Ruralpini Resistenza rurale
 

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cultura ruralpina in valle Imagna


Vita e morte nella dimensione rurale

Oggi la morte è stata rimossa dalla dimensione sociale, senza per questo allontanarne l'angosciosa incombenza. Anzi.  L'individualizzazione esasperata la rende inaccettabile in quanto fine di tutto, nell'orizzonte materialista e narcisista della società attuale, limitato all'io, al presente, al piacere, all'efficienza. Nella dimensione rurale, vita e morte si confrontavano tutti i giorni. I cari defunti continuavano, in varie forme, a fare parte della famiglia, della comunità, attraverso varie forme di ricordo e di rito. Morire era triste e doloroso, ma meno angoscioso; c'era una famigliarità con la morte e l'individuo sapeva che la realtà cui si apparteneva sarebbe continuata, e con essa qualcosa di sé.  

di Antonio Carminati


Pruitale = Previtali. Elementi di religiosità popolare in Valle Imagna. Anni Settanta del secolo scorso. Archivi della Memoria e dell'Identità del Centro Studi Valle Imagna. Fotografia di Alfonso Modonesi


(02.08.19)  Dall’ufficio, a due passi dal campanile, cui volgo regolarmente lo sguardo per cogliere l’ora sul grosso quadrante dell’orologio pubblico, ho aperto uno speciale canale di dialogo con le grosse campane, sospese sul castelletto in cima alla robusta torre di pietra, il cui suono è di volta in volta portatore di buone o cattive notizie. Negli ultimi mesi il battacchio della campana dell’Ave Maria (da non confondere con quella mattutina e della sera) ha battuto e diffuso di frequente i suoi colpi per annunciare il trapasso di quasi una decina di conterranei. La falce della morte, laddove passa, recide senza pietà e non guarda in faccia a nessuno: cadono, sotto i suoi colpi ferali, il fiore appassito con quello appena sbocciato, l’erba ormai matura con i primi steli appena sbucati dalla zolla. La campana annuncia da sempre l’evento luttuoso, ma il suono va interpretato, poiché varia in relazione a diversi fattori, ad esempio a seconda che il defunto sia morto in paese o lontano, che sia uomo o donna,… Ai bambini deceduti sotto i sei anni, un tempo, quando la mortalità infantile costituiva un flagello sociale, era riservato ol sonà de Àngei, (il suonare degli angeli) con tre campane, come a festa, per annunciare il loro ingresso in Paradiso. Un suono particolare comunicava, invece, la morte di coloro che appartenevano alla confraternita del Santissimo Sacramento,…


Chiesa parrocchiale e campanile di Fuipiano Valle Imagna.

Ogni volta, quando la campana mezzana diffonde le sue note funeree, tutta la comunità, sparsa nelle contrade, vive un grave attimo di esitazione, sospende l’attività, si guarda intorno e si chiede: Chi gh’è mòrt (chi è morto)?
Le persone si interrogano a vicenda e indagano per individuare prima possibile l’identità del malcapitato che si è spento, non ce l’ha fatta a resistere durante l’ultima battaglia contro la perenne insidia della natura. Si individuano sulle dita della mano coloro che si trovano all’ospedale e si contano quanti versano in gravi condizioni di salute. Quassù ci si conosce tutti. La comunità si ricompatta, vive di un solo cuore pulsante. Ancora prima di sapere il nome dello sventurato, vengono innalzate al cielo suppliche e preghiere, Rèquiem e Paternòster, per l’ànema de chèl poarèt (per l'anima di quel poveretto): chi in silenzio e chi, come ol Tata (il capo della famiglia patriarcale), interrompendo il lavoro nel prato, ad alta voce, rimanendo appoggiato al mànech dol rastèl o de la rànza (al manico del rastrello o della falce fienaia) e volgendo lo sguardo verso la chiesa e il campanile, la contrada o la Cornabüsa (1). La notizia si diffonde subito a macchia d’olio, anche con abbondanza di particolari, e improvvisamente i pensieri di tutti gli abitanti del villaggio convergono sulla famiglia colpita dal lutto.


