Dieta alpina, storia di
comunità, inno alla vita dei popoli di montagna
Rivalutata
dai dietologi, la Dieta alpina non è solo un codice alimentare, ma
l'espressione di un insieme di valori simbolici e sociali e di una
simbiosi con l'ecosistema alpino. Il documentario
sulla Dieta alpina di Luigi Ceccarelli, è andato in onda per la prima
volta lunedì 9 settembre 2019 su Geo di Rai 3. Riportiamo il
commento di Antonio Carminati che, in qualità di direttore del Centro
Studi Valle Imagna, ha promosso il complessivo progetto sulla Dieta
alpina nell'ambito del quale sono stari realizzati il film "Pane di
Vento" e il libro "La dieta alpina".
di Antonio
Carminati
(13.08.19)
Non è
la Dieta di Aquisgrana (802), in cui Carlo Magno stabilì i doveri
dell'imperatore, e nemmeno quella di Ratisbona (805), nella quale il re
franco-longobardo divise l'impero fra i suoi tre figli, quella messa al
centro della ricerca condotta da Luigi Ceccarelli, bensì, con un
diverso valore, la Dieta alpina, ancora poco conosciuta, nata e
cresciuta sulle montagne disposte a grande arco sul confine
settentrionale del nostro Paese. Non è nemmeno solo un semplice codice
alimentare.
Caldarroste
Le
prime due immagini del prezioso documentario, messo in onda per la
prima volta su Geo di Rai 3 lunedì 9 settembre 2019, fanno da sommario
a tutto il film. I videogrammi iniziali inquadrano un paesaggio boscato
di media quota, ai piedi del quale c’è un insediamento umano; una
cerchia di nuvole circonda la montagna, come quando, cessato un
improvviso acquazzone, salgono dalla terra fumaiole di calore
dall’intenso profumo di pioggia e terra bagnata. La chioma degli
alberi, ancora di colore verde intenso, e la neve presente sulle alture
circostanti, sono gli elementi descrittivi di un paesaggio montano di
mezza stagione, tardo primaverile o del primo autunno. Il bosco si
presenta nella sua sacralità, benevolo sì, perché offre selvaggina,
erbe e bacche, lègna da brösà e da
laorà (legna da ardere e da opera), ma può diventare all’improvviso anche ostile, difficile.
Rimane il luogo misterioso di sempre, tenuto lontano dalle contrade,
però pieno di vita, ma anche di pericoli e insidie, dove vige la
penombra, perché le chiome costituiscono un robusto scudo contro
l’attacco dei raggi del sole e, soprattutto di notte, è facile perdere
la strada o cadere rovinosamente. Il bosco – racconta Ceccarelli – è il
grande santuario dei montanari, dentro al quale si sviluppava molte
volte la relazione personale con la divinità, anche mediante la
costruzione di edicole religiose in prossimità di sentieri e
mulattiere, e si ravvisavano eventi e fenomeni soprannaturali. Ma è
anche fonte di vita e conserva di alimenti.
La
mulattiera nel bosco. Località Valle Spadola. Corna Imagna
Dopo
le immagini di contesto, i videogrammi che seguono raccontano una
gioiosa tavolata di uomini e donne di montagna: la polenta e il vino
fanno da companatico a un canto popolare improvvisato. Eccolo, il
gruppo della Dieta alpina, dichiarato persino nel titolo che compare in
sovrimpressione: un convivio spontaneo di valligiani, una riunione di
popolo finalizzata alla celebrazione di un evento particolare, che
trasmette forza e coesione. Sulla scena della vita ci sono le donne,
grandi artefici della Dieta alpina, primo cemento delle famiglie e
delle comunità di montagna, le quali, sin dai tempi antichi, hanno
dovuto svolgere, per lo più in silenzio, tanto prezioso lavoro. Sono
soprattutto le donne a introdurci nella Dieta della famiglia, ossia
nella sua organizzazione, dentro la casa, e ci insegnano, con i gesti
più che con le parole, che allevare una famiglia o cucinare non è solo
nutrire, ma esprime un mondo privato, segreto, fatto dedizione,
speranze, eroismi silenziosi, gioie mai raccontate, preoccupazioni non
fatte pesare, grande altruismo. Il loro cibo – afferma il regista – è
come il loro mondo, frugale e ingegnoso, poichè sono capaci de
terà ‘nsèma sémpre ergót (di procurare sempre qualcosa), per crescere e sostenere corpi
potenti, robusti, in grado di affrontare le fatiche e le sfide della
montagna.
