalle sue, affinché arrivar potessero al buco del fenile e pascolarsi col fieno: tanto la dura necessità rende gli uomini pel proprio vantaggio indistriosi. Cominciò dalla capra, che dava loro il latte, aiutandola, e sulle spalle adattandosela, e s'accorse, che giugner poteva da se, dove esse non più colle mani arrivavamo. Lo stesso fece poi coll'altra pregna, da cui nuovo aiuto aspettavano, dopo il parto, a anche questa trovò in tal guisa di che pascersi, onde ebbero le povere donne un po' di refrigerio a' loro cocenti mali.

Il parto della capra gravida fu provvidenziale perché l'altra, nonostante l'espediente adottato per farle raggiungere il fieno, stava calando fortemente la produzione. Esse si passarono il testimonio. Le donne, come avevano deciso in precedenza, uccidero immediatamente il capretto (non è chiaro se se ne cibarono, ovviamente crudo) al fine di utilizzare tutto il latte. Oltre a consentire una ripresa della produzione di latte, il parto della capra infuse anche speranza: esso era previsto per la metà di aprile e ciò significava che il disgelo non poteva tardare e che le speranze di salvezza diventavano concrete. Il parto della capra aveva liberato le sventurate da una dimensione senza tempo e senza speranza.

La 'liberazione'

Lo scioglimento della neve causava grande disagio perché, con l'intensificarsi dello stillicidio,  le donne risultavano fradice. La ragazza si copriva con il paiolo ma le donne avevano solo i panni del bambino morto per ripararsi (i loro erano già a brandelli). Quando, il 25 aprile, il fratello di Anna Maria, con una sonda, riuscì a localizzare le donne (che cercavano di farsi sentire, ma con voci flebili) esse erano allo stremo: il latte della capra stava diminuendo perché era sempre più difficile per essa raggiungere il fieno.
Dopo che i soccorritori riuscirono ad aprire un varco abbastanza largo le due capre - che avevano avuto la possibilità di muoversi durante il confinamento - furono le prime a balzare fuori (le donne, rattrappite nella mangiatoia per così lungo tempo, non avevano la forza di muoversi) . Secondo il racconto riferito da Bernardo Chiara (16), che  evidentemente si basò oltre che sulle relazioni di Brandizzo e  Somis anche su fonti locali, una delle due capre, appena uscita dalla prigionia piegò le ginocchia a terra e morì. L'altra, invece, si mise a brucare l'erba come se nulla di straordinario le fosse accaduto. Questa della sorte delle capre è una delle poche discordanze che caratterizzano i resoconti sulla vicenda di Bergemoletto.  Somis, infatti, che ebbe più occasioni di incontrare Anna Maria e Anna a distanza di tempo, riferì che la famiglia, con gli aiuti concessi dal re, costruì una casetta non lontano 
("forse quaranta passi") dal sito dove si trovava la loro casa distrutta dalla valanga, e che qui passarono l'inverno con le capre loro compagne di sventura per le quali provavano affezione.
Nel racconto di Cesare Cantù ('La valanga')(17), pubblicato nel 1836 e basato sul fatto di Bergemoletto si narra che i protagonisti nella nuova 'casupola': "stettero quanto vissero con le capre salvatrici". Il testo si basa, a detta dell'autore, su quanto riferito al mesesimo dall'amico medico Carlo Alfieri che, recatosi a Cuneo per portare soccorso ai colerosi, apprese la storia da un 'ostiere' che - a sua volta - l'aveva sentita narrare direttamente dalla bocca dell'anziana Margherita (la ragazzina), ormai "carica di anni e di figli". Una circostanza 'romanzata' ma compatibile con quanto Somis riferì circa l'immediato e completo recupero di Margherita (a differenza della madre che, dopo aver superato non senza fatica  i problemi di deambulazione, perse quasi del tutto la vista). Compatibile anche con l'enorme eco dei fatti di Bergemoletto, la cui memoria non si è mai persa in valle Stura ma che, nei primi decenni dell'Ottocento doveva essere ancora vivissima a Cuneo e provincia. 