Elementi di religiosità popolare. L'antico cimitero. Rota Dentro, anni Settanta del secolo scorso. Archivi della Memoria e dell'Identità del Centro Studi Valle Imagna. Fotografia di Alfonso Modonesi


Attraverso il suono funesto dell’anguanéa (agonia) e de la campàna da mòrt (campana da morto), quest’ultima a più riprese, anche il giorno successivo e sino al funerale, la notizia della morte esce dall’ambito ristretto della famiglia e si espande in tutte le direzioni, all’indirizzo delle famiglie sparse nelle contrade, quasi con valore di attestazione pubblica e certa del grave evento. Soprattutto nel passato, quando nella società rurale le relazioni interpersonali valevano anche come strumento di sostentamento reciproco e la dimensione collettiva prevaleva su quella individuale, la morte di una persona costituiva un evento di rilevanza generale, poiché tutta la comunità si sentiva colpita, per la privazione di energia vitale: il trapasso di un individuo, adulto o anziano, era vissuto come una grave privazione per tutti gli abitanti, che da quel momento non avrebbero più potuto contare sul suo aiuto e contributo, anzi non l’avrebbero nemmeno più incontrato lungo la mulattiera, nella contrada, nella stalla, in chiesa o all’osteria.
- L’à finìt de trebölà (ha finito di tribolare)!...

Con questa affermazione consolatoria, espressione di compianto, amici e parenti rendevano - ma ancora oggi è così - l’ultimo omaggio a colui che ol Signùr l’à ülìt tüì sö (il Signore ha voluto prenderlo) . La vita era considerata una grande tribolazione, caratterizzata da tanto lavoro, spesse volte dagli esiti incerti, sempre in una dimensione economica di sussistenza. In un simile contesto, dove il superfluo non esisteva e comunque l’ìa töt de piö (era tutto necessario), il venir meno di un componente costituiva un evento tragico e drammatico per tutti. Quando, poi, a mancare era il padre o un fratello maggiore, sui quali ricadevano funzioni particolarmente importanti nella pur modesta società agricola, ai naturali sentimenti di dolore si univa la fondata preoccupazione circa il futuro del nucleo parentale, rimasto improvvisamente senza un suo elemento forte.


Elementi di religiosità popolare. L'antico cimitero. Rota Dentro, anni Settanta del secolo scorso. Archivi della Memoria e dell'Identità del Centro Studi Valle Imagna. Fotografia di Alfonso Modonesi

La morte di un suo componente metteva ancora più in risalto la precarietà della vita di tutto il gruppo. Le continue privazioni cui era soggetta la famiglia erano tali da determinare un persistente stato di sofferenza dei suoi componenti: per la mucca che, colpita da ü mòrbe (una malattia), moriva improvvisamente; a causa della stagione ‘ndàcia a màl per ol bröt tép (andata a male a causa del cattivo tempo); per le forze migliori della casa che emigravano lontano, nel corso di interi e lunghi periodi, in cerca di lavoro. 
Le variabili e le incertezze dell’esistenza rappresentavano nell’individuo come una sorta di anticipazione della privazione definitiva di ogni funzione vitale, ossia della negazione estrema dei bisogni che, nell’ipotesi ultima, era segnata dall’evento della morte. La precarietà della vita costituiva l'anticamera della morte, in un contesto dove vita e morte hanno sempre convissuto.
A stó mund mè èden asé e de sighür gh’è dóma la mòrt (a questo mondo mi vedono [già] abbastanza e di certo c'è solo la morte)!

La morte era percepita come un fatto irreparabile appartenente all’universo indecifrabile e misterioso delle dinamiche naturali e della volontà divina e l’uomo partecipava alla sofferenza quale spettatore impotente e indifeso, rassegnato all’accettazione di una pur dolorosa realtà superiore. Non poteva fare diversamente.


