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al tempo del contagio
Riti di maggio:
il Mas (Ardesio e Ponte Nossa)
Maggio:
rito agrario della vita
(seconda puntata)
E'
consigliabile leggere prima
l'introduzione generale al tema (vai a vedere)
L'interessantissima evoluzione di un rito che coinvolge due comunità
della val Seriana e che interessa due tra le modalità più suggestive
del rito arboreo del Maggio: il "matrimonio degli alberi" e
l'innalzamento dell'albero di maggio sulla cima di una montagna (con
l'arsione finale). Ritroviamo nell'antico Mazo di Ardesio e nel Mas di
Ponte Nossa, molti dei motivi ancestrali del rito agrario di fertilità
del 1° maggio. Qui, in val Seriana, non ancora studiati nella loro complessa evoluzione.
di
Michele Corti
con
la collaborazione di Sergio Castelletti e Giovanni Mocchi per la
documentazione, le fotografie e le informazioni sulle modalità
attuali di svolgimento del rito
(24.04.20) Dopo aver introdotto
nell'articolo precedente (vai
a vedere) il tema generale delle
ritualità collegate al 1° maggio (in tutto il ventaglio delle loro
espressioni tradizionali, religiose, politiche) , intendiamo ora
approfondire un rito di Maggio nelle nostre Orobie, un Maggio "di
casa". Che, però, è anche uno dei più interessanti,
elaborati, suggestivi in assoluto: il Mas
di Ponte Nossa. Questo rito è stato documentato in varie
occasioni. Le riprese fotografiche che presentiamo sono: del 1940 (1),
degli anni '70 (quelle che accompagnavano la descrizione del rito di
Italo Sordi) (2)
delle
ultime edizioni (Giovanni Mocchi e Sergio Castelletti)
(3)
La prima testimonianza dell'esistenza del
rito del Màs è offerta da
una sanzione per il furto della pianta. L'anno è il 1543 e l'autorità
che la commina è il comune di Parre, confinante di Ponte Nossa. Nel
resoconto si fa riferimento a una Compagnia
del Mazzo, il che lascia
pensare che essa fosse già da tempo costituita. Il furto, da parte dei
giovani dell'albero di maggio, rappresenta un elemento comune a questo
tipo di riti, una "prova di iniziazione". Il fatto che fosse avvenuto
nel comune vicino si inseriva, probabilmente, in un contesto di
rivalità tra comunità confinanti (i vecchi di Ponte Nossa
ricordano ancora che i parresi li prendevano a sassate quando andavano
"a morose", ma questa è una storia comune).
Documento
e regesto sono
della ricercatrice
di
storia locale Renata Carissoni
Un aspetto a dir poco curioso, per non
dire misterioso, è che - nel 1543
- viene abolito ad Ardesio il capitolo degli statuti relativi
all'albero
(anzi ai due alberi) di Maggio. Attenzione, però, non si trattava
dell'albero tagliato ad Ardesio e destinato a Ponte Nossa, ma di un
altro
"Mazo" (Maggio) destinato a un rito indipendente da svolgersi ad
Ardesio. Nella sua sinteticità il capitolo ci offre
informazioni preziose sul rito. Eccole:
1) Il rito, almeno il taglio delle
piante, era eseguito da "zoveni". Una prova per i giovani maschi, che
si aggiungeva alle moltissime incombenze "istituzionali" della
gioventù. Ovvero ai tanti riti, importanti per la "salute" della
comunità, di cui essi erano protagonisti. Oggi impera l'ideologia
giovanilistica e gli anziani non sono rispettati, ma vige la
gerontocrazia, nella società tradizionale i vecchi erano rispettati ma
i giovani avevano un ruolo importante. Sempre a proposito del
"progresso".
2) Le piante tagliate erano due: un abete
rosso, alto e diritto e una "cima", da intendersi come una verdeggiante
pianta a foglie caduche, di certo più adatta a significare il ciclo
della rinascita della vegetazione di una conifera sempreverde. L'abete
lungo e diritto era il maschio, la cima era la sposa. Quello che si
celebrava ad Ardese (oggi Ardesio) era quindi un "matrimonio delle
piante", esattamente come ad Accettura (Basilicata), con buona pace di
chi
interpreta quello del paese lucano un rito "inventato" che non si
riconnette al filone dei riti arborei della fertilità.