La dieta riabilitativa... sempre latte di capra

Su quanto successe dopo la 'liberazione' delle donne ci piace soffermarci ancora su alcuni particolari. Nei primi giorni le donne dovettero essere tenute al buio per l'impossibilità di sopportare la luce. Anche la funzione digestiva potè essere recuperata solo gradualmente, con brodi leggeri di vitello e venne loro prescritto dal medico (18)  il latte di capra che, a quanto pare, continuava ad essere gradito nonostante l'associazione con le terribili condizioni della 'prigionia'.  Oggi, a conferma di una ben diversa solidità psicologica, dopo una tale avventura, i sopravvissuti probabilmente rifiuterebbero l'unico cibo assunto durante la brutta avventura e, molto probabilmente, fuggirebbero anche lontano dal luogo dove essa si è svolta.  Appare anche sorprendente (nel XXI secolo) che, dopo una tale vicenda, nella primavera successiva le due donne si rimisero al lavoro come prima della sciagura.
Dotate di senso pratico, ma anche di intraprendenza, le due contadine, insieme a tutta la famiglia, il 24 luglio si recarono - come già accennato - dal re, che soggiornava a Sant'Anna di Valdieri, per chiedergli un aiuto. Sia all'andata che al ritorno dormirono in un alpeggio ospiti di un margaro. Ma non è finita: nel 1756, costruita la nuova casetta, la famiglia non aveva più di che vivere. Così Anna Maria, che soffriva ancora i postumi della vicenda e stava perdendo la vista, ebbe l'idea di mettersi in cammino con la famiglia e di spostarsi di paese in paese a raccontare la straordinaria avventura vissuta. Girarono a piedi il Piemonte sino a marzo 1757 (quando tornarono a casa per i lavori campestri)  A Gennaio si fermarono a Torino e il prof. Somis le riesaminò. Ovunque furono ospitati e sfamati e, in questo modo, riuscirono a passare l'inverno.  Questo 'tour' , nel quale le donne svolsero il ruolo di 'cantastorie di sé stesse', contribuì molto a radicare nella memoria collettiva la vicenda.  

Una vicenda che continua ad essere rievocata

La vicenda della valanga di Bergemoletto, anche senza il cinema, fu portata a conoscenza di un larghissimo pubblico attraverso la stampa. Non solo in Italia ma anche in Francia (19), Inghilterra (20), Germania (21) (solo per i citare i paesi per i quali si rintracciano facilmente riscontri nella letteratura).  In Italia, oltre a Cesare Cantù, scrisse della valanga di Bergemoletto anche Michele Lessona (22), mentre innumerevoli sono le citazioni in enciclopedie, monografie, periodici di medicina, nivologia e valangologia. I racconti derivati dai primi resoconti ebbero tanta diffusione da essere riportati nelle antologie letterarie e persino nei libri di letture per le scuole elementari degli Stati Uniti (23). Di recente, non solo è stato pubblicato un nuovo libro sulla vicenda (24), ma sono state allestite anche delle piece teatrali basate sui resoconti, documenti e racconti sulla vicenda. Nel 2008 nell'ambito di un recital presso il Palamonti di Bergamo ("Lo strano caso delle sopravvissute di Bergemoletto"), nel 2009 presso l'Archivio di stato di Torino (ad opera della compagnia teatrale Anna Bolens e l'elaborazione drammaturgica di Piero Marcelli).
Un'ultima considerazione: tolti Brandizzo e Somis (e quanto ripreso direttamente da loro) i racconti successivi non esprimono un adeguato riconoscimento per le capre, vere co-protagoniste della storia. Di fronte alla diffusione (forte tra Settecento e Ottocento) di tanti pregiudizi negativi contro la capra questa vicenda che, sia pure in condizioni estreme, mette in luce la sua natura di 'amica dell'uomo', sarebbe stata una buona occasione per gli scrittori spezzare una lancia a favore di un animale tanto bistrattato.  È ora di riparare.




Note

(1) Le età sono quelle indicate dal medico Ignazio Somis che scrisse un minuzioso resoconto sugli aspetti medici, ma non solo, della vicenda. I. Somis Ragionamento sopra il fatto avvenuto in Bergemoletto, in cui tre donne, sepolte fra le rovine della stalla per la caduta d'una gran mole di neve, sono state trovate vive dopo trentasette giorni, Stamperia reale, Torino, 1758

(2) G. Alfani, "Alcune riflesioni sulle cause delle carestie in Italia settentrionale (XV-XVII secolo) in M. L. Ferrari, M. Vaquero Piñeiro (a cura di)  «Moia la carestia» La scarsità alimentare in età preindustriale, Il Mulino, Bologna, 2015, pp. 129-150

(3) G. Genè, Necrologia di Giuseppe Gautieri, I.R. stamperia, Milano, 1833.

(4) P. Sitta, "La diffusione della pellagra in italia (note di statistica tecnica e descrittiva)", in Giornale degli Economisti, Serie seconda, 19, (1899): 562-586


(5) G. Gautieri, Dei vantaggi e dei danni derivanti dalle capre in confronto alle pecore, Giuseppe Destefanis, Milano, 1816.