Valle
Imagna
Una
Dieta costituita non solo dal cibo, ma anche dalle parole e dalle
appartenenze, dagli accordi e dalle coalizioni, dalle rinunce e dalle
decisioni più importanti del gruppo, dall’accettazione del lavoro e
tanti sacrifici. Sono gli ingredienti di una vita non comoda, né facile
perché abitare in quota, su terreni sottratti al bosco, o tra le rocce,
richiede alle persone una marcia in più. La Dieta alpina è una
conquista quotidiana di spazi e opportunità, che sa restituire anche
grandi soddisfazioni. È innanzitutto una Dieta popolare, quella nata
sulle Alpi, che costituisce un enorme patrimonio condiviso di umanità:
stiamo parlando di uno stile di vita elaborato dai gruppi sociali che
vivono in montagna, del complesso delle attività e dei valori che
caratterizzano la loro particolare esperienza insediativa, di ieri e di
oggi.
Teglio.
La preparazione del campo per la semina
Le
sequenze iniziali del film-documento ci riportano subito a due elementi
naturali essenziali, il freddo e il caldo: ai piedi che calpestano la
neve, e avanzano faticosamente nel sentiero del bosco, è subito
contrapposto il calore vivo emanato dal fuoco sul camino, o irradiato
dalla più moderna stufa economica, con i cerchi in ghisa, sulla quale
bolle perennemente una pentola d’acqua o cuoce la polenta. Come a dire
che la montagna non è fatta per le mezze misure, ma abbraccia gli
estremi, spingendo gli esseri viventi sino ad esprimere il meglio e il
massimo della loro capacità di adattamento. Il ghiaccio è acqua, il
fuoco è luce e calore; soprattutto in montagna, quando si spegne il
focolare, oppure si asciuga una sorgiva, viene meno anche la vita.
L’acqua e il fuoco sono due componenti fondamentali della Dieta alpina.
La montagna è bosco e casa, prato e stalla, lavoro e riposo, cibo e
fame, estate e inverno, famiglia e comunità, terra e cielo. È un
ambiente umano che si rinnova ciclicamente, dai primi insediamenti
preistorici - nel filmato rievocati dall’uomo-cacciatore a cavallo
delle incisioni rupestri - sino al bambino nella culla, da pochi mesi
sbocciato alla vita, ben coperto e col berrettino di lana in testa. La
montagna alpina è contemporaneamente passato e presente, gioia e
malinconia, nascita e morte, conquista e rinuncia, amore e solitudine.
Una realtà frutto di una civiltà millenaria, sostenuta da antiche
tradizioni, di cui i montanari non riescono fare a meno. C’è un legame
atavico, invisibile ma ben radicato, che li tiene agganciati alla loro
terra, con la quale fanno un tutt’uno.
Corna
Imagna, località Calcinone
Dalle
zone prealpine a quelle alpine, è fondamentale la capacità di
adattamento, con lo scopo di costruire insediamenti stanziali e
duraturi, dove dar seguito a una progenie, strutturata attorno al perno
della famiglia e della parentela. La gente di montagna ha sviluppato la
capacità di alimentarsi tutto l’anno, non solo durante il periodo del
raccolto, inventando soluzioni ingegnose per la conservazione e la
trasformazione del cibo, facendo essiccare castagne e carni, riducendo
il grano in farina, ricavando dal latte vaccino e ovino stracchini e
formaggi,… ma anche imparando a conoscere le erbe spontanee, a
governare gli animali (chi sa comunicare con gli animali, vive meglio
degli altri, afferma Ceccarelli), plasmando il paesaggio verticale per
renderlo consono alle coltivazioni e agli insediamenti, costruendo
relazioni solidali tra i diversi gruppi parentali, dando nuove
prospettive a vive tradizioni.
Cambio
baita in un alpeggio della val Gerola
Il
cibo, dunque, dichiara a gran voce il regista, è sinonimo di
linguaggio, esprime una cultura, trasmette l’orgoglio di chi lo ha
prodotto con le sue mani, tramanda l’esperienza di generazioni di
valligiani e gruppi alpestri che hanno vinto la grande sfida della vita
sulle quote alte. La Dieta alpina è tutto questo, un universo di
relazioni umane e di ambienti mutevoli, un ricco mosaico di abilità e
gusti, di attività e di saperi che si sono sviluppati con molte
analogie lungo tutto l’arco alpino, crogiolo di culture provenienti da
occidente e da oriente, ambito di incontro tra la cultura mediterranea
e quella germanica.
Stracchino
all'antica delle valli Orobiche
Il
film ci racconta di vite, insediamenti, colture in verticale, dove la
salita e la discesa hanno condizionato le attività delle persone, tanto
ieri quanto oggi, perché la fatica è rimasta sempre la stessa, come
quella di Gionatan: nel raccogliere e trasportare l’uva sui vitigni
eroici dei versanti della Valtellina, ripete le azioni di papà, nonno e
bisnonno. Dietro a una tradizione agricola o zoo-casearia si cela
sempre un modo di pensare, una specifica modalità di affrontare la
vita, nella quotidianità e concretezza di ogni giorno. Già alle prime
luci dell’alba, il montanaro sa già quello che non può non fare durante
tutta la giornata. Nella dimensione della montagna il cibo, prima di
essere sapore, è lavoro, tanto lavoro, e il suo odore accompagna la
vita degli abitanti, dalla mattina alla sera. Un cibo conquistato con
le mani, magari deformate dalla fatica, ma che quassù rimangono sempre
i più importanti strumenti di lavoro. Mani forti come macigni, che non
sanno stare mai ferme e sono sempre in cerca di qualcosa da fare. Mani
di uomini e donne, bambini e anziani, segnate dalla storia e
dall’attaccamento alla vita e alla terra. Mani che sanno trasformarsi,
di volta in volta, in gesti diversi, pugni, pinze, carezze, prese di
forza, ma anche ricongiungersi in preghiera verso il cielo, nell’atto
di un’invocazione, di una supplica, o durante un’imprecazione non
trattenuta.