3) Gli alberi "zontati" (innestati l'uno
sull'altro) erano collocati sulla piazza del paese e lì rimanevano sino
a Natale. Non sappiamo se venissero bruciati (ma è probabile)
Capitulo
XVIII
Uno legno de esser tayado
cum una altra cima per lo mazo
Tam ano statuido et
ordinato per conformatione de la bona consuetudine et per honore di
questo comune che cescaduno
anno per li zoveni del comune in calendo di mazo possa esser
taliado uno legno de pagera [abete rosso] et
una cima overo altra pianta conveniente per azonzere a questo altro
legno li dove piasira' a questi zoveni. Lo quale legno cum quela altra cima zonta a questo legno
dovra essere plantado almancho infra lo terzo di' su la piaza de Ardese
et li debia romanire fino alla
festa de la nativitade del nostro signore Gesu Cristo intendendo sempre
che non posa esser tayado la prima volta se non per queli zoveni ali
qiali sera' data licentia. E se alcuno contrafara', cada in pena di
damnificazione la pagera. Li scorzi veramente di quelo legno e cima li
consoli siano tenuti coliere overo farli coliere quelo di' lo quale
serano ruscadi queli doy legni (4).
Quale relazione tra il Mazo di Ardesio e
quello di Ponte Nossa? Avanzare ipotesi è arbitrario. Si spera che
qualche altra fonte possa chiarirlo. Una descrizione della fine del
Settecento, contenuta in un documento dell'archivio parrocchiale di
Ponte Nossa, illustra con una certa dovizia di particolari le fasi
culminali del rito: quella del
1° giugno (il falò sulla cima del monte Pès) e quella del 1° maggio (la
salita del Mas).
Fra
li miracoli continui si dee annoverare sommamente maraviglioso quello
che ogni anno fin'ora e seguito, ed è che facendosi la vigilia
dell'Apparizione 1° Giugno sulla cima del Pizzo del vicino monte Guazza
il falò con fuochi artificiali e spari sino a notte inoltrata, la
Madonna sempre preservò da ogni disgrazia coloro che le rendeano questo
piccolo esteriore ossequio. Il Pizzo su di cui si sale è un alto
precipizio così erto e disastroso che per ascendervi bisogna salire
come per una scala ritta in piedi scolpita nella corna [rupe] viva,
così che per veloce che sia chi vi ascende e lesto e senza paura è
necessitato per non cadere indietro star attaccato almeno con una mano.
Il piano sulle sommità di questo pauroso precipizio col primo di Maggio
d'ogni anno si porta un'alta pianta di abete che si infigge nella rupe
come segnale della ventura anniversaria solennità dell'Apparizione, ed
ivi egualmente nel sopra detto giorno 1° Giugno vigilia
dell'Apparizione si fa uno splendidissimo falò, dopo l'Ave Maria, che
continua fino le due ed anche tre ore di notte. Ma la legna da ardersi
lassù vi è tutta trasportata con immensa ed incalcolabile fatica, per
detta scaletta, praticata nella viva altissima rupe. Sul piccolo piano
si eseguiscono pure gli spari, e si ardono li fuochi artificiali.
Eppure in si lungo corpo di anni mai e poi mai accadde disgrazia né
lassù, né nell'andata o discesa, né a portarvi il masso (pianta d'abete
così chiamata volgarmente che ivi sinfigge), né ad abbrucciarvi il
falò. E si osserva che a salirvi è tutta gioventù nel bollore degli
anni, quindi per natura inconsiderata, si osserva inoltre che piova o
tempesti od imperversi il tempo fino che vuole e che si può immaginare
nessun anno mai si intralasciò di fare il falò, sul detto Pizzo e fra
tanti accaduti casi, nessuno giammai ebbe a soffrire da uno di sorta,
segno evidente della miracolosa protezione di Maria, la quale con ciò
addimostra volere e pretendere tale picciolo ossequio. L'entusiasmo che
si ammira nella gioventù di questa Terra privilegiata da M.V. in tali
incontri, lo slancio generoso con cui si abbraccia simile fatica, che
per danari non si potrebbe mai bastevolmente pagare, è, secondo
tutti, una prova la più certa del dolce impero quivi sugli animi
esercitato da M. Santissima, e della fiducia illimitata e tradizionale
in essa collocata da questi fortunati abitanti. E per dire
che si dica, chi non è testimonio di vita non potrà mai formarsi una
vera idea della premurosa ed ammirabile sollecitudine e gara di questi
terrazzani nel tributare alla Madonna quivi apparsa un tale esteriore
atto di loro ossequiosa riconoscenza.
