Ruralpini
Resistenza rurale |
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(04.08.19) Il Lagorai, una catena montagnosa nel Trentino orientale, è un simbolo forte (anche fuori del Trentino). Simbolo di una resistenza rurale difficile, di una battaglia che, per chi la combatte, sembra contro i mulini a vento, ma che è una buona battaglia, che merita di essere combattuta. Indipendentemente da tutto. Emblema della resistenza ruralpina del Lagorai è stato il Calendario, quattordici edizioni che hanno visto la firma di fotografi (e poeti) importanti . Un unicum nel panorama del ruralismo, almeno in Italia. Per la capacità di coinvolgere collaborazioni di prestigio, di coniugare le malghe, i formaggi di malga, alla poesia, per la grande diffusione, curata direttamente da Laura Zanetti, la presidente della battagliera ("rompiballe" dal punto di vista dell'establishment) Libera associazione malghesi e pastori del Lagorai e ideatrice del Calendario del Lagorai. Nativa di Telve, Laura nell'infanzia e nella prima giovinezza ha conosciuto da vicino la vita montanara della val Calamento. Il padre stagionava i formaggi della valle in tre cantine di Telve mentre il nonno era il casaro delle "maggiolere" (maggenghi) di Pupille dove lavorava il latte in primavera e in autunno. Dopo esperienze professionali nel settore della sanità è ritornata a occuparsi delle malghe per alcune ricerche etnografiche (vedi di L. Zanetti e P. Berni, Formaggi e cultura della malga, con disegni Giuseppe Liguori, 1988, Verona: Polisnova, 1987). L'aver documentato il valore di un patrimonio culturale di grande spessore ma poco conoscito anche dalla stessa comunità locale, ha spinto Laura ad operare per fare di questo lascito un bene non da museo, ma qualcosa di vivo, parte della memoria collettiva, elemento da valorizzare nell'ambito di una ecomomia identitaria. Così sono nate le campagne per difendere il Lagorai dalla speculazione turistica e per conservare un sistema di pascolo e di caseificazione ancorato alle pratiche tradizionali: un caso praticamente unico in Trentino. Da qui è nata, nel 2000, la Libera associazione malghesi e pastori del Lagorai di cui Laura è stata presidente sino a tre anni fa. Strumento per annunciare le proprie finalità e proclamare le proprie convinzioni, ma anche per autofinanziarsi e non dover dipendere dai contributi pubblici (in un contesto di forte polemica e conflittualità con le istituzioni), il Calendario del Lagorai ha però assunto il significato di prodotto culturale unico nel suo genere. Strigno (Valsugana), maggio 2007, il secondo incontro ruralpino, organizzato in collaborazione con la Libera associazione malghesi e pastori del Lagorai . Intervento del prof. Nervi. Attualmente il calendario, che richideva un grande impegno, si è preso una pausa e ci è parso giusto far conoscere ai lettori di ruralpini.it, in attesa di una nuova serie, questa esperienza pubblicando foto e testi di quasi tutte le edizioni. La collaborazione tra Ruralpini e la Libera risale a prima della nascita del sito ruralpini.it. Nel 2007 a Strigno si tenne, a maggio, il secondo incontro ruralpino. La lunga serie di articoli sul Lagorai pubblicati ru ruralpini.it (vedi in fondo alla pagina) testimonia l'attenzione e partecipazione in quanto realtà emblematica come quella del bitto ribelle. Laura Zanetti da alcuni anni collabora con corrispondenze dal Trentino e interviste a ruralpini.it. Dal punto di vista geografico il Lagorai è una catena di montagne di 50 km che rappresenta la "spina dorsale" del Trentino orientale con la Val di Cembra a Ovest, la Val di Fiemme a Nord, la Val Cismon a Est e la Valsugana a Sud. Dal punto di vista culturale il Lagorai è più ristretto e coincide con le profonde valli (Calamento e Campelle) che, dall'asta della Valsugana centrale, si dirigono a Nord e raggiungono la cresta della catena. La presenza di aree con dversi connotati culturali (a Ovest la valle del Fersina/Bernstrol , a Est il Tesino e il Vanoi, tutte aree ccon carattri , propri, nel caso della valle del Fersina anche una lingua di ceppo tedesco) giustifica questa delimitazione. Nel Lagorai ricadono i territori dei comuni di Telve (quello più grande e con più malghe in relazione al suo ruolo di sede del castello degli antichi signori della zona), di Carzano, Scurelle, Roncegno, Torcegno, Telve di sopra, Spera, Pieve Tesino. Anche se la maggior parte delle malghe sono al giorno d'oggi di proprietà comunale alcune delle migliori appartengono alla famiglia Buffa di Castell'Alto. Dopo le devastazioni della prima guerra mondiale è sfuggito al destino di tanta altra montagna trentina, mortificata dalla parchizzazione o alla "valorizzazione sciistica". Non che sul Lagorai non abbiano provato ad allungare le mani. Non sono mancati infatti i progetti di "valorizzazione". Era in progetto un grande sbarramento idroelettrico in val Calamento ( annullato dopo il disastro del Vajont), erano in progetto le seconde case della val Calamento, Musiera e val Campelle degli anni ’60, gli alberghi-grattacielo con relativi impianti sciistici a malga Cagnon negli anni ’70 ( annullati da una azione firmataria della popolazione di Telve, senza precedenti). E non sono stati gli ultimi. Sono stati sventati tutti. Sino ad ora. Alla
fine degli anni ‘80 Franco de Battaglia nel suo libro
"Lagorai" dedica un intero capitolo sulla non necessità di un
Parco scriverà infatti: " per essere salvato, il Lagorai ha bisogno di
tre regole: niente strade, niente rifugi , nessun albergo in quota!".