Elementi di religiosità popolare. L'antico cimitero. Rota Dentro, anni Settanta del secolo scorso. Archivi della Memoria e dell'Identità del Centro Studi Valle Imagna. Fotografia di Alfonso Modonesi


Nel contesto della società rurale di un tempo, la partecipazione dell’individuo alla vita comunitaria della famiglia era così forte che, anche dopo la morte, non veniva rimossa dalle relazioni quotidiane: la sua memoria rimaneva e veniva riconosciuta come un elemento reale, con la specifica funzione di rafforzare il gruppo, sostenerne l’identità e rafforzarlo nelle sfide di tutti i giorni. Il caro estinto assumeva una funzione protettiva sulla casa e i suoi membri, i quali non mancavano di conservare, con le poche immagini, soprattutto i tanti ricordi e gli insegnamenti del passato. L’immaginetta funebre, con il ritratto del defunto e una breve descrizione delle sue qualità morali, veniva distribuita a quanti facevano visita nella sua casa durante la veglia funebre nei giorni antecedenti la sepoltura. Con la morte, l'individuo veniva inserito nella sfera spirituale della famiglia, che faceva riferimento all’Aldilà, alla quale i familiari, si richiamavano per ottenere protezione e invocare i benefici presso la divinità, grazie proprio all’intervento dei propri morti.


Elementi di religiosità popolare. L'antico cimitero. Rota Dentro, anni Settanta del secolo scorso. Archivi della Memoria e dell'Identità del Centro Studi Valle Imagna. Fotografia di Alfonso Modonesi

Per il villaggio di Morterone, il Centro Studi Valle Imagna conserva decine di immagini funebri, che saranno oggetto di una pubblicazione, grazie alle quali sarà possibile ricostruire la geografia economica e sociale di quelle famiglie.
Pur nel generale stato di povertà, i familiari non mancavano di ricordare in continuazione i propri defunti attraverso una serie di pratiche religiose. Requiem per i mòrcc de la cà e per töcc e mòrcc (i morti della casa [famiglia] e per tutti i morti), compresi chi de la pèst (quelli della peste) di manzoniana memoria sepolti in cima al colle di San Piro, seguivano immancabilmente la recita di ogni rosario serale; inoltre si costituivano legati per la celebrazione di offici funebri in concomitanza con gli anniversari di morte. La celebrazione della messa in ricordo del caro estinto veniva anche richiesta ogni qualvolta la famiglia era allietata da eventi positivi - ad esempio il matrimonio di un suo componente o lo scampato pericolo di fronte alle avversità – quale atto di ringraziamento per quel familiare trapassato che l'ìa ardàt dó (aveva guardato giù). Frequenti le visite domenicali al cimitero, quando le famiglie dalle contrade raggiungevano la chiesa per la partecipazione alla Messa e l’osservanza degli altri doveri religiosi.
In alcuni casi la presenza del compianto - mi ricordava la nonna – anticamente veniva quasi materializzata da una ciocca di capelli, riposti in cornice, oppure conservati dentro una scatoletta sul comò della stanza genitoriale. A fronte dell'improvvisa scomparsa di bambino, invece, il padre era solito piantà dó ü piantelì apröf a la cà o a la stala (piantato un giovane albero accanto alla casa o alla stalla), che avrebbe poi seguito personalmente nella crescita. Azioni e presenze rituali e ad elevato contenuto simbolico.
La presenza del defunto si perpetuava anche nel sistema onomastico e, in fase di attribuzione del nome di persona ai neonati, era costume apporre quello del familiare scomparso, come se quest’ultimo potesse in qualche modo ritornare in vita attraverso nuove sembianze; ciò accadeva in particolare con i bambini, data la diffusione della mortalità infantile.
Per comprendere le cause, i significati, le ritualità che venivano celebrate intorno all’evento della morte, il Centro Studi Valle Imagna ha raccolto negli anni numerose testimonianze, interpretate dai ricordi dolorosi degli anziani e restituiti alla memoria e al patrimonio della conoscenza, oltre che di una serie di dati di archivio, che saranno oggetto di prossime esposizioni. Molte rimangono le domande ancora aperte sul perché di tanti decessi, specialmente nei primi anni di vita dei bambini; sui rimedi popolari allo stato di sofferenza e alle principali malattie che portavano in molti casi al decesso del malato; infine sulle ritualità collegate all’evento luttuoso, tutt’altro che marginali, estremamente significative del contesto culturale di riferimento, per cogliere il valore della vita e il significato della morte nella società rurale sulle Orobie.


