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Politica
Grazie
pastori sardi
(13.02.19)
La solidarietà con i pastori sardi rischia di essere un
esercizio stucchevole. Invece noi vogliamo ringraziarli perché in
Italia i pastori e gli allevatori, realtà poco omogenee e disperse,
quasi sempre soffrono e chiudono in silenzio, strangolati dalla
globalizzazione, dalla burocrazia, dall'ambientalismo da salotto
urbano. Loro no, consapevoli che la crisi della pastorizia è crisi
della Sardegna, giocano la loro protesta sul piano politico e
dimostrano che è meglio arrabbiarsi che consumersi nella sofferenza,
protestare ad alta voce piuttosto che piagnucolare, prendere per il
collo la politica e gli industriali piuttosto che pietire, organizzarsi
da soli piuttosto che delegare alla Coldiretti, Detto questo bisogna
chiarire che la situazione dei pastori sardi è causa di due mali
concomitanti: la globalizzazione e il pecorino romano. Solo il 30% del
latte
ovino sardo è trasformato in "romano" (carico di sale e molto meno
pregiato del "fiore" sardo) ma le fluttuazioni del
prezzo di mercato (è sceso in un anno da 7,5 a 5,5 €/kg all'ingrosso a
causa di un export che non va) trascinano, con un ritardo
di un anno, senza pietà il mercato del formaggio ovino dell'isola,
anche i prodotti di maggiore qualità, così il prezzo del latte pagato
al pastore è sceso da 0,85 a 0,6 cent.
Il pecorino sardo è un prodotto troppo condizionato dall'ormai quasi
esclusivo mercato di sbocco (Nord America) dove trova collocamento
presso una nostalgica emigrazione italiana. È controllato da pochi
esportatori (che sono anche industriali del latte). Storicamente il
mercato è di tipo speculativo con i principali player che giocano
al rialzo e al ribasso sfruttando le ampie fluttuazioni. A prezzi alti
segue sovrapproduzione,
poi la crisi che trascina tutto il mercato in giù.
Il Consorzio è il
principale responsabile istituzionale di una situazione che lascia
periodicamente esposti i produttori (tanti, 16 mila) al gioco della
speculazione diretto da 3-4 grandi caseifici industriali che
condizionano il Consorzio e che hanno anche un ruolo commerciale
primario. Gli altri 30 caseifici isolani si muovono sulla scia,
puntando a sfruttare i bassi prezzi del latte pagato agli allevatori.
Perché gli industriali non impongono al Consorzio di fare il suo
mestiere, ovvero di bloccare l'aumento di produzione con quote
prefissate invece di prendersela con i pastori che, a loro detta,
ottenendo un pagamento del latte ovino pari a quello degli altri paesi
europei "li mandano in fallimento costringendoli a lavorare in perdita"?
Aggiungasi che i grandi industriali che se la prendono con i pastori producono anche in Romania e
tendono a deprimere il mercato anche con l'autoconcorrenza del prodotto
estero. Nel frattempo la Spagna, con costi di produzione e prezzi più
bassi (anche se non di molto), ha conquistato quote di mercato
internazionale.
Con tutto questo va pur detto che il condizionamento
del mercato internazionale è forte ma sempre nel quadro di una derrata
di nicchia che vede l'Italia terza produttrice mondiale di latte ovino
dopo Grecia e Spagna e la produzione quasi esclusivamente limitata ai
paesi UE. Una situazione ben diversa da quella della carne ovina dove
ad un immenso mercato globale corrisponde una quota nazionale
irrisoria e una comunitaria largamente minoritaria. Questo per
sostenere che la politica avrebbe, eccome, margini
per intervenire solo che si volesse operare con coraggio per
trasformare una struttura produttiva, trasformativa, commerciale,
istituzionale che,
così com'è, non può che esporre a gravi periodiche crisi una struttura
produttiva che è tanta parte della realtà sociale ed economica della
Sardegna. E una volta costretta la politica, di fronte alla crisi del
latte sardo, ad affrontare in modo diverso dal passato le agende
agricole, si aprirebbero spazi per altri movimenti contadini e
rurali. Fortza Paris.
Il messaggio di comunanza e
fratellanza dei pastori alpini
di Anna Arneodo
Bounjourn,
siamo
pastori, anche noi, qui tra le montagne del Piemonte, e ci sentiamo
vicini a
voi, pastori di Sardegna: allevare pecore, fare i pastori è ormai un
mestiere
della miseria. Il prezzo del latte di pecora è vergognoso, ma il prezzo
degli
agnelli è vergognoso: abbiamo le stalle piene di agnelli, che non si
vendono,
perché arriva la carne pronta dall’estero a prezzi ridicoli; la lana
non si
vende più: l’ultimo lavaggio in nord Italia ha chiuso l’anno scorso, la
lana
vecchia è ancora tutta nelle bisacce e dopo due mesi “sarebbe” rifiuto
speciale!
Se
contiamo
le ore di lavoro con i nostri animali non guadagniamo 50 centesimi
all’ora (e
poi si parla di sfruttamento, di lavoro nero con gli immigrati!); ma
noi siamo
ricchi: possediamo stalle, fienili, prati, pascoli, trattori… e allora
dobbiamo
pagare le tasse, tutte, tante…
Ma
lo sanno
i nostri politici, i nostri rappresentanti di categoria, i nostri
amministratori, gli infiniti enti che si occupano di agricoltura,
biodiversità,
montagna, benessere animale, ecologia…che le nostre pecore mangiano
anche
quando il latte non è pagato il giusto, quando gli agnelli rimangono in
stalla
perché nessuno li compra, quando la lana è un rifiuto speciale?
Da
voi non
c’è ancora, ma da noi è tornato (chissà come!) il lupo, che ha il
diritto di
uccidere le nostre pecore: il lupo è protetto, ma le pecore e i pastori
non
sono protetti!
Non
chiediamo contributi, rimborsi e altre elemosine: chiediamo il giusto
prezzo
per il nostro lavoro, le nostre fatiche, i nostri animali, il latte, la
carne,
la lana.
Noi
pastori
e montanari delle valli del Piemonte e di tutto l’arco alpino siamo con
i
pastori della Sardegna, vicino a loro nella coraggiosa battaglia di
questi
giorni e di ogni giorno. Perché- in questa nostra società- per
continuare a
fare il pastore ci vuole tanta tanta passione e coraggio.
“Il
buon
pastore dà la vita per le sue pecore”.
Ma i
politici non sono mai buoni pastori…
Coumboscuro, Cuneo 13.02.19
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