Così come è stata sventata la parchizzazione, l'altra branca - santificata in nome dell'ambientalismo urbano - della tenaglia che stritola le comunità rurali di tutto il mondo. Il Lagorai, a dispetto di tutto, si è mantenuto - per ora - terra di malghe e di laghi, con qualche piccolo rifugio, attraversata solo dalla strada provinciale 21 del passo Manghen. Resistenza difficile, però. Perché, tutto in torno, il sistema di malga trentino cambiava, sotto la pressione dei tecnoburocrati provinciali e delle diverse agenzie agrimoderniste (la Fondazione Edmund Mach FEM, ex ist. San Michele a/a, le coop casearie) che spingevano per far cessare la lavorazione del latte in malga e a concentrare la lavorazione nei caseifici "comprensoriali" di valle. In tempi più recenti, annusata la possibilità di inglobare anche le produzioni tradizionali sotto la propria egida, e di apparire, davanti al consumatore, con le credenziali di salvatore della biodiversità, il sistema ha adottato una strategia più sottile. Dove, come nel Lagorai, ci si ostinava , da trogloditi, a non utilizzare fermenti selezionati industriali per lavorare il latte, all'insegna del progetto Fermalga, si operato un vero e proprio bioprospecting che, tradotto in italiano (senza lo schermo ipocrita - dell'inglesismo), significa furto di biodiversità. Infatti, sulla base dei campioni caseari raccolti nelle malghe del Lagorai dove si lavorava senza innesti industriali, in contrasto con le direttive della FEM, sono stati isolati ( e registrati a nome della FEM) lo Streptococcus thermophilus 84C e il Lactobacillus brevisDSM-32386, in grado di produrre elevate concentrazioni di acido y-amminobutirrico (Gaba), un neurotrasmettitore con proprietà calmanti. Serviranno per produrre formaggi industriali nutraceutici? E le royalties? Se non fosse stato per i cocciuti trogloditi del Lagorai (parenti, non a caso, dei "sovversivi" ribelli del bitto) questi brevetti non sarebbero stati possibili. In cambio la FEM fornisce ai malghesi un fermento semi-standardizzato (la "globalizzazione regionale"), ogni valle il suo fermento. Una standardizzazione, un po' meno spinta del fermento industriale, ma sempre standardizzazione, normalizzazione, ortopedizzazione, impoverimento, disciplinamento. Con ci si rende contro che, anche attraverso i microbi di un formaggio, si esprime la biopolitica, la tendenza del sistema economico e tecnoscientifico, della società "aperta" di mercato, a controllare la vita e la morte. Si sono lasciate diroccare le strutture
delle malghe. Ora si vuole approfittarne per la "valorizzazione
turistica"
Nel fermento isolato e coltivato in laboratorio, sia pure "autoctono", le specie di batteri presenti sono meno di quelle che si contano su una mano e non ci sono eterofermentanti, lieviti, tutta quel microbiota dall'immensa diversità che conferisce la variabilità e la complessità del gusto. Al sistema alimentare globale tutto ciò non piace. Di "selvaggio" ci deve essere solo l'immaginaria, mitica "natura incontaminata", tutto il resto deve essere rigidamente addomesticato. Così la diversità del Lagorai viene normalizzata, in nome della biodiveristà e dell'esaltazione dei sapori di malga. In modo soft.Politicamente corretto. Conservare le malghe del Lagorai con la loro cultura e tradizioni produttive ha significato andare controcorrente alle tendenze della zootecnia trentina, alla PAC, con il suo sistema perverso di contributi che penalizza l'alpeggio tradizionale, con la trasformazione del latte a vantaggio del pascolo semibrado con un minimo storico di animali da carne custoditi dal rumeno di turno. I pagamenti sono ad ettaro e conta la quantità di superficie accaparrata. Così in Trentino, ma anche altrove, è in atto una tendenza oligopolistica: le malghe sono sempre più concentrate in poche mani, con soggetti che detengono contratti d'affitto di tante malghe. Tutto legale, per carità. Le regole europee sono rispettate. La truffa è (quasi) sempre legalizzata. Le stalle, nonostante le belle parole, sono sempre più grandi, perché i piccoli smettono, senza subentri. Così è sempre più difficile per chi carica una malga, e non ha una mandria sufficientemente grande per completare da sé il