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(15.01.10) Importanti modifiche apportate alla legge veneta
sul km 0 per venire incontro ai rilievi su 'libera circolazione'
e 'libertà di impresa'
Nonostante tutto, introducendo
il 'federalismo alimentare' (o il 'km 0' che dir si voglia)
la legge veneta rappresenta una pietra miliare
Il principio della 'origine
regionale' dei prodotti è stato eliminato e sono state
'ammorbidite' alcune previsioni della legge veneta n
7 del 28 luglio 2008 ('Norme per sostenere e orientare
il consumo di prodotti di origine regionale') ma è sempre
un gran passo avanti
Sarà presto operativa la legge sul km zero della Regione Veneto dopo
che il Consiglio Regionale ha approvato le modifiche che recepiscono le
osservazioni della Commissione Europea al testo della legge regionale
finalizzata ad orientare e sostenere il consumo dei prodotti agricoli
di origine veneta. Diversi enti che gestiscono mense avevano di
fatto già applicato i principi della legge ed è sorto un circuito di
ristoranti a km zero (sono già una trentina). Ora vi sarà la
possibilità di darne applicazione in tutto il Veneto.
Franco
Manzato, assessore alle Politiche per l'agricoltura
e vice-presidente della Giunta regionale attribuisce
un forte significato politico alla conclusione dell'iter
del provvedimento legislativo:
'La legge veneta non è solo la prima in Italia sui prodotti a km zero
ma è un esempio di federalismo applicato: rispetto ad una omogeneità
che rischia solo di appiattire tutto, esaltiamo le qualità, le
eccellenze e le capacità di ogni singolo territorio per promuoverne uno
sviluppo dal basso. Viene insomma dato il via libera alla politica di
contrasto ad una mondializzazione che penalizza le nostre aziende,
trasformandosi in banalizzazione e omogeneizzazione del gusto e dei
sapori a scapito della tipicità e delle imprese che lavorano meglio:
una politica che abbiamo sempre perseguito e non solo come
amministrazione regionale'.
Anche
se la valenza del provvedimento è rimasta sostanzialmente
intatta non si può non osservare come la Commissione
europea abbia imposto di eliminare qualsiasi
riferimento all'origine regionale dei prodotti. Essere
'veneti' non poteva, in sè, costituire un elemento di
preferenza e di orientamento del consumatore. Tale riferimento
che, nelle finalità della legge, corrispondeva anche
ad un elemento di 'identificazione culturale' è stato
letto dalla UE come una sorta di indebito 'protezionismo'
incompatibile con il principio della libera circolazione
delle merci. E' inevitabile osservare come i principi
del liberismo economico finiscano per interferire pesantemente
con altri principi e diritti altrettanto fondamentali
quali quelli delle comunità umane di difendere la propria
identità culturale. Per la UE - istituzione nata sulla
integrazione dei mercati e rimasta improntata al primato
dell'economia - il cibo è una merce e basta. Montagne
di studi e letteratura sui significati simbolici e identitari
del cibo in ogni società umana e la stessa constatazione
che il cibo e la cucina rappresentano il legame
più forte con le culture di origine di migranti e autoctoni
non bastano ad incrinare l'Europa dei mercanti.
L'origine
regionale cacciata dalla porta rientra dalla finestra
attraverso la 'sostenibilità ambientale'
Vedere
negato il principio alla preferenza per gli alimenti
originari della propria regione non è simpatico anche se,
con il 'km zero', si ottiene lo stesso risultato ...
Va anche detto che se da un lato l'origine regionale
legittimava un potenziale aspetto culturale dall'altro
lasciava troppo nel vago gli aspetti qualitativi. Dietro
il Made in Veneto (a maggior ragione del Made in
Italy) quanti prodotti industriali intimamente globalizzati
si nascondono?
L'introduzione
di un riferimento puntuale al 'prodotto km zero'
contenuto nelle modifiche volute da Bruxelles da questo
punto di vista rappresenta un aspetto migliorativo.
Cosa sono allora questi 'prodotti a km zero'? I prodotti
di qualità, quelli che rispettano la stagionalità, i
prodotti tradizionali e una nuova categoria di 'prodotti
agricoli a comprovata sostenibilità ambientale in termini
di ridotto apporto di emissioni di gas serra (GHC)'
.
