Condividi
al tempo del contagio
Socialità contadina versus tristezza tecnologica
La
segregazione (eufemisticamente "distanziamento sociale") forza
l'ulteriore affermazione di forme di socializzazione e di "svago"
mediate dalla
tecnologia, controllate e impoverite. Una prefigurazione di un tristo
futuro? Intanto è occasione per riflettere sul graduale processo di
compromissione della socialità spontanea, del gioco, della ritualità,
della festività, della convivialità semplice e gioiosa. Un processo che
è coinciso con il passaggio dalla comunità contadina alla ormai
generalizzata "forma di vita urbana". L'idea, tutt'ora prevalente e
accettata acriticamente, di comunità di montagna del passato cupe e
miserabili (diffusa dalle elite della società urbano- industrial-
tecno- buro-scientifica) va totalmente ribaltata
di
Michele Corti
(16.04.20)
La cultura egemone (urbano- industriale- tecnoburocratico- scientifica)
si è affermata, sul piano ideologico, imponendo ai dominati il
riconoscimento aprioristico e indiscutibile della sua superiorità e il
convincimento che la condizione premoderna, pre-industriale, la vita
delle comunità rurali del passato fosse, sotto tutti i profili,
il regno della miseria, dell'ignoranza, della superstizione,
dell'oppressione. Posta in questi termini, ovvero di
contrapposizione tra un presente di benessere e libertà e un passato di
fatica, privazioni, isolamento, ignoranza, la versione più rozza
dell'apologia della modernità, tutt'ora accreditata da buona parte dei
media, scuola, intellettuale, è niente di più che una
superstizione. La storia insegna che le comunità rurali, specie
quelle di montagna, ancorché essere le più misere, le più chiuse, erano
quelle con la più elevata alfabetizzazione. All'inizio dell'Ottocento
l'alfabetizzazione nella montagna lombarda è nettamente più elevata che
nella pianura. Gli analfabeti erano pochissimi sia tra i piccoli
proprietari che i malghesi. Merito delle istituzioni autonome
locali (a livello di comune e di frazione) che, in ancient régime,
avevano promosso scuole in grado di mettere il montanaro in condizione
di far di conto e di scrivere. L'emigrazione, spesso qualificata, la
transumanza imponevano al montanaro non solo di saper far di conto ma
anche di conoscere situazioni commerciali, economiche, politiche che
potevano influire sulla sua attività. Recandosi spesso anche in altri
stati riportava ogni anno al paese le notizie di quello che succedeva
nel mondo. Così come la "chiusura" e l'"ignoranza", anche altri
aspetti che cnvergono a definire quadro fosco con il quale sono dipinte
le comunità rurali, specie quelle di montagna, sono - tutt'altro che
paradossalmente - la conseguenza della modernità. Miseria, chiusura,
ignoranza sono la conseguenza dell'esproprio di risorse,
dell'imposizione di regole elaborate da lontani uffici burocratici,
dell'abolizione dell'autogoverno e dell'autogestione dei beni
collettivi per affidare l'amministrazione delle cose locali a notabili
nominati dai poteri centrali, a organi periferici di amministrazioni
dello stato (per l'amministrazione forestale dagli inizi
dell'Ottocento, per quella agricola dagli anni Trenta del Novecento).
Il montanaro, che non poteva più discutere - e decidere - con gli altri
capifamiglia gli affari locali nell'ambito di istituzioni democratiche
locali quali erano le vicinie, ma anche gli stessi comuni (almeno in
Lombardia con la riforma di Maria Teresa, ripresa nel Lombardo-Veneto),
ridotto a suddito anche nell'ambito della vita locale, poteva solo
mugugnare e protestare. Questo ha spento lo spirito civico e spinto al
chiudersi nel particolare, nella diffidenza, nell'egoismo,
nell'invidia. Tanto più che le trasformazioni in atto stavano erodendo
anche quegli "istituti" della vita comunitaria che assicuravano i
meccanismi della solidarietà e della coesione delle famiglie e dei
gruppi all'interno della comunità attraverso un generale impoverimento
degli elementi della socializzazione e della riproduzione della cultura
locale. Su questo aspetto, al centro della nostra riflessionw torneremo
a breve.
