Ruralpini  resistenza rurale

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al tempo del contagio
 


Maggio rito agrario della vita



La quarantena, tra i tanti effetti che produce, quest'anno comporterà la mancata celebrazione delle feste e dei rituali primaverili. Costringendo a riflettere sul loro significato. Analizzando cosa hanno in comune quelli "ufficiali", che coincidono con feste nazionali, e quelli che perpetuano riti ancestrali. Riti che si sono arricchiti nel tempo di tantissimi motivi variamente intrecciati, espressione di delle esigenze e dello spirito specifici delle disparate comunità. Non è però difficile ricondurre questo insieme di riti uniti a elementi comuni ancestrali: idee religiose formatesi con l'avvento dell'agricoltura. In ogni caso un capitolo fondamentale e affascinante delle espressioni culturali dei popoli europei.  


 

di Michele Corti


(21.04.20) A differenza della maggior parte delle feste di antica origine, che sono state cristianizzate,  le "moderne" festività primaverili del 25 aprile e del 1° maggio hanno un carattere  "laico". Sono celebrazioni marcatamente politiche più che civiche.  Nulla di scandaloso. Ogni regime politico ha le sue feste.  Alcune, consolidandosi, diventano nazionali, perdendo il carattere divisivo, altre sono caduche, come la festa nazionale del XX settembre (breccia di Porta Pia), dal carattere apertamente anticlericale, o come l'anniversario della marcia su Roma o del "Natale di Roma". Quest'ultima celebrazione fascista cadeva il 21 aprile ed era quindi una festa primaverile, che, nel 1924, venne proclamata dal nuovo regime anche festa del lavoro (anticipando il 1° maggio). Quest'ultimo venne ripristinato alla fine della seconda guerra mondiale, contemporaneamente alla proclamazione del 25 aprile quale festa della "liberazione". Una festa che ogni anno rinnova aspre polemiche e divisioni. Il 1° maggio, festa del lavoro pur essendo palesemente anche del socialismo (nata negli States fu proclamata più tardi festa mondiale dalla seconda internazionale) , appare meno divisivo anche perché ha saputo in qualche modo sovrapportsi ai riti primaverili ancestrali mutuando molti aspetti di riti e liturgie religiose.   
Nei paesi del socialismo realizzato, ma anche in quelli occidentali dove, come in Italia, vi era una forte presenza dei partiti comunisti, le parate del primo maggio, fortemente ritualizzate, ebbero - come ha osservato l'antropologo americano Roy Rappoport, studioso dei riti -, insieme alle "sacre scritture" del marxismo-leininismo, una funzione di santificazione dei "padri fondatori" del comunismo e dei leader in sella  le le cui venerate effigi venivano portate in devota processione (1)


Vi è quindi in gioco, il 1° maggio, un complesso gioco di mimetismo, sovrapposizione, assorbimento tra almeno tre piani: quello della religiosità tradizionale agraria, quello della religione cattolica, quello della cultura dei movimenti politico-sindacali di sinistra. 

Restando sul tema che ci interessa maggiormente: quello dei riti agrari primaverili, floreali e arborei, a dimostrazione dell'evoluzione del primo maggio (come di tutti i riti), si può notare come i garofani (che contadini e operai, specie nelle "regioni rosse" esibivano all'occhiello anche nei paesini), che rappresentano un evidente collegamento con la matrice di festa della della vegetazione, divennero un simbolo del craxismo, quindi caddero in disgrazia, per poi riapparire una volta stemperato il riferimento politico specifico (ormai neutralizzato).  Forza e destino dei simboli.
Nel manifesto italiano di inizio Novecento (sotto) il garofano rosso ha un ruolo iconografico e simbolico importante: è sparso nell'aere da un muscoloso "re di maggio" dalla mascella squadrata, versione maschile, in chiave socialista, della divinità della vegetazione. 

Re di maggio (o "padre di maggio"), nei riti tradizionali, poteva essere incoronato il più agile dei giovani che, avendo superato una prova di forza o di agilità, ha l'onore di arrampicarsi sul palo/albero di maggio. Il "re del primo maggio" sale, invece che sul Maggio (l'albero rituale) sulla sommità di un traliccio metallico che si staglia su un paesaggio di fabbriche con le ciminiere e coperture a shed, elementi che entreranno nel simbolismo della civiltà della fabbrica e delle macchine. La rappresentazione esprime una sostanziale rottura con la festa tradizionale che celebrava la simbiosi tra uomo e natura e la condivisione dei valori "prometeici" (cui rimanda l'ascensione) in chiave del macchinismo e dell'industrialismo. Erano valori propri dell'aristocrazia operaia europea, quella che dava il tono al movimento socialista. In realtà in discontinuità con i Knights of labour americani di metà Ottocento, che erano stati gli inventori del primo maggio ma che erano sensibili ai richiami populisti di un mondo rurale al quale si sentivano ancora legati, rivendicavano  i valori "arcaici" dell'artigianato, erano a favore della cooperazione e  all'unione dei produttori  e non amavano l'arma dello sciopero.  Nel loro "romanticismo" vennero soppiantati dal sindacato pragmatico AFLcio tutt'ora potente(2) .  Per il movimento socialista marxista tutto sarebbe divenuto radioso e sarebbe brillato il "sol dell'avvenire" alla sola condizione di cambiare la proprietà dei "mezzi di produzione" delle imprese. Anzi esso auspicava il rafforzando dell'industria "pesante" e la generalizzazione a tutta l'economia e la società del sistema di fabbrica (come poi tentò il bolscevismo nelle campagne russe e ucraine con esiti tragici). La schiavitù della macchina, l'organizzazione del lavoro alienante - dimenticata la lezione del giovane Marx -  la degradazione e il depauperamento industriale della natura, la vita negli alveari urbani, andavano bene, rappresentavano il progresso, la modernità,  erano sviluppo dell'idea di città, il definitivo superamento dell' "idiotismo rurale".

