Persino
gli ecologisti temono il rewilding autoritario
C'è
veramente di che preoccuparsi quando è un sito ecologista a lanciare
l'allarme sulle implicazioni antiumane e autoritarie della politica di rewilding,
perseguita a colpi di reitroduzione di specie estinte,
creazione di corridoi ecologici per la "libera circolazione" dei
grandi carnivori. In una recente recensione su Reporterre (quotidiano
online ecologista francese) si esprime questo terrificante giudiziodel libro di due naturalisti francesi sul
rewilding:il concetto di
protezione della natura difeso in queste
pagine mira, alla fine, alla deportazione di intere popolazioni
(popolazioni di montagna e costiere in particolare) che vivono da
secoli in relazione al loro ambiente naturale.
(24/02/2021) L'articolo
originale ( La tentation d'un réensauvagement
autoritaire) è di Maxime Lerolle ed è stato pubblicato il
18/02/2021 su Reporterre.net. Reporterre le quotidien
de l'écologie continua on line, dal 2008, il giornale cartaceo,
fondato nel 1989 dal giornalista Hervé Kempf. Si differenzia dalla
maggior parte dei media ambientalisti per affrontare le problematiche
ecologiche (affrontate anche con inchieste ad hoc) senza abbandonare
sensibilità per gli aspetti sociali e di libertà. Del giovane
giornalista ed esperto di comunicazione segnaliamo due
articoli recenti su Reporterre che affrontano temi trattati anche da
Ruralpini (26/01/2021) Ah! qu’il
est doux
de vivre loin des métropoles (08/12/2020) La politique de protection de
la nature est née du colonialisme.
A tradurre l'articolo
e a segnalarlo a Ruralpini è stato Georges Stoffel, un contadino bio
grigionese (di Avers) che si batte da anni contro la reintroduzione dei
grandi predatori e i parchi. Di Stoffel abbiamo già ospitato nel 2017
l'articolo Il ritormo allo "stato selvaggio"
(rewilding): parchi e grandi predatori
La
visione di un'Europa in cui la natura selvaggia riconquista i suoi
diritti su vasti territori descritta da Gilbert Cochet e Béatrice
Kremer-Cochet in "L'Europe
réensauvagée. Vers un noveau mond"
è
qualcosa da sognare. Tuttavia, il loro progetto si inserisce in una
logica molto verticale, con un ruolo determinante lasciato alle
capacità autoritarie degli Stati nella realizzazione e conservazione di
questo rewilding che tende a
relegare l'essere umano al rango di
spettatore
Bisonti
che galoppano liberi nelle foreste polacche, grifoni che sorvolano le
Cévennes, storioni che depongono le uova nel Danubio... No, questo non
è un sogno, ma un'osservazione reale di Gilbert Cochet e Béatrice
Kremer-Cochet. In L'Europe réensauvaged, la coppia di naturalisti
francesi dipinge un quadro positivo delle varie misure di protezione e
reintroduzione e dei ritorni spontanei della fauna europea.
Dalla
creazione dei primi parchi naturali alla fine del XIX secolo e dalle
misure di protezione delle specie e dei territori in pericolo, la
natura ha gradualmente riconquistato i suoi diritti in tutto il
continente. Inizialmente limitate ai santuari inaccessibili all'uomo,
come le montagne e le isole, le politiche ecologiche sono state
gradualmente estese ad altri ambienti naturali, raggiungendo le
foreste, le zone umide e persino le coste, creando vasti corridoi
attraverso i quali circolano le specie. È grazie a questi corridoi che
i lupi del Parco Nazionale d'Abruzzo nell'Italia centrale, per esempio,
hanno potuto colonizzare spontaneamente le Alpi svizzere e francesi - e
anche oltre.