carico, trovare animali da prendere a guardia per l'estate. Malga Montalon, quando era caricata da Oswald Tonner (dall'articolo di Ruralpini del 26.07.10) E cosa dire di malga Montalon, forse la più bella del Lagorai, che, nell'indisponibilità dell'aristocratico proprietario patavino a "mettere a norma" i locali per la lavorazione del latte, è diventata riserva di caccia? Già, l'ambiente del Lagorai è "selvaggio", dicono i babbei, ripetendo il solito cliché. Perché non è solcato da strade asfaltate? Perché non ci sono seggiovie quadriposto? Perché c'è silenzio? Perché si fa solo escursionismo e scialpinismo? E' civiltà il frastuono dei mezzi motorizzati, i parcheggi intasati anche in quota? Perché non riflettere sulle parole invece di usarle a vanvera? Il Lagorai è segnato in ogni vallecola (non ci sono cime elevate, ghiacciai) dalla civiltà delle malghe, che è una forma di civilizzazione, di cultura, di umanizzazione dello spazio come quella delle metropoli assordanti. Una civiltà votata alla sconfitta? Forse, ma non c'è nessuna necessità di questa fine, di questa sconfitta. E' solo l'applicazione ottusa delle regole della società di mercato, del consumo coatto a ogni ambito sociale e territoriale che determina questa sconfitta. Il Lagorai non deve restare così per motivi ideologici prima che economici. Oggi l'intollerabile anomalia di questo Lagorai non "valorizzato", agli antipodi delle Dolomiti delle code per poter percorre un sentiero, sta per essere, forse, eliminata. Sempre in forma soft (e ipocrita) è incombente il progetto Translagorai. Un progetto che parla di "ristrutturazione di malghe", dove - invece - si deve leggere: realizzazione di ristoranti e grandi rifugi e relativa viabilità. Non aiuta il fatto che , anche nel fronte che si oppone a questo progetto, c'è chi insiste sul concetto fuori posto di wilderness, invece di sottolineare che non si vuole la natura "incontaminata", sotto la campana di vetro, ma una diversa valorizzazione, una valorizzazione con il potenziamento delle malghe, senza stravolgerne la cultura tradizionale, una valorizzazione del grande giacimento di patrimonio tangibile eintangibile rappresentato dall'alpeggio e dalla caseificazione in malga. Una valorizzazione che non esclude una fruizione sostenibile da parte di chi si adatta a un'ospitalità spartana, che non pretende un rifugio-tappa ogni poche ore di cammino, tanto meno un rifugio-albergo con tutti i comfort. Non manca chi apprezza un escursionismo, un turismo "in punta di piedi" di questo tipo. Quelle strutture che si vogliono creare nel Lagorai esistono ovunque sull'Arco alpino. Peccato che la SAT - il CAI trentino -, pur con discussioni interne, sostenga il progetto di "valorizzazione". Pronta ad allinearsi all'ambiental-animalismo orsolupista la SAT, alla prova del nove, si schiera con chi non resiste alla tentazione di omologare al modello turistico consumistico anche il Lagorai. Ora, dunque, ora più che mai è necessario proclamare ancora una volta "Giù le mani dal Lagorai". Nel settembre del 2010, Ruralpini pubblicava un articolo con questo titolo di Laura Zanetti (vai a vedere). Dopo otto anni fu la volta di "Giù (ancora una volta) le mani dal Lagorai" (vai a vedere). La battaglia per la difesa del Lagorai per una sua valorizzazione coerente con la sua vocazione malghiva, si è concretizzata nel "lancio" del formaggio di malga del Lagorai, un formaggio "figlio del burro", perché il Lagorai è sempre stato famoso per il suo squisito burro di malga (e il formaggio era quasi un sottoprodotto). Di conseguenzaquello del Lagorai è un formaggio che non può affrontare le lunghe stagionature ed è di piccola pezzatura. Rappresenta l'altro polo della produzione degli alpeggi, completamente diverso rispetto al formaggio grasso come il bitto, il bettelmat, la fontina. Prodotto come una volta è però, quando consumato al momento giusto, un formaggio molto interessante, in forza di quella microflora "biodiversa" che la Libera associazione cerca di difendere, con il supporto di Slow Food che ha inserito questo piccolo formaggio, senza alle spalle i grossi caseifici e relativi sponsor, tra i presidi del Trentino. Il Calendario è diventato l'efficace veicolo di questa nicchia produttiva (in questo caso ci sta), che può vantare tra i suoi fan Laurence Ferlinghetti, uno dei massimi poeti viventi (vai a vedere l'articolo). ORA VAI ALLA PRESENTAZIONE DI LAURA ZANETTI E AL PRIMO DEI CALENDARI DEL LAGORAI DELLA NOSTRA SERIE