Una sotterranea nostalgia del passato contadino e, comunque, il desiderio di portare un po' di nota gioiosa nel contesto di una ideologia piuttosto plumbea, induceva, però, almeno il 1° maggio, a presentare inghirlandati e infiorati i simboli del lavoro. Per un giorno, forse, contavano anche un po' le rose (oltre al pane), ma ciò non intaccava l'economicismo e l'orientamento industrialista di fondo del movimento politico-sindacale che celebrava il 1° maggio. Resta il fatto che il socialismo, spostando la festa della primavera dal tema vitalistico dell'amore, della fertilità, dello spirito di simbiosi con la natura a quello del lavoro (con enfasi su quello di fabbrica), ha concorso, insieme ad altre influenze, all'accettazione della disciplina industriale, dell' "etica del lavoro" (salariato), della realtà umana impoverita dei quartieri operai, delle città costruite in funzione della fabbrica, senza gioia.


Il 1° maggio  nasce come festa delle 8 ore lavorative negli Usa (prima legge dell'Illinois nel 1866). Nel 1886 le manifestazioni del primo maggio a Chicago, per l'estenzione della legge a tutti gli stati,  la polizia sparò sui manifestanti. Il 4 maggio gli anarchici uccisero con una bomba 6 poliziotti e ne ferirono decine provocando una ulteriore sparatoria della polizia. Nel 1889 a Parigi la seconda internazionale socialista proclamò il 1° maggio festa internazionale dei lavoratori.

Per noi è interessante constatare come nella festa del 1° maggio, nonostante tutto, riemergano alcuni elementi della "sagra della primavera", delle feste legate all'effetto propiziatorio dello "spirito vegetale".  Con la nascita dell'agricoltura la relazione tra animali selvatici e umanità, che era al centro del pensiero religioso paeolitico, si trasforma in  una solidarietà mistica tra l'uomo e la vegetazione (3) . Esattamente come la chiesa cattolica, la quasi-chiesa marxista  ha inteso trasporre nella festa dei lavoratori, quegli elementi che caratterizzavano le celebrazioni tradizionali della primavera e fare qualche concessione al popolo. Un modo efficace per aumentare la "presa" della nuova festa presso gli strati popolari, veicolare i contenuti ideologici, estendere l'influenza socialista penetrando con le sue mitologie (di per sé di carattere para-religioso) nell'immaginario e nella cultura popolare.

Così Marianna, la personificazione della République, assume nel manifesto del 1° maggio 1898 le sembianze di una divinità della vegetazione (la germanica Freya: la Signora) indossando in vita un drappo variopinto a motivi floreali e porgendo un mughetto (in Francia il 1° maggio è anche la "festa del mughetto", una delle varianti della "sagra della primavera", con molti elementi in comune alle feste del Maggio di cui tratteremo a breve). Se i piedi poggiati sul globo terrestre della Marianna, in versione 1° maggio, richiamano molte rappresentazioni di Maria Vergine, Marianna-Primavera-Maggio si allontana però alquanto, in quanto simbolo battagliero e rivoluzionario, dalla versione  delle  dolci e bionde dee. Come Flora, nella famosa Primavera del Botticelli.

Pur sul terreno della simbologia del 1° maggio, richiama invece scopertamente questa categoria di dee, nella versione delle divinità slave dell'amore, della vegetazione, della fertilità, la leggiadra e giovanile creatura che campaggia in un manifesto bolscevico degli anni Venti. La bionda personificazione della primavera e del 1° maggio, dalla leggiadra veste trasparente (un po' osé),  sparge dal cielo fiori: solo rose rosse, però.

Il manifesto, come altri dell'epoca, è espressione, evidentemente, di una  libertà espressiva e della consonanza con le correnti artistiche contemporanee,  che sarà poi persa con  il successivo prevalere del cupo "realismo socialista" del periodo staliniano. Un po' attenuato e ingentilito per la celebrazione del 1° maggio.