Per
quanto spontanee possano essere, tali colonizzazioni richiedono uno
stato strategico a monte. Affinché la natura torni a fiorire, è
necessario che gli Stati - le uniche entità con così tante risorse - ne
definiscano il quadro spaziale, temporale e politico, dal quale poi si
ritirano. Il loro credo - o meglio il credo difeso dagli autori -
potrebbe quindi essere riassunto così: intervenire pesantemente a monte
per lasciare le cose al caso dopo. Insomma, una variante ecologica
dell'economia di mercato, la cui parola d'ordine sarebbe "libera
circolazione delle specie". Gilbert Cochet e Béatrice Kremer-Cochet
elencano una serie di questi interventi: distruggere le dighe inutili
per permettere ai pesci migratori di risalire i fiumi, reintrodurre
specie estinte nei loro areali storici, estendere e creare parchi
nazionali e riserve di protezione integrale, ecc.
L’Europe
réensauvagée. Vers un nouveau monde,
de Gilbert Cochet et Béatrice Kremer-Cochet,éditions
Actes Sud,
collection «Mondes
sauvages»,
juin 2020, 336 p., 23 €.
Da
questo punto di vista, Re-Wilding
Europe è tanto un bilancio delle
esperienze passate quanto un manifesto per perseguire e approfondire le
politiche di protezione e ripristino della natura selvaggia. Tuttavia,
a differenza di Ré-ensauvageons la France, il
precedente libro di
Gilbert Cochet, questo nuovo libro richiede un coordinamento
transnazionale. Per quanto efficaci possano essere a livello
locale, le
misure prese individualmente da ogni Stato portano solo alla creazione
di isole frammentate, isolate le une dalle altre.
Un corridoio dalla Spagna ai Carpazi
Quindi,
per assicurare la continuità delle aree naturali, diventa necessario
unire e coordinare gli sforzi a livello continentale. Dopo tutto, le
specie migratorie, sia che vivano sulla terra, nell'acqua o nell'aria,
non conoscono le frontiere che attraversano. Così, una delle più
grandi
aspirazioni dei due autori è quella di creare un "corridoio C2C"
transnazionale dalla Cordigliera Cantabrica nel nord-ovest della Spagna
ai Carpazi e al Caucaso, che sarebbe l'equivalente europeo della
Yellowstone nordamericana.
In
breve, le future politiche ecologiche devono andare oltre, non solo in
termini quantitativi - estendendo la superficie delle aree protette -
ma anche in termini qualitativi. Per i naturalisti, si tratta ormai di
passare dalla semplice "presenza contabile" di una specie, reintrodotta
o ritornata spontaneamente, all'"abbondanza", o addirittura alla
"sovrabbondanza", grazie alla quale la natura selvaggia potrà
finalmente fare a meno dell'uomo.
Tuttavia,
per quanto entusiasta possa essere, una tale concezione del rewilding
non manca di sollevare domande. A partire dal sottotitolo del saggio.
In che tipo di "nuovo mondo" vogliamo davvero andare? Per molti versi,
il nuovo mondo proposto da Les Cochet è simile a quello vecchio, perché
riproduce le basi ideologiche che ci hanno portato alla distruzione
della biodiversità come la conosciamo oggi. Una forte critica
pubblicata su lundimatin
mette in evidenza e sfida tutti i pregiudizi
alla base dell'approccio degli autori. Senza andare così lontano,
tuttavia, ci sono molti argomenti contro questa visione del rewilding.
Un
interventismo con accenti marziali
Si
basa prima di tutto su un forte interventismo statale, lo stesso che un
secolo prima disboscava le foreste, prosciugava le zone umide e
centellinava i mari per sviluppare sempre di più la società moderna.
Anche se gli attori e le mentalità sono cambiati da allora, il
carattere autoritario dello Stato rimane. E i Cochet chiedono
apertamente il suo intervento per porre fine alle pratiche popolari
della natura, distinguendo e privilegiando così due tipi di utilizzo. I
buoni, quelli degli ecologisti, veri "eroi del restauro della natura"
dotati di "abnegazione senza limiti", per i quali il piacere sta nella
sola contemplazione della natura; e i cattivi, quelli dei "bracconieri"
e degli allevatori e pescatori che, con le loro attività, rendono
sterili gli ambienti naturali.