Elementi di religiosità popolare. L'antico cimitero. Rota Dentro, anni Settanta del secolo scorso. Archivi della Memoria e dell'Identità del Centro Studi Valle Imagna. Fotografia di Alfonso Modonesi

Da bambino, ogni qualvolta percorrevo la strada che, dalla contrada Fenilgarèl, raggiungeva quella sottostante di Fenelècc, per portàga dó ol pastaròt ai galìne e ol pastù al porsèl (portare il pastone alle galline e ai maiali) rinchiusi nel serài (pollaio) e nella stalla presa in affitto dalla famiglia Locatelli, passavo davanti alla grande tribülina (edicola votiva) dei Cassi; sulla facciata esterna di ponente, rimanevo tutti i giorni immancabilmente colpito da una grande pittura raffigurante uno scheletro umano, ancora oggi visibile, quasi a grandezza naturale, con in mano una falce e sotto la scritta:

O tu che mi guardi su,
io ero come sei tu.
Tu verrai come sono io,
dimmi un Requiem e va con Dio!

Nella dimensione rurale, vita e morte si confrontavano tutti i giorni, coesistevano nella successione quotidiana di eventi e situazioni che prescindevano, il più delle volte, dalla capacità di governo e di comprensione umana. La presenza della morte costituiva una componente imprescindibile della vita e, anche nell’iconografia religiosa, già nel periodo medioevale, uomini e scheletri, morti e vivi hanno dialogato in continuazione. Non solo nelle chiese e nei cimiteri, cui la popolazione ha sempre prestato la massima cura.
Mentre i pensieri mettono a fuoco e confrontano diversi scenari, con il passato e il presente che si affacciano contemporaneamente sulla scena di questo scritto, senza posizioni conflittuali e con serenità, il mio sguardo torna alle campane che ho di fronte, immobili e silenziose, vigili e sempre pronte, come sentinelle, dall’alto della loro posizione, a richiamare i fedeli per annunciare feste, lutti, pericoli incombenti… Fin quando tacciono, la vita nel villaggio prosegue regolarmente, con gli affanni, le miserie e le piccole soddisfazioni di tutti i giorni...



Elementi di religiosità popolare. Rota Dentro, anni Settanta del secolo scorso. Archivi della Memoria e dell'Identità del Centro Studi Valle Imagna. Fotografia di Alfonso Modonesi


Note

(1) Il famoso santuario mariano della valle Imagna. La Cornabusa rappresenta un luogo di preghiera di grande suggestione che rimanda inevitabilmente ai culti antichissimi delle grotte e delle acque, collocato com’è all’interno di una vasta grotta con una sorgente. La tradizione narra di un’anziana donna di Cepina che, qui rifugiatasi con altri compaesani per sfuggire alle lotte tra guelfi e ghibellini (XIV-XV sec.), portò seco una statua lignea della madonna addolorata. La statua rimase nella grotta e una pastorella sordomuta che la rinvenne nell’annunciare il ritrovamento riacquistò udito e parola. Il culto ufficiale data dal 1502




Serie di cultura ruralpina (in valle Imagna)

a cura di Antonio Carminati


Quel prato al centro del mondo
(15.07.19) Luglio è il mese della riconquista degli spazi rurali, che al termine della fienagione ritornano ad essere fruibili, con gioia soprattutto per bambini e ragazzi, che finalmente possono correre un po’ dovunque e dare spazio alla fantasia. Il prato era anche una palestra di vita, un prezioso ambito per avviare i fanciulli ai doveri e agli impegni degli adulti.