Evidentemente molto più vestita e composta delle varie personificazioni della primavera è Maria Regina. I fiori non li sparge ma ne è ampiamente contornata. Mistico fiore, è stata spesso rappresentata contornata da ghirlande di fiori. Questo titolo, insieme a quello di Nostra Signora (che si ricollega alle regine di maggio e alle Signore, le dee, della vegetazione).  Nulla di casuale. La chiesa procedeva per innesti sul vecchio ceppo e con graduali sostituzioni e rivestimenti. Confidando che col tempo si sarebbe perso il riferimento originario. Prendere di petto il popolo non era saggio.  

Il titolo di Maria Regina e, con esso, la relativa festa, da celebrare il 31 maggio, furono proclamati nel 1945 da papa Pio XII.  Maria Vergine, però ha iniziato a essere associata al mese di maggio molto già dal XVII secolo. Dopo il Concilio Vaticano II questa festa è stata spostata al 22 agosto, mentre il 31 maggio è diventato la festa della Visitazione di Maria  A Roma san Filippo Neri (siamo nel Seicento), insegnava ai suoi giovani a circondare di fiori l’immagine della Madre, a cantare le sue lodi, a offrire atti di mortificazione in suo onore. Gradualmente alle implicazioni delle feste di maggio, esplicite celebrazioni della fertilità e dell'unione sessuale, la chiesa ha sovrapposto il modello della casta maternità.  Un percorso accorto e graduale  avviato dall'epoca del Concilio di Trento e inscritto, come abbiamo già avuto modo di rilevare nel precedente contributo (vai a vedere) nel programma della modernità mirante alla disciplina dei costumi dei "ceti subalterni".

Sino a non molti anni fa i bigliettini sui quali si scrivevano i "fioretti" offerti alla Vergine durante il mese mariano erano bruciati davanti a statue della Vergine in giardini e cortili con cespugli di rose. Il fumo di questi piccoli sacrifici di bambini saliva gradito al cielo riprendendo i temi del fuoco sacrificale che rappresentano, insieme agli elementi floreali e arborei, uno dei cardini dei riti tradizionali del maggio.


.... il più grande tesoro che portano a casa è il Maggio

La chiesa cattolica, che aveva alle spalle oltre un millennio di assorbimento delle forme religiose tradizionali, operò, sino al concilio di Trento. Mantenne poi una certa flessibilità (tranne che nell'immediato periodo post-tridentino: dove vi era forte resistenza si cercava di "addomesticare" il rito popolare sempre che esso accettasse di assumere forme riconucibili al culto cattolico; dove era debole lo si cancellava senza tanti complimenti. I millenari riti agrari furono bollati come licenziosi e demoniaci anche dalla chiesa cattolica (sia pure con un fanatismo minore dei protestanti). Gli interventi dei vescovi furono numerosi. Nella relazione della visita apostolica in diocesi di Alba del 1584, si legge:

Si levi l'abuso che in questa diocesi è grande di drizzar arbori che si chiamano Maggi alle feste delle Calende di Maggio, che oltre causa di molti disordini, risse, contenzioni e scandali , da segno più preso di pagana superstizione che di attione cristiana, e invece si drizzino delle croci in tutti i capi delle strade pubbliche (4).

ben diverso comunque fu l'atteggiamento delle correnti puritane del protestantesimo. L'antropologo James George Frazer, nella sua famosa opera, Il ramo d'oro, scriveva (5):

Lo scrittore puritano Phillip Stubbes nella sua Anatomie of Abuses, pubblicata per la prima volta a Londra nel 1583, descrive con evidente disgusto come si usava portare il maggio ai tempi della buona regina Elisabetta. La sua visione ci da una gaia visione dell’allegra Inghilterra del tempo antico: «il primo maggio, a Pentecoste e in altri giorni, tutti, giovani e vecchi, uomini e donne, se ne vanno in giro di notte per boschi e boschetti, per monti e colline, e vegliano tutta la notte in piacevoli passatempi; al mattino se ne ritornano portando rami e fronde per adornare le loro adunanze. E non v'è da meravigliarsi perché è un grande personaggio è tra loro presente, come sovrintendente il signore dei loro passatempi e divertimenti;  voglio dire Satana, principe dell'Inferno. Ma il più grande tesoro che riportano a casa è il maggio, con grande venerazione, così. Hanno da venti a quaranta paia di buoi, ogni bue con sulle corna un mazzo di odorosi fiori e di erbe e i buoi trascinano a casa questo maggio ( o meglio questo pestifero idolo), tutto coperto di fiori ed erbe, legato giro giro con nastri, e qualche volta dipinto a vari colori, e 2 o 300, tra uomini, donne e bambini, lo seguono con grande devozione. L’innalzano poi in piedi, con gale e banderuole che sventolano sulla cima, spargono la terra di paglia, ci legano intorno dei cespi verdi, e piantano sul terreno pergole e frasche. Ci si mettono quindi a ballare, come facevano i pagani quando innalzavano i loro idoli, così che questa ne è una coppia perfetta, o piuttosto la stessa cosa. E ho sentito autorevolmente narrare (e questo a vivavoce) da uomini di grande gravità e reputazione, che su 40, 60 o 100 ragazze che vanno per il bosco la notte, appena un terzo che ne ritorna intatta [vergine]».