La "cupa e meschina" realtà della comunità ruralpina è frutto di una non disinteressata narrazione dell'elite urbana
Per quanto riguarda gli aspetti alimentari abbiamo già avuto modo di illustrare nella Dieta alpina (qui la presentazione),
come nel corso dell'Ottocento i bilanci alimentari (i termini di
calorie, proteine e altri nutrienti) della famiglia montanara lombarda
(ma ovviamente vale anche per le altre regioni) siano nettamente
peggiorati, raggiungendo tra gli anni '70-'80 di quel secolo, il punto
più basso di un arco secolare. I motivi vanno individuati nella
progressiva "presa" degli apparati burocratici e repressivi dello stato
sulla vita locale, una presa che si è tradotta in privatizzazioni di
beni comuni (o di enti ecclesiastici) a favore di strati privilegiati
legati al potere, in vincoli e divieti atti a limitare la possibilità
di trarre risorse dal territorio, in tasse sempre più esose tra cui
quelle più odiose furono il "macinato" e la tassa sulla macellazione
casalinga degli animali.
Questi fattori interagivano con una forte crescita demografica che
rompeva un equilibrio tra popolazione e risorse faticosamente mantenuto
(anche con la valvole dell'emigrazione) nei secoli precedenti. La
patata e il mais rappresentarono le soluzioni per migliorare, a prezzo
di un duro investimento in fatica umana - applicata all'unità di
superficie - l'approvvigionamento calorico. Questo "aggiustamento"
comportò gravi squilibri nutrizionali, specie in quanto accompagnato
dalla diminuzione del consumo di carne, di proteine, a un generale
impoverimento della dieta con la scarsa assunzione di vitamine e
aminoacidi essenziali. La tragedia, oggi dimenticata, della pellagra
non è il frutto della "miseria contadina" ma dell'oppressione della
società urbana, capitalista, borghese sul mondo rurale. Una bella
differenza.
All'impoverimento alimentare ha corrisposto, nell'ambito di
sgretolamento delle comunità contadine, anche un impoverimento nei
costumi, nell'abbigliamento, nelle espressioni della festa, del rito,
della socialità in genere. La "cupa" realtà della comunità contadina è
qualcosa di molto moderno ed è strettamente legata all'impoverimento
materiale (e non solo materiale), al crescente controllo degli apparati
della società urbano- industriale- scientifica sulla vita locale,
comunitaria, dei gruppi, delle famiglie delle persone. Immagine
di miseria e di "cupezza" solo la conseguenza della subalternità,
dell'abbandono di forme spontanee e autonome di espressione culturale
per subire quelle della dominante cultura urbana. Quella che non
era più una cultura relativamente autosufficiente, in grado di
riprodursi dal basso, era diventata la versione "bassa" di un unica
cultura dominante, stratificata in base al ceto. Lo stridente
contrasto tra la versione "alta" e quella "bassa", metteva in evidenza
lo stato di inferiorità e di miseria dei ceti subalterni. In precedenza
le comunità rurali erano ricche di proprie espressioni culturali e
mantenevano propri sistemi di valori, di conoscenza.
Le nuove forme sociali le hanno cancellate sostituendole con la
versione "di massa" della cultura dominante, con quelle espressioni
preconfezionate che il sistema dominante di produzione di cultura
concedeva ai subalterni di consumare. Questo processo ha
riguardato l'alimentazione, l'abbigliamento, le forme di
socializzazione, di celebrazione festiva, i riti.
Nella fase della cultura "di massa", con l'accento sul consumo,
anche lo svago, la socializzazione , la festa, il divertimento, il
gioco hanno ritrovato spazio ma come forme di consumo "confezionate",
lasciando sempre meno spazio alla produzione di cultura, di socialità.
Si è sempre più spettatori, ascoltatori, ricettori passivi.
Dall'etica della rinuncia all'esaltazione dell'edonismo senza freni
L'epoca del consumismo andava a scalzare quella dell'austerità, una
austerità imposta che sconfinava con la miseria da non confonvere con
la povertà che è rigetto del superfluo, dello spreco, sobrietà
Passando dalla celebrazione della parsimonia e dell'autosacrificio
(finalizzate a sfruttare il contadino) a quella del consumo
(finalizzata a sostenere il mercato e il ciclo capitalista) si è
dimenticata la sobrietà, il senso del limite, la morigeratezza.