Giugno: tra intenso lavoro campestre e rito
(16.06.19) Nel mese di giugno, non possono essere dimenticati almeno tre eventi ricorrenti e particolari, assai sentiti e vissuti nel calendario rituale dei contadini: due di essi celebravano i poteri magici della notte, solitamente frequentata dagli spiriti che si volevano propiziare. Queste notti, che cadono nel periodo del solstizio


Il fienile come granaio (in montagna)
(08.06.19) Nella civiltà agropastorale alpina il fieno assume unaforte centralità. Dalla sua raccolta dipende la possibilità di mantenere più o meno animali durante l'inverno, animali da vendere oda utilizzare per il latte, animali produttori del prezioso letame. Dal fieno quindi dipendeva la ricchezza (o la minor povertà, per meglio dire) della famiglia contadina

Tempo di preparazione all'alpeggio
(18.05.19) A Corna Imagna, come in tante realtà delle prealpi, l'alpeggio è praticato spostandosi su maggenghi siti a diverse quote, sino a raggiungere i 1.000 m. Si reata, però, sempre a  moderata distanza dal villaggio. Così il contadino saliva  e scendeva ogni dai pascoli e la sua attività principale continuava ad essere la fienagione. Per le bestie, ma anche per gli uomini, era comunque un periodo atteso.

Maggio: natura fiorita e culto popolare 
(10.05.19) Quando la fede popolare umanizzava e santificava la natura in fiore, i campi, il territorio. Nel mese di maggio, oltre al culto mariano, erano importanti le preghiere e i riti di benedizione delle case, dei campi, dei raccolti ancora incerti. Lo spazio abitato, che andava ben oltre quello "urbanizzato", era presidiato da contrade e cascine e marcato da numerose presenze del sacro, prime tra tutte le  santelle per le quali transitavano le processioni delle rogazioni a marcare lo spazio simbolico della comunità da difendere dal disordine e dalla negatività leggi tutto

Quando la vacca deve partorire. Quand che la aca la gh'à de fà
(05.05.29) Per la famiglia contadina tradizionale, ma anche per il piccolo allevatore di montagna di oggi, l'attesa del parto della vacca è piena di trepidazione. Si spera che nasca una femmina ma si temono le complicazioni del parto. Ancor oggi tutto quello che ruota intorno alla riproduzione bovina nelle piccole stalle è oggetto di pratiche di solidarietà orizzontale che tengono insieme la comunità degli allevatori locali.

Hanno ucciso la montagna (la fine della grande famiglia del nonno) 

(15.04.19) Nel racconto autobiografico di Antonio Carminati la "grande trasformazione" degli anni '60. L'entrata nella modernità, vista per di più come limitativa e negativa, attaverso l'esperienza di un bambino che vive il passaggio dalla vita patriarcale di contrada a quella della famiglia nucleare e dell'appartamento "stile città", una distanza di un km o poco più in linea d'aria che segna il passaggio traumatico tra due mondi.

Architettura identitaria. I tetti in piöde, bandiere di identità valdimagnina

(06.04.19) In valle Imagna  L'arte delle coperture, della posa delle piöde ha raggiunto particolare perfezione tanto da assumere i connotati di un emblema identitario. Non sono poche, però, le difficoltà nel conservare e far rivivere questo patrimonio di valori culturali (saperi, abilità) ed estetici. Un tema per un utile dibattito con il coinvolgimento delle comunità locali e non solo degli addetti ai lavori.