(6) D. Bello, Introduzione a Archivio storico dell'Ospedale psichiatrico di Racconigi, A.S.L. 17, 2007

(7) C. Nawroth, J.M. Brett, A.G. McElligott "Goats display audiencedependent human-directed gazing behaviour in a problem-solving task." in Biol. Lett. 12 (2016): 20160283.

(8) P. Spirito, La grande valanga di Bergemoletto, Cda&Vivalda,  Torino , 1995

(9)  Somis, medico del re preferì, per comprensibili motivi, a fare cenno alla 'soldataglia spagnola'  ma aggiunge anche riferimenti credibili alle negligenze e alla colpevole compiacenza di amministratori locali nei confronti della speculazione  sui tagli boschivi. Il riferimento ai tagli per le esigenze militari sabaude è contenuto in P. Spirito, op. cit. 

(10) R. Sansa, "una risorsa, molti significati. L'uso del bosco nelle regioni italiane in età preindustriale", in Guido Alfani, ‎Matteo Di Tullio, ‎Luca Mocarelli (a cura di) Storia economica e ambiente italiano (ca.1400-1850), Franco Angeli, Milano, 2012, pp. 256-272

(11) G.Gautieri, op. cit., p.67.

(12) M. Corti, "La capra. Una storia culturale (e sociale)" (18.12.2016) http://www.ruralpini.it/Capra_storia_culturale.html

(13) J. Bruni, H. Baker,  "An Account of What Happened at Bergemoletto, by the Tumbling down of Vast Heaps of Snow from the Mountains There, on March 19, 1755: As Taken by the Intendant of the Town and Province of Cuneo. Received from Dr. Joseph Bruni, Professor of Philosophy at Turin, and FRS Communicated by Mr. Henry Baker, FRS Translated from the Italian." in Philosophical Transactions, 49 (1755): 796-803 e in London Magazine, aug., 1757,  p. 395

(14) L'intendente chiama 'sorella' la cognata Anna.

(15) "Effet prodigeaux d'un éboulement de neige, arrivé dals le Piémont vers la fin del l'hiver de 1755", in Journ. etranger, Oct. 1757, pp.59-68 e in Journ. encycl., Oct. 1757,  pp.101-107; Nouvellist, oecon. et litter, Sept.-oct. 1757, pp. 106-110


(16) B. Chiara, Sessanta giorni in montagna, Bernardi e Falconieri , Torino 1913 (ora in: B. Chiara, Valle Stura terra di frontiere : sessanta giorni in montagna, Boves, Primalpe, 1991).

(17)  C. Cantù "La valanga",  in Indicatore ossia raccolta periodica di scelti articoli cosi tradotti come originali intorno alla lcttcratura italiana e straniera, alla storia, alle scienze fisiche ed economiche. Tomo I, Serie V,  Pirotta,  Milano, 1836, pp. 428-433

(18) Anche i detrattori delle capre non esitavano ad ammettere che il latte di capra rappresentasse "una medicina". 
(C.Colombelli, "L’alimentazione dell’infanzia dalla seconda metà dell’800 ai primi del’900", in Il Risorgimento, n 2, 1992, pp. 399-416),
Ciò fino ai primi decenni del XX secolo quando, con la diffusione delle 'Centrali del latte' si affermò l'idea della superiorità igienica del latte vaccino

(19)
 É.F. de Lantier,
"Extrait de la Relation d'un désastre arrivé dans les montagnes du Piémont, par la chute de avalanches" in
Oeuvres complètes de É.F. de Lantier, Desrez & Bertrand, Paris, 1837, pp. 522-526

 
(20) "An Account of what happened at Bergemoletto by the tumbling down of vast Heaps of Snow from the Mountains there on March 19 1755"  in Readings in Natural Philosophy: Or, A Popular Display of the Wonders of Nature, 1830, Whittaker Treacher & Co , London pp.377-378; "House overwhelmed by an avalanche", in Chambers' Edinburgh Journal, n. 332,  June 9 1838; The avalanche. The old man of the Alps, a tale, translated from the French (Account of the avalanche of Bergemoletto, in 1755), Clapham, London, 1829

(21) "Merkwürdige Geschichte eines Lawinensturzes in den Gebirgen von Piemont" , in Neue Jugendzeitung,  n. 65, 1 Juni 1816; "Ein Lawinensturz zu Bergemoletto", in Allgemeine Zeitung von und für Bayern, 26 februar, 1840

(22) M. Lessona, "Una valanga", in Bollettino Club alpino italiano, 1868, n.12, pp. 338-342

(23) S. S. Randall, "House overwhelmed by an avalanche" in The elementary school reader. Or moral class book. Designed for the use of schools and families, Bender, Albany, pp. 166-172

(24) P. Spirito, op. cit.


 

 

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