Ruralpini  resistenza rurale

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Nuovi schiavi nei campi.

E lo sfruttamento del contadino italiano?




































































































































































































































































































































































































Del problema della manodopera in agricoltura, dei nuovi schiavi, del caporalato abbiamo parlato di recente (vai a vedere). Già in quel  contributo al dibattito abbiamo ricordato l'azienda agricola piccola e media è costretta all'autosfruttamento. Assumere italiani in regola per molte aziende è un onere insostenibile, si fa a meno o si chiude. Il perché va ricercato nell'infimo valore dei prodotti "ammazzati" dalla globalizzazione, ovvero dall'apertura indiscriminata (libera concorrenza?) a prodotti agricoli con standard sociali e ambientali molto inferiori. Poi c'è un collocamento che non funziona, i contributi sociali elevati, la burocrazia asfissiamte che impone - anche a chi ha uno o pochi dipendenti - oneri pesantissimi per certificazioni, adempimenti per la sicurezza, corsi. Riprendiamo il dibattito con il punto di vista di un giovane montanaro, di tradizione malgara, attualmente dipendente di una azienda zootecnica. Che ha ben titolo per dire la sua quindi.


di Andrea Aimar


Quale manodopera nelle medio-piccolo aziende agricole italiane?

(21.05.20)   Una volta nella vita avrai bisogno di un dottore, di un avvocato, di un poliziotto e di un prete, ma ogni giorno, tre volte al giorno hai bisogno di un agricoltore dice Brenda Schoepp.

Argomento recente di discussione è stata la manovra del ministro delle Politiche Agricole, Teresa Bellanova, in merito al provvedimento di regolarizzazione di oltre 600 mila migranti. In Italia manca la manodopera in agricoltura… Le fragole troppo care? È perché mancano i migranti, queste alcune delle considerazioni dell’attuale ministro… E qui sono sorte le polemiche in difesa dei disoccupati italiani… Ma non si può fare di tutta l’erba un fascio… Ci sono stagionali extracomunitari che lavorano bene, e tanto di cappello, e ci sono italiani che in agricoltura manco ci vogliono andare. 


Basti pensare alla maggior parte dei mungitori, mansione prevalentemente svolta dall’etnia indiana, buona parte della squadre di raccolta ciliegie è composta da thailandesi, e molte attività cerealicole sono svolte da rumeni. Prima gli italiani? Sarebbe difficile pensare che alcuni laureati in storia dell’arte vadano a raccogliere zucchine, neo giurisprudenti a rastrellare fieno dietro un imballatrice, oppure ex direttori d’alberghi a togliere letame e cambiare giaciglio al bestiame. Quindi, qui non è argomento di razzismo, perché gente che lavora, e bene, non si trova necessariamente solo nel popolo italiano. Ma c’è un problema. Che la maggior parte dei stagionali immigrati, venuti nel nostro paese per lavoro, lasciando le loro famiglie nella loro terra natia, ovviamente, non investono pressappoco nulla in Italia, ma, tutto ciò che guadagnano, tolte le spese essenziali di sussistenza, mandano via i soldi, impoverendo involontariamente il nostro territorio. 


E' irrisoria la percentuale di extracomunitari che si serve nei piccoli negozi locali, dalla falegnameria, dalla sartoria del vicinale, che chiama il muratore del posto per un miglioramento al proprio domicilio, o che prenotare un boccone di cena nella trattoria del paesello. Cosa, che invece fanno gli italiani (anche se dovrebbero farlo maggiormente), perché qui sono nati, e qui vivono. Innescando il movimento di economia interna.

Non c’è da stupirsi di questa realtà, perché in tempi passati, pensando per esempio al dopo guerra, quanti dei nostri nonni sono emigrati all’estero, in cerca di lavoro? Eppure anche loro non hanno investito altrove, se non il tempo e l’emarginazione. Ma i tempi sono cambiati. Ed è questo che fa la differenza. Ora, un dipendente non italiano regolare in Italia, dopo 20 anni di stipendi - alcuni anche per periodi più brevi-,  al rientro nei propri paesi (con standard di benessere ben lontani da quelli europei), può permettersi di vivere più che tranquillamente.