Quello
che caratterizza il
Maggio di Ponte Nossa, paese sul fondovalle del Serio a 500 m, è la sua
collocazione, per l'intero mese di maggio sulla cima del Pés
(monte di circa 1000 m). E' interessante notare che il rito coinvolgeva
anche il comune di Ardesio, dove era tagliato l'albero, poi
accompagnato da un corteo di carri sino a Ponte Nossa.
Abbandonata, dopo l'ultima guerra, questa collaborazione, essa è stata
ripresa da una decina di anni. Per un certo periodo l'albero veniva
tagliato nel comune di Ponte Nossa (in sponda orografica destra,
opposta a quella del monte Pès).
Una circostanza che, essendo Ponte Nossa molto meno esteso e meno ricco
di
boschi, non facilitava certo la scelta del Maggio. Esso deve infatti
possedere certe caratteristiche: avere una dimensione significativa ma
non eccessiva, presentare una chioma ben formata e uniforme, essere
diritto e regolare. A Ponte Nossa non era facile trovare l'albero
giusto e così, a volte, ci si accontentava di abeti dei giardini
(cresciuti isolati e quindi con una chioma regolare). Nella scelta
effettuata nei boschi di Ardesio
si impiegano comunque 2-3 ore per selezionare il candidato a diventare Màs.
L'ambientazione del culmine del rito è interessante. Si svolge su una
cima
montuosa ma, ai piedi della stessa, lungo l'asta del Serio si
allineano i
monumenti dell'archeologia industriale. Qui ritroviamo il "classico"
paesaggio della fabbrica, con le ciminiere e le coperture a shed.
Foto Prima Bergamo
Pezzo forte
dell'archeologia industriale di Ponte Nossa, è l'ex cotonificio
Cantoni,
oggi in fase di riutilizzo da parte di un'industria meccanica locale, a
riprova
della capacità del paese, e della valle, di reagire alla forte crisi
del tessile indotta dalla globalizzazione.
Non è strano, però, che proprio
qui, nella "Parigi della val Seriana", così chiamata perché, intorno
alla fabbriche, erano sorti negozi e locali che attiravano
frequentatori
dagli altri centri della valle (vedi qui
l'articolo di Prima Bergamo
da dove sono tratte le due foto sopra), si sia tenacemente conservato
il
rito arcaico agrario del "Mazzo"?
In realtà c'è una forte coerenza
in questo. Basti pensare che Premana, il paese-fabbrica a 1000 metri,
nelle
Orobie lecchesi, è uno dei più vivaci centri di conservazione e
valorizzazione delle tradizioni degli alpeggi e dei costumi locali.
Sono le comunità più
"aperte", un altro pregiudizio da sfatare, più inserite in relazioni
con realtà vicine e lontane, che
avvertono l'importanza di valorizzare gli elementi dell'identità
locale. Questi ultimi sono consapevolmente considerati come elemento di
coesione interna e di creazione di una
immagine identificativa verso l'esterno, capace di veicolare valori
positivi. Questo meccanismo, ovviamente, non è efficace nelle comunità
in
cui la vita rurale tradizionale è ripiegata su sé stessa, lasciando
solo spazio al pendolarismo e a forme di turismo "invasive". Qui c'è
spesso il rigetto della tradizione, vissuta come condizione di
marginalizzazione. Nelle comunità che hanno avuto successo, invece, gli
elementi del proprio passato, anche quello agricolo, sono considerati
blasoni.
Foto
Prima Bergamo
L'organizzazione
di un evento come il Mas a
Ponte Nossa è possibile grazie a questi
presupposti, oltre alla presenza di un gruppo informale, comunque
affiatato, un "nucleo" organizzativo (5), vi deve essere
un tessuto associativo diffuso, il permanere di un senso di
comunità.
