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Montagna sfregiata

Giù (ancora una volta)
le mani dal Lagorai


L'accanimento con il quale i grandi interessi economici (locali e non) tentano, in modo ricorrente, di mettere le mani sul Lagorai, la catena montuosa tra Valsugana e Val di Fiemme, chiarisce bene perché si vogliono "togliere di mezzo" le attività tradizionali. Nel progetto TransLagorai si  parla ipocritamemente di "ristrutturazione" delle malghe ma nel senso di loro sostituzione con strutture turistiche. Montagna del silenzio, con ancora malghe in attività (sia pure in mezzo alle difficoltà di politiche industrialiste, di malinteso igienismo, di regole burocratiche pensate per grandi caseificie aziende agricole di pianura) il Lagorai rischia di essere omologato a tante altre aree alpine solcate dalle strade e oggetto di "valorizzazione turistica". Ma che bisogno c'è di fare così anche nel Lagorai quando sulle alpi le strutture turistiche sono spesso sottoutilizzate? Non si potrebbe valorizzarne l'originalità con forme originali di fruizione senza grossi rifugi in quota? Anche questa volta, però, il progetto che minaccia il Lagorai trova una fiera opposizione. Fa però riflettere come la SAT (il Cai trentino) sostenga a spada tratta il progetto. Fa capire la natura di un certo ambientalismo (di comodo).

La Libera Associazione Malghesi e Pastori del Lagorai dice NO al progetto  “TransLagorai”

(21.10.18) I tentativi di manomissioni umano/politiche nel Lagorai, definito dallo scrittore Franco de Battaglia,  l’ultima zona decompressa del Trentino, hanno una  storia lunga decenni. Dopo la faticosa ricomposizione degli alpeggi,  seguita alla “ devastazione esemplare” della Grande Guerra, fu la tragedia del Vajont ha scongiurare, a metà degli anni ’60, la costruzione di quella enorme diga che avrebbe sommerso tutta la val Calamento.
Malga  Cagnon di Sotto fu miracolosamente salvata negli anni ’70, grazie ad una coraggiosa azione firmataria della popolazione di Télve contro un devastante insediamento turistico, previsto dal Piano Provinciale di Fabbrica che prevedeva  impianti sciistici e due mega alberghi.



Nel l’89 fu ancora Télve, grazie al tenace impegno del sindaco Carlo Spagolla, a bloccare il metanodotto della Snamprogetti di Fano, su incarico della Ditta Girardi di Feltre, il cui tracciato avrebbe interessato la Val Calamento, il Manghen o Ziolera, per raggiungere poi Ora. A metà degli anni ’90  Berlusconi tentò, senza successo,  di acquistare a peso d’oro la Val Cia, con l’idea di farne una seconda Cortina. Per non parlare dei Patti Territoriali del Tesino, nel 2000, da dare in gestione alle Spa dei ricchi locali. Patti voluti da Dellai e controfirmati dalla verde Berasi, contro la forte opposizione del compianto ex Assessore all’Ambiente Walter Micheli e la bocciatura dell’Università di Venezia, che ne aveva curato gli studi di fattibilità. E vogliamo parlare del progetto della lunga galleria che potrebbe collegare il Veneto, in qualche decina di minuti, con il Primiero,  fortunatamente andata nel dimenticatoio?



I Lagorai insomma sono  sempre stati oggetto costante di mire speculative come l’idea di farne un Parco attrezzato,  non con un piano preciso, come quello studiato e proposto nel ’65 da Gino Tomasi, teso ad impedire che a livello politico e culturale s’affermasse un’idea distorta di “parco” , esclusivamente turistica, consumistica, ma per   valorizzare con nuovi flussi turistici un giacimento ambientale inutilizzato, proposto dall’architetto di Borgo, Enrico Ferrari, dirigente provinciale. Ma il Lagorai,  tutto sommato, ne è sempre uscito miracolato, grazie alla forte resistenza sociale dei suoi abitanti e all’impegno chiaro e decisivo di quella che fu un tempo la Sat che, nel Convegno dell’89, in concomitanza con l’uscita del libro LAGORAI di Franco de Battaglia sosteneva: il pericolo maggiore di questo gruppo ( Lagorai ndr) è proprio questa lebbra strisciante, questo tumore, questa metastasi di piccoli interventi fuori di ogni controllo che accadono al di là delle necessita di mantenere l’uomo sulla montagna , di ripristinare
l’alpeggio”. ..sappiamo tutti di cosa stiamo parlando: tratti nuovi di strada, allargamenti, aperture, baite, una strada che poco a poco diventa scorrimento tra due valli invece che per portare alla montagna.”