Il rito arboreo ("matrimonio degli alberi") di Accettura, in Lucania, implica tutt'ora, per il trasporto, l'impiego di numerose coppie di buoi di razza podolica


Così la notte tra il 30 aprile e il 1° maggio è diventata la notte delle streghe, la notte di Valpurga.   

L'aspetto orgiastico del rito era comune a molte delle forme di celebrazione del Maggio. Come osservava Frazer (6) gli "eccessi" deprecati dai puritani erano parte integrante, normale e spontanea del rito accompagnando i matrimoni mitici tra gli dei maschili e femminili e quelli delle piante e degli alberi che assicuravano la riproduzione della vegetazione.   L'accoppiamento dei sessi umani era considerato, più in generale, una condizione necessaria per assecondare l'azione delle forze della natura, poi personificate nell'unione del dio del sole e della madre terra, penetrata dai raggi fecondatori. La pressione delle autorità civili e religiose in Inghilterra fece mettere al bando tutti i riti arborei del primo maggio nel 1640. Il revival della Merry England avvenne nei primi decenni del XIX secolo, in clima di romanticismo e proto-ecologismo (7).  Le danze e il "palo di maggio" attorno al quale, però, sino a tempi recenti le danze erano eseguite mantenendo separati i generi.  


L'albero è un elemento chiave del maggio, un prototipo di altri alberi.  Collegati all'albero di maggio sono l'albero di Natale, quello che si innalza sulle abitazioni una volta terminato il tetto, l'albero della libertà. L'albero della cuccagna, più che una derivazione è un aspetto dell'albero di maggio stesso. Offuscato dall'elemento del "gioco paesano", l'elemento ludico-atletico dell'arrampicata sulla cima dell'albero rimanda a elementi originari del rito. Può essere considerato come una rievocazione del mito prometeico della salita al cielo degli dei per ottenere, attraverso un furto primordiale, il tesoro dei cereali (secondo una interpretazione dell'etnologo tedesco Jensen)(8) .  La simbologia dell'ascensione dell'albero sacro rimanda, più in generale, all'Albero del Mondo come espresso da Mircea Eliade.

In generale si può dire che la maggioranza degli alberi sacri e rituali che incontriamo nella storia delle religioni sono soltanto repliche, copie imperfette di questo archetipo esemplare: l'albero del mondo. Questo vuol dire che tutti gli alberi sacri sono ritenuti trovarsi al centro del mondo e che tutti gli alberi e rituali o i padri che vengono consacrati prima o durante una cerimonia, sono in un certo modo proiettati magicamente al centro del mondo (9).

L'Albero del Mondo o Albero Cosmico è l'asse che collega le tre regioni cosmiche, gli inferi (dove affondano le radici dell'albero), la terra e il cielo (dove arrivano le sue fronde). E' l'asse che collega la terra al cielo, attraverso il quale salgono i sacrifici diretti al cielo, in modo esemplare presso gli sciamani dell'Asia centrale e settentrionale (10). Ma possono scendere anche i doni.   L'aspetto propiziatorio della fecondità è insito nella congiunzione tra il cielo (elemento mascile) e la terra (elemento femminile). Come le pietre sacre erette verso il cielo, l'albero costituisce inoltre, inequivocabilmente, un elemento fallico.


Tornando alla cuccagna, la sua origine può essere identificata in un procedimento magico che intendeva sfruttare a pieno i poter dlel'albero, appendendovi oggetti alimentari affinché, per effetto di magia simpatica, esso potesse propiziare la loro produzione, l'abbondanza. Con l'evolversi del rito nella direzione del suo implicare prove di destrezza e di iniziazione, all'albero oltre alle decorazioni di nastri, drappi, fazzoletti venivano appesi sulla corona collocata in cima, prosciutti, salami, formaggi. I fazzoletti delle ragazze, una volta restituiti costituivano l'occasione per "rompere il ghiaccio". Che la "cuccagna" non rappresenti solo un gioco finalizzato ad accaparrarsi doni commestibili lo dimostra la difficoltà dell'impresa e la forza muscolare e la determinazione necessari ad arrivare in cima. Infatti il palo è spalmato di grasso o è altissimo e rappresenta una sfida alle vertigini. In ogni caso chi riesce ad arrampicarsi velocemente fa colpo sulle ragazze. Se la salita all'albero/palo mette in evidenza, attraverso un processo emulativo, le doti individuali, il trasporto e l'innalzamanto del palo richiedono, oltre alla forza dei singoli anche il coordinamento e capacità di operare insieme. Si tratta quindi di una sfida che mette alla prova il gruppo, generalmente quello dei giovani del paese che devono dare prova di affiatamento e valore. Un gioco, ma anche un esercizio molto serio. Questo aspetto di messa alla prova del gruppo, che va ben oltre il gioco, è ben presente in alcuni "maggi" particolari come quello di Ponte Nossa in val Seriana che illustreremo poi.

Le varie fasi del rito del maggio implicano prove di agilità, forza, coordinamento e intesa tra i partecipanti attive. Non solo le "ascensioni", ma anche il trasporto e l'innalzamento.