Tutto
un vocabolario di guerra irrora l'Europe
réensauvagée, fino alla "riconquista" e
alla "colonizzazione" delle aree di distribuzione storiche delle specie
selvatiche, accennando così al grado di autoritarismo richiesto contro
i nemici degli ecologisti. Così facendo, gli autori rinnovano gli
argomenti che i primi difensori delle foreste e delle montagne usavano
per opporsi a queste stesse popolazioni, seguendo inconsciamente una
genealogia dell'ecologia autoritaria che gli storici Jean-Baptiste
Fressoz e Fabien Locher hanno parzialmente tracciato in Les
Révoltes du
ciel.
A
lungo andare, la rinaturalizzazione dell'Europa che i due naturalisti
sognano assomiglia a un'Europa disumanizzata... disumanizzata.
Naturalmente, come ci ricorda il filosofo Baptiste Morizot nella sua
prefazione, opporre natura selvaggia e umanità non ha senso, nella
misura in cui queste due sfere appartengono entrambe ai viventi.
Tuttavia, il concetto di protezione della natura difeso in queste
pagine mira, alla fine, alla deportazione di intere popolazioni
(popolazioni di montagna e costiere in particolare) che vivono da
secoli in relazione al loro ambiente naturale. Invece di ricorrere allo
Stato come sviluppatore, perché non ispirarsi al rapporto con la natura
che hanno certi popoli indigeni nel mondo, come i popoli andini con la
Pachamama o i comuni zapatisti del Chiapas? O, più vicino a noi, le
esperienze di condivisione sensibile del vivere al lavoro nella Zad e
in altri territori autogestiti? [la ZAD era la zone a defendre,
l'area del progettato mega areoporto di Notre-Dame-des-Landes occupata
per dieci anni da contadini e allevatori per impedire la grande opera
inutile, alla quale il governo francese ha rinunciato nel 2018]
Tutti
questi modi di vivere implicano la profonda interazione del mondo
umano, animale e vegetale. Per loro, non c'è motivo di parlare di
"natura" in contrapposizione alla "cultura", poiché tutto appartiene ai
viventi. Al contrario, Gilbert Cochet e Béatrice Kremer-Cochet
ritengono che per proteggerla è necessario mantenere una distanza
sistematica dalla natura e quindi mantenere, se non rafforzare, una
rigida separazione tra natura e cultura. Il loro rapporto ideale con la
natura? Simile al piacere che "uno spettatore prova quando guarda un
buon film" o la "grand opéra selvatica" [la grand opéra era un genere
operistico di grande impegno scenico in voga in Francia tra il 1830 e
il 1870] . La
domanda merita di essere posta: vogliamo che il selvaggio torni a
contemplarlo meglio in un'escursione o dal suo divano? O vogliamo vivere diversamente,
in simbiosi con il resto dei viventi?
Rinaturalizzazione
vs ripopolamento montano (07.01.20) Antonio
Carminati.
L'ipocrita politica di spopolamento cammuffata di ecologia. La
rinaturalizzazione non è il risanamento dell'ambiente ma la sua
negazione.
ARTICOLI SUL TEMA LUPI
In Germania vengono abbattuti i lupi
causa di gravi danni agli allevamenti (24/02/2021) In Germania,
nella Bassa Sassonia, un lupo è stato abbattuto legalmente qualche
giorno fa per tutelare gli allevamenti dai gravi e ripetuti attacchi
predatori. È la prima volta che accade. Quello che appare un fatto
“eccezionale” è l’anticipazione di un auspicabile ritorno alla
normalità (animali pericolosi e dannosi non possono essere lasciati
proliferare con “licenza di predazione”)
Non
solo Covid. In montagna emergenza lupi (21/02/2021) Enzo Bacchetta
del Comitato salvaguardia allevatori
ossolani,
già amministratore locale di Bannio Anzino, in valle Anzasca, denuncia
l'insostenibile situazione della sua valle (ma è lo stesso in tante
altre). La politica ha lasciato degenerare la situazione per colpevole,
vergognosa , dolosa abdicazione dei poteri pubblici alla lobby del lupo
Contenere il
lupo si può (le norme vigenti)
Basta alibi. Le regioni hanno il diritto/dovere di monitorare e
controllare la fauna (ancorché iper-protetta), anche il lupo e l'orso.