La Sat di allora, ben sapeva quanto fosse importante per il fragile assetto idreologico del Lagorai, la cotica di malga formatasi nei secoli dall’uso attivo del pascolamento in quota. E in quest’ottica la Sat di allora aveva riconosciuto il Lagorai come ultima zona trentina della resistenza casearia dove un turista, lontano dai miti e dai riti del turismo di massa, può ritrovare l’autenticità osservando il lavoro dell’uomo, i suoi animali, appetire il suo cibo in un interessante scambio di socialità tra cultura urbana e rurale. E dentro questa filosofia c’è  il pensiero di Franco de Battaglia, riportato nel suo libro: “ occorre promuovere il ripristino delle malghe, la lavorazione di latte e formaggi di qualità, con prospettive di reddito sicure anche se in un primo tempo non elevatissime, all’uso della montagna estiva…di impedire che l’agricoltura e la zootecnia di montagna vengano cancellate dalla logica dei grandi mercati internazionali come di fatto sta accadendo,di creare  una identità riconosciuta ed apprezzata, per far tornare le popolazioni protagoniste del loro territorio. Il turismo dovrà e potrà esserci, ma “dopo”, quando questo reticolo saldo sia già stato costruito, quando la vita sulla montagna si sarà ancorata con radici realmente costruttive”.



 Ed ora ecco l’ultimo progetto, denominato TransLagorai, paradossalmente
ideato dal Dipartimento Aree Protette della Provincia di Trento, reso pubblico nell’agosto di quest’anno dall’ amministrazione provinciale e  che vede coinvolti la Magnifica Comunità di Fiemme, il Comune di Ziano di Fiemme, il Comune di Télve, Comune di Scurelle, il Comune di Canal San Bovo, il Parco di Paneveggio-Pale di San Martino, ovvero i proprietari di sette malghe  “ da ristrutturare” per “ riqualificare” il Trekking della traversata del Lagorai , che si snoda per 85 km a ridosso delle creste in quota, attorno ai 1800-2600 metri , sfruttando in buona parte i sentieri e le vecchie mulattiere della Guerra  14-18. Il primo ad andarci a nozze non poteva che essere l’ Assessore all’Ambiente della Provincia di Trento, Gilmozzi. Ma questo non stupisce.



 Preoccupa invece che il progetto abbia avuto l’avallo della SAT- Società Alpinisti Trentini nella persona del suo presidente Anna Facchini,  che in un’intervista precisa: “ Le malghe, con le dovute precauzioni, possono essere ristrutturate per diventare una sorta di posti tappa gestiti, che potrebbero funzionare anche come presidio del territorio”.  Malghe quindi da ristrutturare a solo scopo turistico non affiancando ad esso una intelligente promozione delle attività zootecniche d’alpe,  di cui necessita il Lagorai. La Libera Associazione Malghesi e Pastori del Lagorai, nei suoi quasi vent’anni di vita associativa, può testimoniare come la malga, intesa in quanto luogo di pascolo e produzioni casearie e quindi  autentico presidio del territorio montano, sia sempre più ricercata da giovani trentini che hanno scelto di lavorare nel comparto della piccola zootecnia di paese, funzionale alla sopravvivenza delle malghe.
 La più penalizzata tra tutte  è chiaramente malga Lagorai, che senza averne colpa, paga quella scelta scellerata di far convogliare tutto il latte d’alpeggio nel caseificio di Cavalese, con il conseguente abbandono delle strutture sprovviste di strade, con il malghese artigiano relegato a ruolo frustrante di pastore-mungitore paradossalmente multato se sorpreso a produrre una sola formaggella per consumo personale. E che dire del cambio di destinazione d’uso  di malga Valsolèro di Sopra, nel comune di Télve, posta in piano area ZPS ( zona a protezione speciale) con appena più in basso la ex malga Valtrighetta, albergo e ristorante comunale chiusi da dieci anni ? Quale escursionista ( e questo vale per tutte le malghe inserite nel progetto) scenderà centinaia di metri per poi risalire in quota?
La nostra associazione aderisce totalmente al pensiero dello storico dell’alpinismo Alessandro Gogna che definisce il Progetto TransLagorai “ un grimaldello per andare oltre…come già è successo in val di Fassa, in val Gardena e in Campiglio”; meno invece con quello dell’antropologo Salsa quando sostiene, genericamente, che non ci sia “ paesaggio senza l’uomo”.
 Non sarà certo l’uomo fruitore occasionale  di Alpi e Prealpi a riscriverne bellezza e salute, ma ancora e sempre il malghese-pastore, in quanto non solo uomo mitico capace di produrre un formaggio secolare, ma uomo che sunteggia e preserva tutte le biodiversità della montagna. Il nostro è quindi  un No chiaro e forte al Progetto TransLagorai e invitiamo tutti coloro che lo hanno ideato, promosso e avvallato, di agire scientificamente :  di “ prendere tempo ” per ristudiarlo attorno a un tavolo insieme ad un Comitato rappresentativo delle migliaia e migliaia di persone che stanno aderendo al gruppo fondato da Alessandro Ghezzer “ Giù le mani dal Lagorai”.

Laura Zanetti,
fondatrice Libera Associazione Malghesi e Pastori del Lagorai

Stefano Mayr
, presidente Libera Associazione Malghesi e Pastori del Lagorai






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