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cultura
ruralpina in valle Imagna
Quando
i bimbi morivano in estate
Ancora alla fine
dell'Ottocento la mortalità infantile in Italia, nel primo anno di
vita, era pari al 20%, senza grandi differenze tra la regioni.
Era causata in prevalenza da gastroenteriti, ma anche da
affezioni respiratorie e setticemia. I più
piccini i patìa tant per ol prìm
cold, soffrivano molto per le prime calure, tanto più che in
tarda primavera tutti soffrivano per la fine delle scorte alimentari
accumulate per l'inverno quando, oltre tutto, le basse temperature
rendevano meno precarie le condizioni igieniche e di conservazione
degli alimenti. Così, al contrario di quanto potremmo supporre, i
funeralini si concentravano in estate.
Eugenio Goglio, foto post-mortem, val Brembana.
Archivio Lombardia beni culturali
di Antonio Carminati
(05.08.19)
Nel precedente
post, il suono de la campàna de
mòrt (campana da morto) ci ha fornito lo spunto per riflettere
sulla precarietà della vita, calandola nel contesto rurale delle valli
orobiche, sino a tutta la prima metà del secolo scorso. Nei tempi
passati, non proprio così lontani, si moriva facilmente, la vita media
delle persone era decisamente più breve e la natura operava una
drastica selezione, soprattutto nei primi anni di vita. Sopravvivevano
i più forti e… i più fortunati. Le classi popolari venivano
regolarmente decimate da guerre, epidemie, carestie, prolungate
esposizioni a situazioni e lavori difficili e pericolosi, per
un’esistenza combattuta in prima linea e conquistata sempre, ogni
giorno. Una ricerca ancora inedita sul ciclo della vita individuale,
condotta nel villaggio di San Simù
(Corna Imagna) dal Centro Studi Valle Imagna, che peraltro ci auguriamo
possa presto vedere la luce, ha messo in evidenza proprio l’aspetto
della precarietà dell’esistenza, sin dalle sue prime espressioni, cioè
dalla nascita.
Eugenio Goglio, val
Brembana, inizio Novecento. Archivio Lombardia beni culturali
La mortalità infantile, infatti, rappresentava un vero e proprio
flagello. Oggi, tutto sommato, viviamo relativamente bene e i più
giovani si stupiranno di fronte ad alcuni dati della ricerca che
anticipiamo di seguito. Pensate che, dal 1843 al 1861, sempre a San Simù , dei 227 decessi
complessivi, ben 109 (49%) erano relativi a bambini con meno di un anno
di vita. La percentuale si riduce sensibilmente nel periodo 1893-1911,
mantenendo comunque livelli ancora alti, quando la mortalità infantile
entro il primo anno di vita raggiungeva il 34% del totale dei decessi,
sino a raggiungere il 19% nel periodo 1943-1961. Sempre nei periodi
considerati, ossia dal 1843 al 1861, il 63% dei decessi riguardava
bambini al di sotto del decimo anno di vita: tale percentuale è scesa
al 46% nel periodo 1893-1911, sino a ridursi notevolmente al 23% nel
periodo 1943-1961.
I certificati necroscopici reperiti consentono di ricostruire un quadro
generale attendibile delle principali cause di morte, le quali, per
evidenti ragioni statistiche e di facile comprensione, sono state
riunite in dodici gruppi, ai quali sono state aggiunte altre due
categorie comprendenti diagnosi di morte generiche (apostema e tabe)(1), non direttamente collegabili con
immediatezza alle categorie individuate. I 227 decessi registrati dal
1843 al 1861 sono così ripartiti: gastroenteriti infettive (65),
broncopolmoniti infettive acute e croniche (39), meningoencefaliti (6),
patologie senili (24), complicanze croniche da patologie infettive
recidivanti alle vie respiratorie (8), patologie infettive epidemiche
(7), patologie infettive dermatologiche (3), morti violente (5),
patologie derivanti dalla malnutrizione (4), morti per parto (19),
crampi (tetano) (1), cause non specificate (9), apostema (30), tabe (7).