Per
quanto riguarda i prodotti 'di qualità' si fa riferimento
alla Legge regionale 12 dicembre 2003 n. 40 ('Nuove
norme per gli interventi in agricoltura'), per i prodotti
'tradizionali' il riferimento è alla normativa nazionale
sui 'Prodotti agroalimentari tradizionali' (art. 8 d.l.
30 aprile 1998 n. 173), per la 'stagionalità' (che andrà
meglio definita attraverso le circolari applicative)
si fa riferimento al principio della 'vendita e consegna
nel periodo di produzione tipico delle zone agricole'.
E' l'ultima categoria che non può non lasciare perplessi
il criterio 'indicato' (imposto?) da Bruxelles.
L'impatto di emissione di GHC sarà valutato sulla base
delle norme UNI ISO 14064-1 e UNI ISO/TR 14062:2007.
La questione delle emissioni e del loro calcolo
(spesso molto convenzionale e pericolosamente suscettibile
di distorcere la realtà) è oggetto di controversie a
non finire e l'introduzione di regole come queste rischia
solo di favorire le società di certificazione aggravando
i costi della produzione senza garanzie di ritorni in
termini di effettivi vantaggi ambientali.
Le modifiche
volute dalla UE hanno anche eliminato l'obbligo
di approvvigionamento di prodotti 'km zero' da parte
della ristorazione collettiva e, per quanto riguarda
appalti e forniture, hanno reso facoltativa la previsione
del titolo preferenziale per i prodotti 'km zero'. E'stata
anche ridotta la percentuale di posteggi nei mercati
al dettaglio nelle aree pubbliche da destinare agli
imprenditori agricoli per la vendita diretta. L'obbligo
di riservare specifici spazi negli scaffali delle strutture
di vendita commerciali è stato condizionato ad un periodo
di adeguamento (i piccoli esercizi restano comunque
esenti).
Ora
tocca alle altre regioni
L'iter
della legge veneta può ora consentire alle altre regioni
di varare dei progetti di legge che tengano conto delle
indicazioni di Bruxelles. Ovviamente si dovrà aspettare
la nuova - ormai imminente - legislatura. Va detto che,
sull'onda dell'entusiasmo suscitato dalla legge veneta,
anche le altre regioni si erano mosse. Presso
il Consiglio regionale della Lombardia (fermo all'esame
della Commissione competente) è giacente il PDL
su 0345 (' Norme per orientare e sostenere il consumo dei prodotti
agricoli di origine regionale') presentato il 29/10/2008
di iniziativa 'bipartisan'
di un folto gruppo di consiglieri di tutti
i gruppi (Monguzzi, Saffioti,
Macconi, Colucci, Quadrini, Viotto, Squassina O., Squassina A., Alboni, Fatuzzo, Concordati, Zamponi, Cè,
Saponaro, Ferretto). Segno che il tema è sentito e che, soprattutto, si percepisce
da parte dei politici l'interesse degli elettori. Il
testo lombardo ricalca peraltro in molti punti
la legge veneta.
A
questo punto ci permettiamo di suggerire alle nuove
assemblee regionali che usciranno dalla tornata elettorale
di marzo di fare uno sforzo in più. Un aspetto che va
meglio definito è quello relativo al carattere industriale
piuttosto che artigianale delle produzioni. E' evidente
che le imprese alimentari industriali molto facilmente
utilizzano materie prime globalizzate. Ciò vale anche
per certi prodotti di 'qualità burocratica' come certi
salumi IGP. La Bresaola della Valtellina IGP può seriamente
essere definita un prodotto 'km zero' quando si sa che
è prodotta con carni congelate di zebù sudamericano?
Ecco
allora che nel definire il 'km zero' bisogna riconsiderare
(magari rivedendo norme regionali e nazionali)
certe attribuzioni di 'prodotto tipico', 'locale' 'tradizionale'
'di qualità'. Questo ci pare l'aspetto cruciale di una
politica 'km zero' non di facciata.
Un
altro aspetto qualificante, che presuppone un accordo
tra regioni, potrebbe riguardare le produzoni di aree
'transregionali' omogenee. Al di là delle diverse normative
regionali andrebbero ricompresi tra i prodotti
'km zero' quelli 'equipollenti' al di là dei limiti
territoriali entro una fascia da definire.
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