All'albero vennero nel tempo sostituiti, ma non ovunque, dei pali verniciati che restavano in situ permanentemente. Non solo nelle piazze dei paesi ma anche nelle città. In altri casi il palo era un vero albero ma lo si si lasciava disseccare. Ogni qualche anno veniva rinnovato. Sia nel caso di rinnovo periodico con un nuovo albero che in quello del palo "fisso", il richiamo alla rinnovazione della vegetazione era dato dalla decorazione con fiori freschi. Nelle campagne, come nel dipinto di Bruegel (sotto) l'albero di maggio era un albero vivo e vegeto mantenuto in situ.

La corona (in alto) indica la sua "funzione". Queste "varianti" conservavano l'aspetto della festa, delle danze ma lasciavano cadere un aspetto fondamentale del rito: quello del taglio dell'albero in pieno stato vegetativo, con tutta la sua linfa (11) , e il suo trasporto al centro del villaggio, simbolicamente al centro della comunità, per diffondere ogni anno, con la cadenza del ciclo vegetativo e astronomico, il suo spirito fecondatore sui raccolti, sugli animali domestici, sulle partorienti.

L'azione propiziatoria dell'albero poteva, oltre che essere rivolta all'intera comunità, come quando l'albero è piantato nella piazza del paese, suddividersi tra le famiglie come quando il ramo era portato nelle case (12).

[...] nel distretto di Praga, i ragazzi staccano dei pezzi del maggio pubblico e li mettono dentro le immagini sacre in camera loro dove rimangono fino al prossimo 1° maggio, quando vengono bruciati nel focolare.

Questa consuetudine di ripartizione dei rami dell'albero
(13) , ovvero dei loro poteri benefici tra tutta la comunità è presente anche nel rito, tutt'ora praticato in Liguria, dell'albero di San Sebastiano, a Camporosso (Im) (14) . Qui, come altrove la divinità silvana è trasposta nel santo cristiano e il rito arboreo è incorporato nella festa patronale (in altri casi è il santo che viene incorporato con varie modalità nel rito principale del maggio). Non un santo a caso comunque, perché Sebastiano è, come noto, uno dei santi più venerati dai contadini contro la peste, ma anche le epidenie degli animali (spesso in coppia con San Rocco). L'occasione è data dalla tradizione relativa al martirio di Sebastiano, legato a un albero di alloro.

L'albero di San Sebastiano viene decorato con ostie multicolori. Dopo la processione (elemento costante dei riti arborei chiaramente legata alla finalità di diffondere il potere benefico dell'albero), l'albero è portato nella piazzetta della chiesa, i rami sono tagliati e, in cambio di offerte, consegnate ai fedeli che li conserveranno in casa. Il tronco viene invece bruciato (altro elemento comune a molti riti di maggio). I fuochi di gioia intorno all'albero di maggio bruciato erano molto comuni e rimandano ad altri riti del fuoco (come quelli di fine inverno). I falò  riconnettono due elementi chiave del rito del 1° maggio: quelli legati all'albero e i fuochi. Il nome della festa celtica è Beltaine, fuochi di Bel. Bel è divinità irlandese dai contorni incerti anche se vi è l'equivalente  gallico di Belenus. E' comunque un dio celeste, del sole, implicato nell'entrata dell'anno nessa fase luminosa, nell'estate. I fuochi accesi (magicamente) dai druidi sulle cime ne sottolineavano il carattere sacerdotale (15) . Questi fuochi, accesi sulle cime delle colline, sempre per sfregamamento di legni o pietre e utilizzando determinate essenze legnose, si sono mantenuti a lungo come usanza pastorale. Frazer (16) riferisce che erano una antica usanza in Scozia, Galles, Irlanda e li associava a riti come il triplo salto nelle fiamme e il passaggio del bestiame tra due fuochi. Questi rituali potevano essere il riflesso di antichi sacrifici umani e animali ma assunsero, già in epoca celtica,  carattere di propiziazione e purificazione (si pensava che il fumo preservasse il bestiame dalle malattie). Questi riti di suffimigazione, così come i salti tra le fiamme dei pastori, sono peraltro diffusi in molte aree geografiche erano parte anche di rituali romani (Parilia) celebrati il 21 aprile (17)
   . A sottolineare la connessione tra fuoco e rito vegetale del rito primaverile, i pastori collocavano fronde arboree sugli ovili.  