Angela
Mazzoleni con il figlio Gianantonio morto di polmonite. Primi lustri
del Novecento. Fotografia di Battista Mazzoleni. Fonte: Sirbec Regione
Lombardia, Fondo Valle Imagna di Alberto Cima
È verosimile che le cause di morte testate come “apostema” (ascesso)
siano riconducibili ai primi tre gruppi principali delle cause di
morte, ossia alle gastroenteriti, alle broncopolmoniti e alle
meningoencefaliti, in considerazione che i decessi così dichiarati (30)
sono quasi tutti attinenti a bambini con età al di sotto del decimo
anno di vita, dei quali ben 19 avvenuti entro il primo mese dalla
nascita e 9 entro il primo anno. I bambini del villaggio una volta
morivano innanzitutto di gastroenterite, broncopolmonite e
meningoencefalite. Le manifestazioni apostematiche erano anch’esse
molto frequenti e diffuse tra i bambini e si riteneva che gli ascessi
fossero causati dal sàng ströcc
(sangue guasto), che provocava improvvisi e dolorosi rigonfiamenti
sottocutanei su tutto il corpo, particolarmente in prossimità dei
linfonodi. La terapia dell'incisione veniva utilizzata solamente nei
casi estremi, quando cioè so gl'ìa
proàde töte, e gh'ìa piö negót de fà (se erano stati provati
tutti i rimedi e non c'era più niente da fare). Gli ascessi besognàa fài marodà (bisognava
farli maturare) e si utilizzavano e fòie
de römés (foglie di : piegata in quattro e messa a contatto con
la cenere ancora calda, la foglia veniva applicata sulla zona
dell'ascesso. In alternativa si curavano con infusi e impacchi con fòie de màlva (foglie di malva),
oppure applicando sulla parte lesa fète
de patàta o de söca (fette di patata o di zucca).
Eugenio
Goglio, val Brembana, inizio Novecento.
Archivio Lombardia beni culturali
Il medico, nella maggior parte dei casi, specialmente per quanto
riguardava il decesso dei bambini, veniva chiamato solamente nei casi
estremi (quando cioè la patologia aveva già raggiunto uno stadio
avanzato) e, molte volte, al suo sopraggiungere, si limitava ad
accertare la morte avvenuta, avvalendosi, per la redazione del
certificato diagnostico, delle indicazioni rese dai familiari del
defunto. Così scriveva un medico nel 1914: Le malattie ordinarie che prevalevano ...
sono quelle degli organi del respiro, nell’inverno ed in primavera,
causate per lo più dai repentini sbalzi di temperatura; ed in estate
quelle del tubo digerente, derivanti specialmente da imperfetto e
antigienico nutrimento. Negli abitatori della montagna si presentano
soventi affezioni cardiache o vascolari, causate forse dalle gravi
fatiche....
Di gastroenteriti si moriva e questa piaga nel passato ha mietuto
tantissime vite, specialmente nel mondo infantile. Gli anziani
ricordano che, soprattutto in certi periodi, i decessi di bambini per
gastrite o per enterite non si contavano più, tanto erano frequenti. Le
gravi infiammazioni dello stomaco e dell’intestino, in prevalenza di
origine batterica (stafilococco, streptococco e salmonella, con febbri
tifoidi) e parassitaria, colpivano in prevalenza i bambini, anche in
tenera età, più esposti a rischio per le limitate difese immunitarie,
provocandone molte volte la morte. Quasi sempre la causa era
riconducibile alle condizioni igienico sanitarie delle abitazioni e
all'ingestione di cibi e bevande non tollerati dall'organismo.
I più piccini i patìa tant per ol
prìm cold (soffrivano molto per le prime calure), mentre i
ragazzi, ma anche gli adulti, intaccati dalla malattia, di solito -
così raccontano gli anziani - i
vignìa portàcc vià en aóst e setémbre (morivano tra agosto e
settembre), quindi funerati in estate inoltrata. L'inverno non era
sempre facile da trascorrere, specialmente sotto il profilo della
sufficienza alimentare: le scorte delle produzioni colturali accumulate
l'estate dovevano essere razionate e, con l'approssimarsi della nuova
bella stagione, specialmente i ragazzi, co la fàm sö la bóca (con la fame
sulla bocca), prestavano poca attenzione alla qualità dei cibi e
ingerivano pìr e póm ércc, öa érda...