Nei modi previsti dalle normative. Vediamole e facciamo chiarezzaleggi
tutto
Cuneo.
Colpo di mano della banda del lupo
(11/02/2021) Istituiti nel 2019, uno per una
farfalla, l'altro per il Bosso (la comune pianta delle siepi), i SIC
(varietà di area protetta) di Comba di Castelmagno e del Vallone
dell'Arma a Demonte ora diventano "aree di protezione assoluta delle
cucciolate di lupi" introducendo pesanti vincoli che mettono una
camicia di forza alle attività forestali, pastorali, turistiche. Sotto
il controllo (anche poliziesco) del Parco Alpi Marittime (WolfAlps). I
comuni hanno pochi giorni per poter opporsi (chiamala democrazia)leggi
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Loup
e vourp. Il colpo alla nuca alla
montagna (08/02/2021) Anna
Arneodo torna a parlare di cultura alpina e di lupo.
Ripercorrendo le tappe della progressiva "resa" delle Terre alte.
Per esse il lupo è il colpo di grazia, sparato consapevolmente e
cinicamente, per quanto nascosto da spesse cortine di ipocrisia, a una
vittima già a terra. leggi
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Un
parco contro WolfAlps (29/01/2021) Mauro
Deidier, neo
presidente del parco delle Alpi Cozie (Torino), parco partner di Wolf
Alps, ha scritto alla "centrale" del progetto-istituzione, il parco
delle Alpi Marittime, per manifestare il suo dissenso. Nella sua
circostanziata e densa lettera, rileva come Wolf Alps operi in modo
poco trasparente e impieghi una quota sostanziosa della pioggia di
milioni ricevuti per consulenze e comunicazione, una "comunicazione"
che viene effettuata, come loro stessi riconoscono, in forma di
manipolazione, anche dei bambini. Dall'articolo link alla lettera
integrale del dr. Deidier leggi
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In
Piemonte il lupo è un problema sociale e politico (19/01/2021) Alcuni comuni e unioni
montane delle provincie di Torino e Cuneo chiamano in causa la
regione Piemonte in tema di lupo. Contestano la sua inerzia e
l'appiattimento sulle posizioni delle lobby animal-ambientaliste. Il
vice presidente Carosso risponde sostenendo che in Italia il lupo è
gestito bene, che ci sono poche predazioni e tutto andrà bene dopo che
saranno noti i risultati del censimento dei lupi orchestrato dal solito
Wolf Alps. Abdicazione della politica (come volevasi dimostrare)leggi
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I
danni del lupismo (21/12/2020) Due fatti di cronaca mettono
in evidenza come il lupismo rappresenti una patologia sociale con gravi
conseguenze. Dalla donna sbranata dai simil-lupi cecoslovacchi
(reincociati con il lupo?) alla fuga di sette lupi neri canadesi del
luna park del lupo francese al confine con la provincia di Cuneo leggi
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Si
allarga alla Valsesia il movimento NO LUPI (29.07.20) "O noi o i lupi".
WolfAlps - sempre più autority del lupo istituzionalizzata
- e Regione Piemonte sono stati contestati anche in Valsesia in nome
della resistenza rurale (dopo la protesta in Ossola di un mese fa).
Nessuna fiducia nell'opportunismo della politica e delle istituzioni.
Va intensificata la protesta per rompere la cappa di piombo di censura
e manipolazione leggi
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CAI:
che brutta figura (il lupo da alla testa) (19.07.20) Il GGC (gruppo grandi
carnivori del Cai) fiancheggiatore di WolfAlps, con il
"bando" per "allevatori virtuosi" (a favore della convivenza con
il lupo) ha rimediato una magra figura. Il bando ha raccolto solo
23 domande in tutta Italia. Non solo, ma il Cai ha fatto orecchio da
mercante quando Nina Liebhardt, una pastora
ossolana, ha rifiutato il premio per non prestarsi a una
strumentalizzazione contro i pastori. L'abbiamo intervistata
all'alpe Ratagina in val Agarina in questi giorni leggi
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