La
polenta sulla stufa
Ceccarelli
indaga sulla dimensione umana degli abitanti della montagna lombarda,
entrando in punta di piedi nella loro vita quotidiana, nelle loro
esperienze di lavoro. Li riprende nella selva mentre raccolgono le
castagne, frutti capricciosi che si nascondono tra i ricci spinosi,
oppure durante la semina e quando raccolgono il mais, giunto a
maturazione, lo scartocciano liberandolo dalle fruscianti foglie
essiccate, lo sgranano dalla pannocchia e, infine, lo portano alla
vecchia macina per ottenere la farina per la polenta. C’è sentimento e
creatività nelle loro azioni, fatte di gesti precisi e mai casuali,
tanto coraggio, la certezza che si può fare, la speranza in una natura
clemente, la capacità di sperimentare e il desiderio di creare, come
quella bambola di pane con occhi, bocca e orecchie di castagne; sempre
con le castagne bollite, la mamma inserisce i bottoni del vestito, che
non appare, ma c’è. Il cibo diventa gioco, il lavoro lo trasforma in
atto creativo.
Palmino
Cattaneo, bergamino
Le
immagini del filmato scorrono tutto d’un fiato davanti ai miei occhi.
Osservo i volti dei personaggi, puliti e trasparenti, certamente
segnati dal lavoro, completamente immersi nelle azioni che riflettono,
alcuni con una punta de ergógna
(vergogna), per la consapevolezza di trovarsi di fronte alla telecamera: un fatto
decisamente insolito, abituati sempre a fare da soli, senza che
qualcuno si sia veramente preoccupato di loro. Chi mai, sinora, è
andato a chiedergli se avessero bisogno di qualcosa? Oppure, più
semplicemente, per conoscerli e avvicinarsi al loro mondo? Esistenze
silenziose e sconosciute, ma presenti e vitali. Rifletto e mi convinco
che sono l’orgoglio, l’attaccamento alla propria terra, l’amore per la
famiglia a dare da vivere a questi uomini e donne, ancora prima del
cibo, sempre lontani dai riflettori, ma cuore pulsante della montagna.
L'uccisione
del maiale
Non
solo castagne e farine (di grano saraceno, orzo, miglio, panico,…
persino ottenuto dalla macina dei semi d’uva, per ottenere il
cosiddetto “pane di fantasia”), ma anche patate e fagioli, mele e pere,
uve e fichi,… insaccati e carni ottenute dalla lavorazione del maiale o
dall’abbattimento della vacca che si è azzoppata al pascolo. Tutto ciò
trasmette, ben oltre il confine spaziale dello schermo televisivo,
sapori e attività che hanno attraversato il tempo e sono giunti sino a
noi, diventando storia di comunità, inno alla vita dei popoli della
montagna alpina. Storie di boscaröi e bergamì,
magnà e mülinèr, paesà e carbonèr, (boscaioli, allevatori, stagnini, mugnai, contadini e carbonai) … Storie di persone che hanno
esaurito la loro vita nelle contrade alpine, oppure che hanno spiccato
il volo, viaggiando e trasferendosi altrove, colonizzando estesi
territori anche nelle zone pedemontane, come hanno fatto i bergamini,
attraversando regioni, lingue, culture,… come un sottile filo
conduttore che lega tante e diverse espressioni di vita della montagna.
Storie che, a volte, ci toccano più da vicino, come quella della Tupìna,
la cagnetta di mio padre, per tanti anni compagna fedele alla stalla,
un’ombra amica dietro ai suoi passi, sempre accovacciata vicino a lui
nei momenti di pausa, pastore in grado di riconoscere ogni singola
vacca e di ricondurla entro i confini del pascolo, o indirizzarla dove
richiesto, custode della montagna e dei suoi spazi umani. Sono passati
parecchi anni in cui l’amicizia tra uomo e cane-pastore è cresciuta e
si è rafforzata, e quando le forze l’hanno abbandonata, la cagnetta
ammalata non saliva più alla stalla: si è allontana da sola e si è
spenta, lasciando un ricordo che commuove ancora oggi.
Cibo
territoriale
La
dieta alpina ora in un libro (13.05.18)La
dieta salutare che rinasce nel campo e sul pascolo, occasione di
rinascita agricola per la salute del corpo e delle comunità.