(pere e mele averbe, roba acerba), noncuranti degli effetti nocivi o
pericolosi sull'organismo. Contratta la malattia, impresa ardua era
cacciarla: i batteri non erano ancora conosciuti e tantomeno gli
antibiotici, gli antipiretici e così pure i farmaci spasmolitici per i
dolori intestinali e i ricostituenti (come le ben note gocce di olio di
fegato di merluzzo, che in tempi più recenti venivano somministrate ai
bambini).
Una bimba posa con
la salma della sorellina secondo il costume dell'epoca. Val Brembana,
inizio Novecento. Fondo Eugenio Goglio. Archivio Lombardia beni
culturali
Molte volte l'aggravamento mortale della malattia era causato proprio
dalle prime "rudimentali" cure apportate, le quali, seppure fondate su
principi naturali consolidati, diventavano pericolose per la scarsa
igiene personale e nella preparazione dei cibi. La reintegrazione dei
liquidi persi con il vomito e la diarrea, ad esempio, avveniva
utilizzando l'acqua della fontana o della valle, che poteva anche
essere carica di batteri, per le infiltrazioni dal prato soprastante,
magari appena concimato; con la stessa acqua si preparava il sale di
liscivia o il decotto di riso (quando lo si poteva reperire) contro la
dissenteria, oppure quello di mandorle contro la gastrite. Nella cura
delle enteriti veniva utilizzato il decotto di èrba pempenèla (pimpinella, Pimpinella asium), ma anche di
foglie e radici di ürtìga (ortica).
Per curare invece la diarrea nei bambini, era frequente il ricorso alla
marmellata di cornàl (frutti
del corniolo), con ottima azione astringente.
Per curare le infezioni allo stomaco, come pure le ulcere gastriche, si
impiegavano le rane noelìne (novelline,
da poco allo stadio adulto e di piccole dimensioni): catturata viva, la
rana veniva appoggiata sul labbro inferiore, in modo che il piccolo
anfibio, con un balzo, potesse saltare in gola. Appena inghiottita, la
rana la si sentiva muovere nello stomaco, ma poi moriva anch’essa
travolta dalla tempesta dei succhi gastrici. Una rana al giorno per
sette/otto giorni, si diceva, toglieva ogni tipo di infiammazione allo
stomaco: e se un ciclo di terapia non bastava, significava che ol màl l’ìa piö gròs (la malattia
era più seria) e quindi poteva essere ripetuto dopo una settimana, e
poi ancora, sino alla guarigione.
Un caso del tutto particolare e diffuso era la gastroenterite dei
lattanti (44 decessi di bambini entro il primo anno di vita, sui 65
complessivi), provocata sempre da batteri e caratterizzata da diarrea,
vomito e febbre alta. Diventava letale per disidratazione. Molte
puerpere le perdìa a la svélta ol sò
làcc (cessavano rapidamente la lattazione), a causa specialmente
della povera e scarsa alimentazione, oltre che per le fatiche e i
lavori che dovevano sostenere sin dai giorni immediatamente successivi
al parto. Nemmeno le ricorrenti tisane d’orzo, cotte con semi di
finocchio, bastavano sempre a favorire la produzione e il mantenimento
del latte nella donna. Il ricorso alla balia era un fenomeno poco
diffuso, per l'incapacità economica di avvalersene, e quindi non
rimaneva altro da fare che utilizzare il latte della mucca, magari non
bollito sul camino, oppure diluito con acqua di fontana. C'era anche la
credenza che ol làcc apéna mulsìt e
amò bèl culdì (il latte appena munto e ancora tiepido) fosse
uno degli alimenti migliori anche per i bambini: in questo modo, ad
esempio, la pòera Maréa dol Pelàt
l'à perdìt sìs tosalì de fila (la defunta Marea, figlia del
Pelato ha perso sei fanciulli uno dopo l'altro), per la necessità, in
mancanza di altri alimenti, di nutrirli con latte da mucca, che in
genere veniva offerto appena munto e quindi neppure bollito. Le donne
anziane ricordano ancora oggi quei piccoli angioletti che se ne
andavano in paradiso con la pànsa
sgiùfa piena de aqua (ventre gonfio pieno di acqua).