Il rito, però è anche un elemento che vivifica, mette alla prova,
rafforza a sua volta questi elementi positivi. Un aspetto interessante,
emerso da qualche anno in qua, è anche la riattivazione
della
collaborazione con la comunità di Ardesio che rappresentava un elemento
tradizionale che si era smarrito.
In
ogni caso non è l'innalzare l'albero su una cima che rende
unico il Mas. Frazer
riferiva che:
... in
alcune parti della Boemia, si alzava alla vigilia di San Giovanni un
palo di maggio o di mezza estate. I ragazzi prendevano nella selva un
alto pino e lo drizzavano su un'altura dove le ragazze lo adornavano di
fiori, ghirlande e nastrini rossi. Alla fine della festa lo bruciavano
(6).
In questi casi l'albero, invece che
promanare il suo effetto benefico
dal centro della
comunità lo fa da un punto più alto che la domina, come una antenna,
secondo un
modello presente anche altrove). Quello che rende unico il Mas di
Ponte Nossa è la difficoltà di raggiungere la cima, costituita da un
cucuzzolo
roccioso di dolomia. Il senso del
rito è legato a questa impresa che richiede il coinvolgimento di
oltre un centinaio
di persone (7).
Negli
anni '40
(Raccolta di Giovanni Messa)
La descrizione del rito si basa sul
confronto tra lo svolgimento che esso seguiva negli anni '70 e quello
delle ultime edizioni. L'albero, un
abete rosso (paghera), negli
anni '70
era offerto da un proprietario del comune di Ponte Nossa. Il taglio, in
precedenza, veniva effettuato
la terza domenica di aprile; poi, dagli inizi degli anni '60,
era stato spostato, solo per comodità, al 25 aprile. Oggi, come già
osservato, viene
eseguito ad Ardesio, alla prima o la seconda domenica di Aprile.
Foto Pierluigi Navoni
Foto Sergio Castelletti
Una volta eliminati i rami più bassi,
il Mas è
trasportato a spalla sino a un
autocarro.
Foto Pierluigi Navoni
Sull'autocarro
il Mas veniva decorato con festoni di carta colorati preparati dalle
ragazze (ma collocati sull'albero dai ragazzi, dal momento che tutte le
operazioni commesse alla manipolazione del Mas sono esclusiva
maschili). Oggi i festoni sono preparati da bambini di entrambi i sessi.
I
bambini che addobbano l’abete (oggi)
(foto Sergio Castelletti)
Da questo punto di vista il gruppo del Mas
cura molto l'attività con le scuole, con risultati che, dopo parecchi
anni si vedono già in termini di "reclutamento" di nuovi partecipanti
al rito, che lasciano agli ultrasessantenni, veterani di tante edizioni
del Mas, il delicato compito della "regia".
Foto Glauco Sanga
Foto Glauco Sanga
Una
volta arrivato in paese, il Màs
è accompagnato dalla banda sin
sulla piazza della chiesa (esiste anche un "inno del mazzo" composto
negli anni '50 dal farmacista, il cui figlio è stato uno storico
organizzatore del Mas). In
piazza il Mas viene benedetto
nel corso di
una breve cerimonia
davanti alla chiesa (risponde
all'esigenza di sacralizzarle l'albero e di mantenere tutto il rito
entro una sfera di controllo da parte della chiesa).
Foto Glauco Sanga
Rapidamente
l'autocarro con il Mas riparte e si dirige
verso il versante opposto della valle. L’abete
viene scaricato dal mezzo dove
inizia il sentiero, i festoni colorati vengono tolti e viene
portato a spalla in piano fino ad una radura alla base della
salita. Qui viene depositato, scortecciato e sramato fino
a metà della sua lunghezza evidenziando la
chioma,
necessario a mantenere l'identità
arborea e a rendere evidente che si tratta di un albero in stato
vegetativo (con la sua linfa vitale, in senso fisiologico e simbolico).
Il Mas viene lasciato così
sino alla
mattina del 1° maggio (non senza qualche timore) il Mas è
pronto per la sua
singolare ascensione. La scortecciatura
e la sramatura servono a predisporre
il Mas per il pesante
trasporto a spalla e
per poter affrontare la ripidissima
salita e
il tiro a
forza di braccia.