La "cinghia tirata" era funzionale allo sviluppo industriale grazie
alla disponibilità di forza lavoro a basso costo. Ciò era vero, almeno
inizialmente, per quella emigrata verso le aree industriali e, a
maggior ragione, per quella occupata nei fondovalle o allo sbocco delle
valli. Il collegamento della manodopera (maschile e femminile) con l'
ambiente rurale, la possibilità di alternare il lavoro industriale con
quello agricolo e l'inserimento in famiglie con autoproduzione
alimentare, non solo consentiva agli industriali di pagare bassi salari
ma anche di non pagare lo scotto della sindacalizzazione e delle lotte
operaie.
Ai bassi salari della componente rurale occupata nelle industrie (spesso solo femminile come nel tessile)
si univano la già ricordata pressione fiscale che penalizzava il
contadino in quanto "possidente" (di un fazzoletto di terra) e come
consumatore di beni indispensabili e il rapporto sfavorevole tra prezzo
dei prodotti agricoli e prezzo dei beni acquistati dai contadini.
In tutti questi modi il contadino ha finanziato lo sviluppo
industriale. La miseria, era imputata alla sua "arretratezza" non a
queste forme di sfruttamento. Lo stato, gli esponenti "illuminati"
delle classi dominanti che esercitavano la loro azione pedagogica sui
contadini, sempre al fine di staccare il contadino dai mezzi di
sussistenza e di produzione per farne forza lavoro salariata o un
produttore dipendente dal mercato, dovevano essere ringraziati per la
loro azione civilizzatrice e modernizzatrice.
L'epoca più buia per le classi subalterne (la prima
industrializzazione) ha visto le comunità rurali non solo ridurre i
consumi alimentari (circa 2000 calorie al giorno) ma anche incupirsi e
intristirsi tutta la condizione di vita. Il processo di annullamento
delle espressioni culturali era già iniziato da tempo. E' con l'inizio
della modernità che la dimensione della festa, del gioco, della musica,
della danza si vanno contraendo. Lavorare di più, mangiare di meno,
divertirsi di meno. Questo il programma della modernità per le classi
popolari. Che prevedeva mezzi "correzionali" inediti e crudeli: i
manicomi, le case di lavoro coatto (work house inglesi degne del gulag
ma realizzate anche dalle nostre parte). La leva obbligatoria, una
delle "riforme rivoluzionarie" della borghesia comportava un ulteriore
strumento di disciplina, di inquadramento, di "acculturazione". La
caserma era il paradigma della prima società industriale sulla quale si
sono modellati tutti i suoi principali istituti di controllo sociale.
La fabbrica non era organizzata diversamente da una caserma.
Diversi aspetti del programma della riforma cattolica e le varie forme
di puritanesimo hanno fatto da pendant alle forme di disciplinamento,
coercizione e correzione statali. Gli effetti della "polizia dei
costumi" , della morale sessuofobica, adeguata a una società-fabbrica,
senza distrazioni, dedita al lavoro (per sopravvivere da sfruttati o
per accumulare) si sono protratti sino al sessantotto. Poi l'esplosione
dei consumi e l'esigenza di sgretolare ogni forma interposta tra
l'individuo e i meccanismi del mercato e del consenso di massa hanno
indotto a eliminare ogni vincolo (appartenenza, lealtà, solifdarietà
organica) al desiderio individuale su cui fa leva l'economia del
consumo.
Con la morale bigotta, prima utile in una fase dello sviluppo
capitalistico , sono stati travolti anche la famiglia e ogni valore men
che liquido e relativo in grado di ostacolare l'individualismo
egoistico e utilitarista. Il conformismo senza battere ciglio è
transitato dalla bigotteria sessuofobica al libertinismo. Quella che
veniva liquidata come la "società contadina", caratterizzata da
miseria, austerità, culto del lavoro e del sacrificio, soffocante
controllo sociale, familismo, macerazione nella rinuncia, era una
società contadina già snaturata, piegata alle esigenze della disciplina
industriale. Un fantasma di società funzionale addomesticato in
funzione deli interessi dominanti urbani.
Dell'alimentazione, impoverita, abbiamo già accennato. Vale la pena
accennare ad altri aspetti del costume (giochi, danze, musica). Vediamo
una descrizione dei malghesi della Lessinia dei primi del Novecento
Le donne s'adornano ancora
più con anelli, orecchini, spilloni e collane d'oro [...]