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Ruralpini sul Lagorai Il formaggio di malga
di Ferlinghetti
(04.05.18) Una "pezza" di formaggio dal Lagorai alla California Giù le mani dal Lagorai (21.10.18) Ancora una volta minacciati dalla valorizzazione turistica Dalle Ande al Lagorai (28.09.17) Gli alpeggi sono ormai chiusi. Ogni stagione potrebbe raccontare infinite storie. Questa parla di un'esperienza che riguarda chi viene a lavorare sui nostri alpeggi da lontano (in questo caso da montagne molto lontane). È la storia di una calda esperienza umana che ha coinvolto la piccola comunità di lavoro della malga Cagnon de sora. Siglinde scappa e torna a casa (23.07.17) Una mucca "in fuga" per due giorni: scappa dall'alpeggio dov'era stata appena trasportata e marcia verso casa, verso il maso di Salorno (Bz) dove "abita" e dove era rimasto il suo vitellino. Con la mammella gonfia, i capezzoli sanguinanti per le punture degli insetti dei boschi di bassa quota. Ma è finita nel migliore dei modi e la sua storia diventa l'apologo di una zootecnia di montagna che sa resistere alle logiche disumanizzanti dell'agroindustria L'oasi dei casari (24.11.15) Laura Zanetti ripercorre la storia recente delle malghe del Lagorai. Il calendario dei Ribelli del Lagorai: la tradizione aperta al mondo (09.11.11)
È
uscita la 9a edizione del calendario della Libera
associazione malghesi e pastori del Lagorai. "Latte, caglio e fuoco" è
il titolo del calendario: ma anche un grido di guerra (con armi
pacifiche) Si inasprisce la polemica sul Parco del Lagorai (03.10.10) L'arch. Ferrari pubblica su l'Adige una sprezzante lettera di risposta a Laura Zanetti (vedi sotto la notizia del 28.09). Una lettera in cui non esita ad irridere alle posizioni 'nostalghiche' del passato in nome dello 'sviluppo' e dei posti di lavoro creati dal Parco. Ma i Parchi non sono una novità. Potevano essere utili in una fase storica ormai . Oggi l'ambiente e l'economia locale si possono tutelare e valorizzare con altri strumenti che non i Parchi sono diventati spesso centri di potere e di spesa pubblica. Pubblichiamo un commento, la lettera di Ferrari e la replica di Laura
Giù le
mani dal Lagorai (TN) Il
Parco non serve, anzi è un'insidia
Lagorai significa malghe. No al Parco (26.07.10) Amamont (l'associazione transfrontaliera degli amici degli alpeggi e della montagna) è andata nel Lagorai. Nella malga più autentica della regione più autentica del Trentino. Da Oswald Tonner, malghese-simbolo dell'ecologia contadina contrapposta alle ideologie della wilderness. Un'occasione per sostenere la biodiversità dei pascoli e dei formaggi, per dire no alle 'bustine' di fermenti selezionati più o meno 'autoctoni', al degrado delle malghe storiche ridotte a pascoli di manze, ai progetti di trasformare le malghe abbandonate in 'palestre' per i giochi di sopravvivenza nella wilderness. La Libera associazione malghesi e pastori del Lagorai raddoppia (22.06.10) Con l'avvio dell'attività di caseificazione dell'Antica Latteria sociale di Strigno al formaggio Originale malghe del Lagorai si affianca la produzione 'invernale' dell'Originale Casólo Valsugana. Che rappresenta una opportunità di riscatto anche per le piccole aziende di una valle 'figlia di un dio minore', penalizzata dall'inquinamento industriale e da scelte agricole sbagliate
Originale Lagorai: autentico formaggio di malga trentino (06.03.10) Il 1° marzo si è tenuto a Trento un incontro-degustazione che ha avuto per protagonista il formaggio 'Originale Malghe del Lagorai': un formaggio di malga, fatto in malga. All'incontro promosso dalla Strada del vino e dei sapori del Trentino hanno partecipato alcuni esponenti della ristorazione di qualità della provincia. L'Originale Malghe del Lagorai, controcorrente rispetto alla realtà zoocasearia trentina, sta ottenendo apprezzamenti significativi trovando i canali giusti di valorizzazione
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