L'antico cimitero. Rota Dentro, anni Settanta del
secolo scorso. Archivi della Memoria e dell'Identità del Centro Studi
Valle Imagna. Fotografia di Alfonso Modonesi
Di gastroenterite un volta si moriva facilmente, e si è continuato a
morire sino ai primi anni del secondo dopoguerra, quando cioè, con la
distribuzione di massa di antibiotici e vaccini, migliorarono anche le
condizioni igieniche e sanitarie dell'alimentazione e dei servizi alle
abitazioni, specialmente la potabilizzazione delle acque ad uso
domestico. Ancora intorno al 1920, la nonna ricordava ancora bene
quell’epidemia di tifo, scoppiata pressoché in tutte le contrade
dell'Alto Comune: alla Butella, ad esempio, quanti erano stati
presumibilmente colpiti dalla grave patologia, in prevalenza bambini,
furono radunati tutti nella stalla dol
pòer Gàsper (del defunto Gaspare) e lì tenuti in quaranténa, al nèt e alimentati dóma con
empó de bröd (in quarantena, senza cibo, con solo un po' di
brodo) In quella stalla fortunatamente nessuno degli internati morì e,
decorsi così i quaranta giorni, riferisce ancora la nonna:
- E m’sè lessàcc dal de fò come tàci
schèletre (Ci siamo bolliti da fuori come tanti scheletri)(2) !...
Elvira aveva allora solo nove anni e ha vissuto personalmente tale
esperienza; anch’essa in quarantena, rivive la felicità di suo padre,
quando si è sentito dire dal medico:
- Áda, Giösèp: adèss te pödet pròpe
metì sö la camìsa bianca (Guarda Giuseppe, adesso puoi proprio
metterti la camicia bianca)!...
La malattia era stata debellata e, prosegue
Elvira:
- Grazia Déo l'ìa mia ol tifo nìgher!...
(grazie a Dio, non era il tifo nero)(3)
Quello, infatti, non avrebbe risparmiato nessuno. Conclude la nonna:
- Chèla ölta m’à ardàt dó ü quàch!
(quella volta qualcuno ha guardato giù verso di me)(4)...
Note
(1) apostema = ascesso; tabe = tabe
infantile, patologia generica attribuita a degenerazione delle
"ghiandole" mesenteriche (i linfonodi) cui era attribuito un ruolo
nella digestione non conoscendo ancora il sistema immunitario.
All'origine quindi vi era, anche in questo caso, un'infezione a livello
intestinale.
(2) Espressione cruda che
stabilisce un paragone con l'effetto della lunga cottura che
provaca la separazione dell'osso dalla carne.
(3) Vi era ancora memoria, evidentemente,
delle epidemie ottocentesche di tifo esantematico o petecchiale (dalle
chiazze che appaiono sulla pelle) che non deve essere confuso con il
tifo addominale (noto anche come febbre tifoide) il cui agente
patogeno, la Salmonella enterica, non è lo stesso del tifo
esantematico. L'agente patogeno è presente nell'intestino del pidocchio
e penetra nell'organismo attraverso le escoriazioni dell'epidermide
causate dai graffi provocati del prurito delle punture del parassita.
Una grave epidemia di tifo petecchiale si verificò in Lombardia nel
1817. La diffusione era favorita dalle precarie condizioni igieniche e
dalla sottonutrizione.
(4) Il riferimento è evidentemente agli
antenati defunti, alla Vergine o a qualche santo intercessore.
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Serie
di cultura
ruralpina (in valle Imagna)
a
cura di Antonio Carminati
Vita
e morte nella dimensione rurale
(03.08.19) Oggi la morte è stata rimossa dalla
dimensione sociale, senza per questo allontanarne
l'angosciosaincombenza.
Anzi.