Foto
Sergio Castelletti
Oggi
i versanti si stanno arricchendo di alberi
e il Mas dev'essere
trasportato entro un "corridoio"
tagliato appositamente
per poter transitare .
Foto Pierluigi Navoni
La
salita viene affrontata per la linea di massima pendenza. Mentre un
gruppo tiene sollevato il Mas reggendolo sulle spalle, lo sforzo
maggiore viene prodotto da coloro che tirano una fune, un canapo di
tipo nautico (fabbricato a Sarnico sul lago di Iseo) di 70 m e dal
diametro sufficientemente ampio da
poter essere afferrata con una buona presa.
Foto Giovanni Mocchi
Vi
sono otto persone che
reggono il tronco e la chioma, le altre, alcune decine, eseguono dei "tiri".
Foto Richy Testa
Mentre
tirano la fune le persone sono ben ferme per poter fare forza. Quando
il Mas è issato sino alla
postazione del gruppo che tira il canapo, i componenti dello stesso,
con la corda in
spalla, salgono di un tratto di fune, si piazzano di nuovo e, di nuovo
... tirano.
A metà salita vi è una pausa di dieci minuti per una bevuta, offerta dalle donne che seguono la squadra.
Foto Glauco Sanga
Foto Giovanni Mocchi
Foto Giovanni Mocchi
Le
operazioni più delicate sono quelle che consentano di erigere il Mas
inserendolo in una spaccatura della roccia dove veniva fissato con
cunei di legno (oggi vi è stato inserito un tubo
di ferro per incastrare meglio il tronco). Tra le
operazioni più delicate vi è quella che consiste nell'arrampicarsi sul Mas e sciogliere
il nodo che fissava al fusto la corda utilizzata nell'operazione.
Foto Glauco Sanga
(di noti - confrontando con la foto sopra - come, per effetto del
cambiamento climatico e della maggiore crescita della vegetazione , la
cima abbia perso l'aspetto roccioso di mezzo secolo fa)
Foto Pierluigi Navoni
Il
Màs viene poi
inserito con l'aiuto delle mani e di forche nel tubo
"porta Mas". Tutte queste manovre devono essere completate entro le
nove del mattino per evitare il disturbo (e il rischio) che potrebbe
arrecare il vento
locale che inizia a spirare a quell'ora.
Va tenuto presente che il Mas
può prendere il vento come una vela, con
tutto quello che ne potrebbe conseguire.
La statua di Maria Vergine,
innalzata dagli alpini sulla vetta non ha alcuna relazione
con il Mas. Esso viene
abbruciato, attraverso una operazione anch'essa
delicata (anche in questo caso è necessario arrampicarsi sul Mas
per
sciogliere la fune di "sicurezza"). L'abete viene tagliato
e "abbattuto"alle 19 della sera dividendo poi troco e cima,
quest'ultima con i rami permette il falò che viene acceso alle 22.
Questa cerimonia finale
avviene il 1° giugno, vigilia della festa patronale della Madonna delle
Lacrime che ha per centro il santuario eretto in
memoria dell'apparizione del 1511. Che il mese di maggio sia il mese
mariano e che la festa patronale cada il 2 giugno sono
ovviamente coincidenze. In altre cerimonie del Maggio è (era) regola
lasciarlo in situ per tutto il mese di maggio. Va però osservato che,
se
il Màs
non si fosse "mimetizzato" sovrapponendosi alle celebrazioni
mariane, esso sarebbe probabilmente stato vittima dei rigori
controriformistici di San Carlo. Non ci sono più le danze
festaiole (né gli "scandali") che attiravano gli strali della chiesa
post-tridentina). Il clima di quei tempi è ben reso da queste
disposizioni del Borromeo:
Siano banditi quelli
detestabili e perniciosi balli, tanto inimici alla castità dei costumi
christiani che sono radici e cagioni di risse di questioni di odij
d'ingiurie d'insolenze, di ferite, di morti; che sono seminarij di
lascivia che più ... da i balli procedono rovine perpetue dei corpi,
della fama della robba e insomma d'ogni Christiana disciplina. Si
esterminino dunque i balli, vadano insieme con loro in dispersione
tante altre corrutele con le quali massime in questo tempo suole il
demonio dilatar così fuor dimodo la sua tirannide ne i cuori delli
huomini (8).