Gli uomini amano passarsela coi giuochi delle boccie (borelle)
delle carte e della morra e ricrearsi spesso o colle donne alla danza
o bevendo da soli vino all'osterie [...] Robusti, grazie altresì a tali cibi
nutrienti, attivi nè mai obbligati a gravi fatiche [...] (1)
Bastano questi pochi accenni per comprendere che ancora all'alba del
secolo scorso il montanaro si "ricreava spesso colle donne alla danza",
che aveva tempo per le bocce, le carte, la morra e che le sue
donne non disdegnavano di ingioiellarsi. Che l'etica dell'asino da soma
non sia stato l'ideale dei nostri antenati (ma qualcosa di subito e che
ancora oggi scioccamente si esibisce come un blasone) ce lo fanno
capire altre testimonianza. I mandriani svizzeri, kuer, che in alcune
epoche hanno praticato anch'essi una forma particolare di "nomadismo
alpino":
trascorrevano l’estate sull’alpe "per diventare robusti" e non per
lavorare. Proprietari di greggi, per natura, piuttosto pigri, amavano,
ogni volta che se ne presentava l’occasione, fare sfoggio della loro
forza e della loro destrezza nei giochi e nei concorsi. La danza, in
particolare, consentiva di far ammirare la loro straordinaria agilità .
Giochi
alpestri in Svizzera. La "lotta svizzera" e i giochi alpestri
costituiscono un evento nazionale molto istituzionalizzato. Vengono
chiamati "Giochi federali" e l'esercito è impegnato per la preparazione
delle strutture. L'ultima edizione ha visto il concorso di 250 mila
spettatori
In
Svizzera i giochi di forza dei malghesi sono diventati un elemento di
quella "cultura alpestre" che l'elite cittadina ha utilizzato per
costruire l'identità svizzera. Quindi sono rimasti in voga sino ad oggi
sia pure nella forma celebrativa e sportiva, tanto da diventare i
"giochi federali". E' interessante notare che le stesse espressioni
della cultura ruralpina in un certo contesto sono state
istituzionalizzate, in altri scoraggiate ed eliminate. Danza, giochi di
forza (alla svizzera e alla scozzese, quindi di matrice celtica),
sport, espressioni musicali di diverso genere (con "rusticani
strumenti"), jodel, li ritroviamo tra i malgesi della lombarda
Valsassina se torniamo indietro al Cinquecento, ovvero prima
della Controriforma, ma anche della crisi economica, sociale,
climatica (il "raffreddamento globale" o "piccola glaciazione") e
sanitaria del Seicento, Paride Cattaneo Della Torre, canonico di Primaluna, nel 1571, scrisse una Descrizione della Valsassina che venne pubblicata dopo quasi tre secoli dall'ing. Giuseppe Arrigoni (3).
[...] ritrovandosi
[i pastori] ben pasciuti et grassi godono assai quella morbida et
poltronesca vita [...] vederansi a belle squadre danzare, ballare et
saltare, altri correre, altri sonare et cantare, altri nel chiaro
fiume, piano et piacevole nuottare et pescare, altri vedrai lottare,
far correr cavalli, dei quali in gran copia ivi sempre si ritrovano,
altri fanno risuonar gli antri, caverne spelonche, li cavi sassi, li
alti colli et le basse valli da lor frequenti gridi, urli et fremiti [jodel],
da rusticani stromenti, di varie et diverse sorti, et da repetiti nomi
delle sue dolci et grate favorite.
Paride Cattaneo Della Torre così continua:
Altri essendo poi pieni di cibo si
vedono prostrati supra le verdi herbe sonnacchiar, dormire, et ronfare
et altri per fuggire l'otio vedransi tirar il palo, lanciar dardi,
giochar alle braccia [braccio di ferro], tirar il sasso [vedi giochi svizzeri], giocar a carte, tesser spartelle
[cesti di vimini] et altri degni esercitii far li vedrai, cose che a lor dan spasso et a
risguardanti trastullo et grato piacere.
Tra i "rusticani strumenti", oltre alla cornamusa (baghèt) e alle zampogne (flauto di pan, firlinföo) vi era anche il corno alpino in legno (sotto nell'affresco del ciclo di San Glisente a Berzo inferiore, val Camonica).

Pare di ritornare a una età mitica, all'età dell'oro, ma stiamo
parlando dell'inizio dell'età moderna. Ancora all'inizio
dell'Ottocento, però, le danze e l'utilizzo dei "rusticani strumenti"
era praticato dai malghesi della Valsassina.