L'individualizzazione esasperata la rende inaccettabile in quanto fine
di tutto, nell'orizzonte materialista e narcisista della società
attuale, limitato all'io, al presente, al piacere,all'efficienza. Nella
dimensione rurale, vita e morte si confrontavano tutti i giorni. I
cari defunti continuavano, in varie forme, a fare parte della famiglia,
della comunità, attraverso varie forme di ricordo e di rito
Quel
prato al centro del mondo
(15.07.19) Luglio è il mese della riconquista degli spazi rurali, che
al termine della fienagione ritornano ad essere fruibili, con gioia
soprattutto per bambini e ragazzi, che finalmente possono correre un
po’ dovunque e dare spazio alla fantasia. Il prato era anche una
palestra di vita, un prezioso ambito per avviare i fanciulli ai doveri
e agli impegni degli adulti.
Giugno: tra
intenso lavoro campestre e rito
(16.06.19) Nel mese di giugno, non possono essere dimenticati almeno
tre eventi ricorrenti e particolari, assai sentiti e vissuti nel
calendario rituale dei contadini: due di essi celebravano i poteri
magici della notte, solitamente frequentata dagli spiriti che si
volevano propiziare. Queste notti, che cadono nel periodo del solstizio
Il
fienile come granaio (in montagna)
(08.06.19)
Nella civiltà agropastorale alpina il
fieno assume unaforte centralità. Dalla sua raccolta dipende la
possibilità di mantenere più o meno animali durante l'inverno, animali
da vendere oda utilizzare per il latte, animali produttori del prezioso
letame. Dal fieno quindi dipendeva la ricchezza (o la minor povertà,
per meglio dire) della famiglia contadina
Tempo
di preparazione all'alpeggio
(18.05.19) A
Corna Imagna, come in tante realtà delle prealpi, l'alpeggio è
praticato spostandosi su maggenghi siti a diverse quote, sino a
raggiungere i 1.000 m. Si reata, però, sempre a moderata distanza
dal villaggio. Così il contadino saliva e scendeva ogni dai
pascoli e la sua attività principale continuava ad essere la
fienagione. Per le bestie, ma anche per gli uomini, era comunque un
periodo atteso.
Maggio:
natura fiorita e culto
popolare
(10.05.19) Quando
la fede popolare umanizzava e santificava la natura in fiore, i campi,
il territorio. Nel mese di maggio, oltre al culto mariano, erano
importanti le preghiere e i riti di benedizione delle case, dei campi,
dei raccolti ancora incerti. Lo spazio abitato, che andava ben oltre
quello "urbanizzato", era presidiato da contrade e cascine e marcato da
numerose presenze del sacro, prime tra tutte le santelle per le
quali transitavano le processioni delle rogazioni a marcare lo spazio
simbolico della comunità da difendere dal disordine e dalla negatività leggi
tutto
Quando
la vacca deve partorire. Quand che la aca la gh'à de fà
(05.05.29)
Per la famiglia contadina tradizionale, ma anche per il piccolo
allevatore di montagna di oggi, l'attesa del parto della vacca è piena
di trepidazione. Si spera che nasca una femmina ma si temono le
complicazioni del parto. Ancor oggi tutto quello che ruota intorno alla
riproduzione bovina nelle piccole stalle è oggetto di pratiche di
solidarietà orizzontale che tengono insieme la comunità degli
allevatori locali.
Hanno
ucciso la montagna (la fine della grande famiglia del nonno)
(15.04.19)
Nel racconto autobiografico di Antonio Carminati la "grande
trasformazione" degli anni '60. L'entrata nella modernità, vista per di
più come limitativa e negativa, attaverso l'esperienza di un bambino
che vive il passaggio dalla vita patriarcale di contrada a quella della
famiglia nucleare e dell'appartamento "stile città", una distanza di un
km o poco più in linea d'aria che segna il passaggio traumatico tra due
mondi.
Architettura
identitaria. I tetti in piöde, bandiere di identità valdimagnina
(06.04.19) In valle Imagna L'arte delle
coperture, della posa delle piöde ha raggiunto particolare
perfezione tanto da assumere i connotati di un emblema identitario. Non
sono poche, però, le difficoltà nel conservare e far rivivere questo
patrimonio di valori culturali (saperi, abilità) ed estetici. Un tema
per un utile dibattito con il coinvolgimento delle comunità locali e
non solo degli addetti ai lavori.