Se l'aspetto del falò rituale, come visto, era fortemente legata alle pratiche rituali dei pastori, anche lo stesso aspetto arboreo della festa del maggio poteva essere "specializzato" nella protezione del bestiame.  I maggi o, più comunemente, i rami del maggio, oltre alla funzione propiziatoria  di tipo "generale" ne ha di specifiche che rimandano all'origine agraria e pastorale del rito.  Frazer riferiva che:

In Europa si crede che il maggio apparentemente possegga poteri simili sulle donne e sopra il bestiame così, in molte parti della Germania, il primo maggio, i contadini innalzano dei "Maggi" o dei "cespi di maggio" alle porte delle scuderie e delle vaccherie, uno per ogni cavallo e uno è per ogni vacca; si crede che questo farà produrre alle vacche molto latte
(18)

Anche a Tesero, in Trentino, come vedremo oltre, i maggi venivano conservati nelle stalle per tutto l'anno a scopo apotropaico (19)

. Oltre ad essere indirizzato verso gli animali, il ramo o albero, che incorpora lo spirito vivificante e fertilizzante, veniva diretto anche in modo specifico sui raccolti. Ed è forse qui che va cercato il nocciolo del significato del rito, che utilizza la forza vegetativa "selvatica", promordiale dell'albero (il fatto che sia longevo e alto è ovviamente importante) per trasferirla alla vegetazione "domestica" in primis, quindi agli umani e ai loro animali (che iniziavano la stagione del pascolo estivo). Il 1° maggio segnava, infatti, per le popolazioni dedite all'agricoltura nei climi temperato-freddi, un momento di festa per la fine della brutta stagione ma anche di "ansia alimentare" che richiedeva azioni efficaci. Il raccolto era ancora incerto e ogni evento (come forti e prolungate piogge) che lo poteva compromettere avrebbe avuto consegenze drammatiche che andavano scongiurate. 

I contadini svedesi piantare un ramo frondoso in ogni solco dei loro campi di grano credendo che ciò assicurerà loro un buon raccolto. La stessa idea si ritrova nell’usanza tedesca e francese del “Maggio della mietitura" . E’ questo grande ramo o un albero intero che viene aggiornato con pannocchie di grano virgole portato a casa dai campi sull'ultima carrettata di grano è piantato sul tetto della fattoria o granaio
(20).

L'albero di maggio poteva essere al centro di riti primaverili-estivi non coincidenti con la data fatidica del 1° maggio, un tempo che rafforzava i due elementi della ripresa della piena vegetazione e dell'equinozio. Anche la Pentecoste, San Giovanni (solstizio), il 1° agosto (festa celtica di Lugnasad) , il ferragosto potevano essere date propizie per la celebrazione dell'albero. Si tratta di adattamenti con i quali le comunità collegavano un rito "universale" alle loro condizioni anche con la motivazione di imprimervi qualche elemento specifico in funzione identitaria.


A Stoccarda il Maibaum mantiene le caratteristiche dell'albero, a differenza della Baviera dove è, in genere, un palo dipinto con i clori nazionali (bianco e azzurro)


Il maggio (inteso come albero protagonista del rito arboreo di fecondità) poteva essere celebrato anche in occasione della festa patronale; di certo un modo per "tranquillizzare" l'autorità religiosa e non indurla a porre intralci allo svolgimento del rito. Per noi è molto interessante la seguente descrizione del rito arboreo che si svolgeva a Barzio, contenuta nel romanzo ottocentesco Lasco il bandito della Valsassina  (21) .  Il rito si svolgeva, se dobbiamo dar credito alla fonte, in "giorni solenni", variabili da anno a anno. Nell'anno cui fa riferimento la vicenda, esso fu celebrato il 26 agosto, giorno del patrono Sant'Alessandro di Bergamo martire. Altro aspetto originale è che gli alberi erano diversi e sistemati davanti alla chiesa. Nella sommaria descrizione del rito, l'aspetto più significativo è il trasporto degli alberi, effettuato a spalla da coppie (un ragazzo e una ragazza). La lunga processione entrava solennemente in paese e si svolgevano danze. Purtroppo non viene detto nulla circa l'ulteriore svolgimento del rito. Notiamo che l'accompagnamento musicale era fornito dalla cornamusa. Elementi comuni a riti simili sono lo sfrondamento dei rami e della corteccia delle conifere e il mantenimento del solo "pennacchio", del ciuffo o mazzo. Queste operazioni rispondono all' 'esigenza di ridurre il più possibile il peso dell'albero e renderne più agevole il trasporto (i rami impedirebbero di portarlo a spalla o di trascinarlo a terra trainato dai buoi).  D'altra parte il mantenimento del pennacchio è indispensabile perché l'albero si mantenga riconoscibile, non sia scambiato con un albero secco, con un palo morto. E' la sua vitalità che ne determina il potere benedico. Altro elemento comune le funi variopinte che, in questo caso, non sono solo decorative (come i nastri e le ghirlande) ma aiutano il trasporto. 