Qui con 20 mila euro a malapena si riesce a comprare un'autovettura, là, con la medesima cifra, ci si costruisce una bella casa dalle fondamenta al tetto. Anche per questo motivo gli extracomunitari fanno lavori che molti italiani non vogliono più fare. Perché al loro rientro a casa, ciò che si guadagna qui con uno stipendio base, là triplica il valore.  Qui non è il fatto di obiettare a o di favorire determinate manovre politiche ma di saper riflettere sul problema in tutto il suo contesto. C’è bisogno di agevolare le assunzioni in primo luogo. Punto! Che sia un italiano o  dell’Arabia Saudita spetta al direttore d’azienda poter valutare le competenze più consone alla propria attività. L’agricoltura italiana è un fiore all’occhiello, un bellissimo biglietto da visita in tutto il mondo, con eccellenze locali invidiate da molte altre nazioni. Ma i prodotti non crescono di notte, sulle piante, da soli, c’è bisogno di mani sapienti a lavorare dietro. 


Basti pensare a quanti settori inducono ad una preparazione di conoscenze non indifferenti, come l’enologia, la potatura, le filiere lattiero-casearie… Qui non basta avere agevolazioni nell’assumere l’uno o l’altro. Qui c'è bisogno di gente che sappia lavorare, ed abbia voglia di lavorare, essendo consapevoli di cosa si sta facendo. Perché, per molti, l’agricoltura è il semplice raccogliere frutta, ma, nella realtà, il settore agricolo è un insieme complesso di tecniche, informazioni e malizie, non da meno di un qualunque altro moderno settore che ha bisogno di manodopera specializzata.


Invece le manovre riservate a determinate categorie di persone, ovvero chi non è italiano, non fanno altro che accendere rancori e divisioni. Lasciate agli imprenditori la possibilità di assumere chi vogliono, senza ammazzarli di costi e adempimenti. Di aziende agricole medio-piccole a conduzione famigliare, c’è ne sono molte che avrebbero bisogno di un aiuto, ovvero dell'assunzione di uno o più dipendenti, ma se si continua ad importare container di olio estero, latte che arriva da chissà dove, grano non europeo, caricando sulle imprese locali migliaia di euro di oneri all'anno solo per “tener in regola” i propri dipendenti (italiani), non c’è da stupirsi se le aziende si rifiutano di assumere.



E' riduttivo dire che non c’è lavoro, o che si “sfruttano” gli stagionali. Se si iniziasse piuttosto a riflettere su quanto paga il produttore agricolo, in termini economici e di aggravi burocratici, rispetto ai pochi centesimi del valore del prodotto (frutta, latte, grano, mais ecc…) è evidente che si converrebbe che qualcosa non quadra.  L’Italia è un bel paese, ci sono persone che con la terza elementare hanno creato aziende, che hanno dato posti a centinaia di persone, ci sono famiglie che hanno investito generazioni di tecnica e sapienza nelle loro attività, e ci sono giovani pronti a credere, ed inseguire, i propri sogni, quello di poter continuare l’attività agricola di famiglia, ereditata dal nonno con quell’orgoglio e umiltà che, a volte, con il progresso, si è estinto. 


Se si vuole far ripartire le medio-piccole aziende agricole italiane bisogna togliere parte dei fardelli che incidono notevolmente su qualsiasi attività si voglia intraprendere. Un notaio per un cambio di successione, qualche firma, e molte formalità cartacee chiede diverse centinaia di euro, un calciatore per correre dietro ad un pallone viene pagato miglia di euro, deputati e sanatori stipendiati lussuosamente a vita, mentre ci sono migliaia di agricoltori, che 365 giorni all’anno, lavorano a volte intere giornate sotto al sole per vedersi i propri prodotti sottopagati, soffocati da oneri di vario tipo, beh, questo è vergognoso. 


Ciò che salva gli agricoltori è la passione. Amare il proprio lavoro… perché se contassero tutte le ore di lavoro che investono nei loro campi, nelle loro produzioni, nel proprio bestiame, risulterebbe che chi è sottopagato, sono gli agricoltori italiani, non gli extracomunitari





(03.03.2020) Le organizzazioni agricole in Italia non svolgono un ruolo efficace di tutela politico-sindacale. Condizionate dal loro incarnare altre funzioni, spesso in conflitto di interessi con quella che - in teoria - dovrebbe essere principale.  Erano - la Coldiretti in particolare - organizzazioni di massa, funzionali al consenso politico; sono diventate centri di servizi, in ultimo organizzazioni para-commerciali. leggi tutto


 L'arte dello sfalcio manuale. Una tecnica per giovani (di Andrea Aimar)
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