Pecà
fò mars Il rito della definitiva cacciata della cattiva stagione
(31.03.19)
Dopo il carnevale, ancora una volta, per cacciare la brutta stagione,
soprattutto la sua pazza coda di marzo, occorre produrre altro rumore,
diffondere suoni anche strani nell’aria, insomma fare chiasso e… tanto
baccano. La funzione è sempre stata duplice: da un lato
allontanare gli spiriti del male, dall’altro richiamare ad alta voce la
bella stagione, facilitando così il risveglio della natura
Omaggio
ai boscaioli emigranti (eroi del bosco, martiri del lavoro)
(25.03.19)
Una vita di sacrifici durissimi, di frugalità, di duro lavoro quella
dei boscaioli bergamaschi che emigravano abbandonando le loro valli e
le loro famiglia a marzo per recarsi in Svizzera e in Francia. Doveroso
ricordarla.
La gestione
del letame nell'economia
agropastorale
montana
(20.03.19) Lo spargimento del letame nei
prati e campi di montagna, utilizzatonaturale. Almeno così era nel
passato. quale fertilizzante, è forse una delle attività
maggiormente faticose, ma anche più importanti, sul piano della
conclusione di un ciclo.
La
stalla e gli altri manufatti dell’edilizia tradizionale
(03.03.19)
Una stalla, un prato, un pascolo, una vacca, quando sono in grado di
accogliere relazioni generative con la popolazione locale, e quindi di
esprimere i caratteri di una visione, rappresentano dei valori, più che
dei beni o delle merci. Francesco, Ugo e tanti molti agiscono come
tante api operaie, ossia contribuiscono in modo determinante a
sostenere l’ossatura e il futuro del “sistema montagna” delle Orobie,
presidiando il territorio e difendendo l’insieme delle sue
caratteristiche naturali e antropiche.
La
distillazione della grappa (una tradizione di libertà)
(23.02.19)
Oggi molti possono permettersi di acquistare la grappa (e il mercato ne
offre per tutti i gusti) ma distillare in casa frutta o vinacce
gratifica con quel senso di indipendenza, di libertà e, diciamo pure,
di sfida. La sfida a uno stato che per non perdere le accise sostiene
di vietare la distillazione casalinga per "tutelare la salute",
disconoscendo un sapere contadino secolare (l'alambicco si diffonde dal
Cinquecento).
La
caccia alla volpe (e al lupo) nella realtà contadina
(15.02.19) Nel periodo più freddo e nevoso dell’anno, quando cioè gli
uomini avevano tempo a disposizione, öna ölta (una
volta) i cacciatori più sfegatati, ma anche i contadini meno provetti
all’uso dell’archibugio, i vàa a vulp (andavano
[a caccia] di volpi).
L'economia
delle uova nella società contadina
(05.02.19) Loaröi e loaröle(venditori
e venditrici di uova) erano protagonisti di una economia integrativa
per il sostentamento del gruppo familiare, sia sotto il profilo
alimentare, che per quanto concerne l’introito di qualche pur modesta
somma di denaro...
In
morte di un complesso rurale di pregio
(22.01.19) La
triste parabola di una contrada a oltre 900 m di quota in valle Imagna.
Un tempo abitata tutto l'anno, poi alpeggio, oggi consiste solo di
prati e di fabbricati in rovina. Quelli ristrutturati trasformati a
"uso vacanza".
La méssa dol rüt
(08.01.19) La
méssa dol rüt (la concimaia) era l'elemento chiave di un
paesaggio ordinato che nutriva animali e persone senza inquinare e
sprecare risorse
Il Natale dei contadini. Un rito che non
scompare: la macellazione del maiale (cupaciù)
(23.12.18)
Riti che rivivono, pieni di significato. Ancora oggi la macellazione
del suino è occasione per aiutarsi tra giovani allevatori. Quella
che sembrava una pratica da amarcord da vecchie foto in bianco e nero
possiamo documentarla come un fatto attuale e in ripresa. La sequenza
della macellazione con qualche immagine di insaccatura.
contatti:redazione@ruralpini.it
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