In certi giorni solenni, come in quell’ anno il dì, di sant’ Alessandro, è costume colà innalzare, davanti alla chiesa altissima, abeti o pini, che disposti in certo qual’ordine danno l’aspetto di un atrio bizzarro di stile gotico e rammentano col loro svelto ascendere lo slancio dei cuori fedeli all’Autore della natura. Questi pini vengono a bella posta tagliati sulla cima dei monti vicini sfrondali e puliti, non si lascia loro intatto che il cocuzzolo in forma di pennacchio. Indi i tagliatori giovani, quasi sempre dai diciotto ai trent’anni, senza eccezione di condizione, stabilita l’ora di fare solenne ingresso nel paese cogli alberi lunghissimi si procurano ciascuno una compagna scelta fra le giovani compaesane, che li ajutino nel trasporto. E queste vi si acconciano colle spalle, quando non siavi soverchia disparità di sutura, coi zerbinotti (22) compagni, si giovano di funi vario-pinte, colle quali portano la pianta, a quel modo che i ragazzetti nelle processioni sacre sostengono un cesto di fiori. Bello e poetico si è poi lo spettacolo di questa allegra gioventù, che, messa in festivo arnese e guidata da qualche esperto suonatore di cornamusa, discende dai torti sentieri della montagna, quasi un’emigrazionedi una delle sue selve che a suon di marcia abbandoni l’antica solitudine dell’alpe. Il canto si alterna colle melodie di quel montanino strumento, finchè giunta la comitiva spesso numerosissima, in vicinanza del paese si ferma là dove s’aprequalche spianata, e deposti i carichi e intonata sulla cornamusa qualche monferrina, alla vista del popolo che vi fa corona, s ‘intrecciano danze e carole di una festività singolare nè si cessa dal sollazzo finchè la sera non chiami ciascheduno alle proprie case.


Altre modalità del maggio, per restare in ambito alpino italiano, caratterizzavano la processione delle "mazze" di Tesero in val di Fiemme (23) . Va precisato che deti riti arborei scomparsi non rimangono che informazioni frammentarie relative al Trentino dove la famosa inchiesta napoleonica del 1811 sui rituali e i costumi popolari non venne eseguita (24) . A Tesero il protagonista è il ginepro. Le mazze erano alberelli di ginepro portati in processione il 25 aprile (San Marco), giorno delle rogazioni maggiori. I portatori facevano a gara a esibire il ginepro più grande che andava sorretto con  un cinturone. Gli alberelli erano adornati di ancone (immagini di carta dei santi) e di strisce di carta colorata. Terminata la processione delle rogazione (con sosta ai quattro capitelli che circondavano il paese), i partecipanti si recavano in chiesa con la messa e la benedizione degli animali e delle mazze. Una volta benedette (ricordiamoci che la sacralizzazione del maggio è una componente ancestrale del rito) le mazze venivano portate nelle stalle a protezione degli animali dalle malattie. Mantenute per tutto l'anno venivano bruciate (altra concordanza con il "modello" rituale).

Tra i riti del Maggio tutt'ora praticati in Italia due si distinguono per la loro complessità e per il carattere di imprese "ciclopiche" che richidono un impegno e capacità non comuni: il Maggio di Accettura (Matera) e il Màs (traducibile sia come "mazzo" - con allusione al pennacchio - che come "maggio") di Ponte Nossa in val Seriana. Il Maggio di Accettura è noto anche come "matrimonio degli alberi" (25) , questa è in realtà una componente caratteristica del maggio lucano ma rientra a pieno titolo nelle tante varianti dei maggi. Frazer infatti citava, pur non indicandone le modalità, un matrimonio degli alberi come rito arboreo di un villaggio del Cheshire in Inghilterra (26) . Vedremo nella prossima puntata di questo articolo (2a puntata) che il rito del "matrimonio" era celebrato anche ad Ardesio, in alta valle Seriana mentre un bellissimo documentario del 1959 di Vittorio De Seta (autore di "Banditi a Orgosolo") descrive il rito della congiunzione arborea in un paese della montagna cosentina.


Anche ad Accettura il rito del Maggio, dal 1797,  è inserito nella festa patronale di San Giulianicchio. Il complesso rituale inizia la prima domenica dopo Pasqua, quando un gruppo di volontari si reca nel vicino bosco di Montepiano per scegliere il cerro più alto e diritto che diventerà il Maggio; la domenica successiva viene scelta, nella foresta di Gallipoli, la Cima, un agrifoglio che sarà innestato in un simbolico matrimonio sopra il Maggio nelle settimane a venire.


Foto Antonio Delbono


L'agrifoglio (come ci ricorda l'uso nelle case nel periodo natalizio) è associato a poteri apotropaici, in più è pianta dioica con individui con solo fiori femminili e soli fiori maschili.

Il giovedì dell'Ascensione il Maggio (lo "sposo") viene abbattuto dai "maggiaioli". Otto giorni dopo viene trascinato da numerose coppie di buoi di razza podolica fino a un'area a circa 4 km da Accettura, da cui, l'indomani, ripartirà verso il paese.

Alla domenica di Pentecoste la cima, la "sposa", viene abbattuta e trasportata con molta cura a spalla dai "cimaioli" per un tragitto di circa 15 km, sino ad Accettura. Durante il tragitto, che dura l’intera giornata, sono frequenti le soste allietate da salsicce, formaggi, frittate, biscotti e bottiglie di  vino. Solo nel tardo pomeriggio, verso le 19, i due alberi si incontrano e inizia la vera festa di popolo. Il lunedì è giorno di riposo e preparazione. Gli "sposi" sono ripuliti e prepatati per l'innesto; dalle campagne di Valdienne, arriva la processione del quadro dei Santi Giovanni e Paolo.