Rimane come senso del rito l'auto-celebrazione e la messa alla prova di
una comunità, consapevole
che la continuità di un rituale, specie come questo, che non riveste alcuna
implicazione
turistica (troppa gente sulla cima crea pericolo), produce comunque
buoni e preziosi frutti.
Foto Sergio Castelletti
È la
Madonnina che veglia sul Mas o viceversa? Non lo sapremo mai.
Entrambi sono, nella loro distinzione (oggi opportuna da ribadire, al
tempo della Pachamama in San Pietro), espressione di un
sentire popolare nel senso più bello, sincero e
profondo del termine. Un sentimento che, per fortuna, non sbanda come
la religione istituzionale , che è passata da posizioni tra loro agli antipodi nell'arco (da Pio XII a Bergoglio) della vita di una sconcertata generazione . E così sia.
FINE
Note
(1) Fonte: Pro Loco di Ardesio
(2)
I. Sordi, Il
mazzo di Ponte Nossa, in R. Leydi (a cura di), Bergamo e
il suo territorio, Mondo popolare in Lombardia, 1, Milano,
Silvana,
1977, pp. 95-107. Le riprese fotografiche erano di Pierluigi Navoni e
Glauco Sanga.
(3) Riprese
fotografiche di Giovanni Mocchi (che ha
fornito anche molti materiali per la redazione dell'articolo).
(4)
Statuti ed ordini del comune di Ardesio,
a cura di Giovanni Silini, Antonio Previtali, Vincenzo Marchetti ;
appendice cartografica di Guido Fornoni, S.l., s.n., stampa 2000
(Clusone, Ferrari).
(5)
I "Soci del Mas" di Ponte Nossa in realtà, come spiega Sergio
Castelletti, costituiscono un
gruppo assolutamente informale e così tende a
mantenersi. Egli oltre a illustrarci le modalità che caratterizzano
attualmente il rito del Màs,
ci ha spiegato anche che gli unici ruoli in qualche modo istituzionali
sono quelli del conservatore del canapo e della scure. Una
responsabilità importante: deve esaminare bene le condizioni del
canapo, di modo che, una volta ravvisata la presenza di strappi, si
proceda alla sostituzione. Oltre a ciò un ruolo di importanza
simbolica: la scure -resta
lo strumento che si ricollega alle abilità manuali del boscaiolo,
abilità che non vanno disperse, anche se la maggior parte delle
operazioni in bosco oggi vengono eseguite con la motosega. Anche la
sramatura del Màs viene effettuata a mano con una roncola (podèt) ma
il taglio, da eseguire con pochi colpi ben assestati ha un valore
simbolico troppo forte. A parte questa figura e pochi altri
non si sa sino all’ultimo quanti parteciperanno alle fasi del rito. Il
gruppo affigge un avviso in paese ma, per il resto, non vi sono “convocazioni” formali. Alla
mattina presto del 1°
maggio c'è la
"chiamata", vengono sparati dei colpi e quello è il segnale per
affluire al punto di partenza della salita. La partecipazione dipende
dalle condizioni atmosferiche: va da 40-60 persone, in caso di
tempaccio alle 100-120 in caso di bella giornata ma, con qualunque
tempo il Màs viene portato
in cima. Un gruppo legato, come si vede, da un legame che va
oltre ruoli, regole e gerarchie ma che è rappresentato da una forte
motivazione e da spirito di gruppo e, alla fine, consente di poter far
conto su forte certe anche in uno schema "spontaneista". Una
riflessione utili sulla differenza delle organizzazioni comunitarie da
quelle burocratiche.
(6) J.G.Frazer, Il
ramo d'oro. Studio sulla magia e la religione,
Torino, Bollati Boringhieri, 1990, p. 153.
(7)
Basato
sulle informazioni di Sergio Castelletti e Giovanni Mocchi
(8) Acta Ecclesiae mediolanensis, Mediolani,
quondam Pacifici Pontij, 1599, p. 1152.
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