[...] Maggio
villaggio di rustiche casupole poste qua e là per un amena prateria
dolcemenite inclinata ed abitata da soli mandriani che fanno eccellenti
stracchini. Bella è la sagra
che qui si tiene sul principio di settembre ove quei montanari al suono
delle cornamuse e delle rusticali zampogne accompagnato da popolari
canzoni menano carole sull erboso clivo (4).
A differenza della fabbrica dove il ritmo e il "sottofondo musicale"
sono dati dalle macchine , il lavoro agricolo e pastorale è rimasto
sino all'ultima fase della "grande trasformazione", l'inabissarsi della
residua società contadina tra gli anni '50 e '70 del secolo scorso,
caratterizzato dal canto. Il peso del lavoro, anche quello
pesante e rischioso, era alleviato dalla coralità, cui poi è subentrato
silenzio e solitudine secondo
l'inarrestabile tendenza - tra medioevo e contempraneità all'aumento
del numero di animali affidati a un pastore. Ancora nella prima metà
del secolo scorso valevano queste osservazioni relative alla
Valtellina:
La quiete del meriggio era talvolta intervallata dai canti intervallati da "jodel" gícui di ragazze che raccoglievano céra [fieno "selvatico"] sui
dirupi: anch’esse a quell’ora si riposavano, attendendo che l’erba falciata si essicasse, per poterla portare a casa, in grossi
fasci. Giovani pastori o i cascii [pastorelli] rispondevano con "jodel" (5) .
Analoghe le osservazioni del Pensa che riferendosi alla raccolta del fieno selvatico nelle valli lariane
osservava:
Era tuttavia, quell’impegno che occupava tra la prima e la seconda fienagione sui maggenghi, un momento da cui i giovani
non rifuggivano quasi gustando la libertà della natura e, mentre tagliavano l’erba magra, moncif o scernion, come la si
chiamava in dialetto, lanciavano, da una parte all’altra delle valle, il cigol [jodel], tipico grido di presenza e di richiamo, festoso
segno del gusto di vivere insieme (6)
404.
(1) Luigi Sormani Moretti, La Provincia di Verona monografia statistica, economica amministrativa.
Condizioni economiche della provincia,
vol. II, Olschki, Firenze, 1903. p. 35.
(2) A
Niederer, Economia e forme tradizionali di vita nelle Alpi, in Storia
e Civiltà delle Alpi. Il destino umano, a cura di P. Guichonnet, Milano
1987.
(3) G. Arrigoni Documenti inediti risguardanti la storia della Valsassina e delle terre limitrofe, Milano, Pirola, 1857 pp.37-38.
(4) I. Cantù. Guida pei monti della Brianza e per le terre circonvicine, Milano, Bravetta (1837) (1a ed. 1818), p. 216.
X. Toscani, L’alfabetismo
nelle campagne dei dipartimenti del Mincio e del Mella e nelle alte
valli del Serio e dell’Adda (1806-1810)”, in A. Bartoli Langeli, X.
Toscani, Istruzione, alfabetismo, scrittura. Saggi di storia
dell’alfabetizzazione in Italia (sec. XV-XIX), Milano, 1992, pp. 109-148 (p. 236).
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Articoli
correlati
(03.03.20)
Le organizzazioni agricole in Italia non svolgono un ruolo efficace di
tutela politico-sindacale. Condizionate dal loro incarnare altre
funzioni, spesso in conflitto di interessi con quella che - in teoria -
dovrebbe essere principale. Erano - la Coldiretti in particolare
- organizzazioni di massa, funzionali al consenso politico; sono
diventate centri di servizi, in ultimo organizzazioni para-commerciali. leggi
tutto
Produzione
cibo sempre indispensabile
(29.03.20)
Cosa mangeremo? Intanto se non hai la partita Iva e codici Ateco
vietato coltivare. Riflessioni sul rapporto tra pandemia e cibo.
Inutile negare "per non fare allarmismo" le tensioni sui prezzi e che
alcuni paesi stiano chiudendo l'export. Ci sono anche rischi da
chiusura di frontiere, divieto di attracco di navi che hanno fatto
scalo in Italia. Ogni stato pensa prima di tutto al suo interesse;
l'Europa unita e il mondo iperconnesso del free trade appaiono
pericolosi inganni. leggi
tutto
|