Foto Antonio Delbono

Nel pomeriggio la statua di San Giulianicchio viene portata, insieme al quadro, in processione per il paese. Il martedì, preceduta dalla sfilata di ragazze con candele e nastrini collocate sul capo, si inizia la processione di San Giuliano.
Il corteo raggiunge il centro dell'abitato dove sono in corso le laboriose operazioni di innalzamento del Maggio. Migliaia di persone seguono in silenzio.  All'operazione sovrintendono i più anziani.


Foto Antonio Delbono

Sotto lo sguardo del Santo, il Maggio è innalzato con funi e forcelle. La cerimonia sta per concludersi. Manca ormai poco all’appuntamento finale del pomeriggio, quando giovani coraggiosi si cimenteranno nell’ardua scalata dell'albero alto quasi quaranta metri compiendo vere acrobazie si arrampicheranno sul grosso tronco sino a raggiungere la chioma. Alto sino a 40 m questo Maggio esprime nel modo più evidente possibile il senso dell'ascensione al cielo, del congiungimento tra terra e cielo.Da qui eseguiranno alcune "figure" acrobatiche per salutare la folla.

FINE DELLA PRIMA PUNTATA

vai alla seconda


Note

(1) R. Rappoport, Ritual and religion in the making of the humanity, Cambridge, Cambridge university press, 2004, p. 319

(2) C. Lasch. Il paradiso in terra. Il progresso e la sua critica, Vicenza, Neri Pozza, 2016, pp. 225 ssg. 

(3) M. Eliade, Storia delle credenze e delle idee religiose, vol I, Dall'età della pietra ai misteri eleusini, Milano, Rizzoli, 2016 (ed. pr. Paris, 1975) p. 52.

(4) C. Corrain, P. Zampini, Documenti etnogradici e folkloristici nei sonodi diocesani italiani, Bologna, Forni, 1970p. 213

(5) J.G.Frazer, Il ramo d'oro. Studio sulla magia e la religione,  Torino, Bollati Boringhieri, 1990, p. 153.

(6) Ivi, p. 167.

(7)  D. Rowe, May Day: the coming of spring, Swindon, English Heritage, 2006, p. 8.

(8)  Eliade (op. cit., 2016 p.52), ricorda, però, come oltre al "furto" il mito dell'origine dei cereali è legato presso le religioni dei popoli agricoltori all'immolazione di un essere primitivo o all'unione ierogamica tra il dio del cielo e la terra madre.

(9) M. Eliade, Immagini e simboli, Milano, Jaca book, 1980 (ed. or, Paris, 1952), p. 44. 

(10)  Ivi, p. 45.

(11) La linfa era considerata il "sangue delle piante", che a ogni primavera rinasce dalla terra, resuscita gli alberi, fa si che si coprano di foglie e di fiori. Se Dioniso è diventato il dio del vino è perché in origine era una divinità della linfa. J Brosse, Mitologia degli alberi. Dal giardino dell'Eden al legno della croce, Milano, Rizzoli, 2006, p. 112

(12)  Frazer, op. cit., p. 155

(13)  In questo caso si individua una analogia con il ramo di ulivo benedetto e il più "pagano" ramo di agrifoglio di capodanno.

(14)  I. Sordi, Folklore cerimoniale/Liguria, in A. Falassi, Le tradizioni popolari in Italia. La festa, Milano, Electa, 1988, pp. 30-37.

(15) F. Le Roux, C. J. Guyonvarc'h. I druidi, Genova, Ecig, 1990

(16)  Frazer, op. cit., p. 175.

(17) I Parilia erano una festa pastorale, in onore del dio Pales,  celebrata il 21 aprile, i pastori ornavano di fronde gli ovili e affumicavano i greggi. Pregato per la salute e la fecondità delle greggi, bevuto il latte consacrato i pastori saltavano tre fuochi in fila. J. Bayet, La religione romana, Torino, Bollati Boringhieri, 1992, (1a ed. 1959), p. 85.

(18) Frazer, op. cit., p. 148.

(19)  R. Morelli, Gli alberi nei rituali primaverili del Trentino, in "La Ricerca Folclorica",  6, Interpretazioni del carnevale (Oct., 1982), pp. 47-56.

(20)  Frazer, op. cit., p. 148.

(21) A. Balbiani, Lasco, il bandito del Valsássina sessant' anni dopo i promessi sposi: romanzo storico, Milano, Pagnoni, 1871. n. p. 259.

(22) arcaismo per indicare giovani eccessivamente eleganti e galanti e quindi goffi

(23)  Morelli, op. cit.

(24)  G. Tassoni, Arte e tradizioni popolari, Le inchieste napoleoniche sui costumi e le tradizioni del regno italico, Bellinzona, La Vesconta, 1973. Motivata da fini di controllo e repressione sociale l'inchiesta napoleonica ci ha consegnato una grande quantità di dati etnografici.

(25) V. Lanternari, Festa, carisma, apocalisse, Palermo, Sellerio, p.58.

(26) Frazer, op. cit., p. 155.

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