Pecà fò mars  Il rito della definitiva cacciata della cattiva stagione
(31.03.19) Dopo il carnevale, ancora una volta, per cacciare la brutta stagione, soprattutto la sua pazza coda di marzo, occorre produrre altro rumore, diffondere suoni anche strani nell’aria, insomma fare chiasso e… tanto baccano.  La funzione è sempre stata duplice: da un lato allontanare gli spiriti del male, dall’altro richiamare ad alta voce la bella stagione, facilitando così il risveglio della natura

Omaggio ai boscaioli emigranti (eroi del bosco, martiri del lavoro)
(25.03.19) Una vita di sacrifici durissimi, di frugalità, di duro lavoro quella dei boscaioli bergamaschi che emigravano abbandonando le loro valli e le loro famiglia a marzo per recarsi in Svizzera e in Francia. Doveroso ricordarla.

La gestione del letame nell'economia agropastorale montana

(20.03.19) Lo spargimento del letame nei prati e campi di montagna, utilizzatonaturale. Almeno così era nel passato.  quale fertilizzante, è forse una delle attività maggiormente faticose, ma anche più importanti, sul piano della conclusione di un ciclo.

La stalla e gli altri manufatti dell’edilizia tradizionale

(03.03.19) Una stalla, un prato, un pascolo, una vacca, quando sono in grado di accogliere relazioni generative con la popolazione locale, e quindi di esprimere i caratteri di una visione, rappresentano dei valori, più che dei beni o delle merci. Francesco, Ugo e tanti molti agiscono come tante api operaie, ossia contribuiscono in modo determinante a sostenere l’ossatura e il futuro del “sistema montagna” delle Orobie, presidiando il territorio e difendendo l’insieme delle sue caratteristiche naturali e antropiche.

La distillazione della grappa (una tradizione di libertà)
(23.02.19) Oggi molti possono permettersi di acquistare la grappa (e il mercato ne offre per tutti i gusti) ma distillare in casa frutta o vinacce gratifica con quel senso di indipendenza, di libertà e, diciamo pure, di sfida. La sfida a uno stato che per non perdere le accise sostiene di vietare la distillazione casalinga per "tutelare la salute", disconoscendo un sapere contadino secolare (l'alambicco si diffonde dal Cinquecento).

La caccia alla volpe (e al lupo) nella realtà contadina
(15.02.19) Nel periodo più freddo e nevoso dell’anno, quando cioè gli uomini avevano tempo a disposizione, öna ölta (una volta) i cacciatori più sfegatati, ma anche i contadini meno provetti all’uso dell’archibugio, i vàa a vulp (andavano [a caccia] di volpi).


L'economia delle uova nella società contadina
(05.02.19) Loaröi e loaröle(venditori e venditrici di uova) erano protagonisti di una economia integrativa per il sostentamento del gruppo familiare, sia sotto il profilo alimentare, che per quanto concerne l’introito di qualche pur modesta somma di denaro...


In morte di un complesso rurale di pregio
(22.01.19)
La triste parabola di una contrada a oltre 900 m di quota in valle Imagna. Un tempo abitata tutto l'anno, poi alpeggio, oggi consiste solo di prati e di fabbricati in rovina. Quelli ristrutturati trasformati a "uso vacanza". 



La méssa dol rüt
(08.01.19) La méssa dol rüt  (la concimaia) era l'elemento chiave di un paesaggio ordinato che nutriva animali e persone senza inquinare e sprecare risorse


Il Natale dei contadini. Un rito che non scompare: la macellazione del maiale (cupaciù)
(23.12.18) Riti che rivivono, pieni di significato. Ancora oggi la macellazione del suino è occasione per aiutarsi tra giovani allevatori.  Quella che sembrava una pratica da amarcord da vecchie foto in bianco e nero possiamo documentarla come un fatto attuale e in ripresa. La sequenza della macellazione con qualche immagine di insaccatura. 



contatti:redazione@ruralpini.it

 

 

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